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A QUALCUNO PIACE CARO. Lo stop russo alle consegne via Nord Stream dà il via al terremoto. Epicentro Germania. Europa sempre più avviata verso un inverno che non si limiterà alla mancanza di riscaldamento

Speculazione di guerra,  impennata del prezzo del gas L’impianto di stoccaggio del gas di Wolfersberg, a est di Monaco in Germania - Ap

Prima ha travolto la piazza dell’energia di Amsterdam, poi ha investito le torri di economia e finanza di Francoforte. Il prezzo del gas è davvero una valanga che non si ferma più. Ieri il contratto future “Ttf” che determina il costo del combustibile cui è appesa l’intera Europa ha raggiunto la stratosferica vetta di 293 euro per megawattora. Corrispondono all’impennata-record del 17%, ovvero alla cifra gonfiata dalla speculazione “di guerra” che ormai terrorizza lo stesso mercato, prima ancora della politica. Un vero effetto-slavina, con il “Dax” (l’indice dei 30 titoli a maggiore capitalizzazione della Borsa Di Francoforte) crollato del 2,1% fino a quota 13.262 punti, mentre nelle stesse ore l’euro si indeboliva finendo nuovamente sotto la parità con il dollaro.

UNA CATASTROFE per niente naturale, come sottolinea a Berlino il vicecancelliere Robert Habeck dei Verdi, numero due del governo dello Stato europeo più colpito dall’ennesimo stop del Nordstream. «La Russia sta mettendo in atto un piano ben preciso. Questa interruzione è un altro passo nell’escalation sull’energia che viene usata da Mosca come un’arma da guerra». La versione ufficiale di Berlino è quindi: la «manutenzione programmata» per revisionare la seconda turbina della pipeline in programma dal 31 agosto al 2 settembre annunciata venerdì scorso da Gazprom ha fatto schizzare il prezzo del gas alle stelle.

Ormai ciò che (non) passa attraverso la pipeline sotto al Mar Baltico profila la sorte dell’Europa sempre più avviata verso un inverno di guerra che non si limiterà alla mancanza di riscaldamento. Così il gasdotto dell’amicizia russo-tedesca è diventato il perno della speculazione che colpisce tutti.

«Senza ulteriori e sostanziali risparmi nell’industria come nelle famiglie il rischio di una carenza di gas nel semestre invernale rimane molto alto. L’incertezza delle forniture continua a rappresentare un rischio elevato per l’economia» si legge nella cartina di tornasole della Bundesbank che ha appena pubblicato il rapporto mensile in grado di far tremare i polsi a qualunque governo europeo.

QUELLO GUIDATO da Olaf Scholz è già stato costretto a spiegare ai cittadini che il 15-20% di risparmio diventa ogni giorno sempre meno la soglia volontaria fissata dall’Ue e sempre più la cifra imprescindibile per salvare il Paese da cui dipende tutta l’Europa.

Di ritorno dal Canada, dove insieme al ministro Habeck ha sottoscritto la nuova partnership per lo sviluppo di idrogeno e gas, il cancelliere tedesco sa bene che le fonti alternative alla canna di Gazprom saranno a disposizione non prima di due anni per la carenza di infrastrutture. La Locomotiva d’Europa potrebbe essere colpita molto prima dalla crisi del gas, specie se la speculazione non mollerà la presa.

«Il rischio che la produzione economica diminuisca è aumentato in modo significativo» scrivono gli esperti nella torre della Bundesbank di Francoforte affacciata all’Eurotower dove ieri la governatrice Christine Lagarde ha contabilizzato il mezzo punto perduto ieri dalla moneta unica, con l’euro equivalente a 0,998 dollari.

IN PARALLELO, TUTTAVIA, non manca la rassicurazione di chi incolonna l’altro conto fondamentale: con il Nordstream ristretto al transito giornaliero di soli 33 milioni di metri cubi (20% della capacità massima), attualmente Gazprom fornisce alla Germania appena l’11% del totale delle importazioni nazionali di gas, conferma l’Agenzia delle Reti di Bonn.

