«L’occupazione militare israeliana dei Territori palestinesi è illegittima». A trent’anni dalla fine del regime razzista in Sudafrica, la Corte internazionale di giustizia accusa Israele di segregazione razziale e gli ordina di ritirarsi. Tel Aviv reagisce minacciando l’Onu
ISRAELE/PALESTINA. Storico parere della Corte internazionale: Tel Aviv ha di fatto annesso i Territori palestinesi. «Smantelli tutto e risarcisca». Il premier Netanyahu rivendica: è terra nostra. Il presidente Abu Mazen: «Vittoria della giustizia»
La polizia perquisisce un giovane palestinese all’ingresso di un quartiere a Gerusalemme est - Ap/Oded Balilty
Da sei mesi a questa parte, dalla storica sentenza della Corte internazionale di Giustizia sul genocidio plausibile in corso a Gaza, lo scorso 26 gennaio, il diritto internazionale è stato scongelato. Considerazioni finora confinate al mondo degli invisibili (il popolo palestinese) e all’associazionismo internazionale (Amnesty, Human Rights Watch, B’Tselem) rimbombano dentro il tribunale più importante del pianeta. Ora far finta di non ascoltare diventa pratica complessa.
Ieri il presidente della Corte Nawaf Salam ha letto le 32 pagine di un parere consultivo che è un terremoto: l’occupazione militare israeliana di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est è illegittima. È un’annessione di fatto che ha generato un regime di apartheid e segregazione razziale. E deve finire, subito: «Israele ha l’obbligo di porre fine alla sua presenza nei Territori occupati palestinese il prima possibile».
I GIUDICI buttano fuori una sentenza (chiesta nel dicembre 2022 dall’Assemblea generale dell’Onu) che disegna la complessa rete con cui dal 1967 Israele ingabbia e soffoca l’autodeterminazione palestinese.
Una rete che mescola – e che tenta di istituzionalizzare – militarismo, burocrazia, colonizzazione e pulizia etnica. Costruzione ad libitum di colonie e
Commenta (0 Commenti)Con 401 voti a favore Ursula von der Leyen è di nuovo presidente della Commissione Ue. Determinanti i voti dei Verdi che ottengono qualche rassicurazione sul Green deal. Ma su guerra e migranti la posizione non cambia. Fdi vota no per «coerenza». Una sconfitta per Meloni che si ritrova una maggioranza spaccata
LA SOTTILE LINEA VERDE. La presidente nel suo discorso cerca di accontentare tutti. Standing ovation sulla critica a Orbán, convitato di pietra
Quarantuno e quattrocento uno: i numeri non mentono, neanche nella loro simmetria. Quarantuno sono i voti che hanno permesso a Ursula von der Leyen di essere rieletta per un secondo mandato di cinque anni alla guida della Commissione Ue. Quattrocento uno è il totale degli eurodeputati che si sono espressi a favore dell’Ursula bis, mentre i contrari sono stati 284, gli astenuti 15 e le schede nulle 7. Quattrocento era anche la somma dei deputati della coalizione Ppe-socialisti e liberali che sosteneva la rielezione. «Meglio dell’altra volta», scherza Ursula dopo il voto. Quindi ha avuto tutti i consensi che doveva? Più probabilmente ne ha avuti altri che si sono sostituiti ai franchi tiratori, ovvero almeno una parte dei 50 dei Verdi. Il voto è segreto, quindi dobbiamo stare alle dichiarazioni spontanee dei grandi elettori.
L’ALTRO FATTO È CHE si è finalmente risolto il lunghissimo balletto dei meloniani. Subito dopo la proclamazione, Nicola Procaccini ha dichiarato il no di FdI: «Votare a favore avrebbe significato andare contro i nostri principi». Poi però esclude ripercussioni sul commissario italiano e annuncia: «Vogliamo avere un rapporto estremamente costruttivo» con il nuovo esecutivo europeo.
