Crolla il «modello Albania» con cui l’Italia cerca di riempire di migranti i centri inutilmente costruiti oltremare. L’ennesimo rinvio alla Corte di Giustizia europea deciso dalla Cassazione è la bocciatura decisiva. Ma Meloni e Piantedosi vogliono insistere, contro leggi e buon senso
I ripetenti «Come ha fatto il manifesto ad avere accesso a questi provvedimenti?», si domanda il capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia evocando un possibile complotto dei giudici in combutta con questo giornale
Il capogruppo di Fratelli d’Italia Galeazzo Bignami alla Camera dei deputati – LaPresse
Al ministero della Giustizia l’imbarazzo è palpabile e la speranza quasi dichiarata è che Galeazzo Bignami non dia davvero seguito alla sua idea di interrogare Carlo Nordio per ottenere chiarimenti in merito alla notizia uscita ieri sul manifesto dei due rinvii della Cassazione alla Corte di giustizia Ue sui trattenimenti nei Cpr albanesi.
«Come ha fatto il manifesto ad avere accesso a questi provvedimenti?», si domanda il capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia evocando un possibile complotto dei giudici in combutta con questo giornale. In realtà bastava soltanto che un cronista facesse il suo lavoro, perché le due ordinanze di cui si parla sono uscite giovedì e da quel momento erano a disposizione delle parti interessate e di chiunque.
Tutte cose che in via Arenula sanno e che auspicano di non dover ribadire, anche perché da quelle parti la situazione già è piuttosto complicata tra la completa rivoluzione degli uffici andata in scena nelle scorse settimane e l’incudine del tribunale dei ministri che ha sentito diversi funzionari – e vorrebbe sentire anche il guardasigilli in persona – per la vicenda della scarcerazione del boia libico Osama Elmasry.
«SEMPRE IL MANIFESTO – parole ancora di Bignami sull’affaire Cpr – ha preannunciato che la Cassazione avrebbe diramato un comunicato al riguardo, cosa puntualmente avvenuta. Perché lo sapeva?». Qui un mistero in effetti c’è, ma è tutto nelle parole di Bignami: il comunicato che sarebbe stato «puntualmente» diramato, alla fine in realtà non è uscito in virtù del fatto che la notizia ormai era stata resa pubblica. Perché dirlo allora? Anche qui la risposta sembrerebbe essere la più semplice.
Il fratello d’Italia sa come si sta al mondo, o quantomeno come funziona il dibattito pubblico: se sei in un guaio, sparala grossa. In questo caso attaccare il manifesto e la Cassazione serve a coprire il fatto che i piani di deportazione dei migranti del governo sono andati per l’ennesima volta a sbattere davanti alla legge. La grancassa mediatica e social che suona da mesi non è bastata, né è servito a molto cambiare le composizioni dei tribunali e le competenze dei giudici: le manovre albanesi di Meloni continuano a non funzionare.
Bignami, insomma, ha cercato a modo suo di distogliere l’attenzione da un fatto che a questo punto vale la pena ribadire: la prima sezione penale della Cassazione ha rovesciato la sua precedente decisione di equiparare il Cpr di Gjader a quelli italiani e ha espresso qualche dubbio sulla conformità delle leggi varate a Roma con le normative europee.
«Nel caso in questione la normativa prevede un’udienza con l’intervento di pm e difensore – commenta Stefano Celli, esponente di Magistratura democratica nella giunta dell’Anm -. Alla fine la corte legge il dispositivo e gli interessati, oltre ad ascoltarlo, possono ottenerne copia e comunicarlo a chi vogliono. Non c’è nessun segreto e un
Leggi tutto: L’allergia alle notizie fa infuriare i meloniani - di Mario Di Vito
Commenta (0 Commenti)Una Corte Usa abbatte i dazi commerciali introdotti da Trump con i suoi ordini esecutivi. Il presidente ha abusato dei poteri emergenziali. Ma un’altra li rimette in piedi «temporaneamente». I mercati festeggiano, poi torna il caos. Il mondo sta a guardare. La Casa bianca: insisteremo
Il gioco del dazio La prima sentenza: non si può invocare una falsa «emergenza economica» per esautorare il Congresso. Ma lui la spunta in appello
Trump presenta i dazi nel Giardino delle rose – Ap
Dopo un botta e risposta serrato fra Donald Trump e i giudici, una corte d’appello federale ha autorizzato il tycoon ad andare avanti con l’applicazione dei dazi doganali rivolti a decine di paesi, ai sensi dell’International Emergency Economic Powers Act (Ieepa), una legge del 1977 che conferisce al presidente dei poteri di emergenza. Una vittoria per Trump, almeno per ora, mentre la sua amministrazione sta impugnando un’ordinanza che annulla la maggior parte delle sue politiche economiche.
