Scendono con i polsi legati dalla enorme nave militare che li ha trasportati in Albania. Sono appena in 40, raccolti come pacchi nei Cpr solo per riempire un po’ le gabbie al di là del mare. È la prima deportazione di migranti dal territorio italiano
La scenda del crimine La nave Libra è arrivata ieri a Shengjin. Sul mezzo militare c’erano un’ottantina di agenti. Ad attendere in banchina i reparti anti-sommossa. Nessuna comunicazione ufficiale su nazionalità e status giuridico. Opposizioni all’attacco, maggioranza in silenzio
Migranti trasportati dalla nave militare italiana Libra nel porto di Shengjin, in Albania – Malton Dibra / Epa
La prima deportazione collettiva di migranti dal territorio italiano al Cpr in Albania è andata in porto. Intorno alle 16 di ieri la nave militare Libra, che qualche ora prima aveva mollato gli ormeggi da Brindisi, è arrivata nel porto di Shengjin. Ad attenderla sul molo c’erano una quarantina di agenti di polizia, carabinieri e guardia di finanza. Scudi in mano e caschi al lato, in assetto anti-sommossa. Altri 80 erano a bordo. I cittadini stranieri sono stati fatti scendere con le fascette ai polsi, un agente davanti, uno accanto e uno dietro con una sacca in mano, contente forse gli oggetti personali del trattenuto.
«LA SCENA ci ha fatto subito pensare alle deportazioni ordinate da Trump. C’è stata una dimensione simbolica più esplicita delle altre volte», afferma Francesco Ferri, del Tavolo asilo e immigrazione (Tai). «Immagini vergognose che mostrano quello che l’Italia sta facendo alle persone e ai diritti fondamentali», commenta l’eurodeputata Cecilia Strada, eletta da indipendente con il Pd. Sui migranti ammanettati non ha voluto rilasciare alcun commento la Commissione Ue, che ribadisce di non ritenere il progetto albanese in contrasto con il diritto comunitario e di stare accelerando per arrivare presto alla lista comune dei paesi sicuri.
Sull’operazione di ieri le autorità italiane non hanno dato comunicazioni ufficiali. Quaranta persone sono state prelevate da molti dei Cpr operativi sul territorio nazionale, ma non da quelli di Trapani e Macomer. Non si conoscono però le nazionalità, né i dettagli dello status giuridico. Tutte informazioni che verificherà oggi Strada in un’ispezione a Gjader per parlare con i trattenuti. «Ci è stato detto che i rispettivi avvocati non sono stati informati di nulla», afferma l’europarlamentare. «Per i trasferimenti dei detenuti tra i penitenziari non c’è l’obbligo di comunicazione alla difesa, ma visto che in questo caso lo spostamento è avvenuto verso l’estero sarebbe stato corretto informare i legali affinché il diritto di difesa fosse stato tutelato dall’inizio», dice l’avvocato Gennaro Santoro, di ritorno dall’Albania.
A QUANTO RISULTA al manifesto – in attesa di conferma ufficiale – almeno tre persone sarebbero state prelevate dal
Leggi tutto: Ammanettati e “scaricati”. I primi 40 deportati dall’Italia - di Giansandro Merli
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Stallo e strisce Ieri vertice Washington-Mosca a Istanbul e coalizione per l’Ucraina a Bruxelles. Oggi gruppo di contatto Nato a Ramstein. Ufficializzate le dimissioni di Bridget Brink, ambasciatrice americana a Kiev. Kallas: «Dobbiamo chiarire i nostri obiettivi, perché un conto è il peace-keeping, un altro la deterrenza»
La coalizione dei volenterosi riunita al Palazzo dell’Elysee a Parigi a marzo – Ludovic Marin /Ansa
Senza la copertura degli Stati uniti la coalizione dei volenterosi è su un binario morto. È questa la vera notizia uscita dal vertice che si è tenuto ieri al quartier generale della Nato di Bruxelles al quale hanno partecipato i ministri della Difesa di 30 Paesi. Un gruppo riunito da Francia e Gran Bretagna, fondatori e presidenti di questo formato, che si è dato come obiettivo la difesa dell’Ucraina post-bellica. Ma a quale prezzo? Domanda amletica, alla quale gli alti funzionari riuniti ieri non sono riusciti neanche stavolta a dare una risposta.
