«È come fare testa o croce in una partita truccata: se esce testa perdi tutto, se esce croce perdi tutto e non ti puoi neanche lamentare». Una vecchia conoscenza nelle istituzioni ucraine ci spiega così la sua visione del contesto attuale dopo l’annuncio che Zelensky venerdì sarà a Washington per firmare l’Accordo sulle terre rare con gli Usa senza aver ottenuto ancora alcuna garanzia di sicurezza. Qualche ora dopo il ministro degli Esteri russo Lavrov ha dichiarato che oggi si terrà a Istanbul il secondo incontro tra le delegazioni del Cremlino e della Casa bianca. L’Ucraina non è stata invitata neanche stavolta e la nostra fonte ci invia un messaggio: «Te l’avevo detto».
AL DI LÀ DELL’UMORE nero di molti alti funzionari di Kiev, è innegabile che la risoluzione della guerra in Ucraina si è trasformata in una questione economica. Ci sono già, e il loro numero cresce, schiere di commentatori più o meno improvvisati che annunciano apparentemente soddisfatti che era ovvio che andasse così, che già si sapeva e che chiunque abbia pensato anche solo per un secondo il contrario era nel migliore dei casi un ingenuo. Ma chi poteva immaginare che Donald Trump avesse in serbo per l’Ucraina il metodo dell’intimidazione e che avrebbe trattato Zelensky come un ostacolo al buon esito di una speculazione miliardaria? La stampa statunitense ha anche coniato una definizione per questo atteggiamento, transactional diplomacy, che potremmo tradurre più o meno con «diplomazia della compravendita». Il New York Times si spinge oltre e definisce le pressioni di Washington per la firma dell’Accordo sulle terre rare come «una diplomazia da ‘racket della protezione’».
TRUMP se ne frega, letteralmente e senza paura di nasconderlo. «Gli Stati uniti hanno bisogno di terre rare e l’Ucraina ne ha», ha dichiarato ieri il tycoon sottolineando sia che «è un’intesa molto buona anche per l’Ucraina» sia che «mi piacerebbe comprare anche i minerali in terra russa, se possibile». Anche in questo secondo caso, per Trump, si tratta di «un’ottima cosa anche per la Russia, perché potremmo fare affari lì». La costante è che non appena il presidente fiuta un affare inizia a dire che si tratta di qualcosa di molto vantaggioso per chi dovrebbe cedere alle sue richieste e quando ciò non avviene, come con Zelensky la settimana scorsa, passa agli insulti. Sull’ultima ipotesi, tuttavia, Trump ha specificato di non averne ancora parlato con Vladimir Putin.
Chissà se il tema verrà trattato oggi a Istanbul. «Penso che i risultati di questo colloquio mostreranno quanto velocemente ed efficacemente possiamo andare avanti» ha dichiarato
Leggi tutto: Il banco vince tutto: Zelensky vola in Usa e cederà le terre rare - di Sabato Angieri
Commenta (0 Commenti)Vertice per la difesa europea a Londra: come l’Unione a 27 anche la Brexit non conta più. Macron torna da Washington, Starmer ci andrà, tutti alzano le spese militari, il tedesco Merz anche prima di diventare cancelliere. Effetto Trump: l’Europa va nel panico
Sonnambulismi A raccontare la favoletta della «pace giusta» ormai insistono solo i giornali del mainstream, spiazzati dagli eventi. Ma quale pace giusta? Gaza e la Palestina sono la prova che in Europa non ci crede nessuno
Leader europei a Kiev, alla commemorazione dei soldati ucraini caduti in tre anni di guerra – Ap
Gli europei non si accorgono neppure più dove stanno andando, o forse fanno finta di non saperlo: sono un po’ sonnambuli e un po’ sottomessi al loro destino. Siamo all’agonia della politica estera comune europea, che per altro non è mai esistita, cullando nel settore difesa l’idea di una Banca per il Riarmo destinata a divorare altre risorse. Hanno sempre seguito l’agenda americano-israeliana, dall’Est Europa al Medio Oriente, e ora ne pagano le conseguenze.
La loro disonestà è tale da pensare che la guerra in Ucraina sia cominciata il 24 febbraio 2022 e non quando, nel gennaio 2014, il sottosegretario di Stato Usa Victoria Nuland, in una conversazione con il suo ambasciatore a Kiev, pronunciò la ormai famosa frase «Fuck the Eu», letteralmente «l’Unione europea si fotta».
