A tre giorni dall’ordine dell’Aja di cessare il fuoco, l’esercito israeliano bombarda le tende di Rafah, di notte. Scoppia un incendio, almeno 45 palestinesi uccisi. Netanyahu: «Un tragico errore». Il mondo condanna ma non agisce
DAVANTI AGLI OCCHI. Il bilancio potrebbe salire: sono decine i feriti con gravi ustioni. L’attacco avvenuto di notte. Netanyahu: «Un tragico errore».
Quello che resta delle tende di Rafah colpite domenica notte - foto Ap/Abed Rahim Khatib
Quando le luci del giorno ieri hanno illuminato Rafah, i roghi non erano ancora tutti spenti. La scena davanti agli occhi di tutti è stata raccapricciante. L’accampamento di Tel al Sultan, dove migliaia di sfollati avevano trovato un rifugio per mesi, è apparso come un terreno annerito ricoperto di tende bruciate, lamiere contorte e oggetti carbonizzati. E su di esso madri in lacrime accanto ai corpi senza vita dei figli e uomini impegnati ad avvolgere i morti nei kafan, i teli bianchi diventati il simbolo dei civili innocenti uccisi dai bombardamenti israeliani. Khaled Yazji, uno sfollato, domenica sera ha visto il campo di tende trasformarsi in pochi attimi in un cerchio di fuoco e fiamme. «C’è stata prima un’esplosione» ricordava ieri Yazji parlando con giornalisti locali, «poi è arrivato l’incendio, con fiamme alte. Ero lontano, ma sentivo lo stesso le urla strazianti di chi era rimasto intrappolato». Abed Al-Attar, è rimasto seduto in silenzio per ore accanto ai corpi del fratello, della cognata e di altri parenti uccisi dall’incendio. Intervistato dall’agenzia Reuters, non ha trattenuto la rabbia contro il governo Netanyahu e i comandi militari che per settimane hanno ripetuto che i civili palestinesi non sarebbero stati toccati dall’avanzata su Rafah. «Israele è bugiardo. Non c’è sicurezza a Gaza, né per un bambino, né per un uomo anziano, né per una donna» ha commentato Al-Attar. «Cosa hanno fatto per meritarsi questo? I loro figli sono rimasti orfani», ha aggiunto indicando i corpi intorno a lui nella desolazione di una tendopoli che si è trasformata in un cimitero.
Non era ancora definitivo ieri sera il bilancio dell’attacco aereo israeliano. 45 i morti e circa 250 i feriti, secondo i dati ufficiali del ministero della sanità. 23 delle vittime erano donne, bambini e anziani. Ufficiosamente si parla di almeno 50 morti, un numero destinato a crescere per le condizioni critiche di tanti feriti. Alcuni hanno subito ustioni su gran parte del corpo e nell’unico centro sanitario di Tel el Sultan e nell’ospedale da campo della Croce Rossa non si può fare molto per aiutarli. Alcuni sono stati trasferiti negli ospedali Nasser e Amal di Khan Younis che soffrono ancora dei danni riportati durante il lungo assedio che hanno subito dalle forze israeliane nei mesi scorsi.
«È stato un tragico incidente di cui rammaricarsi». Così Netanyahu alla Knesset ha definito i fatti di Rafah durante un incontro con le famiglie degli ostaggi israeliani a Gaza che lo hanno contestato perché la leadership di Hamas, dopo questo ennesimo massacro, dice di non essere disposta a riprendere le trattative per la
Commenta (0 Commenti)Trema il confine est dell’Ucraina. Quattro attacchi russi a Kharkiv, colpito anche un centro commerciale. Kiev indaga i suoi ufficiali per la mancata difesa del fronte. Per il segretario dell’Alleanza atlantica la soluzione è scatenare le armi Nato sul territorio della Russia
IL LIMITE IGNOTO.
«Ciò che sta accadendo oggi a Bruxelles e a Washington… sta creando l’atmosfera per un eventuale conflitto militare, che potremmo anche descrivere come una preparazione all’entrata in guerra dell’Europa»: la dichiarazione del sovranista ungherese Viktor Orbán sembrava una boutade, invece è stata confermata e rilanciata ieri dal segretario della Nato Jens Stoltenberg in una intervista all’Economist nella quale invita gli alleati Nato che forniscono armi all’Ucraina a «porre fine al divieto di usarle per colpire obiettivi militari in Russia».