«DOBBIAMO chiarire quali sono i nostri obiettivi in Ucraina perché un conto è una missione di peace-keeping, un altro il monitoraggio o la deterrenza: i vari Paesi hanno sensibilità diverse su questo punto» ha dichiarato Kaja Kallas, l’Alto rappresentante dell’Ue per la politica estera. Il piano che porta il suo nome per l’invio di forniture militari a Kiev su base volontaria si era già arenato durante l’ultima riunione del gruppo e ieri non se ne è parlato per niente.
Ma il punto resta: se l’Ue, Parigi e Londra non avranno assicurazioni da Washington, i «volenterosi» dovranno sciogliersi, o perlomeno ridimensionarsi fortemente. Non sarebbe una novità, si tratta di una pratica che in inglese si definisce Backstop, ovvero, come si legge sul sito della Treccani, «Il sistema di sicurezza e di garanzia costituito dall’attività militare e di intelligence statunitense a sostegno di truppe appartenenti a nazioni europee, impegnate in operazioni di pace o di stabilizzazione in un contesto di conflitto internazionale».
In altri termini: la Casa bianca accetterà di condividere le informazioni provenienti dai suoi satelliti con il comando della coalizione? Gli altri mezzi «strategici» saranno messi a disposizione dei reparti occidentali e in caso di attacco russo scatterà la copertura aerea dell’aeronautica e del sistema missilistico a stelle e strisce? Se si passeranno tutte le linee rosse, Trump si impegnerà in una guerra diretta con Mosca? Tutte domande alle quali, al momento, la Casa bianca non ha
Leggi tutto: Volenterosi al palo senza l’appoggio Usa - di Sabato Angieri
Commenta (0 Commenti)Torna il lavoro minorile. In Florida si discutono due leggi per consentire mansioni usuranti e turni notturni a 13 anni. Spacciate per «avviamento» degli adolescenti ai mestieri, servono a riempire i vuoti lasciati dai migranti deportati
Adolescence Due proposte di legge per regolamentare il lavoro minorile fino a 13 anni. Per mansioni usuranti, turni notturni e oltre le 8 ore
Un ragazzo guida il trattore nella fattoria di famiglia – Jim Suhr/Ap
In Florida si stanno discutendo in questi giorni due proposte di legge che riguardano la regolamentazione del lavoro minorile. Secondo queste leggi, i ragazzi a partire dai quattordici anni potrebbero lavorare su turni superiori a otto ore senza pause pranzo, oppure svolgere mansioni usuranti in turni di notte, dalle undici di sera alle sei del mattino, in qualsiasi giorno della settimana anche durante l’anno scolastico. Inoltre, anche i tredicenni potranno essere assunti legalmente a patto che abbiano già finito le scuole medie e che compiano gli anni entro il 31 dicembre. Questo avviene in uno Stato in cui la media dell’abbandono scolastico è del 20% (in alcune contee supera il 40%), oltre ottantamila minori sono già impiegati come lavoratori e le violazioni delle leggi sul lavoro minorile sono più che triplicate negli ultimi sei anni.
I PROVVEDIMENTI sono stati presentati da Monique Miller, membra del Senato della Florida, come «un modo per ridurre le barriere che impediscono agli adolescenti di imparare un mestiere e di prepararsi alla vita». La stessa Miller ha dichiarato che a spingere per l’inserimento della norma sull’assunzione dei tredicenni sarebbe stato Randy Fine, repubblicano neoeletto al Congresso e fedelissimo di Trump. Secondo Miller, «la moglie di Fine ha chiamato e ha detto: “Nostro figlio vuole poter lavorare durante l’estate. Questo ha perfettamente senso, ma sfortunatamente il suo compleanno è alla fine dell’anno: è possibile permettergli non perdere l’estate per lavorare?”».
