In due milioni riempiono le piazze italiane, di nuovo un enorme corteo nella capitale, stazioni e tangenziali occupate contro il genocidio a Gaza. Cgil e sindacati di base, studenti e docenti uniti in un movimento che cresce: oggi si replica con la manifestazione nazionale a Roma
Continua Occupate stazioni e tangenziali
Bologna – foto di Guido Calamosca / LaPresse
Sono giorni di piazze piene da nord a sud: nel ricostruire quanto accade in Italia si fa prima a contare le città in cui non c’è stato un flash mob, un sit in, un corteo, un’occupazione. Ieri sciopero generale di sindacati di base, studenti e (a differenza del 22 settembre) anche della Cgil. Lo sviluppo delle manifestazioni non è stato dappertutto uguale: a Bologna il corteo ha attraversato le strade della città e ha poi occupato la A14 per quasi cinque ore. Lì le forze dell’ordine, in assetto antisommossa, hanno sparato lacrimogeni e hanno effettuato alcune cariche contro i manifestanti. Due persone sono state fermate durante gli scontri. Più di 150 mila partecipanti, che il Sindacato generale di base (Sgb) ha definito «una massa umana fatta di lavoratori, studenti, disoccupati, giovani, famiglie e anziani».
Blocco massiccio in tutta la città di Torino: la manifestazione principale è partita nella mattinata da piazza del Municipio, con più di 100 mila partecipanti. Il corteo si è poi diviso in tre per «bloccare la città in più punti». Lo spezzone in corso Francia si è fermato davanti alla sede di Leonardo, cercando di sfondare i cancelli dell’azienda. Gli agenti hanno tentato di disperdere la folla, ma il corteo è poi proseguito e si è ricongiunto agli altri spezzoni. Blocco riuscito alla sede Amazon di Brandizzo, vicino Torino. In tarda serata una nuova mobilitazione ha percorso le strade della città.
A Salerno nella mattina di ieri diversi manifestanti si sono diretti al varco di ponente del porto, con lo striscione «cacciamo il governo, complice del genocidio». Scontri con le forze dell’ordine di fronte ai cancelli della struttura. Un altro corteo composto da studenti e lavoratori si è svolto davanti alla prefettura e sul lungomare.
Operazione riuscita a Napoli: dopo il tentativo del giorno precedente, ieri il porto è stato occupato. Il corteo, all’altezza del varco Immacolatella, si è diviso: una parte si è diretta nella piazzola della nave Msc Edit II, proveniente da Haifa. I manifestanti hanno interdetto il traffico per qualche ora, bloccando la rampa d’accesso dell’A3 Napoli-Salerno.
L’occupazione delle superstrade è avvenuta anche in altre città: a Milano il corteo da Porta Venezia è proseguito fino a entrare in tangenziale est. La polizia ha utilizzato idranti e lacrimogeni contro la nutrita folla, che però non si è dispersa. L’occupazione delle carreggiate è continuata fin dopo le 17. I lacrimogeni sono stati usati anche a Padova contro i manifestanti che stavano cercando di rompere il cordone di sicurezza dell’interporto. I partecipanti hanno quindi arretrato e si sono sparsi nelle strade della città. La protesta è proseguita nel pomeriggio con un altro corteo: «Siamo quasi 40mila» racconta una manifestante. Anche nel resto della regione la partecipazione è stata consistente: a Venezia più di 30 mila attivisti sono confluiti sul Ponte della Libertà, bloccando l’unica strada che dalla terraferma porta alla laguna.
