«È una premier eccezionale, una leader, mi piace molto». Meloni alla Casa bianca raccoglie sterminati elogi e la promessa di Trump di ricambiare la visita, prima o poi. Ma non riesce a strappare alcun impegno sui dazi
Italia-Usa Elogi alla premier e il sì all’invito in Italia con l’ipotesi di «incontrare anche l’Europa»
Finché si tratta di complimenti Donald Trump è largo di manica. Quando si arriva al sodo, anzi al soldo, la disponibilità scende di parecchi gradi. Di concreto Giorgia Meloni porta a casa solo la promessa del padrone di casa di visitare in data incerta l’Italia. Negli auspici dovrebbe essere l’occasione per un vertice con l’Europa, indispensabile per «fare l’occidente grande di nuovo» ma utile anche per provare a sciogliere il nodo dei dazi. Ma su questo Mr. President non concede neppure un minimo segno di assenso. Per ora è un auspicio forse non infondato, il futuro dirà se è invece una pia illusione. Alla lettera: «Il presidente considererà se incontrare anche l’Europa» nel corso della visita a Roma. Parola di Giorgia.
IN COMPENSO TRUMP ha letteralmente ricoperto di lodi l’ospite, dalla «persona eccezionale» elargito al momento di accoglierla alla Casa Bianca sino al crescendo finale con cui ha chiuso la conferenza stampa nello studio ovale: «L’Italia resterà il principale alleato degli Usa sino a quando il primo ministro resterà primo ministro». Tanto si allarga il presidente che a un certo punto, nel briefing prima dell’incontro, ironizza: «Cosa potevo dire di più? Quasi converrebbe chiuderla qui».
Il capitolo dazi non va oltre l’invito a Roma e del resto sin dal primo mattino le “fonti” della Casa Bianca si erano premurate di far sapere che si sarebbe parlato soprattutto d’altro. Non di Starlink, perché nella delegazione a stelle e strisce mancava proprio Musk. C’era in compenso il vice JD Vance, con le valige già pronte per sbarcare oggi a Roma e rivedere la premier in quella che palazzo Chigi considera ormai nulla più di una visita di cortesia. Di Marte invece se ne è parlato, assicura la premier italiana: le missioni per lanciarsi alla conquista dello spazio saranno frutto di cooperazione e dati i toni adoperati in materia d’immigrazione e diritti civili è difficile non sbottare in un tondo pur se un po’ esagerato: “Oddio, Fascisti su Marte”. E molto si è parlato di Difesa. L’italiana porta in dote la promessa di annunciare al prossimo vertice Nato l’innalzamento della spesa militare per l’Alleanza al 2% del Pil. A Donald non basta: «Non è mai troppo», esclama. Però non s’impunta per reclamare impegni precisi per futuri incrementi e Meloni resta sul vago che più vago non si può. Promette invece l’acquisto di gas liquido americano, capitolo per il mercante della Casa Bianca tutt’altro che secondario, e 10 miliardi di investimenti italiani negli Usa. Trump si accontenta. La premier è alle stelle. Considera l’incontro un successone pieno e se la valutazione è esagerata in termini di risultati effettivi non lo è affatto dal punto di vista politico.
IL PRESIDENTE E LA PREMIER filano davvero l’amore perfetto. I giornalisti americani, pochissimo interessati all’ospite che considerano
Leggi tutto: Trump-Meloni, intesa senza impegno: arrivederci a Roma - di Andrea Colombo
Commenta (0 Commenti)L’Europa allarga la guerra ai migranti: anche Bangladesh, Egitto e Tunisia devono essere considerati «paesi sicuri». E i respingimenti alla frontiera vanno anticipati. Von der Leyen fa felice Meloni. La Commissione Ue sempre più sovranista e il diritto di asilo svanisce
Commistione europea Il giorno prima che la premier italiana incontri Trump, la Commissione propone di anticipare le norme utili a riempire i centri in Albania. Così l’istituzione comunitaria entra a gamba tesa nella causa discussa dalla Corte di giustizia Ue. La leader Fdi esulta: cambiamo l’approccio europeo sul governo dei flussi migratori
Il centro migranti di Gjader in Albania – Ansa/Domenico Palesse
Il giorno dopo la telefonata con Ursula von der Leyen e il giorno prima dell’incontro con Donald Trump la presidente del Consiglio Giorgia Meloni incassa un assist dalla Commissione Ue sul progetto più controverso della legislatura: i centri in Albania. Ieri l’istituzione comunitaria ha proposto l’anticipazione di due punti del Patto su immigrazione e asilo per permettere al governo italiano di riempire le strutture di Gjader.
