ELEZIONI. Da aggi il deposito al Viminale. Abbondano i loghi che ne contengono altri più piccoli, tanto piccoli che quasi non si vedono sulla scheda. Non importa, servono a consentire la nascita di nuovi gruppi una volta partita la legislatura
Il simbolo di Noi moderati, centristi del centrodestra, presentato ieri
Quello presentato ieri di Noi moderati (i centristi più centristi del centrodestra) probabilmente è uno dei simboli meno riusciti nella storia delle elezioni, però c’è una giustificazione: bisognava far entrare dentro un simbolo contenitore altri quattro simboli più piccoli dei partiti che si sono messi insieme – insieme solo per un po’. Non è un record, aveva fatto peggio nel 2018 Beatrice Lorenzin (a proposito di centristi) che nel logo della sua Civica popolare Lorenzin era riuscita a far entrare un fiore e cinque mini simboli, tanto piccoli da essere irriconoscibili sulla scheda. Ma l’importante, come vedremo, è farceli entrare.
Maurizio Lupi, Giovanni Toti, Luigi Brugnaro e Lorenzo Cesa, i quattro che ieri hanno annunciato la fusione (reversibile) delle loro monotone liste – rispettivamente, Noi con l’Italia, Italia al centro, Coraggio Italia e Udc – avevano un problema in più da presentare allo studio grafico quando si sono decisi al grande passo (quando, cioè, hanno avuto da Meloni e gli altri una promessa in seggi). Dovevano conservare il loro nome nel simbolo, anche strizzandolo al massimo per farlo entrare con gli altri sotto lo stesso tetto. I loro, del resto, sono partiti unipersonali. Il nome di Cesa, il segretario dell’Udc che è l’unico partito che ha qualche anno alle spalle (venti) e l’unico che si porta appresso lo scudo crociato, è il solo che non c’è.
Accanto a questo simbolo rompicapo, l’altro presentato ieri sembra quasi un capolavoro di sobrietà, di bellezza non diremo. Simboleggia altri centristi, anche loro sono « Draghi per sempre», anche loro hanno un nome nel simbolo. Uno solo, però, e non è stato facile: il nome di Calenda. Renzi ha accettato di nascondersi un pochino (che non sia popolarissimo forse l’ha capito). In basso, sotto ai nomi delle due formazioni inevitabilmente unite – Azione e Italia viva -, più sotto anche del nome «Calenda», nel seminterrato del simbolo, Renzi ha però fatto aggiungere «renew europe» che è il nome del gruppo liberal-macroniano del parlamento europeo e in fondo comincia con ren…
L’ultimo a presentare il simbolo ieri sera – lo hanno fatto tutti ieri perché stamattina alle otto si aprono i cancelli del Viminale e comincia il deposito ufficiale – è stato Enrico Letta. Prometteva una sorpresa, è stata una sorpresina. Il simbolo del Pd è quello vecchio, c’è solo una scritta aggiunta in basso, carattere bianco su sfondo rosso: Italia democratica e progressista. Evidentemente la tentazione di mettere Italia nel logo è irresistibile, forse si ha paura che agli elettori davanti alla scheda venga il dubbio di star sbagliando paese. L’aggiunta di Letta si giustifica come segnale di inclusione verso una serie di associazioni e partiti che il Pd ha deciso di prendersi in spalla, sicuramente nelle liste si spera anche nei voti.
È tornata anche la repubblicana Luciana Sbarbati che si era un po’ persa di vista dai tempi dell’Unione. «Democratica e progressista» serve anche per richiamare il nome del gruppo al parlamento europeo, secondo caso. Considerando che persino Berlusconi ha fatto aggiungere «partito popolare» nel simbolo di Forza Italia, possiamo forse concludere che nei partiti italiani c’è un imprevisto anelito comunitario, grafico almeno.
Le ragioni della grafica, però, anche stavolta contano poco. Il simbolo deve contenere moltitudini, pazienza se così svolge male la sua funzione di essere riconoscibile. L’importante è che resti agli atti che non corre solo una lista, ma tutte quelle che, anche quasi invisibili, comunque ci sono. Vale, fin qui, per il simbolo di Noi moderati, del «Terzo polo» e anche di Sinistra Italiana e Europa verde, altro logo che ne contiene più di uno. Li chiamano «simboli matrioska», infatti si aprono. Una volta partita la legislatura, il nuovo regolamento del senato (più rigoroso) e quello della camera (che non è cambiato) consentono ancora la nascita di nuovi gruppi parlamentari dalla divisione del simbolo depositato come unico. È così che sono nati i gruppi di Renzi (socialisti), Di Maio (centro democratici) e Uniti per la Costituzione (Italia dei valori). Succederà ancora.
