Danni e devastazioni in moltissime zone, evacuate centinaia di persone dalla Bassa Romagna al Riminese. A Bologna oggi scuole chiuse. C’è una vittima a Pianoro: il 20enne Simone Farinelli. Bimbo di 4 mesi salvato in elicottero. Ponti riaperti a Modena
Bologna, 21 ottobre 2024 - Migliaia di sfollati e una vittima: questo il tragico bilancio dell’alluvione senza precedenti che ha devastato gran parte della regione Emilia Romagna tra sabato 19 e domenica 20 ottobre, con particolare intensità nelle province di Bologna, Modena e Reggio Emilia. Le forti piogge, durate diverse ore, hanno causato l'esondazione di numerosi fiumi e torrenti, provocando danni ingenti: centinaia di case e attività commerciali sono state allagate o danneggiate, infrastrutture stradali e ferroviarie sono state gravemente compromesse, e vaste aree agricole sommerse. Purtroppo c'è stata anche una vittima, a Pianoro, nel Bolognese: il ventenne Simone Farinelli, travolto dalla piena mentre era in auto col fratello, che si è salvato. A Monterenzio (Bologna) un bambino di 4 mesi è stato salvato con la famiglia in elicottero. Nel capoluogo scuole chiuse oggi.
Nordio attacca la magistratura che «esonda» e annuncia «provvedimenti». Domani il decreto con cui Meloni intende piegare le toghe che osteggiano il suo piano albanese anti migranti e aprire lo scontro totale
Il nome della legge «I magistrati esondano» dice il ministro della Giustizia. Le decisioni prese da sei giudici, ma la destra attacca «la toga rossa» Albano. Soldi buttati per le deportazioni non riuscite, Iv e M5s alla Corte dei conti: «Danno erariale»
Udienza al Tribunale di Crotone per il naufragio di Steccato di Cutro – LaPresse
«Se la magistratura esonda dai propri poteri attribuendosi delle prerogative che non può avere, deve intervenire la politica che esprime la volontà popolare». In una giornata di fiumi che rompono gli argini e palombari chiamati a soccorrere automobilisti inabissati in città, forse Carlo Nordio avrebbe potuto scegliere un verbo migliore per il suo altolà alle toghe. Il senso del discorso, comunque, è chiaro: la sezione immigrazione del tribunale di Roma – che venerdì ha demolito il protocollo albanese che tanta fatica e tanti soldi è costato al governo – non la passerà liscia, l’affronto (perché così l’esecutivo considera l’applicazione della legge) non può restare impunito.
«Noi rispondiamo al popolo – ha detto ancora il ministro da Palermo -, se il popolo non è d’accordo con quello che facciamo noi andiamo a casa. La magistratura, che è autonoma e indipendente, non risponde a nessuno e quindi proprio per questo non può assumersi prerogative che sono squisitamente ed essenzialmente politiche». Ecco, squisitamente ed essenzialmente, Nordio ritiene che debba essere l’esecutivo a decidere quale paese sia sicuro e quale no, spacciando la cosa come se fosse una questione diplomatica: «Definire non sicuro un paese amico come il Marocco può anche creare dei problemi. Se noi ritenessimo che non sono sicuri i paesi dove vigono delle regole che noi abbiamo ripudiato come la pena di morte, allora anche gli Stati Uniti non sarebbero sicuri. Queste sono questioni di alta politica e non possono, non devono e non saranno lasciate alla magistratura».
L’ARGOMENTAZIONE su quella che definisce una «sentenza abnorme» potrebbe tornare utile per avere la meglio in qualche discussione su Facebook o su X, a patto naturalmente di non essere un ministro della Repubblica. Ma essendo Nordio un membro del governo in carica, e non avendo detto quanto sopra in un post con la foto di un gattino, le reazioni non possono che essere veementi. In una parola: «Dimissioni». Le chiedono le opposizioni in coro, a partire dal Pd e poi giù a cascata fino a M5s e Avs, passando per +Europa.
In effetti il confine della separazione dei poteri, a parole, è stato ampiamente superato e non regge più la giustificazione che Nordio ha sempre fatto il Nordio e non ha mai rinunciato a una polemica con i suoi ex colleghi in toga. Che, dal canto loro, quasi liquidano l’uscita con un’alzata di spalle.
