Pochi e maledetti. Arrivano i primi aiuti nel sud della Striscia dove Israele vuole ammassare i sopravvissuti di Gaza. Che devono contenderseli, costretti in gabbie di filo spinato mentre a nord le bombe continuano a uccidere. L’Onu condanna: non c’è niente di umanitario
600 giorni di genocidio Decine di migliaia di palestinesi sfondano le barriere e prendono i pacchi alimentari, senza violenza. I contractor sparano, poi fuggono. Nei cartoni c’è pochissimo: un po’ di farina, pasta, sale, zucchero, tutti prodotti israeliani. Niente acqua
La folla prende d’assalto il centro Usa a Rafah – AP
«Non hanno cibo ed è il solo modo che hanno per sfamare i propri figli». Basta poco alla giornalista palestinese Hind Khoudary per spiegare le immagini che ieri giungevano da Tal el-Sultan, alle porte di Rafah: decine di migliaia di palestinesi, donne, uomini, ragazzini hanno assaltato uno dei due centri già operativi della Ghf, la Gaza Humanitarian Foundation, creatura nata dal più strutturale degli obiettivi militari e politici di Israele: la pulizia etnica dei palestinesi della piccola devastata enclave.
DAI RESOCONTI della stampa locale e dalle dichiarazioni ufficiali dell’organizzazione privata statunitense è possibile ricostruire quanto avvenuto: prima l’annuncio della distribuzione dei pacchi alimentari nel centro di Tal el-Sultan; poi una prima piccola folla di persone costretta (secondo le foto pubblicate su Israel Hayom) tra grate e filo spinato, lugubre memoria novecentesca; infine una massa che ha iniziato a sciamare, disperata, verso il centro iper-militarizzato.
Le persone hanno sfondato le barriere, sono entrate e hanno preso tra le braccia il più prezioso dei beni, un pacco misero (di prodotti israeliani, il profitto è un altro pezzo di questa storia di disumana crudeltà).
Non stupitevi, aveva avvertito l’Onu nei giorni scorsi, questa gente non riceve aiuti da oltre 90 giorni. Ciò che invece potrebbe stupire è l’assenza di violenza che emerge dai video: non c’è prevaricazione, c’è quasi «ordine» nell’esproprio legittimo, c’è rispetto, si prende un pacco e si lascia spazio alle famiglie che vengono dopo.
«Il caos completo» che descrive Khoudary è in capo ad altri: «Le forze (private statunitensi) hanno aperto il fuoco per disperdere i palestinesi». Il resto lo racconta la
Leggi tutto: Gaza 90 giorni senza cibo, assalto al centro Usa - di Chiara Cruciati
Commenta (0 Commenti) Nella foto: Palestinesi cercano di ottenere del cibo in una mensa comunitaria nella nella Striscia di Gaza – Abdel Kareem Hana/ AP
L’uso della fame come arma.
Oggi Lunedì Rosso è incentrato su Gaza, dove si assiste non solo a una guerra militare e a una conseguente tragedia umanitaria, ma a un momento cruciale di trasformazione nell’approccio alla questione dei popoli sottoposti a occupazione.
E poi: Cannes premia il valore dell’opera di Jafar Panahi e quello della lotta contro il regime iraniano.
Il referendum si avvicina e Gaetano Azzariti spiega perché è importante andare a votare.
Il Napoli vince il quarto scudetto e Valeria Parrella racconta il trionfo di un intero popolo.
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Cannes 78 Il premio più importante al dissidente Jafar Panahi per «Un simple accident», nato dalla prigionia in Iran. A Joachim Trier il Grand Prix della giuria, miglior regia a Kleber Mendoça Filho
Jafar Panahi con la Palma d'oro a Cannes – foto Ap
Quando Juliette Binoche si alza per dire che questa Palma viene assegnata non solo per ragioni «politiche» ma per la potenza del film, sappiamo già che la Palma d’oro della 78a edizione del Festival di Cannes è stata vinta da Jafar Panahi. Un simple accident è un «film clandestino» – come lo sono tutti quelli del regista iraniano che rifiuta di sottomettersi alle regole e alla censura del regime di Tehran – che per la prima volta ha potuto accompagnare dopo quattordici anni, il ritiro del passaporto, la condanna a non viaggiare e a non girare più film, la prigione. Panahi, quando le telecamere lo inquadrano insieme alla sua equipe, gli attori, le attrici in lacrime, sprofonda nella sedia, e sembra farsi piccolo fino a sparire, per poi alzarsi di scatto mentre la sala in piedi lo applaude all’infinito.