Di base «il nostro problema non è la disponibilità di gas – come ho sentito dire più volte – bensì la mancanza di un’infrastruttura alternativa ai gasdotti russi. Dobbiamo renderci indipendenti da Mosca. Ecco perché a differenza di altri Paesi la domanda chiave non è “Da dove viene il nostro gas?” ma “Come arriva il gas in Germania» precisa Habeck.

Per adesso viene solo dal Nordstream, visto che Wilhelmshaven a Brunsbüttel i terminal galleggianti capaci di rigassificare fino a 12,5 miliardi di metri cubi all’anno entreranno in funzione, se va bene, a fine dicembre. Solo allora si potranno utilizzare le quattro navi gasiere noleggiate dal governo Scholz.

Intanto la Germania funziona soprattutto grazie al carbone e alle energie rinnovabili, agli antipodi nella sfera della sostenibilità, come dimostra il rapporto sul mix energetico del 20 agosto. Carbone: 35,9%; solare: 21,6; biomasse: 9,6; eolico: 9,3; gas: 8,6; nucleare 8,3; con il restante 6,6% da altre fonti.

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INTERVISTA A UNO DEI QUATTRO UNDER 35 CAPOLISTA ALLE PROSSIME POLITICHE . Il segretario del Pd partenopeo doveva essere candidato già cinque anni fa ma Matteo Renzi cancellò personalmente il suo nome dalle liste con un colpo di penna

 Marco Sarracino

Il napoletano Marco Sarracino fa parte dei quattro under 35 che il segretario del Pd Letta ha voluto come capilista alle prossime politiche. Cinque anni fa l’allora segretario Renzi l’aveva cancellato personalmente dall’elenco con un colpo di penna.

In base ai sondaggi il centrosinistra ha pochi collegi sicuri, la maggior parte nei grandi centri, tra paracadutati e riconferme c’è poco spazio per le candidature innovative?
Non esistono collegi vincenti o perdenti, esiste la campagna elettorale e in base a quello che faremo misureremo i risultati. Negli ultimi due anni ci avevano raccontato che a Napoli avremmo perso ogni tipo di elezioni e invece, grazie a programmi radicali e progressisti, abbiamo sovvertito i pronostici facendo tornare il Pd alla vittoria. Le liste per il 25 settembre sono il risultato di un patto generazionale, un mix tra candidature di esperienza e rinnovamento.

Al comune di Napoli e in altre realtà dell’hinterland sei stato tra i promotori del patto tra Pd e 5S, che adesso corrono divisi. Ci saranno riflessi sulle amministrazioni, si potrà riprendere il dialogo dopo il voto?
Non dobbiamo rinnegare l’evoluzione che c’è stata in questi anni da parte del Movimento, anche perché è stato un percorso che il Pd ha accompagnato e favorito. Ma se oggi non esiste un’alleanza tra le nostre due forze la responsabilità è solo dei 5S, che inspiegabilmente non hanno votato la fiducia al governo assieme alla Lega e Forza Italia, causando un enorme danno agli italiani. Per le amministrazioni, abbiamo avuto il sostegno dei cittadini e quei sindaci e sindache andranno avanti. Infine, il dialogo si pratica con tutti ma oggi c’è la campagna elettorale e il centrosinistra vincerà senza di loro.

La dem Romina Mura ha replicato a Meloni: «La destra vuole togliere il Reddito di cittadinanza, venga a dirlo in Sardegna». Qual è la tua posizione?
Uno dei problemi del Pd alle scorse politiche è stata la demonizzazione della povertà. Esistono partiti che hanno ingaggiato una vera e propria caccia al povero. La povertà va capita ma soprattutto va contrastata con misure efficaci. Il Rdc, che ha sicuramente una serie di limiti, ha evitato specie durante la pandemia che in alcune zone del paese scoppiasse una vera e propria emergenza sociale. Ora però una delle battaglie fondamentali del Pd sarà quella di affermare politiche per il lavoro, un lavoro di qualità, senza sfruttamento, perché esistono diseguaglianze sociali che hanno raggiunto livelli eticamente inaccettabili. La battaglia sul salario minimo è uno dei nostri temi identitari, il Rdc va tenuto ma migliorato.

