Sciopero generale: oggi Cgil e Uil chiamano all’astensione dal lavoro contro la manovra del governo Meloni. Cortei in tutta Italia. Si fermano anche sindacati di base, studenti e ricercatori (occupato il Cnr). Una giornata di lotta che rimette al centro le vite e non i consumi
Il Tar conferma la precettazione: 4 ore nel trasporto aereo e Tpl. Bombardieri: oramai il Garante è di parte, non più un arbitro. Landini sarà a Bologna, il segretario Uil a Napoli Intanto la Cisl firma un altro «contratto in solitaria»
Manifestazione nazionale di Cgil e Uil dei settori pubblici con il segretario della Uil PierPaolo Bombardieri ed il segretario della Cgil Maurizio Landini a Roma il 19 Ottobre – Foto LaPresse
Il quarto sciopero generale di Cgil e Uil in quattro anni coincide oggi anche con il Black Friday, e non è un caso.
La data però era già stata scelta da vari Cobas – senza l’Usb – e la concomitanza dei due scioperi generali ha aperto la strada all’ennesimo dimezzamento nei trasporti deciso da PrecettoLaQualunque Matteo Salvini, imbeccato dalla Commissione di garanzia sugli scioperi nei servizi essenziali – mai di profilo giuslavoristico così basso e mai così di nomina politica. «È diventato di parte, il Garante del governo – attacca il segretario Uil PierPaolo Bombardieri – abbiamo aperto una discussione molto franca sul diritto di sciopero, e invece si risponde sbattendo la porta. Noi abbiamo perso fiducia nel Garante, non lo vediamo più come un arbitro».
Ieri il Tar – ma c’erano pochi dubbi – ha confermato la legittimità della decisione rispetto a un ricorso di Cub e Sgb che accusano Cgil e Uil di aver solo annunciato l’impugnazione e la sospensiva senza averla fatta veramente, limitandosi a un ricorso sul merito della decisione che non poteva essere accolto d’urgenza – e dunque nel trasporto aereo lo sciopero sarà dalle 10 alle 14, mentre nel Tpl ogni città ha i suoi orari, mentre saranno rispettate le fasce di garanzia e i treni circoleranno normalmente visto che Cgil e Uil ne avevano già previsto l’esclusione per lo sciopero dello scorso weekend dell’Usb.
LA GARANTE PAOLA BELLOCCHI proprio ieri era alle commissioni Trasporti e Lavoro della Camera dove – «in una audizione imbarazzante» secondo Arturo Scotto del Pd – ha ribadito «il potere di segnalazione di un pregiudizio grave ed imminente ai diritti costitituzionali della persona»: «abbiamo valutato che far fare lo sciopero a tutte le confederazioni – ha spiegato Bellocchi – avrebbe determinato un disequilibrio, una violazione del diritto alla mobilità degli utenti». Insomma, per la Garante gli scioperi generali che bloccavano il paese e facevano cadere i governi – all’epoca della destra – non hanno più ragion d’essere.
Difficile che oggi si blocchi il paese anche perché la Cisl continua nella sua deriva governista, non fa uno sciopero generale da tempo immemore e nelle ultime settimane ha sottoscritto «in solitaria» il contratto dei pubblici Funzioni centrali – e presto potrebbe farlo
Commenta (0 Commenti)La maggioranza si spacca sul decreto fiscale. Lo scontro a tutto campo tra Tajani e Salvini precipita sul contributo per la Rai: Forza Italia vota con le opposizioni e il governo va sotto. La sostituzione di Fitto scatena gli appetiti. Meloni furiosa minaccia il ritorno alle urne
Attenti al canone La contesa tra Forza Italia e Lega si mostra sulla Rai e investe gli equilibri nella maggioranza. La premier arriva a minacciare le elezioni
Giorgia Meloni tra Matteo Salvini e Antonio Tajani – Ansa
La destra si divide in commissione bilancio al senato sul decreto fiscale che andrà domani in aula con la fiducia. Questa vicenda è la punta dell’iceberg di tensioni più profonde che rischiano di aggravarsi. Il governo, è la sintesi del senatore leghista Claudio Borghi, aveva dato l’ok per un taglio al canone «di 20 euro per 20 milioni di abbonati, tra cui milioni di famiglie povere». Ma al momento del voto Forza Italia si è schierata con le opposizioni e l’emendamento è stato bocciato per due voti.
GLI AZZURRI si oppongono da tempo alle spinte di Salvini, che ha scritto nel suo programma elettorale di voler ridurre il canone e che vuole perseguire il disegno fino a compensare con la fiscalità generale o alzando il tetto della raccolta pubblicitaria. Cosa che inquieta molto la famiglia Berlusconi, anche se ieri il leader di Fi Antonio Tajani, rivendicando la sua contrarietà alla proposta leghista, ha rigettato con sdegno le illazioni circa le interferenze della famiglia del fondatore sulle linee programmatiche del partito.