La mobilitazione è stata diffusa anche nel resto del paese. In
Commenta (0 Commenti)Oggi lo sciopero generale contro il genocidio a Gaza e con la Flotilla assaltata da Israele. Non lo fermano il «garante» per il quale è illegittimo né Salvini che minaccia precettazione, poi ci ripensa. Piazze già piene da giorni. Meloni non si tiene: vogliono solo il week end lungo
Non si arresta Israele ha impiegato unità scelte da combattimento per intercettare la Flotilla. Centinaia di attivisti detenuti a Ashdod, 40 gli italiani
Le barche della Flotilla vengono condotte al porto di Ashdod dalle forza militari israeliane – Getty Images
Quando mercoledì sera la Global Sumud Flotilla ha cominciato a diffondere le registrazioni video preparate in anticipo dagli attivisti a bordo delle 50 imbarcazioni dirette a Gaza, per chi seguiva a distanza quello è stato il segnale tanto temuto dell’inizio dell’arrembaggio della Marina israeliana. «Se guardate questo video, significa che l’occupazione sionista ha rapito me e i miei colleghi prima che raggiungessimo Gaza… Chiedo al mio paese e a tutte le organizzazioni internazionali e agli organismi per i diritti umani di intervenire per garantire il mio rilascio e quello dei miei colleghi della Sumud Flotilla», ha dichiarato Ghassan al Hanshiri, del comitato di gestione della GSF, a bordo della barca Deir Yassin. Simili sono state le dichiarazioni di tutti gli altri partecipanti – attivisti, giornalisti, operatori umanitari, deputati nazionali e regionali e semplici persone impegnate per i diritti dei palestinesi – tra cui Greta Thunberg. La giovane ambientalista svedese, nei giorni scorsi, è stata presa di mira più degli altri attivisti dal governo e dai media israeliani di destra. «Greta e i suoi amici stanno bene» ha sottolineato con sarcasmo il ministero degli Esteri. Poi, nel pomeriggio di ieri, Tel Aviv ha annunciato con soddisfazione che «la provocazione di Hamas-Flotilla Sumud è finita», ripetendo la narrazione israeliana secondo la quale la GSF sarebbe gestita dietro le quinte da Hamas.
La notte tra mercoledì e giovedì è stata scandita dai comunicati della GSF che riferivano i nomi delle imbarcazioni assaltate, assieme agli appelli lanciati al mondo per impedire atti di forza nei confronti di coloro che erano a bordo, partiti da decine di paesi per portare aiuti umanitari e solidarietà umana, oltre che politica, ai civili di Gaza. I nomi della Alma, Sirius, Spectra, Hoga, Adara, Deir Yassin e di tutte le altre imbarcazioni prese di mira hanno occupato la rete per 12 ore, assieme alle immagini dei militari israeliani che salivano a bordo armati di mitra e degli attivisti con le mani alzate e il giubbotto salvagente. Israele ha impiegato i commando della Shayetet 13, della Missile Ship Fleet e dell’unità di sicurezza navale Snapir, ovvero le forze di combattimento migliori, per fermare civili disarmati e pacifici. Nessuno di loro, infatti, ha opposto alcuna resistenza ai militari, come era stato stabilito. Le forze israeliane hanno anche usato cannoni ad acqua e granate assordanti contro le navi della Sumud.
Una dopo l’altra sono state fermate, ad eccezione delle due con a bordo la squadra legale: mercoledì sera si erano allontanate dalla cosiddetta «zona rossa», l’area di attacco della Marina israeliana contro le missioni della Flotilla, per consentire agli avvocati di preparare subito la denuncia contro Israele per violazione del diritto umanitario e del diritto marittimo. Per qualche ora il mistero ha avvolto la barca Mikeno, sparita dai radar e data come giunta a poche miglia dalla costa di Gaza.
Molti hanno sperato nel suo arrivo a destinazione, ma era già stata fermata. Mandla Mandela, nipote di Nelson Mandela, eroe della lotta all’apartheid in Sudafrica, ha lanciato
Leggi tutto: Commando contro la Sumud - di Michele Giorgio GERUSALEMME
Commenta (0 Commenti)A 80 miglia da Gaza, calato il sole, Israele attacca le barche della Flotilla. Un’aggressione in acque internazionali, contro la legge, che dura ore. Gli equipaggi non oppongono resistenza e vengono arrestati. I governi non protestano. Ma il movimento di solidarietà con la Palestina riparte subito
Assalto nel buio Le ultime ore di viaggio nel racconto del nostro reporter: i canti dalle barche, poi il blackout. Una voce dalla radio ordina l’alt. Le barche circondate una a una, gli equipaggi arrestati
Il momento in cui si sono persi i contatti con la Flotilla
Il nostro inviato a bordo della Hio ci ha aggiornati in diretta fino al momento in cui le comunicazioni si sono interrotte. All’ora di andare in stampa non abbiamo più sue notizie.