Il Mezzogiorno è sparito dalla campagna elettorale, solo la destra se ne ricorda per proporre l’autonomia differenziata.
La questione meridionale va affrontata e soprattutto risolta, non è possibile avere un paese in cui il tasso di accesso ai servizi minimi essenziali sia diverso in base alla regione in cui nasci. Francamente sono stufo di vedere migliaia di miei coetanei abbandonare il Sud per cercare lavoro altrove. La destra a trazione Salvini – Meloni ma anche le autoproclamate forze moderate, che con la ministra Gelmini hanno tentato il blitz dell’autonomia differenziata, hanno una concezione sbagliata di quello che invece può essere il motore di sviluppo del paese. Non siamo cittadini di serie B e sono certo che alle elezioni verremo votati anche perché portatori di un messaggio differente rispetto alle prospettive del Mezzogiorno.

Si fanno passare per rinnovabili gas e nucleare.
Ci si è illusi che il tema dei cambiamenti climatici avrebbe riguardato i figli dei nostri figli, invece anche a causa di numerose crisi che si sono verificate negli ultimi mesi, finalmente tutti si sono accorti della drammaticità di una situazione da affrontare immediatamente. La transizione ecologica non può essere dunque un semplice slogan elettorale e per il Pd è una delle battaglie principali. Ma la salvaguardia dell’ambiente in Campania significa anche proteggere i nostri territori da chi li vuole distruggere, penso alla Terra dei fuochi che continua a mietere vittime: un tema che va risolto dando maggiori strumenti agli amministratori locali, troppe volte costretti ad affrontare queste vicende in totale solitudine. E significa anche contrastare il consumo di suolo aiutando invece rinnovabili e agricoltura di qualità.

Che tipo di campagna elettorale sarà?
Trasformeremo le paure e le preoccupazione causate dalla crisi economica, dall’inflazione e dalla guerra in una nuova speranza collettiva, intendiamo scrivere una nuova storia per il paese e vogliamo farlo con l’aiuto di un popolo che vuole tornare a decidere del proprio futuro. I temi sono lavoro, con la battaglia per il salario minimo, la scuola (a partire dall’aumento degli stipendi dei nostri insegnanti), tutela dei diritti civili contro chi li vuole mettere in discussione.

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QUASI COMPLETATA LA RACCOLTA DELLE FIRME. De Magistris sarà capolista a Napoli, a Milano e in Calabria. Acerbo a Pescara e Carrara

Unione popolare al rush finale con 120 proposte e contro la guerra Maurizio Acerbo f segretario di Rifondazione

La raccolta delle firme è quasi completata. Malgrado i tempi strettissimi e lo slalom tra gli uffici elettorali chiusi nella settimana di Ferragosto, l’Unione Popolare ha raccolto quello che doveva per poter partecipare alle elezioni del 25 settembre. Solo tre collegi sono in ritardo e in due giorni dovranno riuscire a raggiungere le 750 sottoscrizioni necessarie a presentare i propri candidati: Trapani-Agrigento, Piemonte Nord (Biella, Vercelli, Novara) e Molise. Nel resto d’Italia i banchetti hanno ormai chiuso e tutto è pronto per la rincorsa elettorale alla soglia di sbarramento del 3%.
«Ci mancano gli ultimi cento passi», ha detto, citando Peppino Impastato, il leader Luigi De Magistris, il cui nome spicca nel simbolo della lista che raccoglie Rifondazione Comunista, Potere al Popolo, Dema e le parlamentari di Manifesta. Il resto delle pratiche burocratiche è ormai sbrigato: il simbolo è stato approvato martedì dal Viminale (un secondo, «Up con De Magistris», legato al ricorso per l’esenzione dalla raccolta delle firme, è stato invece respinto).

Gran parte delle speranze di farcela sono legate alle prestazioni che la lista riuscirà a ottenere al sud: i precedenti, dicono, sono incoraggianti. De Magistris a Napoli è un sindaco da poco uscente dopo due mandati e, quando si è presentato come governatore della Calabria, un anno fa, ha raccolto un non disprezzabile 16%.

