Alla campagna di La Russa, Tajani e Salvini per far fallire i referendum, Meloni aggiunge un tocco personale: «Vado a votare, non ritiro la scheda». Un trucco per sabotare il quorum anche recandosi alle urne e per non azzoppare la destra ai ballottaggi
2 giugno Il Capo dello Stato alla parata del 2 giugno ricorda l'importanza della partecipazione. Il giorno prima le parole su Gaza: «Disumano ridurre i civili alla fame». La premier prova ad accodarsi: «Sono d'accordo con lui». Tra parà e frecce tricolori Crosetto spinge per il riarmo
Sergio Mattarella all'Altare della patria – Ansa
Le frecce tricolori, la corona deposta dal Capo dello Stato all’Altare della Patria, un immenso tricolore srotolato dai vigili del fuoco dalla sommità del Colosseo. La tradizionale parata del 2 giugno è andata in scena ieri in via Fori imperiali all’insegna del patriottismo spinto: c’è stato anche l’atterraggio dei parà della Folgore, la premier Meloni che batte la mani dal palco al ritmo dei bersaglieri («Essere italiani vuol dire appartenere a qualcosa di grande», le sue parole), oltre all’esecuzione dell’inno di Mameli ad opera della cantante Arisa.
Un clima militaresco appena mitigato dagli oltre 200 sindaci che hanno aperto la sfilata, guidati dal presidente Anci e primo cittadino di Napoli Gaetano Manfredi, che ha sottolineato come «la Festa della Repubblica è un’occasione importante per ricordare i principi di pace sanciti nella nostra Costituzione».
Il Capo dello Stato, che ha sfilato sulla Lancia Flaminia col tetto scoperto, nel tradizionale messaggio inviato al Capo di stato maggiore della Difesa, Luciano Portolano, ha ricordato come 79 anni fa «il popolo italiano decretava, con il suo voto, la nascita della Repubblica, al culmine di un lungo percorso iniziato con la guerra di Liberazione». «Con il referendum del 2 giugno 1946, gli italiani scelsero di proseguire in un cammino verso l’affermazione di valori di libertà, democrazia e pace, trasfusi nella Costituzione che di lì a poco avrebbe visto la luce», prosegue Mattarella.
Ed è quella parola, «referendum», così a lungo taciuta e boicottata dalle destre e dai media, che accende il dibattito a sei giorni dall’appuntamento dell’8 e 9 giugno. Il Capo dello Stato, come sua abitudine, non entra nella contesa politica, né commenta la decisione annunciata dalla premier Meloni di recarsi al seggio senza ritirare le 5 schede.
Né ha commentato l’invito all’astensione arrivato giorni fa dalla seconda carica dello Stato, Ignazio La Russa. Ma è certo che negli ultimi anni, in particolare, la sua pedagogia contro l’astensionismo è stata molto netta. Lo scorso 25 aprile, da Genova, aveva lanciato un altro appello: «È l’esercizio democratico che sostanzia la nostra libertà. Non possiamo arrenderci all’astensionismo, a una democrazia a
Leggi tutto: Mattarella: «La Repubblica nasce dal voto» - di Andrea Carugati
Commenta (0 Commenti)"È inaccettabile il rifiuto di applicare le norme del diritto umanitario ai cittadini di Gaza".
Le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella esprimono una presa di posizione netta su quanto sta avvenendo all'interno della Striscia.
"I palestinesi hanno diritto al loro focolare entro confini certi"
ha continuato il presidente prima del tradizionale concerto al Quirinale per il 79° anniversario della Festa della Repubblica, a cui partecipa il corpo diplomatico.
"Dal territorio dell'Europa al Medioriente, come ovunque, in qualsiasi continente, l’occupazione illegale di territori di un altro Paese non può essere presentata come misura di sicurezza. Si rischia di inoltrarsi sul terreno della volontà di dominio, della barbarie nella vita internazionale", ha concluso.