ALLEANZA ROSSOVERDE, PRESENTATI I FRONTRUNNER. Fratoianni e Bonelli: «Entreranno in Parlamento non come bandierine ma per riaprire uno spazio a nome di tutti quelli che vivono un profondo disagio e non si sentono rappresentati»
ELEZIONI. Letta strappa l’ex commissario alla spending review del Fondo monetario internazionale a Calenda: sarà la nostra punta di diamante, candidato al nord, con SInistra italiana e Verdi c'è solo un accordo limitato. Poi il segretario attacca Meloni: tenta di incipriarsi. Lei: misogino
Letta presenta il candidato Cottarelli nella sede di +Europa - lapresse
Carlo è mio. Andato via Calenda, che aveva detto che sarebbe stato Carlo Cottarelli a scrivergli il programma elettorale, Enrico Letta ha intensificato il pressing sull’economista ex commissario alla spending review. In fondo era stato proprio lui, l’attuale segretario del Pd, nove anni fa, quando ancora (per poco) si trovava a palazzo Chigi, a riportare in Italia dal Fondo monetario internazionale Cottarelli, da allora una presenza fissa delle cronache politiche, si tratti di offrire ricette nei talk show, di rispondere a una chiamata del Quirinale per un governo tecnico o di organizzare una cordata per comprare l’Inter.
Stavolta Cottarelli, che oltre al programma di Calenda si era già impegnato a scrivere quello di +Europa e dell’associazione di Mara Carfagna, farà invece il candidato al parlamento. Per lui il Pd ha pronto un collegio uninominale e anche il paracadute proporzionale, un trattamento principesco in tempi di posti scarsi. «Sarà la nostra punta di diamante al nord», ha detto ieri Letta, che ha «regalato» la presentazione agli alleati di +Europa, andando a fare la conferenza stampa nella sede del partito di Bonino, Della Vedova e Magi. «Cottarelli è un dato di ulteriore e reale serietà rispetto al nostro accordo politico sulla prosecuzione dell’agenda Draghi», ha garantito Bonino.
Se non c’è contraddizione, come ha assicurato Letta, tra il posto d’onore al neo liberista Cottarelli e l’accordo con Sinistra italiana e Verdi, è solo perché «con loro abbiamo stabilito un’intesa limitata ad alcune questioni e obiettivi». Il programma, insomma, quello che Bonino chiama ancora «agenda Draghi», resta quello concordato con Calenda anche se Calenda se n’è andato. Ma un Carlo non vale l’altro. Ora Letta è più sereno perché «con +Europa la sintonia è naturale e la campagna elettorale non sarebbe stata un’ansia quotidiana come credo sarebbe stata se le cose fossero andate in un altro modo».
Calenda fa buon viso a cattivo gioco e fa comunque gli auguri a Cottarelli, il quale mostra l’identico savoir-faire e una non diversa collocazione politica, ricambiando così: «Grazie, gli ultimi giorni sono stati un po’… burrascosi, ma l’importante ora è guardare in avanti e smettere i litigi in un’area comunque progressista. Gli avversari politici sono altri». Ma è proprio il fatto che Pd e «Terzo polo» passino il tempo a rubarsi figurine eccellenti e intercambiabili a dimostrare che la sfida la intendono sullo stesso terreno e sugli stessi voti, alla destra va bene così.
A Meloni ha dedicato un pensiero maldestro durante la conferenza stampa proprio Letta: «È evidente che sta cercando di riposizionarsi, di cambiare immagine, di incipriarsi, però mi sembra una operazione abbastanza complicata quando il punto di riferimento è Orban. Il discorso che fece in Spagna per la candidata di Vox è lì ed è un’altra storia…». Facile per la presidente di Fratelli d’Italia replicare parlando di «misoginia» per «una frase che tradisce l’idea secondo la quale la donna dovrebbe essere attenta solo a trucchi e borsette». E già che c’è, Meloni diffonde un video alla stampa estera per continuare nell’operazione rassicurazione: «Svolta autoritaria, uscita dall’euro, fondi del Pnrr a rischio, tutte sciocchezze ispirate dal potente circuito mediatico della sinistra».
Ma proprio ieri, durante la cerimonia per ricordare l’eccidio fascista di piazzale Loreto del 1944 a Milano, il figlio di uno di quei quindici martiri ha detto dal palco: «Inorridisco pensando che 100 anni dopo la marcia su Roma gli eredi del fascismo possono prendersi palazzo Chigi e mettere mano alla Costituzione». Parole dalle quali ha preso le distanze anche il presidente milanese dell’Anpi Cenati: «La cerimonia aveva lo scopo di ricordare i martiri, ogni altra considerazione non c’entrava niente». Ma alle quali Meloni ha replicato nel suo solito modo, con un «ma anche» che tiene tutto insieme: «La destra italiana ha consegnato il fascismo alla storia ormai da decenni, condannando senza ambiguità la privazione della democrazia e le infami leggi anti ebraiche e ovviamente anche nazismo e comunismo, l’unica delle ideologie totalitarie del ventesimo secolo che sopravvive e la sinistra fatica a condannare». Intanto la fiamma che arde sulla bara di Mussolini è sempre lì nel simbolo di Fratelli d’Italia.