Il leader non si presenterà in nessun collegio uninominale, ma sarà presente come capolista a Napoli, a Milano e in Calabria nei listini proporzionali per la Camera. Il segretario di Rifondazione Maurizio Acerbo, sempre per la Camera, ci proverà nei collegi plurinominali di Pescara e di Carrara, mentre i portavoce di Potere al Popolo saranno in lista a Bologna (Marta Collot) e in Campania (Giuliano Granato). A Roma, per il Senato, se la giocheranno gli ex assessori della giunta Raggi Paolo Berdini e Pinuccia Montanari e lo storico console italiano a Santiago del Cile Enrico Calamai, mentre alla Camera correranno l’ex segretario del Prc Paolo Ferrero, l’ambientalista Elena Mazzoni e l’ex eurodeputata Eleonora Forenza (anche in Calabria). Un collegio uninominale romano vedrà protagonista la giornalista del Tg2 Chiara Prato: «Il mio è un posizionamento da kamikaze, ma fa niente, avevo voglia di impegno civile e di sinistra», ha scritto su Twitter nell’annunciare la sua candidatura. A Milano, tra gli altri, ci saranno il sindaco di Cassinetta Domenico Finiguerra, Anna Camposampiero e Alessandro Lanzani di Medicina Solidale.

Tra le firme note ai lettori di questo giornale, da sottolineare la presenza dell’economista Pier Giorgio Ardeni (a Bologna) e di Piero Bevilacqua (a Catanzaro). In Piemonte, insieme ad alcuni fuoriusciti del M5S, ci sarà lo storico Angelo d’Orsi. Nelle Marche il nome forte è quello di Lorenzo Fiordelmondo, Rsu della Caterpillar di Jesi, protagonista della vertenza che nei mesi scorsi ha portato alla salvezza della fabbrica e di tutti i lavoratori a rischio licenziamento. Ricandidate le componenti di Manifesta: Yana Ehm (Toscana e Friuli Venezia Giulia), Simona Suriano (Sicilia e Lombardia), Piera Aiello (Campania e Sicilia). Spazio in lista anche per l’attivista del Baobab di Roma Sara Zuffardi e per il docente universitario Raul Mordenti.

In una campagna elettorale velocissima e già fortemente polarizzata, l’Unione Popolare proverà a ritagliarsi il suo spazio forte anche di un programma (in 120 proposte) che garantisce di essere «l’unico pacifista e contro la guerra». Servirà un’impresa. Come sempre e ancora una volta.

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SINISTRA. Il programma di Si e Verdi. «Tassare al 100% gli extraprofitti per abbassare le bollette, via i Cpr, ripristinare l’articolo 18». Nicola Fratoianni: «La destra estrema ha proposte che mettono in discussione l’assetto democratico, si arriva in un minuto all’Ungheria di Orbán». Angelo Bonelli: «Serve un tetto nazionale al prezzo del gas, le speculazioni sono intollerabili, in autunno si va verso un massacro sociale»

Patrimoniale per i super ricchi, stop al precariato. Salario minimo a 10 euro Nicola Fratoianni, Eleonora Evi, Angelo Bonelli - LaPresse

Salario minimo a 10 euro, ritorno dell’articolo 18, eliminazione delle forme di lavoro precario tranne il tempo determinato (ma solo con causali), riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario. E ancora: pensioni a 62 anni (o 41 annui di contributi), patrimoniale crescente fino al 2% sopra i 5 milioni con eliminazione dell’Imu per tutti gli altri, tassazione al 100% degli extraprofitti di società energetiche come Eni (per dare un bonus- bolletta da 1200 euro a ogni famiglia), trasporto pubblico locale gratuito, scuole gratis fino all’università.