Si discuteva ancora di un accordo tra il governo ucraino del filo-russo Viktor Janukovich e l’opposizione. Allora non c’era Trump alla Casa bianca ma Barack Obama e il suo vice era Joe Biden, che accorse a Piazza Maidan a celebrare il primo anniversario delle proteste mentre suo figlio Hunter guadagnava milioni di dollari in Ucraina nel settore energetico. E ora vorremmo stupirci se Trump trascina Zelensky a firmare l’accordo multi-miliardario sulle terre rare mentre Putin, diventato ormai a Washington un «volenteroso dittatore», si offre di portargli quelle in possesso dei russi? Chi più ne ha più ne metta mentre ognuno si fa i propri conti in tasca e Macron, nella sua visita da Trump, reclama che l’Europa ha versato all’Ucraina il 60 per cento degli aiuti, più degli Stati uniti.
Ma il presidente americano si tappa le orecchie: questa guerra, nonostante le copiose commesse all’industria bellica americana, è un «cattivo affare» e bisogna chiuderla. C’è da pensare
Leggi tutto: Un’Europa sottomessa e senza bussola - di Alberto Negri
Commenta (0 Commenti)I democristiani di Merz si prendono l’Ovest, i sovranisti di Weidel l’intero Est: le Germanie sono di nuovo due, mezza a destra e l’altra mezza ancora più a destra. Già visto in Francia, Austria, Olanda e nei paesi scandinavi, quel Muro torna a crescere nel cuore dell’Europa
Elezioni in Germania Il vincitoredelle urne Merz (Cdu-Csu) dice «inaccettabile» a Trump, invita Netanyahu, avvia la Grande Coalizione con la sconfitta Spd
Friedrich Merz, capogruppo della Cdu e candidato cancelliere, alla conferenza stampa dopo le elezioni federali a Berlino foto Florian Gaertner/Getty Images
Ventiquattro ore dopo la chiusura dei seggi, con le trattative per il nuovo governo che devono ancora iniziare, il cancelliere in pectore Friedrich Merz annuncia ciò che sarà la Nuova Germania sotto la sua guida lanciando due messaggi dirompenti sotto tutti i punti di vista. Primo: «È inaccettabile che gli Stati Uniti d’America decidano sulla testa di noi europei e su quella degli ucraini». Secondo: «Inviterò quanto prima il premier israeliano Benjamin Netanyahu in visita ufficiale in Germania». Mentre apre ufficialmente alla Grande Coalizione con la Spd post-Scholz nel ruolo di partner minore, allargando però l’appello a tutti i centristi a cominciare dalla corrente dei Realos (i realisti) dei Verdi, uscita smontata dal voto di domenica scorsa.
ALTRI POSSIBILI partner del resto non ci sono, dopo che il conteggio definitivo delle schede ieri ha portato alla clamorosa esclusione dal Parlamento dei liberali come dei sovranisti di sinistra di Sahra Wagenknecht. Se il suo Bsw fosse entrato al Bundestag la Grande Coalizione non sarebbe stata matematicamente possibile.
Ieri l’ex capogruppo della Linke uscita dalla sinistra (perché secondo lei incapace di intercettare il malessere profondo del Paese sul nodo-chiave dell’immigrazione) ha dovuto prendere atto della sconfitta politica ma non si è rassegnata all’incontrovertibilità dell’aritmetica elettorale. L’Alleanza che porta il suo nome rimane fuori dal Bundestag per appena 13.700 voti, perciò Wagenknecht chiede che a fare piena luce sul voto sia la Corte costituzionale di Karlsruhe. In parallelo, il leader di Fdp Christian Lindner fa sapere di voler lasciare per sempre la politica dopo aver schiantato il suo partito alle elezioni. Il presidente dei liberali Wolfgang Kubicki lavora dietro le quinte per provare a salvare ciò che resta della forza politica che ha creduto di potere essere l’ago della bilancia della nuova politica tedesca, ma Fdp ora conta meno di zero.
Sotto il profilo strettamente pratico, nell’inner circle di Merz fanno sapere che le prime vere serie trattative fra il leader Cdu e la delegazione della Spd non potranno cominciare comunque prima del mercoledì delle Ceneri. Il cronoprogramma sull’agenda del leader democristiano prevede che gli “accordi iniziali” con i socialdemocratici sulle possibili date e le procedure dei successivi “colloqui esplorativi” saranno quasi certamente chiusi durante il tavolo preliminare fra Cdu e Spd di questo fine settimana.