IN REALTÀ, al netto degli interessi personali di Fine, i repubblicani vedono questi provvedimenti come parte di un processo per riempire il vuoto lasciato dalle espulsioni di migranti irregolari, impiegati a migliaia in tutto lo Stato. A partire dal 2023 i datori di lavoro sono obbligati a verificare lo status di immigrato regolare dei propri dipendenti e di notificarlo al governo locale, pena una multa di mille dollari al giorno fino all’adempimento della richiesta. Questo, insieme agli ultimi provvedimenti di Trump, ha spinto ad andarsene molti fra gli irregolari non ancora deportati. L’idea dei repubblicani è di sostituire questi migranti, che spesso svolgevano lavori notturni, sottopagati, senza diritti, con giovane manodopera locale. A metterlo in chiaro è stato lo stesso Ron DeSantis, governatore della Florida, durante un incontro con Tom Homand, lo “zar del confine” di Trump, l’uomo a capo di tutto il programma di deportazioni. Ospite del New College of Florida, DeSantis ha affermato: «Perché importare stranieri, anche illegalmente, quando i ragazzi e gli studenti universitari dovrebbero essere in grado di fare questi lavori?».
DEL RESTO, la stessa Monique Miller ha un retroterra politico molto chiaro, che regala un contesto ideologico a queste proposte. La senatrice repubblicana fa
Leggi tutto: Manca manodopera migrante. Florida: «Lavorino i bambini» - di Davide Longo TALLAHASSEE
Commenta (0 Commenti)E fu sera e fu mattina, terzo giorno: sotto i dazi biblici di Trump le borse crollano di nuovo, già bruciati 10mila miliardi. «Siate coraggiosi, ci arricchiremo»: il presidente tira dritto, minaccia la Cina, attacca i primi prudenti contro-dazi della Ue. L’escalation è già in corso
Andrà tutto bene S&P crolla (e poi recupera), miliardi bruciati con una fake news sull’intenzione del presidente di mettere in pausa le tariffe per 90 giorni
Un trader della borsa di New York foto Seth Wenig/Ap
La settimana azionaria ha registrato il terzo giorno consecutivo di disastro economico, e dopo aver visto precipitare le borse asiatiche ed europee,anche le azioni americane sono crollate durante un lunedì frenetico. Per tutto il giorno Wall Street è entrata ed uscita dal rosso mentre disordini causati dall’attacco di Donald Trump al commercio mondiale entravano nella seconda settimana di instabilità.
L’S&P 500 ha oscillato per tutto il giorno verso il bear market mentre Trump ripeteva di non avere alcuna intenzione di fare marcia indietro sulla guerra commerciale dichiarata al mondo intero la scorsa settimana. A mezzogiorno ora di New York l’S&P, che già usciva dalla sua settimana peggiore da marzo 2020, quando il Covid aveva iniziato a far crollare l’economia globale, era sceso dell’1,4% nelle contrattazioni, il Dow Jones dell’1,9%, e il Nasdaq dell’1,1%.
UNO DEGLI SCOSSONI maggiori è arrivato dopo l’annuncio di Trump, che ha cominciato la giornata minacciando di imporre un ulteriore dazio del 50 % sulla Cina, alzando l’asticella dello scontro in rappresaglia con la risposta cinese alla tassa sulle importazioni messa in atto della Casa bianca . «Se la Cina non ritira il suo aumento del 34% rispetto ai suoi abusi commerciali entro domani, 8 aprile 2025, gli Stati uniti imporranno tariffe aggiuntive alla Cina del 50%, a partire dal 9 aprile», ha affermato Trump su Truth Social.
Il messaggio del tycoon ha dato una nuova accettata al mercato: il Dow Jones, l’S&P 500 e il Nasdaq, che erano già tutti in ribasso, ma avevano recuperato un po’ di terreno dopo il forte calo all’apertura, hanno visto evaporare quel piccolo recupero.