SINISTRA ITALIANA E VERDI presentano il programma della loro lista, coalizzata col Pd ma fiera della propria autonomia. Ci sono vari punti in Comune col M5S, a partire dai temi del lavoro e dal rafforzamento del reddito di cittadinanza, ma anche col Pd: matrimoni lgbt, legalizzazione della cannabis, fine-vita, stop alla Bossi- Fini (i rossoverdi propongono anche di chiudere i Cpr). Si e Verdi sono più netti su alcuni punti, come la reintroduzione di un meccanismo di adeguamento dei salari all’inflazione, o l’abolizione dei sussidi alle energie fossili, con un risparmio annuo di 20 miliardi di euro da destinare a istruzione e sanità pubbliche. Stop anche alla crescita al 2% del Pil delle spese militari. «Il vero obiettivo deve essere portare al 3% del Pil la spesa per la ricerca», spiega Fratoianni, che fissa come cornice del programma il «no al presidenzialismo e all’autonomia differenziata. «La destra estrema ha proposte che mettono in discussione l’assetto democratico, si arriva in un minuto all’Ungheria di Orban. Ma difendere la Costituzione significa anche attuarla, e su lavoro ambiente c’è un grande lavoro da fare».

DI QUI GLI OBIETTIVI di portare le rinnovabili all’80% entro il 2030 per la produzione elettrica, confermando un secco no al nucleare, e una legge per il clima entro i primi 100 giorni di un ipotetico governo di centrosinistra. Non c’è un no secco ai termovalorizzatori, ma solo come «soluzione di ultima istanza», spunta una norma per «fermare il consumo di suolo». C’è anche l’abolizione della caccia, e il ritorno del corpo forestale, così come l’estensione al 30% delle aree protette.

SUL FRONTE IMMIGRAZIONE c’è un allargamento del diritto di asilo anche ai rifugiati climatici e ambientali, un secco no ai finanziamenti alla guardia costiera libica e una riforma che consenta un accesso più semplice alla residenza e al lavoro per i migranti.

Anche la scuola è al centro del progetto rossoverde, con l’iscrizione gratuita dal nido all’università, un massimo di 15 alunni per classe, l’obbligo scolastico a 18 anni. Anche sulla sanità “pubblico” è la parola chiave: anche qui sono previsti investimenti massicci sul piano edilizio e tecnologico, sia su quello dell’assunzione. Al contempo è prevista l’abolizione dei vantaggi fiscali per chi stipula un’assicurazione sanitaria. «La legalizzazione della cannabis sarebbe una enorme patrimoniale sulla malavita», spiega Fratoianni, che sottolinea l’abolizione dell’Imu: «Passiamo per quelli che vogliono aumentare le tasse ma non è così, vogliamo che chi è ricco paghi di più e gli altri meno. Il nostro modello è quello tedesco, con una crescita continua e costante dell’aliquota. La flat tax è un abominio, con quel sistema Berlusconi pagherebbe in percentuale come un operaio».

«Siamo stufi di essere etichettati come quelli del no – ha detto Eleonora Evi, co-portavoce di Europa Verde con Bonelli -. Diciamo anche tantissimi sì, come alle rinnovabili, ai diritti e all’agricoltura sostenibile. Il trasporto locale gratuito è già realtà in alcuni paesi Ue».

BONELLI HA SOTTOLINEATO le questioni energetiche: «Serve un tetto nazionale al prezzo del gas, le speculazioni sono intollerabili, in autunno si va verso un massacro sociale». E ha sfidato Calenda a un dibattito pubblico sul nucleare: «Anche in Francia ci sono grossi problemi, ci sono centrali ferme perché troppe vecchie e per la carenza idrica e questo si riflette sul costo dell’energia». Fratoianni ha detto che ci sono «importanti punti in comune anche col programma del Pd». E sul M5S: «Sono contento che Conte proponga la riduzione dell’orario di lavoro, io ho presentato da tempo una proposta di legge ma ho faticato a trovare le firme in Parlamento, anche dentro il M5S…». Convergenze future? «Ci misureremo in Parlamento…».

SULLE LISTE I ROSSOVERDI non hanno ancora chiuso. Certi solo i collegi uninominali blindati di Firenze per Ilaria Cucchi e Modena per Aboubakar Soumahoro. Fratoianni e Bonelli saranno capilista nel proporzionale «in zone di frontiera», dice il leader verde. Per loro probabili anche due collegi uninominali sicuri in Toscana ed Emilia.