L’UNICO DOCUMENTO messo finora effettivamente sul tavolo da Merz è la dura precondizione al negoziato da far firmare al
Commenta (0 Commenti)Elezioni Sarà Friedrich Merz il nuovo cancelliere. I fascio-populisti di Alice Weidel raddoppiano i seggi in Parlamento. Olaf Scholz trascina a picco la Spd e annuncia: "Non prenderò parte ai negoziati”. Sorpresa della sinistra della Linke
Friedrich Merz (Cdu) – Markus Schreiber/Ap
Vince anche se non convince Friedrich Merz, i fascio-populisti di Alice Weidel raddoppiano i seggi in Parlamento (facendo segnare il record di voti dell’ultradestra in Germania dai tempi del nazismo) mentre il ricandidato-cancelliere Olaf Scholz trascina a picco la Spd al punto che la leadership del partito ora invoca la “tabula rasa” elemosinando politicamente una Grosse Koalition con la Cdu.
Ma l’autentica, straordinaria, rivelazione delle urne federali è la sinistra della Linke, capace di trasformare in voti veri dentro le urne il clamoroso successo politico-mediatico dei suoi due leader ben fotografato dai sondaggi delle ultime tre settimane.
Molto male i Verdi incarnati dall’ex ministro dell’economia Robert Habeck: la svolta ultra-bellicista e anti-migranti più l’annacquamento oltre immaginazione della rivoluzione ecologica hanno provocato il crollo dei Grünen, sebbene Habeck dia tutta (ma proprio tutta) la colpa al flirt fra Cdu e Afd. Probabilmente fra pochi giorni dovrà essere molto più diplomatico: accanto alla GroKo Cdu-Spd (possibile solo con l’esclusione dal Bundestag di liberali e Bsw) l’altra geometria di governo che si preannuncia a Berlino nel toto-coalizione è proprio l’eventuale alleanza tra socialisti, democristiani e Verdi.
I liberali escono dal voto distrutti e forse anche politicamente smontati: ancora prima dello spoglio, con le previsioni pericolosamente oscillanti sopra e sotto la soglia di sbarramento del 5%, il segretario Fdp Christian Lindner fa sapere: “Se non entriamo al Bundestag mi dimetto”. E’ l’uomo che lo scorso ottobre ha innescato la crisi di governo che ha prodotto il voto-anticipato.
Esattamente come lui, al limite dell’esclusione dal parlamento, balla Sahra Wagenknecht, la sovranista leader del Bsw che solo pochi mesi fa era accreditata come l’irresistibile anti-Weidel. Il suo voto al pacchetto anti-migranti di Merz e Afd le è costato la perdita di non poco consenso da parte di chi ha sempre pensato al Bsw come a una forza di sinistra.
Tre ore e mezza dopo la chiusura dei seggi elettorali, le proiezioni delle 22.00 della Ard profilano la Cdu-Csu in testa con il 28,5% dei voti (+4,4%) seguita da Afd con il 20,6% (+10,2%) e dalla Spd con il 16,5% (-9,2, un tracollo). Seguono i Verdi con il 11,9% (-2,8%) e la Linke con il 8,7% (+3,8, eccezionale considerando che era un partito semidistrutto solo due mesi fa), mentre i liberali della Fdp valgono il 4,5% (-6,9, un disastro) e il neonato Bsw il 4,9%.
In attesa del conteggio finale delle schede è comunque evidente la rivoluzione rispetto al 2021. Il nuovo Bundestag – se liberali e sovranisti di sinistra restano sotto lo sbarramento – composto da 630 membri sarà rappresentato da 208 deputati Cdu, 150 di Afd e 120 della Spd. Più nero che rosso, fra i banchi ci saranno 88 Verdi e 63 Linke più il seggio al partito della minoranza danese Ssw.
“Ho vinto” tuona Merz. E “per noi è una catastrofe” ammette specularmente Boris Pistorius, ministro socialdemocratico della difesa mentre Lars Klingbeil, il presidente della Spd sottolinea che bisogna “fare tabula rasa nel partito”. “Un giorno molto amaro” secondo Olaf Scholz, volto del disastro Spd, inizialmente ammutolito dalla sua pessima performance. Finché la diga cede: “Non farò parte del prossimo governo”, dice, “e non prenderò parte ai negoziati”. Poco dopo le 22 il dopo-Scholz è
Commenta (0 Commenti)Germania al voto per misurare l’argine all’ondata fascio-populista dell’Afd. I sondaggi danno avanti i cristiano-democratici, ma nessuna certezza sulla composizione del prossimo governo. Elezioni storiche, al cui esito è legato anche un bel pezzo del futuro d’Europa
Il fattore tedesco Avanti la Cdu-Csu di Merz, che torna a giurare «mai con Afd» e al tempo stesso esclude alleanze con chi non è anti-migranti
Comizio di fine campagna elettorale del partito Afd in Turingia – Jacob Schr'ter/Ap
Archiviati ieri gli ultimi appelli dei leader di tutti partiti, questa mattina scatta l’ora della verità elettorale che sancirà ufficialmente vincitori e perdenti delle urne per il rinnovo del Bundestag. Anche se sembra davvero tutto già scritto nei sondaggi: l’ultima fotografia dell’istituto “Insa” sulle intenzioni di voto di poche ore fa conferma i valori delle ultime settimane, con la Cdu-Csu sempre al primo posto con il 29%, Afd a quota 20% e la Spd al 16%. Seguono i Verdi al 13% e la Linke che vale l’8%, mentre i liberali e i sovranisti di sinistra dell’Alleanza Sahra Wagenknecht continuavano a ballare sull’orlo della quota di sbarramento del 5% e stavolta rischiano seriamente di rimanere fuori dal Parlamento.