In realtà i mercati avevano recuperato anche a causa di un malinteso causato da una dichiarazione di un certo Walter Bloomberg, che non ha niente a che spartire con l’agenzia di notizie tranne l’omonimia, e che ha fatto il giro dei social. Citando il direttore del Consiglio economico nazionale Usa Kevin Hassett, Bloomberg ha affermato che Trump fosse pronto a uno stop di 90 giorni nei dazi. In risposta, il mercato è salito vertiginosamente, registrando un’impennata dell’8,5% in 34 minuti. In realtà Hassett, intervistato dalla Fox aveva usato «si» come intercalare a una domanda su una pausa di 90 giorni. La smentita lapidaria («Sbagliato. Notizia falsa») è arrivata a tempo record dalla Casa Bianca attraverso Rapid Response 47, l’account social media dell’amministrazione Trump su X, e i mercati sono tornati a crollare. «Un’azione di mercato folle – ha scritto Joe Weisenthal, che gestisce il podcast Odd Lots di Bloomberg (quello vero) – Il mercato è esploso salendo dopo un’affermazione attribuita a Kevin Hassett. Ora che nessuno riesce a capire da dove provenga l’affermazione, i mercati stanno di nuovo crollando.
Un’impennata dell’8% e poi un crollo del 3,5% nel giro di pochi secondi».
QUESTO EPISODIO è il termometro del caos e della disperazione che serpeggia nei
Leggi tutto: Dazi, borse in picchiata - di Marina Catucci NEW YORK
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Arcobaleno Alla manifestazione di Roma si ritrova un popolo variegato Il leader pentastellato ringrazia «chi c’è e non la pensa come noi»
«Siamo centomila», dice Giuseppe Conte salutando la folla. La piazza contro il riarmo e per le spese sociali indetta dal Movimento 5 Stelle è un successo. Al di là dei numeri, la scommessa di portare a Roma il popolo della pace, oltre e a prescindere dell’appartenenza al M5S, è riuscita. Lungo il fitto serpentone che da piazza Vittorio raggiunge i Fori si riconoscono molte delle diverse anime del mondo pacifista. E si intravedono le facce di tanti di quelli che in questi anni si sono mobilitati contro la deriva bellicista. La ricomposizione che non era riuscita allo scoccare del conflitto in Ucraina e che ha faticato a mettersi all’opera di fronte al massacro infinito che ha seguito il 7 ottobre in Palestina, sembra materializzarsi sotto le insegne di un redivivo Movimento 5 Stelle.
Che evidentemente (si sa: in politica la necessità diventa virtù) sono apparse ospitali e non respingenti anche per gran parte di quel popolo della sinistra diffusa che da tempo cercava il modo di incontrarsi, manifestare e rendersi visibile.
DA QUESTO PUNTO di vista, il pieno della manifestazione del Movimento 5 Stelle è il frutto di altri vuoti. È fatto del vuoto, parziale eppure tangibile, del Partito democratico, che del no al riarmo ha fatto una lacerante discussione interna e che solo in seguito a una riflessione degli ultimi giorni ha accettato di rispondere all’invito di Conte inviando al corteo una delegazione capitanata dal capogruppo al senato Francesco Boccia. Ed è il frutto della mancanza di uno spazio indipendente e plurale proprio del movimento italiano contro la guerra. Ci ha provato la Cgil, lo scorso 29 marzo, a mettere tutti attorno a un tavolo per discutere di Europa, riarmo, modello sociale e transizione ecologica anziché riconversione militare, ma da troppo tempo manca qualcuno che lanci il cuore oltre l’ostacolo e renda palese l’esistenza di una sfera pubblica di critica alla deriva guerrafondaia.
LA CATTIVA NOTIZIA è che questa occasione è stata colta da una singola forza politica, che ieri è stata in grado di rivestire del suo brand la composizione arcobaleno dei contrari alla guerra. Quella buona, ci sentiamo di dire, è che questa compagine che si palesa nelle strade di Roma è abbastanza irriducibile alla monorappresentanza: non fidatevi di chi si ergerà, da domani in poi, a portavoce di un popolo che è fatto di tante anime e che vuole dire la sua in prima persona e non farsi parlare addosso nel dibattito permanente.