Ieri a Pesaro, dove è in corso la rassegna Parole di giustizia, i molti esponenti di Magistratura democratica presenti hanno affrontato il tema con una battuta o poco più. «Eviteremo di mettere i calzini turchesi», ha detto al manifesto una famigerata toga rossa alludendo al mitologico caso Mesiano, il giudice della sentenza Fininvest-Cir a suo tempo messo in croce da Canale Cinque per il suo abbigliamento.
L’ARIA CHE TIRA, del resto, è quella. Al centro del mirino dei propagandisti filogovernativi c’è soprattutto una giudice della XVIII sezione civile di Roma che venerdì non ha
Leggi tutto: Nordio contro gli ex colleghi. Le opposizioni: «Si dimetta» - di Mario Di Vito
Commenta (0 Commenti)Crolla il «modello Albania». Il Tribunale di Roma applica la giustizia europea e ordina di riportare subito in Italia i migranti trasferiti nel campo di concentramento oltremare. Meloni furiosa per il fallimento attacca le toghe e annuncia l’ennesimo decreto. Deciderà lei cos’è uno «Stato sicuro»
Rimpatriota Il tribunale di Roma ordina il rientro in Italia di 12 migranti. Il governo farà ricorso. Le udienze con i maxischermi in un clima surreale. Sentenze basate sulla Corte di giustizia europea
I migranti deportati nel centro di Gjader – Luigi Quercetti
C’è un giudice a Roma. Si trova al secondo piano di viale Giulio Cesare 54/B, alla XVIII sezione civile del tribunale ordinario, quella per i diritti della persona e l’immigrazione. Qui ieri mattina non sono stati convalidati i trattenimenti dei dodici migranti provenienti da Bangladesh ed Egitto, soccorsi qualche giorno fa nel Mediterraneo dalla nave Libra della marina militare, sbarcati a Shengin e infine portati al centro di Gjader, in Albania.
Si tratta dei primi ospiti del campo costruito dal governo Meloni in accordo con il suo omologo di Tirana, Edi Rama.
Il soggiorno però è destinato a durare poco: già stamattina, per effetto di quanto deciso ieri dai giudici romani, i dodici faranno infatti ritorno in Italia.
Le sentenze, tutte uguali, sono chiarissime: perché un paese possa essere considerato sicuro, deve esserlo ovunque e per chiunque. E i paesi di provenienza dei dodici migranti (Egitto e Bangladesh) non lo sono. Il principio deriva da una sentenza emessa dalla Corte di giustizia europea lo scorso 4 ottobre.
COSÌ SCRIVE in un comunicato la presidente della XVIII sezione Luciana Sangiovanni: «Il diniego della convalida dei trattenimenti nelle strutture ed aree albanesi equiparate alle zone di frontiera o di transito italiane è dovuto all’impossibilità di riconoscere come paesi sicuri gli Stati di provenienza delle persone trattenute, con la conseguenza dell’inapplicabilità della procedura di frontiera e, come previsto dal protocollo, del trasferimento al di fuori del territorio albanese delle persone migranti, che hanno quindi diritto ad essere condotte in Italia».
Il diniego della convalida dei trattenimenti nelle strutture ed aree albanesi equiparate alle zone di frontiera o di transito italiane è dovuto all’impossibilità di riconoscere come paesi sicuri gli Stati di provenienza delle persone trattenuteLa presidente della XVIII sezione Luciana Sangiovanni
PRIMA di questa decisione, tra le
Leggi tutto: Deportazioni bloccate, stroncato il modello Albania - di Mario Di Vito Roma
Commenta (0 Commenti)Sciopero e corteo. Dopo trent’anni tornano in piazza uniti i metalmeccanici dell’auto. Contro Stellantis, che non investe e chiude, e contro le bugie del governo. Per la giusta transizione elettrica che salvaguardi il lavoro
Tempi Moderni Corteo da piazza Barberini a piazza del Popolo. Di nuovo unite Fim, Fiom e Uilm dopo la rottura dell'era Marchionne
Lo sciopero unitario dei lavoratori Stellantis a Torino lo scorso aprile
L’ultima volta accadde nel 1994. Questa mattina a Roma si ritroveranno tutti i lavoratori del settore auto in Italia. Fim, Fiom e Uilm hanno indetto lo sciopero generale con manifestazione nazionale e corteo da piazza Barberini (ritrovo ore 9,30) a piazza del Popolo al grido di “Cambiamo marcia: acceleriamo verso un futuro più giusto». Uno sciopero contro Stellantis, che continua ad annunciare cassa integrazione in tutti gli stabilimenti e ritarda gli investimenti, e contro il governo Meloni e il ministro Urso che dall’agosto 2023 annuncia un accordo con Stellantis per produrre un milione di veicoli senza mai averlo neanche trattato.