LEGGI Gaza, Mattarella: “Occupazione illegale, palestinesi hanno diritto al loro focolare ”https://www.huffingtonpost.it/video/2025/06/01/video/mattarella_disumano_ridurre_alla_fame_un_popolo_i_palestinesi_hanno_diritto_al_loro_focolare-19328634/?ref=HHTP-BH-I19202862-P6-S2-T1
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Il No al decreto sicurezza porta in piazza a Roma una «marea di vita e umanità». Collettivi, associazioni, partiti, sindacati e la musica sparata dai camion per un rave party itinerante. La risposta al disegno repressivo del governo non si ferma: «Ci troverete ovunque»
Niente paura Movimenti, collettivi, opposizioni, sindacati e antiproibizionisti Il popolo contro il «decreto paura» incassa e già pensa all’autunno
La manifestazione di Roma contro il decreto sicurezza – Lapresse
«Siamo una marea di vita e di umanità. E il nostro obiettivo è mandare a casa il governo». Il camion della rete contro il dl sicurezza si muove da piazza Vittorio lungo via Merulana, direzione Colosseo e proclama in poche parole il programma di resistenza e contrattacco che ci attende per i prossimi mesi. Ed è inevitabile, di fronte al colpo d’occhio dei manifestanti cominciare a tirare i primi bilanci.
A QUEL PUNTO anche l’osservatore più esperto si trova di fronte all’incognita rappresentata dai quattro semiarticolati che sparano musica e che si trovano ancora al punto di partenza. Quanta gente si radunerà attorno ai sound system? Questa è la variabile che fa la differenza sotto il sole caldo di Roma. Dunque, quando la seconda parte della manifestazione diventa, ironia della sorte e contrappasso per Meloni, un vero e proprio rave ambulante antiproibizionista («L’unico muro che ci piace è il muro di casse»), qualcuno ha un’intuizione. «Volete sapete quanti siamo?» dice ai compagni che gli stanno attorno. «Chiediamolo a ChatGpt». Ed ecco che l’oracolo dell’intelligenza artificiale, informata dello spazio ricoperto dalla gente di ogni tipo che dall’Aventino arriva all’Esquilino formula la sua stima: «150.000». Sarebbero più dei centomila che lo scorso 14 dicembre, sorprendendo gli stessi organizzatori, riempirono piazza del Popolo dando vita alla prima vera grande manifestazione autoconvocata contro il governo Meloni. Fu una liberazione, una specie di cura da trauma.
CHISSÀ COSA avrebbero detto ai megafoni Sara Marzolino e Jack Gobbato, i due giovani attivisti di Reggio Emilia e Marghera morti nei mesi scorsi, che proprio in nome della battaglia contro le ideologie securitarie avevano speso le loro ultime energie. Pochi giorni prima essere investita da un’ automobile in corsa, Sara aveva riferito in audizione al parlamento europeo sulle lotte transfemministe contro il dl sicurezza. Jack è finito accoltellato da un balordo mentre cercava di aiutare una donna rapinata. È impossibile non pensare alla loro energia di ventenni che come tanti loro compagni non girano la testa dall’altra parte di fronte alle ingiustizie, è impossibile per tanti non ripensare ai loro volti mentre la potenza di questa piazza risuona per le strade di Roma.