SUL PALCO, accanto a Cate Blanchett che gli consegna la Palma, gli occhiali scuri sempre sugli occhi, chiede il premesso di ringraziare la famiglia che c’è sempre stata anche «per tutto il tempo che non siamo stati insieme», e tutta l’equipe: «Mi hanno accompagnato e sostenuto durante l’intera lavorazione, senza un’equipe impegnata come lo sono loro questo film non sarebbe stato possibile». E con la voce emozionata ma ferma dice: «Credo che questo sia il momento di chiedere a tutti gli iraniani, anche a chi ha opinioni diverse, di mettere da parte le divisioni, le disparità per con concentrarci insieme su quello che è ora l’obiettivo più importante, e cioè il nostro Paese e la sua libertà. Non devono più ordinarci che fare, come vestirci, cosa dire. E questo vale anche per il cinema, che è una parte della società: nessuno deve dirmi che film fare».
Un simple accident – in Italia sarà distribuito da Lucky Red – è un riflessione sul regime iraniano oggi e un racconto morale di ciò che causa nei cittadini e cittadine che ne subiscono la violenza. Il film è teso, doloroso, duro: assume i suoi rischi fino in fondo che sono quelli di una presa pubblica di parola, e di una resistenza di cui lo stesso regista è divenuto simbolo dalla sua prima condanna, nel 2010, fino all’arresto, rinchiuso per mesi nel 2022 nel carcere di Evin, dove inizia uno sciopero della fame mandando fuori questo messaggio: «Andrò avanti fino a che il mio corpo anche senza vita uscirà da questa prigione».
È DUNQUE politica questa Palma, e non c’è timore a dirlo, magari pensando di «diminuire» il valore del film, lo è perché mette al centro una lotta di liberazione che vede le donne iraniane protagoniste, e che nella rivoluzione in atto dall’assassinio di Mahsa Amini, la ragazza uccisa dalla polizia morale perché indossava «male» il velo, ha cambiato profondamente la realtà. Ed è un riconoscimento al lavoro simbolico degli artisti e delle artiste che non si tirano indietro, che resistono e chiedono a voce alta un cambiamento collettivo.
È stato un festival attraversato dal mondo in fiamme questo Cannes 78, da prima dei suoi inizi con l’uccisione di Fatma Hassona la giovane fotografa e giornalista palestinese, protagonista di Put Your Soul On Your Hand and Walk, che ha messo in movimento una serie di iniziative per rompere il silenzio sul genocidio a Gaza sempre più
Leggi tutto: Cannes 78, una Palma politica per il cinema che resiste - di Cristina Piccino CANNES
Commenta (0 Commenti)In Briciole L'appello raccolto in decine di piazze. Aderiscono anche Anpi, Arci, Cgil e oltre 200 comuni
L'iniziativa a Roma – Zuma Press
Cinquantamila sudari bianchi, tanti quanti le vittime palestinesi nei quasi 600 giorni di offensiva israeliana sulla Striscia di Gaza, esposti dalle finestre e nelle piazze di tutta Italia. «Dobbiamo continuare ad affermare la lingua della denuncia e della richiesta di giustizia. A renderla simbolo di una comunità di uomini e donne che si oppongono al genocidio» si legge nel comunicato, promosso da intellettuali, scrittori e giornalisti che già lo scorso 9 maggio, in occasione della giornata dell’Europa, avevano lanciato l’appello «L’ultimo giorno di Gaza».