INFLAZIONE. Salari reali falcidiati. La risposta non sono i bonus una tantum di 200 euro. Peraltro ne sono esclusi proprio i ceti più fragili della società: precari e poverissimi.
A luglio, secondo gli ultimi dati diffusi dall’Istat, l’indice dei prezzi al consumo è salito dello 0,4% rispetto al mese precedente (7,9% su base annua). E a galoppare sono innanzitutto i prezzi dei beni di prima necessità, nonostante il calo dei prezzi dei beni energetici. Si evince certamente dal dato sull’inflazione «di fondo» (al netto degli energetici e degli alimentari freschi) e da quello depurato dalla sola componente energia. Ma soprattutto dall’impennata dei prezzi dei prodotti ad alta frequenza e del «carrello della spesa». Quest’ultimo, in particolare, ha fatto registrare un +9,1% rispetto al mese scorso (massimo dal 1984).
Una stangata per i ceti popolari. La stima è che con questa inflazione una famiglia con due figli spenderà circa 750 euro in più all’anno solo per magiare (+3.152 euro complessivamente, a parità di consumi, rispetto all’anno scorso, per il Codacons). In termini aggregati, sono 53,5 miliardi di euro in più per l’acquisto di beni e servizi rispetto al 2021, di cui 10,9 miliardi solo per il cibo. Salari reali falcidiati. La risposta non sono i bonus una tantum di 200 euro. Peraltro ne sono esclusi proprio i ceti più fragili della
SPAGNA. La sindaca Ayuso lancia lo slogan «Madrid non si spegne». Condizionatori a 27 gradi d’estate e a non più di 19 in inverno. Vetrine spente dopo le 22
La sindaca di Madrid Isabel Díaz Ayuso - Ap
Ieri sono entrate in vigore in Spagna le prime misure del pacchetto sul risparmio energetico approvate dal Consiglio dei ministri. Il provvedimento impone di abbassare massimo a 27 gradi d’estate e di alzare a non più di 19 gradi in inverno la temperatura negli edifici pubblici, negli spazi commerciali e culturali e nelle infrastrutture del trasporto pubblico, e di spegnere le luci delle vetrine e degli edifici pubblici dalle 22. Le porte esterne di istituzioni ed esercizi commerciali dovranno rimanere chiuse finché il riscaldamento o il raffreddamento sono in funzione.
L’obiettivo, fissato dall’Ue, è ottenere un calo dei consumi di gas del 15% in previsione di un possibile taglio netto delle forniture da parte di Mosca. Non si tratta certo di misure draconiane, e numerosi esperti speravano in una riduzione maggiore dei consumi (per ora limitata ad un 7-8%) associata ad un calo dell’utilizzo delle fonti fossili per contrastare il surriscaldamento globale. Centri sanitari, scuole e università, parrucchieri, lavanderie e mezzi di trasporto, tra gli altri, sono esentati dai nuovi limiti e il governo spagnolo ha scartato il blackout notturno dei monumenti. Bar e ristoranti potranno poi abbassare la temperatura a 25 gradi per garantire ai dipendenti condizioni di lavoro accettabili.
Gli inadempienti potranno essere sottoposti ad una sanzione fino a 60 mila euro per infrazioni lievi, fino a 6 milioni per quelle gravi e fino a 100 milioni per quelle molto gravi. Ma il piano di risparmio energetico, ha spiegato la ministra per la Transizione Ecologica Teresa Ribera, prevede un periodo di transizione durante il quale chi non lo rispetterà verrà ammonito e invitato ad adeguarsi, ma non multato.
Appaiono quindi pretestuose le proteste e le polemiche scatenate dalle opposizioni di destra che, come durante la fase acuta della pandemia, tentano di boicottare le nuove misure e allarmano l’opinione pubblica diffondendo false notizie.
La capofila del «no» è la presidente della Comunità di Madrid Isabel Díaz Ayuso, che aspira alla scalata ai vertici statali del Pp e sembra aver trascinato con sé anche il leader nazionale del partito Alberto Núnez Feijóo, che pure nei giorni scorsi aveva proposto misure simili a quelle appena implementate. All’insegna dello slogan «Madrid non si spegne» Ayuso ha annunciato un ricorso al Tribunale Costituzionale perché il decreto invaderebbe le competenze degli enti locali.
Un dirigente popolare, Miguel Tellado, ha invece invitato l’esecutivo a ritirare il provvedimento e a riscriverlo insieme alle opposizioni mentre varie regioni governate dalle destre hanno chiesto a Sánchez di rinviare l’entrata in vigore del pacchetto, proponendo misure alternative vaghe e spesso in contraddizione tra loro. Da parte sua l’estrema destra di Vox, non estranea a posizioni negazioniste sul cambiamento climatico, lancia strali a favore della sovranità energetica e contro «le imposizioni climatiche degli organismi sovranazionali».