C’È LA CGIL, la Fiom e la Flai. E si capisce che per il sindacato come per molte delle organizzazioni più radicate non è uno sforzo da poco, visto che l’appuntamento romano non ha fermato lo sforzo di mobilitazione nei territori per la campagna referendaria. «Il decreto sicurezza è un provvedimento repressivo, che limita la libertà di poter manifestare e scioperare a tutela dei propri diritti. Noi siamo in piazza per difendere il diritto democratico e costituzionale di manifestare», sostiene
Leggi tutto: «Siamo 150 mila». I No dl riempiono la piazza e rilanciano - di Giuliano Santoro ROMA
Commenta (0 Commenti)Crolla il «modello Albania» con cui l’Italia cerca di riempire di migranti i centri inutilmente costruiti oltremare. L’ennesimo rinvio alla Corte di Giustizia europea deciso dalla Cassazione è la bocciatura decisiva. Ma Meloni e Piantedosi vogliono insistere, contro leggi e buon senso
I ripetenti «Come ha fatto il manifesto ad avere accesso a questi provvedimenti?», si domanda il capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia evocando un possibile complotto dei giudici in combutta con questo giornale
Il capogruppo di Fratelli d’Italia Galeazzo Bignami alla Camera dei deputati – LaPresse
Al ministero della Giustizia l’imbarazzo è palpabile e la speranza quasi dichiarata è che Galeazzo Bignami non dia davvero seguito alla sua idea di interrogare Carlo Nordio per ottenere chiarimenti in merito alla notizia uscita ieri sul manifesto dei due rinvii della Cassazione alla Corte di giustizia Ue sui trattenimenti nei Cpr albanesi.
«Come ha fatto il manifesto ad avere accesso a questi provvedimenti?», si domanda il capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia evocando un possibile complotto dei giudici in combutta con questo giornale. In realtà bastava soltanto che un cronista facesse il suo lavoro, perché le due ordinanze di cui si parla sono uscite giovedì e da quel momento erano a disposizione delle parti interessate e di chiunque.
Tutte cose che in via Arenula sanno e che auspicano di non dover ribadire, anche perché da quelle parti la situazione già è piuttosto complicata tra la completa rivoluzione degli uffici andata in scena nelle scorse settimane e l’incudine del tribunale dei ministri che ha sentito diversi funzionari – e vorrebbe sentire anche il guardasigilli in persona – per la vicenda della scarcerazione del boia libico Osama Elmasry.
«SEMPRE IL MANIFESTO – parole ancora di Bignami sull’affaire Cpr – ha preannunciato che la Cassazione avrebbe diramato un comunicato al riguardo, cosa puntualmente avvenuta. Perché lo sapeva?». Qui un mistero in effetti c’è, ma è tutto nelle parole di Bignami: il comunicato che sarebbe stato «puntualmente» diramato, alla fine in realtà non è uscito in virtù del fatto che la notizia ormai era stata resa pubblica. Perché dirlo allora? Anche qui la risposta sembrerebbe essere la più semplice.
Il fratello d’Italia sa come si sta al mondo, o quantomeno come funziona il dibattito pubblico: se sei in un guaio, sparala grossa. In questo caso attaccare il manifesto e la Cassazione serve a coprire il fatto che i piani di deportazione dei migranti del governo sono andati per l’ennesima volta a sbattere davanti alla legge. La grancassa mediatica e social che suona da mesi non è bastata, né è servito a molto cambiare le composizioni dei tribunali e le competenze dei giudici: le manovre albanesi di Meloni continuano a non funzionare.
Bignami, insomma, ha cercato a modo suo di distogliere l’attenzione da un fatto che a questo punto vale la pena ribadire: la prima sezione penale della Cassazione ha rovesciato la sua precedente decisione di equiparare il Cpr di Gjader a quelli italiani e ha espresso qualche dubbio sulla conformità delle leggi varate a Roma con le normative europee.
