A Gaza l’esercito israeliano spara sulle file per il pane e sulle tende: altri 81 morti. Il rapporto della relatrice Onu denuncia la partecipazione all’economia del genocidio: centinaia di aziende occidentali, anche italiane, fanno affari aiutando Tel Aviv nello sterminio
Striscia continua Dalle aziende belliche a quelle dell’acqua, dalle banche ai grandi atenei: i mille nomi nel rapporto Onu su chi investe nel massacro
Una ruspa di Caterpillar rimuove macerie a Bureij, nella Striscia di Gaza – Abdel Kareem Hana/Ap
Bulldozer, bombe, missili, droni, cloud per immagazzinare dati, spyware, reti idriche, prestiti, ricerca scientifica, carbone e gas naturale: la rete che tiene in piedi un sistema di colonialismo d’insediamento è ramificata quanto lo sono le politiche di espropriazione della terra, espulsione della popolazione indigena e istituzionalizzazione di un regime di discriminazione razziale. Per poter mantenere una simile rete, la storia lo insegna, serve aiuto. Israele, da decenni, lo ottiene da centinaia di aziende private, multinazionali, università, fondi di investimento, banche, società di high-tech.
Un sistema di complicità che il genocidio in corso a Gaza ha reso più visibile. È il contenuto dell’ultimo rapporto della Relatrice speciale delle Nazioni unite per la situazione dei diritti umani nei Territori palestinesi occupati, Francesca Albanese. Il titolo dà il senso del rapporto, Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio: i profitti multimiliardari incassati da aziende di tutto il globo nel sostenere e mantenere il progetto di colonialismo d’insediamento israeliano.
SONO CIRCA MILLE, scrive la Relatrice, le compagnie finite sotto scrutinio delle Nazioni unite, di cui 48 nominate nel rapporto (quelle che sono state informate delle indagini), a cui si aggiungono università e centri di ricerca (dal Mit, il Massachusetts Institute of Technology, all’Università di Edimburgo). Ci sono giganti dell’economia mondiale: l’italiana Leonardo, Google, Amazon, Hp, Microsoft, Ibm, BlackRock, Chevron, Caterpillar, Volvo, Hyundai, Lockheed Martin, Airbnb e Booking.com, e ovviamente le aziende israeliane, dalla Elbit (industria bellica) alla Mekorot (acqua) fino alla Nso (spyware). La punta dell’iceberg: potrebbero essere molte di più, «influenti corporation finanziariamente e intrinsecamente legate all’apartheid e al militarismo israeliano».
IL TEMA È INDAGATO da anni da ricercatori, storici, economisti, e riassunto in quello che è stato efficacemente ribattezzato «Laboratorio Palestina»: «Facendo luce sull’economia politica di un’occupazione trasformatasi in genocidio – scrive Albanese – il rapporto rivela come l’occupazione eterna sia diventata il banco di prova ideale per i produttori di armi e le grandi aziende tecnologiche, mentre investitori e istituzioni pubbliche e private ne traggono profitto liberamente». Gli esempi, nelle 24 pagine del rapporto, abbondano.
BULLDOZER CHE demoliscono case e infrastrutture palestinesi in Cisgiordania e radono al suolo Gaza; mezzi da lavoro che
Leggi tutto: Imprese, università, fondi… Economia del genocidio a Gaza - di Chiara Cruciati
Commenta (0 Commenti)Mezzo milione di lavoratori stranieri in tre anni. Di fronte alle richieste delle imprese, la destra viene a patti con la retorica dell’invasione e vara un maxi decreto flussi. Ma per quasi tutti la garanzia di regolarizzazione sarà solo sulla carta, così come la promessa di un contratto. Il soggiorno legale resta una crudele lotteria
Non è permesso Il dpcm amplia le quote per i lavoratori stranieri ma è uguale al precedente che aveva funzionato solo per il 10% dei migranti
Ufficio Immigrazione della Questura di Milano – LaPresse
Il bastone e la carota rancida. Le propaganda del governo sulle migrazioni, vessillo identitario delle destre nazionaliste, oltre all’impianto securitario del progetto albanese, alla retorica degli scafisti da «inseguire nel globo terraqueo» (come da celebre frase di Giorgia Meloni) prevede anche la riorganizzazione degli ingressi per lavoro. Già all’indomani dell’insediamento dell’esecutivo, il ministro dell’economia, Giancarlo Giorgetti e le associazioni datoriali avevano fatto capire che le frasi da campagna elettorale («Basta ingressi nel nostro paese») erano inadeguate davanti alla presa d’atto che serve forza lavoro per mandare avanti la produzione italiana. Ed ecco che il governo arriva al suo secondo decreto flussi, approvato ieri dal consiglio dei Ministri, ampliando il numero dei lavoratori stranieri ammessi: 500 mila lavoratori stranieri nel triennio 2026/2028.