Insomma, prepariamoci ad entrare in guerra con la Russia. Un intervento il suo a gamba tesa nella delicata campagna elettorale in corso per le europee, dove i governi Ue e gran parte degli schieramenti politici, tacciono sulla questione cruciale per il destino dell’Europa; per l’Economist Stoltenberg si rivolge anche a Biden, che ancora vuole controllare ciò che l’Ucraina può attaccare con i sistemi forniti dagli Usa – ma il segretario di Stato Blinken la pensa come Stoltenberg. Si tirano le somme di quello che finora hanno fatto la Nato, gli Usa, l’Ue e molti governi a partire da Giorgia Meloni: nuovi 60 miliardi in armi per Kiev, decisione di acquisti di munizioni concordate anche con il prelievo dal Pnrr, operazioni d’intelligence, accordi di cooperazione militare decennali, gli F-16 in arrivo dopo aver addestrato i piloti… Tutto perché l’inutile massacro continui e in assenza totale di una iniziativa congiunta dell’Ue per un tavolo negoziale per il cessate il fuoco e per un accordo di pace concordato – non il finto summit senza la Russia di giugno in Svizzera. Mentre dal Sud del mondo le iniziative per la pace non mancano: Xi in Europa di questo ha parlato, tanto che il ministro degli esteri ucraino Kuleba con la moglie di Zelensky sono corsi a Belgrado dopo la sua visita; e a Pechino il ministro degli esteri Wang Yi e il consigliere del presidente brasiliano Lula, Celso Amorim. propongono i temi di una de-escalation del conflitto.
Grave è la responsabilità della Ue. A fronte del fatto che sul campo, dallo stallo alla ritirata ucraina, non si prefigura alcuna possibile vittoria di una parte e nemmeno dell’altra, nonostante la limitata quanto sanguinosa avanzata russa; e che la situazione di stanchezza e di fuga di milioni di giovani russi e ucraini, un’intera generazione, dal fronte bellico, invece richiederebbe uno sforzo negoziale per fermare la guerra, recuperando i
Leggi tutto: La Nato entra in guerra - di Tommaso Di Francesco
Commenta (0 Commenti)La Corte di giustizia internazionale dell’Aia non ha dubbi: a Gaza situazione «disastrosa», Israele fermi subito l’attacco a Rafah e riapra i valichi per far passare gli aiuti. La risposta di Netanyahu: raid intensificati sulla città. «Nessuno può fermarci»
LA SENTENZA. Decisione netta della Corte di giustizia internazionale: situazione «disastrosa», fermare subito l’attacco a Rafah e riaprire i valichi
Gaza. Sfollati palestinesi a Deir Al Balah - Ap
I giudici internazionali hanno scritto un nuovo capitolo del procedimento di accusa di genocidio nei confronti di Israele avviato a gennaio su richiesta del Sudafrica. Ieri la Corte internazionale di giustizia (Cig) dell’Aia, accogliendo gran parte delle ulteriori richieste presentate dal Sudafrica a protezione della popolazione di Gaza, ha ordinato a Israele di fermare l’offensiva in corso contro la città palestinese di Rafah, sul confine con l’Egitto. Contro le speranze dei palestinesi però non ha ordinato un cessate il fuoco immediato e generale a Gaza, così come era accaduto a gennaio.
Leggendo la decisione, il presidente della Corte Nawaf Salam, ha affermato che la situazione umanitaria a Rafah, già «disastrosa», è peggiorata dopo la sentenza emessa a gennaio dalla Cig. «La Corte – ha aggiunto Salam – non è convinta che gli sforzi di evacuazione e le relative misure che Israele afferma di aver intrapreso per migliorare la sicurezza dei civili nella Striscia di Gaza, in particolare nei confronti delle persone sfollate di recente dal governatorato di Rafah, siano sufficienti ad alleviare l’immenso rischio a cui la popolazione è esposta a seguito dell’offensiva a Rafah».