«Nel caso in questione la normativa prevede un’udienza con l’intervento di pm e difensore – commenta Stefano Celli, esponente di Magistratura democratica nella giunta dell’Anm -. Alla fine la corte legge il dispositivo e gli interessati, oltre ad ascoltarlo, possono ottenerne copia e comunicarlo a chi vogliono. Non c’è nessun segreto e un
Leggi tutto: L’allergia alle notizie fa infuriare i meloniani - di Mario Di Vito
Commenta (0 Commenti)Una Corte Usa abbatte i dazi commerciali introdotti da Trump con i suoi ordini esecutivi. Il presidente ha abusato dei poteri emergenziali. Ma un’altra li rimette in piedi «temporaneamente». I mercati festeggiano, poi torna il caos. Il mondo sta a guardare. La Casa bianca: insisteremo
Il gioco del dazio La prima sentenza: non si può invocare una falsa «emergenza economica» per esautorare il Congresso. Ma lui la spunta in appello
Trump presenta i dazi nel Giardino delle rose – Ap
Dopo un botta e risposta serrato fra Donald Trump e i giudici, una corte d’appello federale ha autorizzato il tycoon ad andare avanti con l’applicazione dei dazi doganali rivolti a decine di paesi, ai sensi dell’International Emergency Economic Powers Act (Ieepa), una legge del 1977 che conferisce al presidente dei poteri di emergenza. Una vittoria per Trump, almeno per ora, mentre la sua amministrazione sta impugnando un’ordinanza che annulla la maggior parte delle sue politiche economiche.
LA CORTE D’APPELLO del Circuito Federale ha accolto una mozione d’urgenza dell’amministrazione Trump, sostenendo che la sospensione è «fondamentale per la sicurezza nazionale del Paese», dopo che due tribunali avevano deliberato per fermare l’applicazione dei dazi. Accogliendo la mozione d’urgenza dell’amministrazione Trump, la corte d’appello ha temporaneamente sospeso l’ordinanza emessa il giorno prima da una corte commerciale federale.
«La legge sui poteri di emergenza economica internazionale – aveva dichiarato il giudice della Corte distrettuale di Washington Rudolph Contreras – non autorizza il presidente a imporre i dazi previsti da quattro ordini esecutivi emessi all’inizio di quest’anno». La decisione di Contreras era arrivata meno di 24 ore dopo la sentenza espressa dalla Court of International Trader, la Corte del Commercio internazionale, un organo del sistema giudiziario federale con competenza specifica in materia di commercio, che per prima aveva deciso di bloccare i dazi imposti dal tycoon il 2 aprile scorso, nel cosiddetto «Giorno della liberazione».
CON LA DECISIONE si affermava che la Costituzione Usa conferisce il potere esclusivo di regolare il commercio con le altre nazioni al Congresso e che tale potere non è superato dal compito del presidente di salvaguardare l’economia. La sentenza era basata su due casi: quello intentato dal Liberty Justice Center che ha agito per conto di diverse piccole imprese che si occupano di importazioni e quello di una coalizione di governi statali. A deliberare era stato un collegio formato da tre giudici della Court of International Trade, nominati da presidenti diversi, tra i quali uno nominato proprio da Trump. Dopo la sentenza l’amministrazione Trump ha subito presentato ricorso alla Corte d’Appello per il Circuito Federale e il portavoce della Casa Bianca, Kush Desai, ha affermato polemicamente in un comunicato che le relazioni commerciali svantaggiose e sleali avevano già «decimato le comunità americane, lasciando indietro i nostri lavoratori e indebolendo la nostra base industriale di difesa, tutti fatti che la corte non ha contestato».
In realtà bastava analizzare chi fossero i ricorrenti di questo caso per entrare in una narrazione completamente diversa degli eventi. Nel primo caso si tratta di cinque piccoli imprenditori e di uno studio legale di stampo conservatore che si è fatto notare per le battaglie legali contro la chiusura delle scuole durante il lockdown e per quelle contro la sindacalizzazione di massa dei dipendenti pubblici.