IL PACCHETTO DI NORME doveva entrare in vigore a giugno 2026, ma ora la Commissione chiede di far prima nell’ampliamento delle procedure accelerate o di frontiera, quelle che comprimono il diritto di difesa, abbattono le possibilità di ottenere la protezione e prevedono il trattenimento. Nello specifico chiede di anticiparne l’applicazione alle nazionalità con tassi europei di asilo inferiori al 20% e a paesi considerati come «sicuri» anche in presenza di eccezioni per parti di territorio o categorie di persone. Su questo punto l’istituzione ha anche ufficializzato la proposta di lista comune, che affianca quelle nazionali. Comprende Kosovo, Colombia, India, Marocco, gli Stati candidati ad aderire all’Ue e i tre che interessano all’Italia per i centri d’oltre Adriatico: Bangladesh, Egitto e Tunisia.
Erano loro il target iniziale del protocollo con Tirana, esteso ai migranti “irregolari” solo dopo che i giudici di Roma hanno contestato l’inserimento di Bangladesh ed Egitto nella lista nazionale. Nei mesi scorsi la Commissione aveva annunciato l’intenzione di anticipare l’elenco comune, poi lunedì sono trapelate le prime indiscrezioni favorevoli a Meloni. L’ufficializzazione di ieri, però, segna un’improvvisa accelerazione. Soprattutto è un grande favore alla premier sul piano interno, in vista della complessa trasferta Usa, e un’entrata a gamba tesa sulla Corte di giustizia Ue.
UNA SETTIMANA FA l’avvocato generale Richard de la Tour ha pubblicato il suo parere indipendente nella causa sui paesi sicuri sollevata dai tribunali nazionali. Quella in cui la Commissione ha dimostrato di essere più sensibile alle richieste politiche italiane che alle considerazioni di diritto e giurisprudenza europee: nel mese trascorso tra il deposito delle osservazioni scritte e l’udienza orale del 25 febbraio scorso ha cambiato completamente posizione accogliendo in toto la linea di Roma.
Pur dando ragione all’Italia sulla possibilità di inserire l’elenco paesi sicuri in una legge, e aprendo a un inedito bilanciamento tra rapidità delle procedure e garanzia dei diritti fondamentali, l’avvocato generale ha contraddetto le tesi principali del governo Meloni. Quelle che contestavano il potere di controllo dei giudici, la pubblicità delle informazioni e la possibilità di eccezioni per categorie di persone. Secondo de la Tour queste sono legittime solo a patto che siano inserite in un contesto di Stato di diritto, facilmente identificabili e numericamente ridotte. Paletti che se adottati dalla sentenza attesa entro giugno, il parere conta molto ma non è vincolante, renderebbero quasi impossibile la designazione di Bangladesh, Egitto e Tunisia. I centri in Albania rimarrebbero vuoti, a parte qualche “irregolare” nel Cpr di Gjader, fino all’entrata in vigore del Patto.
PERCIÒ ORA LA COMMISSIONE punta ad anticiparla, dimostrando di aver imparato bene la lezione del governo italiano: scavalcare le sentenze sui diritti fondamentali attraverso
Leggi tutto: Von der Leyen paga dazio a Meloni: ok ai «paesi sicuri» - di Giansandro Merli
Commenta (0 Commenti)Harvard dice no ai diktat della Casa bianca su inclusione e libertà di protestare per Gaza negli atenei Usa. Anche Obama plaude: «Sia d’esempio». Ancora imboscate agli studenti pro-Pal: Mohsen Mahdawi arrestato durante un colloquio per la naturalizzazione
Usa L’università «non rinuncerà all’indipendenza e ai suoi diritti costituzionali». L’amministrazione congela 2.2 miliardi di fondi
Agenti di polizia nel campus dell'Ucla vicino a un accampamento di manifestanti filo-palestinesi, a Los Angeles – Ryan Sun/Ap
«Harvard non rinuncerà alla propria indipendenza né ai propri diritti costituzionali. Né Harvard né nessun’altra università privata può permettersi di essere sottomessa dal governo federale». Dichiarazione che sarebbe sembrata scontata un paio di mesi fa. Con la quale l’ateneo più prestigioso d’America ha respinto l’intimazione della Casa bianca a cessare ogni iniziativa di pari opportunità, pena la perdita dei finanziamenti pubblici. Il contesto che ha reso singolare la nota è quello in cui atenei come la Columbia hanno accettato le condizioni imposte fino all’eliminazione idi facoltà e la riformulazione di programmi di studi dettata dalla Casa bianca. Per non parlare dell’espulsione d’ufficio di centinaia di studenti stranieri per reati d’opinione (di solito opposizione al massacro di Gaza qualificato come «apologia di antisemitismo»). Ad oggi più di 600 visti sono stati revocati senza appello direttamente dal ministro Rubio. In alcuni casi i “colpevoli” sono stati prelevati a casa o per strada da squadre di incappucciati e fatti sparire nel gulag dei penitenziari federali o in lager offshore.