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STORICA PROPOSTA FIOM. Acerbo (Up): è rimasto indietro, come Mélenchon noi proponiamo le 32 ore per tutti

Conte lancia le 36 ore a parità di salari: sperimentale e discussa con le imprese Un metalmeccanico al lavoro in una fabbrica milanese - Foto Ap

La riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario in Italia è una storica battaglia dei metalmeccanici della Fiom, ripresa nel programma di Rifondazione comunista con Fausto Bertinotti nel 1996 quando propose 35 ore settimanali. Martedì Giuseppe Conte ha annunciato che il M5s la inserirà nel suo programma elettorale: «Possiamo partire da quattro ore di riduzione sulle 40 settimanali». Non si tratta però di una proposta generale, rivolta a tutti i lavoratori come quella mai approvata dal governo Prodi: «L’idea è sperimentare questa norma nei settori a più alta componente tecnologica perché è chiaro che nel settore del terziario è più difficile introdurla». Ancor più moderata è la proposta sulla sua applicabilità: «Ne discuteremo, non va fatto contro le imprese ma su base volontaria».

Quest’ultimo più che un viatico è un macigno sulla fattibilità della proposta: la Confindustria di Bonomi si è già detta più volte totalmente contraria, puntando tutto sulla mitica «produttività».

Argomento sul quale Conte ha qualcosa da dire: «Tutti gli studi dimostrano che, oltre una certa soglia, la produttività non aumenta affatto», «dipende da molti fattori ma se tu consenti a un lavoratore maggior equilibrio fra la vita personale e lavorativa, ciò gli consente di essere più efficiente durante l’orario di lavoro e si rischia anche di creare più occupazione». Conte poi ha snocciolato il paragone quasi sempre citato in questi casi: il raffronto fra il caso italiano e quello tedesco: «In Italia ci ritroviamo con una media di ore lavorate all’anno che è la più alta in Europa, 1.723 ore l’anno; in Germania sono 1.356 e hanno la produttività molto più elevata».

Conte in realtà si è dimenticato della Francia. Nella patria delle 35 ore, legge promulgata dal governo Jospin nel 1998 e mai completamente cancellata, si lavora però più che in Germania: siamo a quota 1.514 ore l’anno.

Se in Italia il più grande successo in materia di riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario va fatto risalire al contratto dei metalmeccanici del 1969 – quando le lotte dell’autunno caldo piegarono Confindustria che fu costretta ad accettare la riduzione a 40 ore settimanali a parità di salario – ora la Fiom conta molti accordi aziendali di riduzione di orario rispetto al contratto nazionale a parità di salario, nel frattempo molti partiti di (vera) sinistra in Europa e nel mondo propongono riduzioni molto più forti. Nel programma di Mèlenchon ad esempio si propongono 32 ore settimanali a parità di salario, come ricorda il segretario di Rifondazione comunista e candidato per Unione popolare Maurizio Acerbo: «È positivo che Conte parli di riduzione orario anche se la proposta del leader del M5s per le 36 ore appare dai contorni generici e improvvisata. Conte arriva con più di due decenni di ritardo alla nostra proposta: d’altronde anche il reddito di cittadinanza e l’acqua pubblica erano rivendicazioni di Rifondazione e della sinistra radicale», ricorda malignamente Acerbo.

Che continua polemico parlando di «maniera edulcorata ricorda più il marketing che una reale determinazione»: «Colpisce però la genericità della proposta di Conte: 36 ore ormai è rivendicazione obsoleta. La riduzione d’orario a fronte del progresso tecnologico così veloce dovrebbe essere oggi di 30-32 ore settimanali. E soprattutto andrebbe fissata per legge. Altrimenti si tratterebbe solo di una «sperimentazione» per qualche azienda di punta o impegno contrattuale solo per alcune categorie non di una generale redistribuzione del lavoro – ricorda Acerbo – . Oggi di fatto gli orari di lavoro si sono allungati invece di ridursi nonostante gli aumenti di produttività. Perché lavoratrici e lavoratori hanno perso potere contrattuale e gli orari reali sono molto più lunghi e anche sottopagati. Nell’epoca dell’intelligenza Artificiale abbiamo da un lato persone che lavorano troppo e dall’altro un’alta disoccupazione. Ridistribuire il lavoro è una misura indispensabile», ricorda.