CONTE SEMBRA esserne cosciente quando dal palco dei Fori diffonde parole ecumeniche che sarebbero state impensabili per il M5S di un tempo. «Grazie a chi è in piazza con idee diverse dalle nostre. Vi rispettiamo», dice il leader pentastellato. Il M5S pare consapevole della sua scelta di campo, sul fronte progressista. Prima che sul piano nazionale, questa collocazione ha riflessi sulle interlocuzioni che si sono avvicendate sopra e sotto il palco dell’evento romano, tra i relatori e in mezzo alla gente: i 5 Stelle di Conte, alla prima grande uscita pubblica dopo l’avvio della fase post-Grillo, sembrano avere introiettato la loro collocazione a sinistra e la casa comune del gruppo The Left in Unione europea. Ecco dunque Nicola Fratoianni col verde Angelo Bonelli, il comunista Maurizio Acerbo e Marc Botenga del Partito del lavoro belga. Servirà ancora una buona dose di coraggio per rompere l’ultimo tabù, e magari schierarsi anche a favore del referendum sulla cittadinanza di giugno, ma la piazza contro il riarmo è apparsa solidamente, e con pochissime sbavature che non vale neanche la pena di evidenziare, come una piazza che interloquisce a sinistra.
SCORRENDO gli slogan e le parole del 5 aprile, sorge un’altra domanda, da leggersi come opzione relativa alla grammatica politica e non come giudizio di merito. Questa: esiste uno
Leggi tutto: La piazza piena del Conte pacifista: «Siamo centomila» - di Giuliano Santoro ROMA
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La stretta «Non funziona più così», risponde l’agente di polizia al professore arrestato perché appoggia le proteste contro il collasso climatico, quando chiede il rispetto delle garanzie costituzionali. Siamo nel 2030 negli […]
Giorgia Meloni e Matteo Piantedosi – Ansa
«Non funziona più così», risponde l’agente di polizia al professore arrestato perché appoggia le proteste contro il collasso climatico, quando chiede il rispetto delle garanzie costituzionali. Siamo nel 2030 negli Usa e in Diluvio, romanzo di Stephen Markley, ma la scena potrebbe ripetersi in una qualsiasi città italiana. E non tra qualche anno ma già domani, perché il governo ha trasformato in decreto il disegno di legge «sicurezza» che limita i diritti e aumenta le pene. Meloni stringe i bulloni della repressione, guarda caso – dalla finzione alla realtà – anche contro gli attivisti del clima. Lo fa con un provvedimento immediatamente in vigore che dovrebbe, per Costituzione, essere di «straordinaria necessità e urgenza» e invece è diventato prassi per il governo. A domanda su dove diavolo sia l’urgenza, il ministro Piantedosi ha risposto candido: «In parlamento si è perso troppo tempo».
Un anno e mezzo di discussioni, «tempo perso» durante il quale tutti gli emendamenti delle opposizioni sono stati respinti, quindi è falsa la spiegazione del ministro per cui il decreto «recepisce il dibattito parlamentare». E poi l’iter di approvazione era ormai quasi concluso, dunque le motivazioni di questa ennesima umiliazione delle camere sono evidentemente altre. Essenzialmente due.
La prima è far digerire alla Lega qualche modifica richiesta dal Quirinale, offrendo in cambio un’approvazione immediata. Il congresso della Lega che comincia oggi è il vero motivo di urgenza del decreto. Salvini ha rivendicato tutto postando immediatamente e pieno di gioia le foto di tutti i corpi di polizia.
La legge è infatti un omaggio delle destre ai sindacati delle Forze dell’ordine, che avranno le mani più libere e soprattutto diecimila euro di soldi pubblici per ogni grado di giudizio per difendersi se accusati, come capita, di reati commessi in servizio. Questo nel paese dove non ci sono i fondi per risarcire le ingiuste detenzioni e un’elementare misura di garanzia come le body cam sulle divise degli agenti è ridimensionata (in questo stesso decreto) a «possibilità» e finanziata con fondi insufficienti. Ma il messaggio è chiaro: la premier (certo non solo Salvini) sta con le divise, del resto non si era fatta scrupolo di correggere persino il presidente della Repubblica quando aveva criticato le botte agli studenti di Pisa. Le divise ricambiano e da un po’ di tempo i sindacati hanno preso l’abitudine di commentare l’attualità a colpi di comunicati stampa come un Gasparri qualunque, l’altro giorno anche per criticare una sentenza, quella su Askatasuna.
La seconda ragione che ha spinto il governo a lasciar morire uno dei rari disegni di legge per sostituirlo in corsa con l’ennesimo decreto è che
Leggi tutto: Repressione senza alternativa - di Andrea Fabozzi
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