Il dramma della perdita del lavoro ha già colpito parecchie imprese della componentistica (Lear in testa) che lavoravano anche per i produttori tedeschi e i chiari di luna per Volkswagen delineano un quadro molto pesante: ci sono 2.400 aziende e 280 mila lavoratori in gran parte a rischio. Nel gruppo ex Fiat invece dal 2014 (era Marchionne) a oggi sono usciti ben 11.500 lavoratori e nel 2024 sono previste altre 3.800 uscite incentivate.
Nella recente audizione in parlamento, Tavares ha ribadito la richiesta di più incentivi per colmare il gap di costi fra le auto elettriche e quelle endotermiche pari al 40%. Ma è chiaro che l’Italia ha una sua specificità unica: solo qui c’è un calo di produzione del 66% negli ultimi 20 anni mentre imperversa l’italian automotive sounding: gli storici marchi vengono prodotti nell’Est europa o in Africa, vere delocalizzazioni.
La novità di oggi viene proprio dalla politica. Dopo decenni in cui il centro sinistra ha appoggiato Marchionne e il Jobs act, questa mattina in piazza ci saranno tutti i leader di partito, da Elly Schlein a Giuseppe Conte, da Nicola Fratoianni a Carlo Calenda (speriamo per lui non incontri operai ex Embraco).
La richiesta di Fim, Fiom e Uilm è di aprire una trattativa a palazzo Chigi per un piano straordinario che rilanci la produzione in Italia, ma Giorgia Meloni non ha mai risposto.
In piazza ci saranno anche i tre leader confederali Landini, Bombardieri e Sbarra in una pausa dalle divisioni che ripartiranno già da domani quando Cgil e Uil saranno sempre a piazza del Popolo per protestare per i tagli alla sanità e il mancato rinnovo dei contratti pubblici.
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Manovra Il governo annuncia la legge di bilancio da 30 miliardi. Ma la tassa sugli extra profitti delle banche è solo una partita di giro: 2,5 miliardi che lo Stato restituirà, dalla prossima legislatura. Scarsi i fondi in più alla sanità,
Manovra Giorgetti: «Non saranno contente dei sacrifici». Ma l’intesa soddisfa l’Abi. Opposizioni all’attacco, medici pronti alla protesta
Il ministro dell’Economia Giorgetti e il viceministro Leo alla conferenza stampa sul ddl Bilancio – LaPresse
«Orgogliosa e soddisfatta per una manovra seria e di buon senso»: così si proclama da Bruxelles Giorgia Meloni commentando la legge di bilancio da 30 e non 25 miliardi approvata dal consiglio dei ministri martedì sera, ma non ancora messa giù nero su bianco. A illustrarla in conferenza stampa, ieri mattina, sono stati il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e il viceministro Maurizio Leo. Il turno di Meloni arriverà lunedì prossimo, quando sarà lei a presentare il testo definitivo. Saranno passati due anni dalla nascita del suo governo: occasione d’oro per un consuntivo sul cui trionfalismo si può scommettere a colpo sicuro.
SULLA DESTINAZIONE di quei 30 miliardi non ci sono grandi sorprese. È stato un po’ alzato il tetto del taglio del cuneo, che diventa strutturale come l’accorpamento delle prime due aliquote Irpef ma per via indiretta: dai 35 mila euro ai 40 mila si procederà per detrazioni. La sanità prende poco, 900 milioni, ma che secondo il Mef vanno sommati allo stanziamento dell’anno scorso e si arriva a 2,366. L’opposizione l’ha presa male e gli operatori della Sanità anche peggio: i medici ospedalieri di Anaoo Assomed sono sul piede di guerra, «pronti alla protesta». Quattro miliardi e mezzo serviranno a finanziare il rinnovo dei contratti della Pubblica amministrazione. I bonus famiglia saranno condizionati alla presenza e al numero di figli: un po’ mussoliniano ma è anche vero che sulla minaccia costituita dalla crisi della natalità sono d’accordo tutti.