LA CORTE D’APPELLO del Circuito Federale ha accolto una mozione d’urgenza dell’amministrazione Trump, sostenendo che la sospensione è «fondamentale per la sicurezza nazionale del Paese», dopo che due tribunali avevano deliberato per fermare l’applicazione dei dazi. Accogliendo la mozione d’urgenza dell’amministrazione Trump, la corte d’appello ha temporaneamente sospeso l’ordinanza emessa il giorno prima da una corte commerciale federale.
«La legge sui poteri di emergenza economica internazionale – aveva dichiarato il giudice della Corte distrettuale di Washington Rudolph Contreras – non autorizza il presidente a imporre i dazi previsti da quattro ordini esecutivi emessi all’inizio di quest’anno». La decisione di Contreras era arrivata meno di 24 ore dopo la sentenza espressa dalla Court of International Trader, la Corte del Commercio internazionale, un organo del sistema giudiziario federale con competenza specifica in materia di commercio, che per prima aveva deciso di bloccare i dazi imposti dal tycoon il 2 aprile scorso, nel cosiddetto «Giorno della liberazione».
CON LA DECISIONE si affermava che la Costituzione Usa conferisce il potere esclusivo di regolare il commercio con le altre nazioni al Congresso e che tale potere non è superato dal compito del presidente di salvaguardare l’economia. La sentenza era basata su due casi: quello intentato dal Liberty Justice Center che ha agito per conto di diverse piccole imprese che si occupano di importazioni e quello di una coalizione di governi statali. A deliberare era stato un collegio formato da tre giudici della Court of International Trade, nominati da presidenti diversi, tra i quali uno nominato proprio da Trump. Dopo la sentenza l’amministrazione Trump ha subito presentato ricorso alla Corte d’Appello per il Circuito Federale e il portavoce della Casa Bianca, Kush Desai, ha affermato polemicamente in un comunicato che le relazioni commerciali svantaggiose e sleali avevano già «decimato le comunità americane, lasciando indietro i nostri lavoratori e indebolendo la nostra base industriale di difesa, tutti fatti che la corte non ha contestato».
In realtà bastava analizzare chi fossero i ricorrenti di questo caso per entrare in una narrazione completamente diversa degli eventi. Nel primo caso si tratta di cinque piccoli imprenditori e di uno studio legale di stampo conservatore che si è fatto notare per le battaglie legali contro la chiusura delle scuole durante il lockdown e per quelle contro la sindacalizzazione di massa dei dipendenti pubblici.
IL LIBERTY JUSTICE CENTER ha sede ad Austin, in Texas, si descrive come una società libertaria senza scopo di lucro che «cerca di proteggere la
Commenta (0 Commenti)Niente sanzioni, no al ritiro dell’ambasciatore, nessuna obiezione all’accordo di cooperazione Ue con Israele e conferma del memorandum militare. Tajani in parlamento non va oltre una generica condanna delle stragi israeliane a Gaza. Nessun atto concreto. Netanyahu nemmeno nominato: l’Italia non lo molla
Il grande fardello Il ministro degli Esteri in Parlamento: «No a sanzioni a Tel Aviv, Italia in prima fila negli aiuti». Provenzano: «L’unico aiuto umanitario è fermare il massacro». Il leader di Fi cita l’antisemitismo rivolto alle opposizioni. Fratoianni: «Abita dalla vostra parte»
Il ministro degli Esteri Tajani alla Camera – Ansa
Montecitorio, sono quasi le 10 di mattina. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani prende la parola per dire che Israele sta esagerando, che dovrebbe fermarsi, che le morti di civili suscitano «un dolore immenso», «indignano le nostre coscienze».
«L’espulsione dei palestinesi da Gaza non sarà mai un’opzione accettabile», dice, dopo aver chiesto un minuto di silenzio per le vittime delle due parti.
LA PAROLA «NETANYAHU» non la nomina mai, elenca una lunga serie di interventi umanitari «coordinati dal governo», dall’invio di generi alimentari al ricovero in Italia di 133 bambini palestinesi, oltre all’evacuazione di 700 civili. Nei 20 minuti di intervento sembra, a chi ascolta, che Gaza sia stata colpita da una grave calamità naturale, e che l’Italia sia impegnata per portare soccorso. Guai a parlare di sanzioni, ritiro dell’ambasciatore a Tel Aviv o allo stop dell’accordo di cooperazione tra Ue e Israele (proposto da 17 paesi europei, non dall’Italia): «È essenziale mantenere aperto ogni canale con le autorità israeliane».