E annuncia: «Noi di Unione Popolare presenteremo una legge per la riduzione a 32 ore per tutte/i a parità di salario. Una proposta identica è nel programma della Nupes di Melenchon in Francia», ricorda Acerbo.

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PROPOSTE ELETTORALI. Resta la Fornero e non aiuta donne e precari. A lanciarla il prode Durigon: lo stesso autore del flop Quota 100 al tempo del Conte I

Pensioni, la bufala della Lega è Quota 41 Claudio Durigon al centro dell'inchiesta del sito Fanpage

Non c’è riuscita con il flop Quota 100, ci riprova con Quota 41. Le pensioni sono e saranno un tema caldo della campagna elettorale visto che senza interventi legislativi dal primo gennaio 2023 tornerebbe quasi interamente la legge Fornero: 67 anni di età per andare in pensione di vecchiaia; almeno 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi di contributi per le donne per la pensione anticipata, indipendentemente dall’età.

Ieri la Lega di Salvini ha rilanciato la sua proposta: una riduzione di meno di due anni sulla sola pensione anticipata.

«La Lega ha le idee chiare in materia previdenziale: vogliamo rendere strutturali Quota 41, opzione donna e Ape sociale», dicono in una nota il responsabile lavoro della Lega Claudio Durigon – sottosegretario che gestì Quota 100 nel governo gialloverde Conte 1, costretto a dimettersi nel 2021 dal governo Draghi per la bufera scaturita dalla sua proposta di tornare al vecchio nome del parco di Latina, dedicato al fratello di Mussolini, al posto della denominazione “Falcone e Borsellino” – e di chi ha preso il suo posto nel governo Draghi, Federico Freni.

In realtà la proposta della Lega favorirebbe nuovamente le stesse categorie che hanno scelto Quota 100: dipendenti pubblici in primis che hanno continuità contributiva e carriere lineari.

Non certo le categorie ad oggi più svantaggiate in termini previdenziali: le donne – che pagano la discontinuità dovuta al lavoro di cura di figli e genitori anziani – e precari – con pochi e discontinui contributi – che vedono il traguardo di 41 anni lontanissimo.

Per Durigon e Freni (e per Salvini e tutta la Lega) addirittura «con gli interventi proposti si realizza definitivamente l’obiettivo di cancellare la riforma del governo Monti».

Niente di più falso: rimarrebbero i 67 anni di età per la pensione di vecchiaia, destinata ad aumentare nei prossimi anni grazie al meccanismo di adeguamento automatico all’aspettativa di vita che, dopo la pandemia, tornerà fatalmente ad alzarsi.

Come sempre le proposte della Lega dimenticano completamente giovani e precari, escludendo la pensione contributiva di garanzia che permetterebbe loro il riconoscimento dei periodi di lavoro intermittente, garantendo un assegno dignitoso (intorno ai mille euro) a 65 anni con 40 anni di attività, come nella proposta dell’economista Michele Raitano. Per la Lega invece Quota 41 avrebbe un fantastico effetto collaterale sui giovani: «Maggior spazio ai giovani in cerca di primo impiego, permettendo a 800 mila persone in un triennio di godersi il meritato riposo dopo una vita di sacrifici, così come hanno già fatto in 400mila grazie a Quota 100». Peccato che proprio Durigon aveva scritto nella legge su Quota 100 che si attendevano un milione di domande, ottenendone invece meno del 40% a consultivo.

L’ultima panzana riguarda la copertura finanziaria dell’operazione: «Non ci sarà alcun problema di sostenibilità – assicurano Durigon e Freni – : grazie a Quota 100 è stato eliminato il bacino creato dalla legge Fornero che per molti anni ha impedito alle persone di andare in pensione».

In realtà l’unico aspetto positivo di Quota 100 sono stati i 7 miliardi risparmiati dalle poste di bilancio. Ma in buona parte già utilizzati per altri capitoli o per ridurre il debito pubblico: a dimostrazione della continuità di visione con la riforma Fornero, servita per ridurre il rapporto debito/Pil di parecchi punti dal 2011 a oggi e in futuro. Insomma, anche con la Lega rimane l’austerità previdenziale.

 

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