PER QUANTO LOGICO il rifiuto di Harvard è risaltato dunque come uno squarcio dell’assordante silenzio e della connivenza che ha accompagnato l’inquietante spirale autoritaria. E ha rappresentato un’inversione di rotta rispetto alla genuflessione dello scorso anno, quando l’ateneo aveva licenziato la rettrice, Claudine Gay, per non aver sufficientemente represso il movimento contro la strage di Gaza e revocato le lauree di studenti «dissenzienti».
Anche l’attacco al “Dei” (diversity, equity and inclusion) è stato motivato col «contrasto all’antisemitismo», ma nel panorama ideologico Maga la «sacrosanta crociata» contro il politically correct, è in realtà quella dal più diretto retaggio razzista, una rivalsa promessa da Trump ai sostenitori bianchi che hanno dovuto subire il «sopruso» del «riequilibrio dell’accesso» vinto a suo tempo dal movimento per i diritti civili.
«HARVARD HA DATO l’esempio ad altre istituzioni – ha commentato Barack Obama – respingendo un goffo e illegale tentativo di sopprimere la libertà accademica ed assicurando invece che gli studenti possano beneficiare di un’atmosfera consona all’indagine intellettuale, il dibattito rigoroso ed il mutuo rispetto. Speriamo che altri la seguano».
Almeno un secondo ateneo, l’Mit (Massachusetts Institute of Technology), sembra aver accolto l’appello
Commenta (0 Commenti)Secondo l’Associazione nazionale magistrati è incostituzionale e a Milano c’è già il primo richiamo alla Consulta. Il decreto sicurezza arriva in parlamento ma al governo la stretta non basta ancora. Piantedosi: «Servono nuove misure per proteggere i poliziotti»
Arrestatela «Incostituzionale» per l’Associazione nazionale magistrati. Il decreto incardinato alla Camera. Le toghe auspicano «tutti i correttivi necessari a scongiurare i rischi di un diritto penale simbolico»
Agenti di polizia durante l'operazione di sgombero di un'abitazione occupata a Milano – Ansa
In vigore da appena trentasei ore e già rischia il marchio di incostituzionalità. È l’Associazione nazionale magistrati, soprattutto, a riconoscerne i chiari tratti – subodorati anche dalla difesa di un imputato che ha sollevato la questione davanti al tribunale di Milano – nel decreto Sicurezza che ieri è stato assegnato alle commissioni Affari costituzionali e Giustizia della Camera per la conversione in legge entro 60 giorni. I rappresentanti delle toghe infatti – sul solco della denuncia già avanzata dagli avvocati penalisti e da numerosi accademici prima che il decreto assorbisse come carta carbone il ddl – ammoniscono l’esecutivo e il parlamento riguardo i «seri problemi di metodo e di merito» posti dal nuovo provvedimento che ha creato d’emblée «14 nuove fattispecie incriminatrici, l’inasprimento delle pene di altri 9 reati», e che ha ridotto in cenere «un fecondo dibattito in Parlamento che durava da oltre un anno». Mostrando platealmente la carenza dei «requisiti della straordinarietà del caso di necessità e d’urgenza». Eppure, il ministro dell’Interno Piantedosi già annuncia «ulteriori misure» per proteggere le forze dell’ordine.
E DA QUANDO è stato pubblicato sabato scorso sulla Gazzetta ufficiale, il decreto legge ha già creato scompiglio. In particolare già dalle primissime ore ha mandando in tilt migliaia di imprenditori e gestori di negozi di cannabis light che non sanno cosa fare della loro merce regolarmente comprata e che ormai guardano all’estero come unica chance di salvezza. Inoltre, ha mandato in confusione pure i centralini delle questure che non sanno dare risposte certe sull’applicabilità di alcune delle norme più insensate del pacchetto “salva Salvini”. Norme contro le quali si è alzata la voce, tra le altre, dell’ex sottosegretario alla Giustizia Franco Corleone che da ieri e fino a Pasqua digiunerà sperando in una mobilitazione che accompagni la conversione in legge del decreto. «Di fronte alla criminalizzazione della resistenza passiva e della nonviolenza in carcere occorre che fuori dalle galere si manifesti con forme originali di disobbedienza civile», scrive Corleone auspicando «una sollevazione di massa anche attraverso un referendum popolare per cancellare la scelta panpenalistica che arriva al ridicolo equiparando la canapa tessile a quella con proprietà terapeutiche e di piacere».