PEPPE PROVENZANO, responsabile esteri del Pd, lo ascolta allibito. Poi attacca: «Le sue parole forse erano buone 19 mesi fa, 50.000 morti fa, prima di 20.000 bambini bruciati vivi, morti di sete, di fame, di freddo, operati senza anestesia. L’unico vero aiuto umanitario, ministro, è fermare Netanyahu. Lei non è a capo di una organizzazione umanitaria ma della politica estera dell’Italia».
«Perché vi opponete alle sanzioni, persino a quelle contro i ministri fanatici di Israele?», incalza il deputato dem.
«Sospendete il memorandum di cooperazione militare, siate coerenti. È troppo tardi per le parole che non avete avuto il coraggio di pronunciare fin qui. Non bastano le nostre parole, figuriamoci le sue, timide, vaghe, inadeguate imbarazzate e imbarazzanti».
Il ministro sorride, dai banchi dem partono contestazioni: «Cosa ridi?». Lui poi si giustificherà: «Davanti agli insulti sorridevo perché sono un uomo di pace». Più tardi, durante un evento alla regione Lazio, Tajani sfodera gli artigli: «In Parlamento ci sono troppi cattivi maestri che incitano all’odio e non sanno quale influenza negativa possano avere sulle menti giovani e fragili: dire che siamo corresponsabili di migliaia di morti offende la verità».
ERA STATO LUI, PARLANDO alla Camera, a lanciare un allarme antisemitismo con lo sguardo rivolto ai banchi della sinistra: «Dico a chi fomenta l’antisemitismo per piccole, miopi convenienze di bottega “Fermatevi ora!”». Netta la replica di Nicola Fratoianni: «Basta con quell’allusione pelosa e insultante di guardare con qualche compiacenza all’insorgenza di antisemitismo: per noi quello è il peggiore dei mali e non credo che dalle parti della sua maggioranza tutti possano dire lo stesso».
E ancora: «Non fate fatica ad andare a dormire la sera? Non vi vergognate di fronte al fatto che, a differenza di tanti italiani, voi avreste il potere di fare qualche cosa? Invece avete scelto l’ignavia del silenzio, la vergogna della vigliaccheria, la
Leggi tutto: Tajani non scarica Netanyahu. Pd, Avs e 5S: «Siete complici» - di Andrea Carugati
Commenta (0 Commenti)Pochi e maledetti. Arrivano i primi aiuti nel sud della Striscia dove Israele vuole ammassare i sopravvissuti di Gaza. Che devono contenderseli, costretti in gabbie di filo spinato mentre a nord le bombe continuano a uccidere. L’Onu condanna: non c’è niente di umanitario
600 giorni di genocidio Decine di migliaia di palestinesi sfondano le barriere e prendono i pacchi alimentari, senza violenza. I contractor sparano, poi fuggono. Nei cartoni c’è pochissimo: un po’ di farina, pasta, sale, zucchero, tutti prodotti israeliani. Niente acqua
La folla prende d’assalto il centro Usa a Rafah – AP
«Non hanno cibo ed è il solo modo che hanno per sfamare i propri figli». Basta poco alla giornalista palestinese Hind Khoudary per spiegare le immagini che ieri giungevano da Tal el-Sultan, alle porte di Rafah: decine di migliaia di palestinesi, donne, uomini, ragazzini hanno assaltato uno dei due centri già operativi della Ghf, la Gaza Humanitarian Foundation, creatura nata dal più strutturale degli obiettivi militari e politici di Israele: la pulizia etnica dei palestinesi della piccola devastata enclave.
DAI RESOCONTI della stampa locale e dalle dichiarazioni ufficiali dell’organizzazione privata statunitense è possibile ricostruire quanto avvenuto: prima l’annuncio della distribuzione dei pacchi alimentari nel centro di Tal el-Sultan; poi una prima piccola folla di persone costretta (secondo le foto pubblicate su Israel Hayom) tra grate e filo spinato, lugubre memoria novecentesca; infine una massa che ha iniziato a sciamare, disperata, verso il centro iper-militarizzato.
Le persone hanno sfondato le barriere, sono entrate e hanno preso tra le braccia il più prezioso dei beni, un pacco misero (di prodotti israeliani, il profitto è un altro pezzo di questa storia di disumana crudeltà).
Non stupitevi, aveva avvertito l’Onu nei giorni scorsi, questa gente non riceve aiuti da oltre 90 giorni. Ciò che invece potrebbe stupire è l’assenza di violenza che emerge dai video: non c’è prevaricazione, c’è quasi «ordine» nell’esproprio legittimo, c’è rispetto, si prende un pacco e si lascia spazio alle famiglie che vengono dopo.