In mattinata, la presidente della Commissione aveva tenuto un discorso di oltre mezz’ora dall’intento decisamente ecumenico, spaziando dall’economia alla sicurezza, dall’immigrazione all’allargamento dell’Unione fino ai temi sociali. Il lungo applauso finale, con tanto di standing ovation di una parte dell’Aula, è stato preceduto da un altro forse più fragoroso, nel passaggio di critica a Viktor Orbán, convitato di pietra del discorso per la rielezione.
La presidente non lo cita neppure pe
Commenta (0 Commenti)Von der Leyen oggi alla prova dell’Eurocamera dopo una lunga caccia al voto. Barra a destra sui migranti, rassicurazioni ai Verdi. Ppe nervoso sull’ingresso degli ambientalisti in maggioranza, Socialisti e Liberali in guardia sulle aperture a Fdi. Meloni vorrebbe votarla, ma non ha deciso
GIOCO DI RUOLO. La premier punta sulla riconferma ma ancora ieri sera il sì di Fdi era in forse. Socialisti, Liberali e Verdi in allarme su suo sostegno
Ursula von der Leyen e Giorgia Meloni al G7 - foto Ansa
Giorgia Meloni si dibatte in un labirinto, ma solo oggi sapremo se riuscirà a uscirne. Ieri per tutto il giorno le linee telefoniche tra Roma e Bruxelles si sono intasate alla ricerca di una soluzione che permetta a FdI di giustificare il voto a favore del ritorno di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione europea. Ma che sia stata trovata è ancora del tutto incerto. Chiedere ieri sera agli eurodeputati FdI se avessero deciso di votare pro o contro significava farsi ridere garbatamente in faccia: «Vorrei saperlo anche io». Una decisione diventata di giorno in giorno più sofferta verrà presa solo dopo aver letto le «linee guida», nelle quali la candidata riassumerà i contenuti del discorso programmatico che svolgerà poi in aula.
Probabilmente non ci saranno annunci ufficiali nemmeno a quel punto: qualcosa si capirà dagli interventi in aula prima del voto ma l’ufficializzazione arriverà solo nella conferenza stampa già convocata dai capidelegazione Carlo Fidanza e Nicola Procaccini per le 15, due ore dopo l’inizio delle votazioni che a quel punto saranno concluse. Fino a quel momento, come per tutta la giornata di ieri, bocche cucite e consegna del silenzio. Su tutto, anche sugli eventuali contatti tra la premier e la candidata. Il massimo che si strappa è un laconico: «Sono sempre in contatto».
ALMENO IN PARTE si tratta di una situazione tra le più classiche. La premier italiana vorrebbe votare per una presidente con la quale è andata sempre d’accordo invece di farsi sbalzare nel
Leggi tutto: Meloni nel labirinto scommette sul bis: ma il voto è in bilico - di Andrea Colombo
Commenta (0 Commenti)Lo scorso 19 giugno la Tunisia ha dichiarato ufficialmente la propria Zona di ricerca e salvataggio in mare (Sar), un’area che i paesi comunicano alle Nazioni unite per rendere più efficienti i recuperi delle persone in mare.
NEI FATTI, si tratta di un tassello fondamentale per l’Unione europea e i singoli Stati membri, impegnati da anni nel tentativo di esternalizzare le proprie frontiere marittime e affidare a paesi terzi il controllo del fenomeno migratorio. Nel corso degli anni Bruxelles e l’Italia in particolare hanno fornito mezzi, equipaggiamenti e tenuto corsi di formazione alla Garde nationale tunisina, il corpo securitario che si occupa delle operazioni marittime, per aumentare le capacità d’intervento e intercettazione.
Oggi, in quel tratto di mare, anche attraverso le forniture messe a disposizione dalla sponda nord del Mediterraneo si moltiplicano le denunce nei confronti delle autorità di Tunisi, accusate da più parti di pratiche violente che hanno portato in alcuni casi alla morte diretta o indiretta di persone migranti di origine subsahariana. Accuse che vanno avanti da più di un anno, almeno da quando la Tunisia ha superato la Libia per numero di partenze lungo la rotta del Mediterraneo centrale.