IL LIBERTY JUSTICE CENTER ha sede ad Austin, in Texas, si descrive come una società libertaria senza scopo di lucro che «cerca di proteggere la
Commenta (0 Commenti)Niente sanzioni, no al ritiro dell’ambasciatore, nessuna obiezione all’accordo di cooperazione Ue con Israele e conferma del memorandum militare. Tajani in parlamento non va oltre una generica condanna delle stragi israeliane a Gaza. Nessun atto concreto. Netanyahu nemmeno nominato: l’Italia non lo molla
Il grande fardello Il ministro degli Esteri in Parlamento: «No a sanzioni a Tel Aviv, Italia in prima fila negli aiuti». Provenzano: «L’unico aiuto umanitario è fermare il massacro». Il leader di Fi cita l’antisemitismo rivolto alle opposizioni. Fratoianni: «Abita dalla vostra parte»
Il ministro degli Esteri Tajani alla Camera – Ansa
Montecitorio, sono quasi le 10 di mattina. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani prende la parola per dire che Israele sta esagerando, che dovrebbe fermarsi, che le morti di civili suscitano «un dolore immenso», «indignano le nostre coscienze».
«L’espulsione dei palestinesi da Gaza non sarà mai un’opzione accettabile», dice, dopo aver chiesto un minuto di silenzio per le vittime delle due parti.
LA PAROLA «NETANYAHU» non la nomina mai, elenca una lunga serie di interventi umanitari «coordinati dal governo», dall’invio di generi alimentari al ricovero in Italia di 133 bambini palestinesi, oltre all’evacuazione di 700 civili. Nei 20 minuti di intervento sembra, a chi ascolta, che Gaza sia stata colpita da una grave calamità naturale, e che l’Italia sia impegnata per portare soccorso. Guai a parlare di sanzioni, ritiro dell’ambasciatore a Tel Aviv o allo stop dell’accordo di cooperazione tra Ue e Israele (proposto da 17 paesi europei, non dall’Italia): «È essenziale mantenere aperto ogni canale con le autorità israeliane».
PEPPE PROVENZANO, responsabile esteri del Pd, lo ascolta allibito. Poi attacca: «Le sue parole forse erano buone 19 mesi fa, 50.000 morti fa, prima di 20.000 bambini bruciati vivi, morti di sete, di fame, di freddo, operati senza anestesia. L’unico vero aiuto umanitario, ministro, è fermare Netanyahu. Lei non è a capo di una organizzazione umanitaria ma della politica estera dell’Italia».
«Perché vi opponete alle sanzioni, persino a quelle contro i ministri fanatici di Israele?», incalza il deputato dem.
«Sospendete il memorandum di cooperazione militare, siate coerenti. È troppo tardi per le parole che non avete avuto il coraggio di pronunciare fin qui. Non bastano le nostre parole, figuriamoci le sue, timide, vaghe, inadeguate imbarazzate e imbarazzanti».
Il ministro sorride, dai banchi dem partono contestazioni: «Cosa ridi?». Lui poi si giustificherà: «Davanti agli insulti sorridevo perché sono un uomo di pace». Più tardi, durante un evento alla regione Lazio, Tajani sfodera gli artigli: «In Parlamento ci sono troppi cattivi maestri che incitano all’odio e non sanno quale influenza negativa possano avere sulle menti giovani e fragili: dire che siamo corresponsabili di migliaia di morti offende la verità».
ERA STATO LUI, PARLANDO alla Camera, a lanciare un allarme antisemitismo con lo sguardo rivolto ai banchi della sinistra: «Dico a chi fomenta l’antisemitismo per piccole, miopi convenienze di bottega “Fermatevi ora!”». Netta la replica di Nicola Fratoianni: «Basta con quell’allusione pelosa e insultante di guardare con qualche compiacenza all’insorgenza di antisemitismo: per noi quello è il peggiore dei mali e non credo che dalle parti della sua maggioranza tutti possano dire lo stesso».
E ancora: «Non fate fatica ad andare a dormire la sera? Non vi vergognate di fronte al fatto che, a differenza di tanti italiani, voi avreste il potere di fare qualche cosa? Invece avete scelto l’ignavia del silenzio, la vergogna della vigliaccheria, la
Leggi tutto: Tajani non scarica Netanyahu. Pd, Avs e 5S: «Siete complici» - di Andrea Carugati
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