«Avrei voglia di urlare, non di paura, ma di tristezza». Manuela Bedoyo ormai la conoscete: Gustavo Petro le ha dedicato l’ultimo tweet, la notte precedente la nostra cattura. Manuela dice che ha voglia di gridare perché è la terza volta che prova ad entrare a Gaza. L’ultima, a giugno: ha partecipato alla Global March Gaza in Egitto, fermata dalle autorità del Cairo. È triste perché forse non aveva smesso di crederci.
ALLE 19.50 di ieri è arrivato l’alt dal blocco navale israeliano: una voce femminile esce dalle radio, dice che siamo in violazione del diritto internazionale e offre il porto di Ashdod per scaricare gli aiuti dopo l’ispezione dell’esercito. Dice che siamo una minaccia ai cittadini israeliani e responsabili delle conseguenze delle nostre azioni «in violazione della legge». Poi parla del 7 ottobre, il numero di uccisi e rapiti nell’attacco di Hamas nel sud di Israele.
Per la Global Sumud Flotilla risponde Thiago Avila: «Non vi riconosciamo come un soggetto legittimo in grado di portare aiuto alla popolazione palestinese di Gaza. Vi chiediamo di non commettere un altro crimine di guerra, tra i tanti che avete commesso, e di non interferire con la nostra missione di solidarietà pacifica, non violenta e umanitaria per le persone palestinesi a Gaza. Tutto il mondo sta guardando e si sta sollevando contro i vostri crimini. Il tempo delle vostre violazioni è finito».
ALLE 20 le prime barche vengono intercettate dalla Marina israeliana. I gommoni corrono sul mare scuro, ci affiancano ma non si fermano, si vede che seguono un ordine prestabilito negli abbordaggi. Nel buio, si sentono canti alzarsi dalle barche. «Palestina libera», si sente gridare, e poi canti di lotta. Dall’Italia arrivano le notizie di mobilitazioni, stazioni bloccate: lo dico ai miei compagni di viaggio, si commuovono. Sulla barca Hio mezz’ora dopo siamo raggiunti da un fascio forte di luce. Pochi rumori, ma arrivano anche da noi. Cannoni ad acqua colpiscono alcune barche, ho giusto il tempo di trasmettere il pezzo al giornale. Un’ora prima, quando le navi militari israeliane sono apparse all’orizzonte, in un cielo ormai buio, abbiamo iniziato i preparativi per l’intercettazione. Ognuno per conto suo, indossando le cose che si pensa possano essere utili in una cattura, che non sai come potrà andare e quanto potrà durare. Abbiamo riempito il pozzetto di provviste, bottiglie di acqua, mele, biscotti. Anche antidolorifici e sigarette: più di uno a bordo ha ripreso a fumare. Abbiamo raccolto i coltelli, anche quelli da cucina senza lama, per spalmare la cioccolata sul pane. Li abbiamo buttati a mare in un sacchetto: è una missione pacifica, disarmata, non avevano nessun pretesto per considerarci una minaccia.