MENTRE LA NUOVA DECISIONE della Corte dell’Aia veniva rilanciata dai media in tutto il mondo, a Rafah una tremenda esplosione ha devastato una zona di Shaboura. In un video si vede una nuvola di fumo nero che si alza verso il cielo. Israele ha poi detto di aver colpito una importante base di Hamas e di aver ucciso, in un altro punto, un comandante di alto profilo del movimento islamico. Per alcuni l’attacco è la risposta dell’esecutivo israeliano alla sentenza della Cig.
La Corte ha anche ordinato a Israele di garantire il libero accesso al valico di Rafah tra Gaza e l’Egitto in modo da permettere il trasferimento senza restrizioni degli
Leggi tutto: L’Aia dice basta, Israele risponde col fuoco - di Michele Giorgio, GERUSALEMME
Commenta (0 Commenti)MEDIO ORIENTE. Il nuovo rapporto di Altreconomia sui dati forniti dall'Agenzia delle Dogane: governo Meloni smentito, tra dicembre 2023 e gennaio 2024 l’export è quasi raddoppiato
Prosegue l’inchiesta di Altreconomia che nei mesi scorsi, dati alla mano, ha smentito il governo Meloni rispetto alle affermazioni inerenti l’export militare italiano verso Israele. Gli ultimi dati inediti provenienti dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli rivelano un fatto inquietante: tra dicembre 2023 e gennaio 2024, l’Italia ha esportato verso Israele armi e munizioni da guerra per un valore complessivo di oltre due milioni di euro.
IN APERTA contraddizione il governo Meloni aveva dichiarato uno stop totale alle esportazioni di armi verso Tel Aviv, affermando che le statistiche dell’Istat includevano anche componenti di natura «civile», come rivoltelle e baionette. Problematica l’esportazione di armi «civili» in contesti critici come i Territori palestinesi occupati in Cisgiordania, dove i coloni israeliani sono armati dal ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir in persona, di fronte a una popolazione civile palestinese prevalentemente disarmata che viene costantemente brutalizzata.
I dati delle Dogane, fonte primaria dell’Istat, chiariscono ogni dubbio: le esportazioni riguardano esclusivamente materiale a uso militare. La categoria «Bombe, granate, missili e altre munizioni» ha registrato un incremento impressionante, passando da 730.869,5 euro a dicembre 2023 a 1.352.675 euro a gennaio 2024, nel pieno dell’attacco militare israeliano contro la popolazione civile di Gaza.
GIORGIO BERETTA, analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere (Opal), conferma che le cifre, al netto delle munizioni comuni, rappresentano esclusivamente materiale militare. Questa situazione pone l’Italia a rischio di sanzioni sulla base di
Commenta (0 Commenti)IL CONVEGNO A ROMA TRE. La fine delle guerre è la condizione per il dialogo tra le grandi potenze: l’umanità deve affrontare in concordia migrazioni, clima e povertà. Convegno di Costituente Terra giovedì 23 maggio 2024
L’Europa sta negando se stessa. L’Unione europea è nata su due fondamenti, l’uguaglianza e la pace: per porre fine ai razzismi, ai campi di concentramento e, soprattutto, alle guerre. Entrambi questi fondamenti stanno oggi venendo meno. È questa la prospettiva che dovrebbe essere presente, ma che è totalmente assente, nell’attuale campagna per le elezioni europee.
Innanzitutto l’uguaglianza. La disuguaglianza è in aumento in tutta Europa e soprattutto in Italia, dove la povertà assoluta è triplicata negli ultimi quindici anni, mentre è più che raddoppiato il numero dei miliardari. Ma sono le leggi in materia di immigrazione – le odierne leggi razziste – che stanno mostrando il riemergere in Europa di un’antropologia della disuguaglianza, alimentata da perverse ossessioni nazionaliste e identitarie.
L’Europa ha un debito enorme nei confronti del resto dell’umanità. Per secoli, proprio in nome del diritto di emigrare da essa rivendicato a fondamento delle sue conquiste e colonizzazioni, gli Stati europei hanno invaso, occupato, dominato, depredato e sfruttato gran parte dei paesi del mondo.