Il vero punto interrogativo riguardava però non la destinazione ma le coperture. Poco più di due miliardi arriveranno dai tagli lineari, però poi modulati caso per caso, ai ministeri, allargati anche ai vertici degli enti pubblici che non potranno guadagnare più del presidente del consiglio. Un miliardo arriverà dalle detrazioni degli sgravi fiscali, accettati di buon grado dal presidente di Confindustria Orsini anche perché su una somma di 120 miliardi tondi non è molto. Un altro dal contributo delle Assicurazioni, due e mezzo dalle banche e buona parte dello scontro politico si articola proprio intorno a questa voce. È vera tassa o almeno vero contributo? Le banche rinvieranno di due anni l’incasso dei crediti di imposta. Insomma un prestito ma senza interessi.
L’OPPOSIZIONE IN CORO non ha dubbi: «È una truffa, un imbroglio». Giorgetti la vede all’opposto: «Io li chiamo sacrifici. Le banche fanno bene a essere caute. Pescatori e operai saranno contenti. Le banche un po’ meno». La premier, che per inciso aveva escluso «sacrifici» e probabilmente Giorgetti ci tiene ad adoperare il termine anche per questo, sfodera toni opposti: «Non vogliamo dare il segnale che le banche siano degli avversari. Abbiamo fatto un lavoro con loro. È stata una collaborazione». Il vicepremier azzurro Antonio Tajani, che nelle settimane scorse si era qualificato come il gladiatore delle banche, concorda con la presidente del consiglio: «Abbiamo ottenuto quel che chiedeva Forza Italia: un accordo, non un’imposizione e non una tassa».
UNA PARTE DI RAGIONE ce l’hanno tutti ma Tajani e Meloni più di Giorgetti. La trattativa con le banche, conclusa domenica sera, è stata serrata e a tratti difficile. La strada indicata
Leggi tutto: Gioco di prestigio sulle banche. Meloni: «Non sono nemiche» - di Andrea Colombo
Commenta (0 Commenti)Migranti Von der Leyen scrive ai leader europei: «Hub per i rimpatri nei paesi terzi». Ma la stessa Commissione frena: «Serve una nuova legge»
Che l’accordo tra Roma e Tirana sui migranti le piacesse non ne ha mai fatto mistero. «E’ in linea con il diritto comunitario» aveva detto a dicembre Ursula von der Leyen, poco più di un mese dopo l’annuncio fatto a Palazzo Chigi da Giorgia Meloni insieme al primo ministro albanese Edi Rama. Ora che quel patto è diventato realtà e che i primi sedici migranti egiziani e bengalesi arrivano in Albania (lo sbarco è previsto per questa mattina nel porto di Schenjin) la presidente della Commissione Ue scrive ai leader europei in vista del consiglio europeo di domani chiedendo di lavorare per l’apertura di «hub per i rimpatri al di fuori dell’Ue, soprattutto in vista della nuova normativa sul rimpatrio». Hub da realizzare nei paesi terzi con i quali l’Ue ha accordi. Il protocollo Italia-Albania può quindi diventare un modello da seguire perché, spiega von der Leyen, «con l’avvio delle operazioni saremo anche in grado di trarre lezioni da questa esperienza nella pratica». Tanto più che la Commissione conta di arrivare entro l’anno prossimo a una revisione del «concetto di paesi terzi sicuri».
SU QUESTO PUNTO difficilmente la presidente della Commissione troverà forti opposizioni tra i capi di stato e di governo. Di hub per i rimpatri fuori dai confini europei, per dire, aveva parlato la scorsa settimana anche il premier ungherese Viktor Orbán nella sua veste di presidente di turno dell’Unione. Anche se va detto che quello che von der Leyen sembra avere in mente è molto diverso dal protocollo Italia-Albania che prevede il trasferimento nel Paese delle Aquile di migranti salvati in mare, persone quindi che non hanno mai messo piede in Italia. La necessità di von der Leyen sembra essere invece quella di trasferire in paesi terzi persone che già si trovano sul territorio dell’Unione. Non a caso ieri proprio un portavoce della Commissione ha preso tempo spiegando che, «al momento» la possibilità di rimpatriare in maniera forzata i migranti in paesi terzi «non è legalmente possibile». Perché questo accada, ha spiegato, «la legge Ue deve regolamentare il rimpatrio forzato in un paese terzo che non sia il paese di origine».
QUELLO DI DOMANI e venerdì è comunque un consiglio europeo che si annuncia tutt’altro che tranquillo, tanto che il tema immigrazione rischia di essere escluso dalle conclusioni del vertice. La possibilità di un fallimento è tale che Giorgia Meloni ha convocato un vertice con il premier olandese Dick Schoof e quello danese Mette Frederiksen proprio per
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