Abbiamo indossato i giubbotti salvagente. Qualche abbraccio tra persone diventate, dopo un mese in questo spazio ristretto, una famiglia. Abbiamo condiviso il piacere e l’onore che è stato navigare insieme, poi ognuno si è concentrato sulle comunicazioni con i propri cari a terra, approfittando degli ultimi minuti di connessione
Leggi tutto: Israele attacca la Flotilla in acque internazionali - di Lorenzo D'Agostino
Commenta (0 Commenti)Nella notte la Flotilla entra nelle 150 miglia da Gaza, il tratto di mare che Israele considera invalicabile. La nave militare italiana l’abbandona. Meloni copre l’aggressione dell’Idf e accusa gli attivisti di essere loro a boicottare una presunta pace. Le risponderanno le piazze
Tutti a bordo Restano Spagna e Turchia. Sulle barche l’ultima esercitazione in attesa dell’abbordaggio
Una veduta dalla Global Sumud Flotilla – Foto di Ognjen Markovic/Anadolu via Getty Images
«Comunque vada abbiamo già vinto. Se ci intercettano, scendiamo da queste cazzo di barche. E se no, arriviamo a Gaza!». Hannah ride e poi si pente: «In realtà amo questa barca, scusami Hio». Si bacia la mano.
Poi tocca la coperta in legno della Hio, la barca a vela che per tutto settembre ha trasportato il manifesto da un capo all’altro del Mediterraneo. Un mese che sembra un anno, e l’equipaggio chiacchiera rievocandone le tappe principali: la partenza da Barcellona in cui migliaia di persone hanno formato un corridoio attraversato dai partecipanti diretti alle barche, salutati come eroi. La tappa a Minorca per raggrupparsi dopo i guasti sofferti da un terzo delle barche dopo una prima notte di tempesta.
TUNISI E I PRIMI attacchi incendiari, Biserte e gli infiniti controlli di frontiera. Poi il grande attacco dei droni di martedì della scorsa settimana, la breve pausa a Creta e la ripartenza verso Gaza, che ora è vicinissima. Quanto, esattamente, vicina, ci pensa la fregata Alpino della Marina italiana a comunicarlo via radio. «A tutte le imbarcazioni della Global Sumud Flotilla. Vi informiamo che siete a 190 miglia nautiche da Gaza».
Le imbarcazioni hanno ricevuto il messaggio dei militari italiani sul canale 16, quello dedicato alle emergenze, poco dopo le sei del pomeriggio. «Vi informiamo che con questa rotta e velocità alle ore 2 di domani primo ottobre vi troverete a 150 miglia da Gaza. La nave Alpino non supererà questo limite. Da ora fino alle 150 miglia la nave Alpino sarà in grado di recuperare personale che volesse trasferirsi a bordo».
Sulla chat degli italiani, qualcuno sbotta: «Quindi l’Italia riconosce le 150 miglia come acque territoriali israeliane, ottimo». Al manifesto non risulta che qualcuno abbia accolto l’invito, l’ennesimo, ad abbandonare la missione.
SU HIO il messaggio passa inosservato: l’atmosfera è festosa perché ci sono due nuove passeggere a bordo: Heliza e Hazwani Helmi, conosciute come le Helmi. Un duo di sorelle cantanti e attrici provenienti dalla Malesia. La Malesia ha inviato una delegazione molto numerosa, una delle poche che conta sul sostegno ufficiale e anche un finanziamento del governo. Dai modi modesti delle sorelle nessuno direbbe che si tratta di showgirl con milioni di followers sui social. Sono «naufraghe» del Johnny M, il motoscafo affondato all’alba di lunedì e soccorso dalla Life Support di Emergency.
LA DINAMICA del naufragio non è stata ancora chiarita ma le Helmi l’hanno percepito come un attacco, non come
Commenta (0 Commenti)Trump spinge Netanyahu a firmare il primo piano per la fine dei massacri. Prevede una Striscia senza Hamas né Anp, dai confini nebulosi, recintata
da truppe israeliane, affidata a un tavolo di pace guidato dallo stesso Trump con i soldi dei paesi arabi. Altrimenti «finiremo il lavoro»
L’emiro di Gaza Il presidente Usa annuncia il via libera di Netanyahu al suo piano: a Tel Aviv la «sicurezza» dei confini, a lui e Blair il governo dell’enclave
Gli effetti di un raid israeliano su Gaza City – foto Zuma/Hasan Alzaanin
Gaza conta, Gaza vale: un premio Nobel, affari multimiliardari di ricostruzione, il flusso di denaro che il Golfo inietta nell’economia statunitense, una stabilità regionale camuffata da pace che non prevede liberazione.