«IL SIMBOLO dei corpi ammazzati a Gaza è un lenzuolo bianco il segno estremo della pietà che ricopre il corpo martoriato. Riempiamo l’Italia di sudari, di pietà. Fermiamo la strage» si legge ancora nell’appello, raccolto ieri da decine di piazze. A Roma la manifestazione si è svolta in piazza Vittorio Emanuele, dove i lenzuoli bianchi sono stati stesi a terra. I manifestanti si sono poi sdraiati su questi, mentre la scrittrice Paola Caridi leggeva l’ultima poesia scritta da Refat Alareer, intellettuale e poeta palestinese ucciso a Gaza da un bombardamento israeliano il 6 dicembre 2023: «Se dovessi morire, tu devi vivere, per raccontare la mia storia». «La rilevanza di un appuntamento come questo è compattare una voce, che prima era solo un sussulto, che dice che non possiamo sostenere un genocidio a Gaza. Ed è anche una pressione sui governi perché attuino sanzioni su Israele e la giustizia internazionale possa fare il suo corso» ha commentato Caridi. Nella Capitale un altro appuntamento della campagna si è svolto nel centro culturale curdo Ararat, e a palesare la propria indignazione è stata anche la statua del Pasquino, vicino piazza Navona, da secoli bacheca satirica dei romani contro i potenti: «Chi vede er massacro ‘n Palestina e nun dice gnente non venga a dimme d’esse umano che è indecente».
A MILANO la manifestazione si è svolta in piazza Castello, dove centinaia di persone si sono silenziosamente avvolte nei lenzuoli. Ancora flash mob a Palermo, in piazza Politeama, all’isola d’Elba, dove i sudari sono stati esposti sulla spiaggia e a Sesto Fiorentino, dove al termine di un corteo partecipato da più di 90 tra associazioni, partiti e sindacati, è intervenuta Micaela Frulli, docente universitaria di diritto internazionale tra le promotrici dell’appello.
ANCHE Anpi, Arci e Cgil hanno partecipato alla campagna, e il sindacato ha esposto sudari dai balconi delle proprie sedi in tutta Italia. Con loro anche 200 comuni, che si sono fatti avanti in modo spontaneo, come ha spiegato Tomaso Montanari: lenzuola bianche sono scese tra gli altri dai municipi di Roma, Firenze (in Toscana un sudario è stato appeso fuori anche dal palazzo della Regione), Vicenza, Padova e Milano, dove ha aderito anche l’università Statale. L’iniziativa di Palazzo Marino è stata commentata polemicamente dalla Brigata ebraica: il direttore del museo della Brigata ebraica Davide Romano ha attaccato l’adesione come divisiva: «Registro che Sala non vuole essere più il sindaco di tutti, ma solo di una parte della città» ha detto.
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A Gaza è assalto ai forni: i palestinesi senza cibo da 81 giorni combattono per un po’ di pane. Da domenica solo 115 camion di aiuti, «un cucchiaino da tè quando serve un’alluvione», denuncia l’Onu. Israele bombarda le guardie che proteggono i convogli. Un mix di politiche crudeli per distruggere ed espellere
In briciole Solo 115 camion di aiuti entrati da domenica, la gente combatte per un po’ di pane. Il cibo utilizzato come arma per disintegrare la società e spingere i palestinesi a sud. Saccheggiati 15 tir, Unrwa: «Non stupitevi». Un raid israeliano colpisce gli agenti che proteggevano un convoglio, sei uccisi. 50 ammazzati a Jabaliya
La folla di palestinesi affamati all’unico forno aperto ieri a Nuseirat, Gaza
Ayah ha fame. Non trova le parole per descrivere cosa significhi. «Non sono capace di dire che vuol dire essere affamati per così tanto tempo, vivere in luoghi sovraffollati di persone disperate», ci dice. «La fame è così profonda, sembra di toccarla». Parla da Khan Younis, profondo sud di Gaza. È al suo quarto sfollamento.
Le famiglie mandano avanti i più giovani a fendere un varco in mezzo alla folla, le braccia alte sopra la testa, le mani aperte per afferrare una busta di plastica trasparente con dieci pite dentro. Quelle buste chiuse con un nodo così stretto che non si slaccia mai, appannate dal calore del pane appena sfornato, sono ciò che di più quotidiano c’è in Palestina; oggi sono quasi una visione, un miraggio. Succede a Deir al-Balah e a Nuseirat, nel centro-nord della Striscia: qui giovedì è arrivata la prima farina dopo 81 giorni senza aiuti.