A MENO DI SOVVERTIMENTI dell’ultimo momento (comunque circa il 22% degli elettori tedeschi ieri risultava ancora indeciso secondo il dato diffuso da “Forsa”) questa sera il conteggio delle schede dovrebbe confermare i rapporti di forza che – in ogni caso – non permettono ancora di immaginare quale sarà la prossima coalizione di governo. Sulla carta, si profila un esecutivo a guida Cdu-Csu ma bisognerà attendere non solo lo spoglio finale ma pure l’esito del tavolo delle trattative per formare la nuova alleanza: Verdi o Spd, oppure entrambi, sempre se non sarà coi liberali. Nessuno a Berlino è in grado di prevedere il futuro imminente
Per ciò che vale, il candidato-cancelliere dell’Union, Friedrich Merz ieri ha riassicurato gli elettori: dopo il voto non ci potrà essere alcuna collaborazione con Afd. Però ha ricordato agli aspiranti partner di governo che lui non è disposto a imbarcare partiti contrari alla linea anti-migranti. Mentre si attende di misurare il peso sul voto dell’ennesimo inquietante atto di terrore consumatosi alla vigilia delle elezioni: l’accoltellamento di un turista spagnolo venerdì sera davanti al Memoriale della Shoah a Berlino da parte di Wassim Al M, 19 anni, richiedente-asilo siriano già noto alla polizia per piccoli reati. «Voleva uccidere ebrei e nel suo zainetto c’era una copia del Corano» sono i due elementi della solita miscela esplosiva pronta a deflagrare dentro le urne.
ANCORA BENZINA SUL FUOCO anti-migranti acceso dallo
Leggi tutto: Germania al voto, i sondaggi sono chiari ma il futuro è oscuro - di Sebastiano Canetta
Commenta (0 Commenti)E due. Dopo Musk, anche Bannon, in cerca di spazio alla corte della Casa bianca, fa il saluto romano alla convention dei conservatori americani. Per il lepenista Bardella il gesto nazista è troppo e si sfila. Meloni invece non vuol far dispiacere Trump: stasera è attesa in video
Solo un saluto Il gesto neonazista dell’ex consigliere di Trump: Bardella si ritira. Il miliardario sudafricano brandisce la motosega regalata da Milei
Braccio teso all’orizzonte, smorfia sardonica come un occhiolino d’intesa strizzato alla folla acclamante. La “citazione” del saluto romano di Musk da parte di Steve Bannon sembra segnalare un rapprochement fra l’ala paleoconservatrice e il miliardario che proprio Bannon aveva definito «parassita straniero». Come a sottolineare che sulle basi vi sia dopotutto una convergenza di fondo.
Ma se fra ke due fazioni Maga (nazionalpopulisti e tecno oligarchi) vi sarebbero prove di disgelo, il nazi-siparietto ha provocato altre crepe, ironicamente proprio nella «palestra internazionale di gladiatori» tanto auspicata da Bannon. L’intervento di Jordan Bardella alla convention Cpac era in programma ieri ma per il leader del Rassemblement National, il «gesto facente riferimento all’ideologia nazista» ha reso improponibile la propria presenza.
IMMEDIATA la controreplica di Steve Bannon al settimanale Le Point: «’Se è così tanto timoroso e si fa la pipì addosso come un ragazzino, allora è indegno e non dirigerà mai la Francia», ha detto l’ex consigliere di Trump. «Era un saluto come faccio sempre», ha aggiunto. «L’ho fatto uguale sette anni fa al Front National. Lo faccio in tutti i miei discorsi per
Leggi tutto: Cpac: la Sanremo del post fascismo da Musk a Bannon - di Luca Celada LOS ANGELES
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