LA GIUNTA ESECUTIVA centrale dell’Associazione nazionale magistrati, che chiede «correttivi» in sede di conversione del decreto, ricorda invece i «nuovi reati per sanzionare in modo sproporzionato condotte che sono spesso frutto di marginalità sociale e non di scelte di vita» inseriti in una normativa «che non si concilia facilmente con i principi costituzionali di
Leggi tutto: Il dl Sicurezza fa già acqua. E Piantedosi rincara la dose - di Eleonora Martini
Commenta (0 Commenti)Nella foto: Un uomo piange appoggiato all’autobus colpito da un missile russo a Sumy, Ucraina. via Ap Photo/Volodymyr Hordiienko
Oggi un Lunedì Rosso dedicato alla repressione che colpisce le nuove generazioni.
Una studente americana di origini palestinesi vive da latitante per sfuggire alle deportazioni di giovani e attivisti con background migrante che stanno destabilizzando le università americane.
Sfidano gli arresti e le manganellate i ragazzi cresciuti nella Turchia di Erdogan, protagonisti dell’ondata di proteste che ha travolto il paese dallo scorso marzo.
Con la criminalizzazione dei blocchi stradali, contenuta nel nuovo decreto sicurezza, verranno colpite le forme di protesta non violenta che hanno caratterizzato il movimento giovanile per il clima e l’ambiente, ma non solo.
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Niente dazi su Iphone, computer e altra elettronica: l’ennesima giravolta tariffaria di Trump è un risarcimento a molti zeri per Apple e altre big tech bastonate in Borsa. Mentre crescono le denunce per insider trading
Il tempo della mela Nota (retro-datata) delle dogane Usa: niente tariffe a cellulari, computer e altra elettronica. Esultano Apple, Ndivia e le altre
Una linea di produzione di componenti elettronici in una fabbrica a Longyan, in Cina – foto Getty Images
L’amministrazione Trump ha annunciato che smartphone, computer e altri componenti elettronici sono esentati dai dazi reciproci. La direttiva, emessa dalla U.S. Customs and Border Protection, prevede quasi due dozzine di esenzioni. L’ennesimo cambio di rotta arriva solo pochi giorni dopo l’imposizione da parte degli Stati Uniti dei dazi più alti in un secolo su dei beni stranieri.
L’ANNUNCIO del dietrofront americano è arrivato dopo la risposta cinese all’escalation della guerra commerciale innescata da Donald Trump, nella forma di un dazio del 125% su tutti i prodotti statunitensi, in risposta a quello del 145% voluto dal tycoon. Queste percentuali avevano sparso il panico negli Usa dove continuavano a rincorrersi voci di iPhone di prima fascia destinati ad essere venduti a più di 2.000 dollari.
La decisione di esentare i materiali elettronici è stata presa per evitare un’impennata dei prezzi dei prodotti tecnologici di più largo consumo, che sarebbe inevitabilmente ricaduta sui consumatori e sollevare aziende come Apple, Samsung, HP, Dell e Microsoft che producono parti dei loro prodotti elettronici al di fuori dei confini statunitensi. Il Financial Times ha sottolineato che nonostante Apple stia lavorando per spostare parte della produzione in India, al momento la sua catena di approvvigionamento è ancora concentra in Cina, tanto che l’80% degli Iphone sono un prodotto made in China.
Le esenzioni, però non rappresentano una tregua totale: all’inizio di quest’anno l’amministrazione Trump aveva già applicato un dazio del 20% sui prodotti cinesi, a causa del ruolo che, secondo Trump, la Cina starebbe svolgendo nel commercio di fentanyl negli Usa. Oltre a questo dazio che resta comunque in vigore, l’amministrazione Trump potrebbe ancora decidere di aumentare i dazi sui semiconduttori, un componente vitale degli smartphone e di altri dispositivi elettronici.
PER ORA QUESTO cambio di marcia dell’ultimo minuto rappresenta un contenimento del danno che permette a giganti della tecnologia come Apple, Dell e Nvidia di evitare una fetta sostanziale di tasse punitive, e una drastica riduzione dei loro profitti. Anche i consumatori eviteranno potenziali aumenti stellari su smartphone, computer e gadget tecnologici vari, e queste esenzioni potrebbero frenare l’inflazione e le turbolenze che molti economisti temono possano portare a una recessione, di cui ormai si perla apertamente.
Ciò che non smette di provocare instabilità è il continuo cambio di rotta della Casa Bianca che non sembra avere un vero piano ma che stia improvvisando le proprie mosse al momento, tra una cena di finanziatori e l’immancabile partita a golf. Almeno per quanto
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