Oggi che l’asimmetria si è ribaltata e sono i disperati della terra che fuggono da quegli stessi paesi ridotti in miseria, l’esercizio di quel diritto si è trasmutato in delitto. Militarizzazione dei confini, penalizzazione dei soccorsi in mare, sequestro dei migranti finché non ne avvenga il rimpatrio o l’accoglimento delle domande d’asilo, hanno blindato la fortezza Europa, dove è riapparsa la figura della «persona illegale», clandestina o detenuta unicamente per ragioni di nascita.
A causa dell’apartheid dei poveri del pianeta, il genere umano è spaccato in due: un’umanità che viaggia liberamente nel mondo, per turismo o per affari, e l’umanità dei sommersi e degli esclusi, costretti dalla miseria e dalla fame a terribili odissee, fino a rischiare la vita nel tentativo di arrivare in Europa dove sono destinati a detenzioni illegittime o a sfruttamenti come non-persone.
L’altro valore fondante dell’Europa, la pace, è scomparso dall’orizzonte delle politiche europee, proprio nel momento forse più
Leggi tutto: Uguaglianza e pace, così l’Europa rinnega se stessa - di Luigi Ferrajoli
Commenta (0 Commenti)Tunisia, Mauritania e Marocco utilizzano i mezzi e i soldi dell’Unione per deportare i migranti nel deserto e smaltirli come rifiuti. Un’inchiesta svela il lato oscuro dei «memorandum». Intanto in Italia i giudici che hanno assolto le Ong portano alla luce un dossieraggio contro i soccorsi in mare
SCARTI D'EUROPA. Soldi, bus e fuoristrada ai paesi del Nord Africa. Per deportare i subsahariani nel deserto
Un migrante ricacciato nel deserto tra Tunisia e Libia foto Ap
11 luglio 2023. Poco fuori Sfax, città costiera della Tunisia, viene ripreso un fuoristrada bianco mentre scorta un autobus pieno di migranti arrestati in uno dei recenti raid effettuati nella città. Ingrandendo l’immagine si vede che il fuoristrada è un Nissan Navara. Spulciando tra i bandi e le forniture della polizia di stato italiana si scopre che oltre cento di questi modelli erano stati dati dal governo italiano tra il 2022 e il 2023 al ministro dell’interno tunisino per il contrasto dell’immigrazione illegale.
Oggi i mezzi dello stesso modello vengono usati per espellere i migranti ai confini desertici della Tunisia, e non solo. Anche le forze di sicurezza di Mauritania e Marocco sono coinvolte in questo tipo di violenze.
Le Nissan sono solo una delle tracce che si intravedono tra le strade sabbiose dei paesi del Nord Africa e che oggi sono percorse da decine di mezzi stanziati dall’Unione europea e dai suoi Stati membri, tutti diretti a gettare i migranti nel nulla. Scorrendo indietro i programmi europei e gli accordi bilaterali si iniziano a vedere le prime forniture dal 2016, anno in cui la Germania ha donato alla Tunisia 25 Toyota Hilux.
L’ANNO SUCCESSIVO è sempre Berlino a fornire altre 37 Nissan Navara al ministro degli Interni tunisino. Ma la lista non finisce qui. La Spagna, finanziata per oltre 4 milioni dal fondo europeo per l’Africa, EUTF, e attraverso l’agenzia governativa per la promozione delle politiche pubbliche, la Fundación Internacional y para Iberoamérica de Administración y Políticas Públicas (FIIAPP) nel 2018 ha fornito 75 Toyota hilux e oltre cento Land Cruiser allo stato del Marocco, gli stessi modelli fotografati negli scorsi mesi durante rastrellamenti operati dalla polizia marocchina per le strade delle città alla ricerca di migranti dalla pelle scura.
Nello stesso anno infine, la FIIAPP ha donato alla Mauritania almeno 9 fuoristrada, due autobus e ha provveduto alla riparazione di due centri di detenzione a Nouakchott, la capitale del paese, e Nouadhibou, città sulla costa. Entrambi questi punti sono snodi fondamentali in cui i migranti vengono portati prima di essere espulsi verso i confini desertici del Marocco o le zone di frontiera con il Mali, dove ancora imperversano conflitti armati.
A CONFERMARE IL TUTTO ci pensa un
Leggi tutto: Caccia ai migranti con i mezzi forniti da Roma e Bruxelles - di Fabio Papetti*
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