IL PRIMO DECRETO era stato un fallimento, tanto che nel corso della legislatura era stato più volte modificato ma senza intervenire sulle dinamiche distorsive della procedura, ancorata alla lotteria del clic day e a una burocratizzazione elevata. Con il risultato che la stragrande maggioranza delle persone che avevano fatto richiesta è rimasta senza contratto, senza regolarizzazione, senza diritti: nel 2024 solo il 7,8% dei lavoratori entrati in Italia attraverso il decreto flussi ha ottenuto sia il permesso di soggiorno che un impiego stabile: sono state 9.331 le domande accolte dalle prefetture, su un totale di 119.890 quote assegnate nel corso dell’anno, secondo l’analisi della campagna Ero straniero (promossa da A Buon Diritto Onlus, ActionAid, Asgi, Federazione Chiese Evangeliche Italiane, Oxfam, Arci, Cnca, Cild, Fondazione Angelo Abriani) elaborata sui dati del Viminale. «Il sistema non funziona e non solo per il mancato soddisfacimento delle esigenze del mondo produttivo, ma anche rispetto alla possibilità di garantire canali di ingresso accessibili e praticabili, con tutte le tutele previste alle persone straniere che intendono venire a lavorare in Italia – spiegano gli estensori della campagna – Dalla nostra analisi dei dati degli ultimi decreti flussi emerge chiaramente che solo una parte, esigua, delle persone entrate con i clic day degli ultimi anni ha oggi un contratto e un permesso di soggiorno. Il resto, molto probabilmente, vive nel nostro Paese nella totale precarietà e senza documenti, a rischio sfruttamento».
IL NUOVO DPCM STABILISCE che gli ingressi dei lavoratori extracomunitari siano suddivisi in 164.850 quote per il 2026, 165.850 per il 2027 e 166.850 per il 2028. Per settore, invece, ci saranno 76.850 ingressi per ciascuno dei tre anni per il lavoro subordinato non stagionale e per il lavoro autonomo; per gli stagionali 88.000 per il 2026, 89.000 per il 2027 e 90.000 per il 2028, e infine per colf e badanti 13.600 per il 2026, 14.000 per il 2027 e 14.200 per il 2028. Inoltre, ci saranno «quote preferenziali per lavoratori ad alta qualifica e provenienti da Paesi partner che informano sui rischi dell’immigrazione irregolare», rende noto l’esecutivo, e cioè con gli stessi paesi con cui sono stati fatti accordi per i rimpatri. «Il principio guida – sostengono dal Cdm – è calibrare i flussi sul fabbisogno reale del mercato e sulla capacità di accoglienza a livello locale, favorendo i canali regolari e scoraggiando quelli illeciti». Spiegazione che, però, non ha convinto le formazioni di estrema destra, come Casapound, che hanno parlato di «invasione legalizzata».
LE CIFRE SONO IN LINEA con quanto richiesto dalle categorie degli edili e degli agricoltori, settori a maggioranza di manodopera straniera. Ma i meccanismi che creano la disparità tra domande pervenute e domande accolte non è stato modificato. Lo nota anche Coldiretti, organizzazione non di certo ostile al governo Meloni. «Uno dei problemi principali del
Leggi tutto: Nuovo decreto flussi, nuovo bluff: restano clic day e sfruttamento - di Luciana Cimino
Commenta (0 Commenti)Nella foto: Ragazze tengono dei cartelli durante il Pride di Budapest, una grande manifestazione che ha sfidato i divieti di Orban/AP
Oggi un Lunedì Rosso dedicato all’equilibrio dei poteri.
Quello giudiziario può servire da argine qualora i provvedimenti intrapresi a colpi di maggioranza mettano a i rischio i diritti tutelati dalla Costituzione, come sta accadendo in Italia.
Anche negli Stati Uniti il rapporto tra i poteri dello stato è al centro del dibattito pubblico dopo la decisione della Corte Suprema che sancisce l’impossibilità per i tribunali di bloccare le decisioni dell’esecutivo, ad esempio in tema di migranti.
Equilibrio che invece non esiste da tempo nella Striscia di Gaza, dove l’esercito israeliano spara regolarmente sulla folla durante la distribuzione delle derrate alimentari.