«Il caos completo» che descrive Khoudary è in capo ad altri: «Le forze (private statunitensi) hanno aperto il fuoco per disperdere i palestinesi». Il resto lo racconta la
Leggi tutto: Gaza 90 giorni senza cibo, assalto al centro Usa - di Chiara Cruciati
Commenta (0 Commenti) Nella foto: Palestinesi cercano di ottenere del cibo in una mensa comunitaria nella nella Striscia di Gaza – Abdel Kareem Hana/ AP
L’uso della fame come arma.
Oggi Lunedì Rosso è incentrato su Gaza, dove si assiste non solo a una guerra militare e a una conseguente tragedia umanitaria, ma a un momento cruciale di trasformazione nell’approccio alla questione dei popoli sottoposti a occupazione.
E poi: Cannes premia il valore dell’opera di Jafar Panahi e quello della lotta contro il regime iraniano.
Il referendum si avvicina e Gaetano Azzariti spiega perché è importante andare a votare.
Il Napoli vince il quarto scudetto e Valeria Parrella racconta il trionfo di un intero popolo.
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Cannes 78 Il premio più importante al dissidente Jafar Panahi per «Un simple accident», nato dalla prigionia in Iran. A Joachim Trier il Grand Prix della giuria, miglior regia a Kleber Mendoça Filho
Jafar Panahi con la Palma d'oro a Cannes – foto Ap
Quando Juliette Binoche si alza per dire che questa Palma viene assegnata non solo per ragioni «politiche» ma per la potenza del film, sappiamo già che la Palma d’oro della 78a edizione del Festival di Cannes è stata vinta da Jafar Panahi. Un simple accident è un «film clandestino» – come lo sono tutti quelli del regista iraniano che rifiuta di sottomettersi alle regole e alla censura del regime di Tehran – che per la prima volta ha potuto accompagnare dopo quattordici anni, il ritiro del passaporto, la condanna a non viaggiare e a non girare più film, la prigione. Panahi, quando le telecamere lo inquadrano insieme alla sua equipe, gli attori, le attrici in lacrime, sprofonda nella sedia, e sembra farsi piccolo fino a sparire, per poi alzarsi di scatto mentre la sala in piedi lo applaude all’infinito.
SUL PALCO, accanto a Cate Blanchett che gli consegna la Palma, gli occhiali scuri sempre sugli occhi, chiede il premesso di ringraziare la famiglia che c’è sempre stata anche «per tutto il tempo che non siamo stati insieme», e tutta l’equipe: «Mi hanno accompagnato e sostenuto durante l’intera lavorazione, senza un’equipe impegnata come lo sono loro questo film non sarebbe stato possibile». E con la voce emozionata ma ferma dice: «Credo che questo sia il momento di chiedere a tutti gli iraniani, anche a chi ha opinioni diverse, di mettere da parte le divisioni, le disparità per con concentrarci insieme su quello che è ora l’obiettivo più importante, e cioè il nostro Paese e la sua libertà. Non devono più ordinarci che fare, come vestirci, cosa dire. E questo vale anche per il cinema, che è una parte della società: nessuno deve dirmi che film fare».
Un simple accident – in Italia sarà distribuito da Lucky Red – è un riflessione sul regime iraniano oggi e un racconto morale di ciò che causa nei cittadini e cittadine che ne subiscono la violenza. Il film è teso, doloroso, duro: assume i suoi rischi fino in fondo che sono quelli di una presa pubblica di parola, e di una resistenza di cui lo stesso regista è divenuto simbolo dalla sua prima condanna, nel 2010, fino all’arresto, rinchiuso per mesi nel 2022 nel carcere di Evin, dove inizia uno sciopero della fame mandando fuori questo messaggio: «Andrò avanti fino a che il mio corpo anche senza vita uscirà da questa prigione».
È DUNQUE politica questa Palma, e non c’è timore a dirlo, magari pensando di «diminuire» il valore del film, lo è perché mette al centro una lotta di liberazione che vede le donne iraniane protagoniste, e che nella rivoluzione in atto dall’assassinio di Mahsa Amini, la ragazza uccisa dalla polizia morale perché indossava «male» il velo, ha cambiato profondamente la realtà. Ed è un riconoscimento al lavoro simbolico degli artisti e delle artiste che non si tirano indietro, che resistono e chiedono a voce alta un cambiamento collettivo.
È stato un festival attraversato dal mondo in fiamme questo Cannes 78, da prima dei suoi inizi con l’uccisione di Fatma Hassona la giovane fotografa e giornalista palestinese, protagonista di Put Your Soul On Your Hand and Walk, che ha messo in movimento una serie di iniziative per rompere il silenzio sul genocidio a Gaza sempre più
Leggi tutto: Cannes 78, una Palma politica per il cinema che resiste - di Cristina Piccino CANNES
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