Speronamenti volontari, furti di motori, accerchiamenti pericolosi che causano onde alte e l’instabilità delle precarie imbarcazioni in ferro utilizzate per la traversata, lancio di gas lacrimogeni, pestaggi con bastoni e mazze d’acciaio. È nei racconti e nelle testimonianze di chi sopravvive alle intercettazioni la chiave per interpretare e conoscere il volto più violento della Garde nationale, apparato che dipende dal ministero degli interni e che da un anno si sta rendendo anche protagonista delle espulsioni di massa di migranti subsahariani verso le zone desertiche al confine con l’Algeria e la Libia. In alcuni casi non c’è solo la voce diretta di chi racconta.
Un’immagine satellitare – elaborata da Placemarks, progetto che analizza le immagini satellitari per evidenziare i cambiamenti ambientali, sociali e territoriali in corso nel continente africano – scattata la mattina del 6 aprile scorso del porto di Sfax, seconda città della Tunisia e zona dove si registra un alto numero di partenze, mostra circa 100 persone sdraiate o sedute lungo la banchina, di fronte ad alcune imbarcazioni della Garde nationale. Sono controllate a vista dalle autorità locali.
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DA LÌ A QUALCHE ORA la maggior parte di loro si troverà espulsa in Libia e rinchiusa nei centri di detenzione. «Per tutta la notte le persone sono rimaste distese senza vestiti, cibo e acqua». Le parole sono di Ousman, originario del Gambia, che ha raccontato in tempo reale a il manifesto ciò che è successo quella mattina,
Commenta (0 Commenti)STATI UNITI Le pallottole contro Trump tornano a gettare l'America nel caos, alimentando gli incubi di una nazione armata fino ai denti
La fattoria di Butler, in Pennsylvania, dopo l'attentato a Trump - Evan Vucci /Ap
Come non fossero bastate l’eco delle proteste studentesche, la contestazione contro le guerre oltremare e una convention democratica nuovamente prevista per Chicago, sono tornate le pallottole a gettare l’America in un vortice spaziotemporale che sembra aver riaperto il capitolo del decennio più turbolento.
Ma diversamente dai Sixties, su questa torrida e convulsa estate 2024, che sembra carambolare senza freni verso fatidiche presidenziali, incombe tuttora un demagogo e aspirante tiranno che potrebbe segnare il capitolo più infausto della repubblica.
I proiettili sparati ieri in Pennsylvania contro Trump hanno riaperto la pratica sanguinosa di una storia che ha visto attentati a 11 dei 46 presidenti del paese, quattro dei quali morti sotto i colpi di assassini (Lincoln, Garfield, McKinley e John F. Kennedy), senza contare i numerosi altri politici, candidati e figure pubbliche falciate da pallottole (fra cui Robert Kennedy, Martin Luther King, Malcolm X).
Una politica mortale torna ad agitare gli incubi di una nazione armata fino ai denti.
Da venerdì scorso, per dire, in tre stati, Oklahoma, Texas e Alabama, è possibile acquistare munizioni da distributori automatici in supermercati a orario continuato. Anche dopo i fatti di ieri però, è escluso che gli acerrimi sostenitori del porto d’armi che affollano i comizi di Trump accettino qualsivoglia nesso di causalità con la violenta epidemia.
Quella lunga striscia di sangue che porta alla Casa bianca
Ora è toccato a Donald Trump, il più divisivo personaggio della moderna era americana, colui che ha fatto del rancore e della recriminazione, dell’astio elevato a ragion di stato, la propria cifra (post) politica e il carburante del proprio culto personale.