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Non c’è solo la relazione sul decreto sicurezza che ha fatto infuriare il governo. Dalla Cassazione arriva anche un altro parere che punta il dito sulla legge pensata per deportare i migranti in Albania. Diversi i profili di incostituzionalità. Ma il documento non è stato pubblicato
Migranti Oltre ai problemi con il diritto europeo, emergono possibili profili di incostituzionalità. Dopo quella sul decreto sicurezza, un'altra relazione del massimario mette in dubbio le leggi bandiera del governo Meloni
Migranti deportati al porto di Shengjin in Albania – Ap
C’è un’altra relazione dell’Ufficio massimario e ruolo della Cassazione che non piacerà al governo: riguarda il protocollo Italia-Albania. A differenza di quella sul decreto sicurezza, su cui ieri è continuata la polemica politica, è stata redatta dal servizio civile, non dal penale. È datata 18 giugno ma non è finita sulla pagina web della Corte. Si può però trovare su Italgiure, la banca dati di «norme, giurisprudenza e bibliografia» della Cassazione. In queste ore sta circolando tra i giuristi e il manifesto ha potuto visionarla. Non si tratta di un documento segreto, anzi si sarebbe potuto trovare sul sito degli ermellini, con i tre dello stesso tipo pubblicati nel 2025. Se non fosse stato deciso di tenerlo riservato.
Le 48 pagine tracciano una dettagliata anatomia giuridica di tutte le questioni che ruotano intorno ai centri di Shengjin e Gjader. Il punto di partenza è la legge di conversione del decreto che a fine marzo ha esteso l’uso delle strutture, inizialmente riservate ai richiedenti asilo mai entrati in Italia, ai migranti “irregolari” già presenti sul territorio nazionale. Ma lo studio affronta anche i nodi della stessa legge di ratifica del protocollo.
CHIARIAMOLO SUBITO: non si tratta di un provvedimento che vincola i giudici della Corte, ma di una raccolta dei principali pareri della dottrina, l’insieme di elaborazioni teoriche che gli studiosi del diritto esprimono sulle questioni legali. Di fronte a novità normative, soprattutto se di grande rilevanza come il decreto sicurezza o il protocollo con Tirana, l’ufficio del massimario le riunisce a favore dei consiglieri della Cassazione, affinché abbiano una mappa con cui orientarsi. In particolare sui punti critici, rispetto ai quali esistono interpretazioni contrastanti.
Le criticità relative al progetto Albania sono tante: la dottrina «ha espresso numerosi dubbi di compatibilità con la Costituzione e con il Diritto internazionale», si legge nel testo. La cosa interessante è che riguardano molte più questioni di quelle sollevate finora dai giudici, siano di Tribunale civile, Corte d’appello o Cassazione. Quest’ultima il 29 maggio scorso ha chiesto alla Corte di giustizia Ue di chiarire se il trasferimento dei migranti “irregolari” in un paese terzo sia compatibile con la direttiva rimpatri e, in caso di risposta affermativa, se la permanenza oltre Adriatico di chi chiede asilo a Gjader rispetti la direttiva procedure.
TRA IL PROTOCOLLO Albania e il diritto europeo c’è una relazione complicata, zeppa di contraddizioni e buchi neri: trattandosi di
Commenta (0 Commenti)Il decreto sicurezza è un mostro giuridico che il governo ha piantato nel codice penale. Lo dice anche la Cassazione che demolisce il provvedimento più rappresentativo del governo. E apre la strada all’intervento della Corte costituzionale. Ma la stretta repressiva è già in atto
Il report Caso «unico» nel suo genere per l’abuso della decretazione d’urgenza, il pacchetto Sicurezza del governo Meloni - trasferito tal quale dal ddl al decreto legge - è a rischio di incostituzionalità, nel metodo e nel merito. A sottoscriverlo, questa volta, è addirittura la Corte di Cassazione
Manifestazione contro il DDL Sicurezza a Roma – LaPresse
Caso «unico» nel suo genere per l’abuso della decretazione d’urgenza, il pacchetto Sicurezza del governo Meloni – trasferito tal quale dal ddl al decreto legge – è a rischio di incostituzionalità, nel metodo e nel merito. A sottoscriverlo, questa volta, è addirittura la Corte di Cassazione che dedica a questa specifica novità normativa – non proprio as usual – un apposito report. «La prassi parlamentare annovera due soli precedenti di trasposizione dei contenuti di un progetto di legge in discussione in Parlamento in un decreto-legge, a suo tempo in effetti censurati dalla dottrina costituzionalistica e, in ogni caso, nessuno dei due riguardava la materia penale», scrive il Servizio penale dell’Ufficio del Massimario e del ruolo della Corte Suprema nella relazione 33 pubblicata il 23 giugno 2025.
In 129 pagine mette a fuoco anche tutti i profili problematici e le manifeste criticità (qualcuna in più di quelle già molte volte segnalate) dell’«eterogeneo» contenuto dei 38 articoli del provvedimento governativo in vigore dal 12 aprile 2025. Pur dal carattere non vincolante, la relazione della Cassazione potrebbe costituire una solida base per eventuali ricorsi in Corte costituzionale.