Sta qua il senso dietro il piano di venti punti che ieri Donald Trump ha estorto a Benyamin Netanyahu alla Casa bianca in quello che il presidente Usa ha definito «uno dei giorni più belli della storia della civiltà, un giorno storico non solo per Gaza ma per l’intera regione» perché lui, Donald Trump, ha «risolto tutto, si chiama pace perenne in Medio Oriente».
NEL DISCORSO-FIUME con cui ha aperto la conferenza stampa congiunta con il primo ministro israeliano, Trump ha annunciato il via libera di Tel Aviv al piano della Casa bianca. Dentro c’è molto: ci sono la liberazione di tutti gli ostaggi israeliani in 72 ore e il cessate il fuoco a Gaza, c’è l’ingresso degli aiuti umanitari gestiti dall’Onu, c’è l’amnistia per i membri di Hamas «che rinunciano alla violenza», c’è la negazione della pulizia etnica («residenti liberi di stare o di andare e tornare) e c’è soprattutto la cornice più generale, un futuro di neo-colonizzazione mascherata.
Ha un nome, Board of Peace, il Consiglio della Pace; ha un presidente, Donald Trump che però ci tiene a precisare che non lo ha chiesto lui, hanno insistito gli altri; c’è un obiettivo, togliere ai palestinesi il controllo del proprio futuro e della ricostruzione, un affare troppo succoso per lasciarlo marcire. Al suo fianco, ci saranno «figure internazionali» come l’ex premier britannico Tony Blair, noto distruttore di paesi altrui. Ora, ha detto Trump tra un attacco a Biden e uno alla «corrotta» Onu, la palla è nel campo di Hamas: se si tira indietro, Washington sosterrà la reazione israeliana, qualunque essa sia.
NETANYAHU ne approfitta ed entra a gamba tesa, a differenza di Trump è un politico e sa come si gioca: «Sosterrò il tuo piano per porre fine alla guerra a Gaza», dice, perché ricalca «le priorità del governo israeliano». Ovvero la liberazione di tutti gli ostaggi, il disarmo di Hamas e la demilitarizzazione di Gaza, ma anche la permanenza dell’esercito israeliano ai suoi confini («responsabile della sicurezza per il futuro») e un’amministrazione pacifica che escluda tanto Hamas quanto l’Autorità nazionale palestinese. Insomma, una Gaza che libera non lo sarà mai.
È LA PRIMA CREPA: l’Anp è nel piano Usa come c’è il percorso verso la statualità palestinese. Ma per Bibi sono linee rosse: c’è solo una via per fargli digerire l’Anp, che si trasformi radicalmente, che rinunci alla Corte penale e alla Corte internazionale e che riconosca lo stato di Israele (già fatto, nel 1993). Sono le mine che Netanyahu
Commenta (0 Commenti)Oggi un Lunedì Rosso dedicato al corpo.
Roger Waters mette al centro il cuore in un’intervista esclusiva su Alias, nella musica come nell’impegno politico, l’ex componente dei Pink Floyd non si risparmia e rivolge parole importanti in sostegno della causa palestinese.
Corpo è anche quello che necessita cure, mentre il piano della sanità territoriale varato durante la pandemia e sostenuto dai fondi del Pnrr, a meno di un anno di scadenza dal termine, si rivela per larga parte irrealizzato.
È ancora un corpo a corpo, tra Russia e Ucraina, come nella cittadina di Kupiansk, dove si combatte per ogni metro mentre le vie diplomatiche di Onu e Stati Uniti restano mute sullo sfondo.
Nella foto: Benjamin Netanyahu parla all’Assemblea delle Nazioni Unite di fronte a una platea semivuota, in segno di protesta per la situazione di Gaza, via Getty Images
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