Il primo pensiero di molti è andato all’inevitabile vantaggio che ne trarrebbe il candidato che
Leggi tutto: A 5 millimetri dalla Casa bianca - di Luca Celada
Commenta (0 Commenti)SICURI DI MORIRE. Almeno 90 i civili uccisi. E Netanyahu non può confermare la morte del leader di Hamas.
Fuoco e distruzione a Mawasi - Ansa
«I morti sono diverse dozzine, forse più di 100. È stata una strage, una nuova strage terribile in una zona che Israele, addirittura da ottobre, descrive come sicura per i civili». Così diceva ieri al manifesto Hilmi Hirez, un collega palestinese che abbiamo raggiunto telefonicamente a Khan Yunis. «Gli aerei F-16 israeliani hanno sganciato quattro-cinque missili su Mawasi piena di sfollati» ha continuato Hirez «in quel momento c’erano tante persone in fila, tra cui molti bambini, davanti a due stazioni per la distribuzione dell’acqua potabile. Le esplosioni sono state spaventose, non hanno lasciato scampo. I feriti sono almeno 300 e alcuni di loro moriranno perché sono in condizioni critiche». Il giornalista ha aggiunto che dopo l’attacco sono partite raffiche, forse da droni, contro i soccorritori, facendo altre vittime. «Due automezzi della Protezione civile – ha detto – sono stati colpiti ripetutamente, non ho notizie precise però dubito che qualcuno di quelli a bordo sia rimasto in vita». In serata, il ministro della sanità a Gaza ha aggiornato il bilancio di morti a 90.
L’ospedale Nasser di Khan Yunis può fare molto poco per salvare i feriti. È al collasso con un tale massa di feriti gravi – alcuni sono mutilati, altri hanno perduto un occhio, altri ancora hanno il corpo pieno di schegge – hanno comunicato i medici. Louise Wateridge, una funzionaria delle Nazioni unite, è stata al Nasser dove ha visto cinque bambini feriti, uno dei quali era paralizzato dalla vita in giù.
I resoconti di sopravvissuti e testimoni sono simili a quelli fatto dal giornalista. Mohammad Yazji, sfollato da mesi a Mawasi, ha detto che stava facendo colazione quando «all’improvviso la tenda è crollata sulle nostre teste e la sabbia ci ha seppelliti…Non ho mai sentito o visto un attacco così forte. Dopo minuti di confusione ho capito che ero ancora vivo e ho aiutato i feriti intorno. Alcuni dei miei parenti sono rimasti uccisi. Duversi corpi erano tagliati a metà». Un altro sopravvissuto, Sheikh Yousef, ha detto a un’agenzia di stampa «tutto era bruciato, distrutto, non riuscivo nemmeno a capire dove fossi o cosa stesse succedendo…Ho lasciato la tenda e mi sono guardato intorno e ho visto parti di cadaveri, corpi ovunque, donne anziane a terra, bambini piccoli a pezzi». I video giunti da Gaza mostrano scene orribili di morte e distruzioni, oltre al cratere enorme causato dall’esplosione e persone che cercano di salvare qualche oggetto.
Non c’è obiettivo che sia legittimo per questa strage
I palestinesi insistono, quello di ieri è stato l’ennesimo massacro di civili inermi e respingono la tesi israeliana di un attacco aereo diretto contro Mohammed Deif, il capo dell’ala militare di Hamas e numero due dell’organizzazione a Gaza, che avrebbe fatto «anche vittime collaterali». Che Deif, sfuggito a diversi tentativi di assassinarlo, sia morto non era affatto certo ieri sera, anzi. «Stiamo ancora verificando i risultati dell’attacco», ha detto un portavoce militare israeliano aggiungendo che il bombardamento non avrebbe colpito una tendopoli bensì un’area con dei capannoni. La bomba, ha proseguito, ha distrutto l’edificio sotterraneo in cui si nascondeva Deif, protetto da decine di membri di Hamas in abiti borghesi. Il premier Netanyahu, alla ricerca di «eliminazioni eccellenti» tra i palestinesi per giustificare la sua interminabile off
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