CITANDO LE NUMEROSE associazioni di costituzionalisti, professori di diritto penale, magistrati (compresa l’Anm), giuspubblicisti (ad esempio, Articolo 21) e i tanti esperti auditi nelle commissioni parlamentari, nonché l’Osce e l’Alto commissario per i diritti umani dell’Onu, il Massimario riporta «severe perplessità anzitutto sulla (in)sussistenza dei presupposti giustificativi per il ricorso alla decretazione d’urgenza, tanto più che neppure il governo proponente si era mai avvalso della facoltà, prevista dall’art. 72 Cost. e dai regolamenti parlamentari, di chiedere l’esame con procedura d’urgenza di quel disegno di legge». «A ciò si aggiunge l’estrema disomogeneità dei contenuti», si legge nella relazione, che «avrebbe richiesto un esame ed un voto separato sulle singole questioni».
Mentre «la conversione in legge li riunisce “a bordo” di un unico articolo», in violazione della Costituzione (art. 72) laddove prevede l’analisi e il voto distinto per ciascun articolo. Il colpo di mano sul Parlamento potrà essere certificato, ricorda la Corta, in sede di «ricorso per conflitto di attribuzione da parte dei singoli parlamentari» (il primo è stato già proposto dal segretario di + Europa, Magi). Sul metodo, infine, la relazione ricorda che il decreto non è stato presentato alle Camere per la conversione in legge il giorno stesso, come invece obbliga l’art. 77 della Carta. Mancando dunque i presupposti costituzionali della decretazione d’urgenza, fa notare la Corte Suprema, si potrebbe determinare «l’invalidità della legge di conversione».
QUANTO AL MERITO, la Cassazione mette in guardia sul «rischio di colpire eccessivamente gruppi specifici, come minoranze etniche, migranti e rifugiati» e sulle potenziali «discriminazioni e violazioni di diritti umani». Dalla disamina si evince
Leggi tutto: La Cassazione boccia il decreto Sicurezza - di Eleonora Martini
Commenta (0 Commenti)Non dice nulla contro i dazi di Trump, accetta tutti gli impegni sul riarmo della Nato, rinvia ogni decisione sull’accordo con Israele. Il Consiglio europeo riesce solo a varare altre sanzioni alla Russia. Mentre si fa strada la linea Meloni contro i migranti. La deriva del continente è senza fine
Ue Un Consiglio europeo che non riesce a decidere praticamente nulla, piuttosto rimanda. Sulla difesa comune, si limita a registrare le decisioni prese all’Aja dal vertice Nato
Bruxelles, il tavolo del Consiglio europeo – Getty
Un Consiglio europeo che non riesce a decidere praticamente nulla, piuttosto rimanda. Sulla difesa comune, si limita a registrare le decisioni prese all’Aja dal vertice Nato. Sull’accordo di associazione Ue-Israele, rinvia ancora, dopo mesi di tira e molla, tra le proteste di chi come il premier socialista spagnolo Sánchez, denuncia un immobilismo sempre più imbarazzante, se non colpevole. L’unica parola chiara che il consesso dei leader riesce a pronunciare è quello sulla Russia, dando il via libera al 18esimo pacchetto di sanzioni con un accordo tra 26. E a margine del Consiglio, l’iniziativa guidata da Meloni, con i primi ministri di Danimarca e Paesi Bassi per una nuova stretta sui rimpatri, a cui si sono uniti altri undici paesi, compresa la Germania del cancelliere Merz.
I DAZI – IL PROBLEMA più pressante per l’Ue, guerra escluse – non sono neppure in agenda e dunque non finiscono nel testo scritto delle conclusioni. «Il presidente Costa ha voluto tenere il punto per cena, in modo che la discussione sia più libera», spiega un diplomatico. E sì che mancano pochi giorni al 9 luglio, data finale per trovare un accordo con Washington sui dazi. Dopo l’ipotesi, ventilata nei giorni scorsi di accettare un’imposizione del 10% per l’export Ue da parte degli Usa, il negoziato potrebbe complicarsi di nuovo. Complice l’opt-out di Madrid rispetto al 5% di Pil in spese militari e la minaccia di Trump di imporre dazi a parte proprio verso la Spagna. Dagli ambienti Ue informati della trattativa trapela una evidente preoccupazione, rispetto a una mossa che Washington sarebbe in diritto di decidere (mentre non varrebbe al contrario da un paese europeo verso beni e servizi Usa). L’indicazione di massima è che in questo caso si farebbe quadrato intorno alla Spagna. Ma le modalità e gli strumenti sono ancora tutti da decidere.
Il punto più divisivo del summit rimane l’atteggiamento dell’Europa verso Israele. Al suo arrivo a Bruxelles, il premier spagnolo Sánchez invoca la «sospensione immediata» dell’accordo di associazione Ue-Israele, dopo che
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