I FORNI HANNO lavorato a ritmi forzati per tutta la notte, i panettieri non hanno concesso ai loro corpi nemmeno un minuto di riposo per sfornare più pagnotte possibile. Fuori la folla cresceva, si moltiplicava, diventava una massa unica di persone. Sui volti smagriti e pallidi si legge l’urgenza di una missione: una busta significa che oggi la tua famiglia mangerà qualcosa, niente che basti a soddisfare un vuoto grande due mesi e mezzo.
A Nuseirat dei ragazzi si arrampicano sui muri, altri sulle spalle delle persone in fila. C’è un buco sul muro: la panetteria non ha aperto le porte, è troppo pericoloso, verrebbe travolto. I fornai passano le buste di pite attraverso la piccola breccia, non le vedono nemmeno le facce di chi sta al di là, solo mani che afferrano. Non c’è un centimetro libero tra un corpo e l’altro.
La fame sembra di toccarla, insieme all’urgenza e al senso di umiliazione che sale sopra le teste di quella massa informe. E invece sono volti, anime, persone tramutate in meri corpi che anelano un minimo di sollievo ai morsi dello stomaco e alla vergogna di non poter sfamare i propri figli, che piangono per il dolore, perché la fame è fisica, sembra di toccarla.
Israele ha reso palese da mesi l’uso politico che fa degli aiuti umanitari e del divieto a farli entrare. Domenica scorsa l’annuncio tanto atteso: il governo aveva
Leggi tutto: Assalto ai forni, Gaza affamata e umiliata. Onu: «Crudeltà» - di Chiara Cruciati
Commenta (0 Commenti)Decisione storica della Corte costituzionale: sono madri entrambe le donne che in coppia scelgono di avere un figlio con la procreazione assistita. Si può fare solo all’estero e resta il divieto alle single, ma la legge può farlo cadere. Piegato l’accanimento omofobo del governo
Non ce n'è una sola Storica sentenza sulla procreazione assistita. Governo sconfessato. La Corte è intervenuta su un caso sollevato a Lucca. Cambia la legge 40, nulla la circolare di Piantedosi. Confermato, però, il divieto di procreazione assistita per le single.
Due madri abbracciano il figlio, indossando le magliette dell'associazione Famiglie Arcobaleno – Getty
Due sentenze consecutive della Corte costituzionale restituiscono un quadro in chiaroscuro sulla procreazione medicalmente assistita. Più chiaro che scuro, comunque, perché la sentenza numero 68 che dichiara incostituzionale il divieto per le madri non biologiche di riconoscere il proprio figlio pesa di più della sentenza numero 69, che proclama la «non manifesta irragionevolezza» di non consentire l’accesso alla pma da parte delle donne single.
NELLO SPECIFICO, la sentenza numero 68 va a guardare all’articolo 8 della legge 40 del 2004 e lo dichiara «costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che pure il nato in Italia da donna che ha fatto ricorso all’estero, in osservanza delle norme ivi vigenti, a tecniche di procreazione medicalmente assistita ( ha lo stato di figlio riconosciuto anche della donna che, del pari, ha espresso il preventivo consenso al ricorso alle tecniche medesime e alla correlata assunzione di responsabilità genitoriale». La pronuncia della Consulta nasce dalla questione di legittimità sollevata dal tribunale di Lucca sul caso di due mamme di una bambina di tre anni e uno di due: la prima riconosciuta, il secondo no, in quanto nato dopo la circolare del ministro dell’Interno Piantedosi che ne vietava proprio il riconoscimento. La Corte ha ritenuto che questo impedimento non garantisce il miglior interesse del minore e costituisce quindi violazione dell’articolo 2 della Costituzione (per la lesione dell’identità personale del nato e del suo diritto a vedersi riconosciuto sin dalla nascita uno stato giuridico certo e stabile), dell’articolo 3 (per la irragionevolezza dell’attuale disciplina che non trova giustificazione in assenza di un controinteresse di rango costituzionale) e dell’articolo 30 (perché lede i diritti del minore a vedersi riconosciuti, sin dalla nascita e nei confronti di entrambi i genitori, i diritti connessi alla responsabilità genitoriale e ai conseguenti obblighi nei confronti dei figli).
DUE I RILIEVI su cui si fonda questa decisione. La responsabilità che deriva dall’impegno comune che una coppia si assume nel momento in cui
Leggi tutto: La Consulta dice sì: esistono famiglie con due madri - di Mario Di Vito
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