DA PALAZZO CHIGI sottolineano che «l’inciampo della maggioranza sul tema del taglio del canone Rai non giova a nessuno» ma ripetono il refrain: «Il governo è fortemente impegnato nel sostegno a famiglie e imprese, operando sempre in un quadro di credibilità e serietà». La verità è che Giorgia Meloni viene descritta come fuori di sé: accusa Tajani di non aver rispettato il «patto dell’apericena» stretto il giorno prima, in base al quale il suo partito si sarebbe dovuto astenere sul canone. A quel punto la partita sull’emendamento sarebbe finita dieci a dieci ma la destra avrebbe prevalso con una piccola forzatura: si sarebbe avvalsa del voto del presidente della commissione, il meloniano Nicola Calandrini. Era sul luogo del delitto Dario Damiani, senatore di Forza Italia: «Non c’è nessuna prova di forza – giura Damiani – Avevamo detto che l’emendamento era divisivo e abbiamo votato di conseguenza. Dopodiché abbiamo votato tutti gli emendamenti». Alla rabbia della presidente del consiglio bisogna aggiungere un altro ingrediente: l’Italia sulla tregua in Libano, nonostante il ruolo del contingente tricolore in Unifil, non ha toccato palla. Il che si ripercuote sui rapporti con Tajani in quanto ministro degli esteri.
DA FI, PERALTRO, fanno sapere in tutti i modi che si considerano la seconda forza della maggioranza. E che, in altre parole, gli equilibri su cui si fondava il governo sono ormai
Leggi tutto: Destra divisa, Meloni furiosa - di Giuliano Santoro
Commenta (0 Commenti)Oggi cessa il fuoco tra Israele e Hezbollah, ritorno alla risoluzione Onu 4mila morti dopo. Ma la vigilia è un inferno: pioggia di bombe su Beirut, la gente fugge dove può. Netanyahu si lascia le mani libere per il futuro e continua a colpire Gaza
Libano Il premier Netanyahu annuncia la fine dell’operazione sul Libano, ma si lascia le mani libere e nell’attesa fa martellare la capitale. La popolazione fugge dove può, pesanti raid a est. A sud si aspetta la rinascita della risoluzione 1701
L’annuncio del cessate il fuoco di Netanyahu visto dal Libano – Ed Ram /Getty Images
«Stiamo cambiando il volto della regione», ha fieramente annunciato nell’attesissimo discorso di ieri sera il premier israeliano Benyamin Netanyahu. Il cessate il fuoco in Libano, dopo l’approvazione da parte del consiglio di sicurezza israeliano, dovrebbe essere effettivo dalle 10 libanesi di questa mattina, le 9 italiane. «Hezbollah non è più lo stesso. L’abbiamo rimandato indietro di una decina d’anni. Tre mesi fa sarebbe sembrata fantascienza, ma ce l’abbiamo fatta».
ISRAELE, con il beneplacito statunitense, si riserva «piena libertà militare in Libano», ha tenuto a specificare Netanyahu, che elenca i tre motivi per cui è giunto ad accettare un cessate il fuoco: «Il primo, dobbiamo focalizzarci sulla minaccia iraniana. Il secondo, dobbiamo semplicemente permettere alle truppe di riposarsi e dobbiamo acquisire nuove munizioni per proteggere i soldati. Il terzo è l’isolamento di Hamas». Il premier ha sottolineato l’importanza di concentrare le energie sul fronte interno dichiarando che il governo e l’esercito sono «impegnati a riportare tutti gli ostaggi da Gaza a casa. Siamo anche impegnati a raggiungere lo sradicamento di Hamas».
Sulla «minaccia iraniana», Netanyahu si è detto «determinato a fare tutto il possibile per impedire l’uso delle armi nucleari all’Iran. L’eliminazione di questa minaccia è l’obiettivo principale al fine di garantire la sopravvivenza dello stato di Israele». Il testo del cessate il fuoco – 13 punti – sancisce che Hezbollah e i gruppi armati affiliati che combattono nel sud del Libano non dovranno in alcun modo attaccare Israele e non dovranno riarmarsi. Israele si impegna in cambio a non attaccare «né per terra, né aria o mare» il Libano.
I DUE PAESI si dovranno impegnare a implementare la risoluzione Onu 1701 e riferiranno le violazioni alla forza di interposizione Unifil. Tutte le posizioni e gli armamenti non ufficiali saranno smantellati. L’esercito libanese, unica entità autorizzata a essere armata in Libano, sarà rafforzato nel sud e Israele si ritirerà gradualmente entro 60 giorni. Gli Stati uniti si occuperanno di gestire le trattative per stabilire un confine tra i due stati riconosciuto a livello internazionale.
In serata da Washington il presidente Biden ha chiuso i suoi quattro anni al potere celebrando la tregua, ribadendo il sostegno a Israele, ringraziando la Francia per il ruolo di co-negoziatore e ricordandosi per una volta del «popolo di Gaza che vive in un inferno»: Biden promette di riprendere il dialogo sulla Striscia e arriva a parlare di Stato palestinese. Eppure ieri si è perso il conto dei bombardamenti su Beirut e sul Libano. Solo alcuni annunciati, moltissimi no.
Dobbiamo focalizzarci sulla minaccia iraniana. Dobbiamo permettere alle truppe di riposarsi e acquisire nuove munizioni. E dobbiamo isolare HamasBenyamin Netanyahu
IL PRIMO MINISTRO libanese uscente Najib Mikati ha denunciato «l’aggressione israeliana isterica (di ieri sera) contro Beirut e diverse regioni del Libano» che ha «colpito in maniera particolare i civili, confermando ancora una volta che il nemico israeliano non rispetta nessuna legge». Nella capitale, in maniera proporzionale alle indiscrezioni su una tregua e al crescere delle speranze, è aumentato il numero dei bombardamenti dentro e fuori dalla
Commenta (0 Commenti)Al Movimento 5S non basta un voto online, ne serve un secondo. Grillo usa il suo potere di (ancora) «garante» e ottiene di rifare tutto. Spera nell’astensione per far cadere Conte. Ma la presa dell’ex premier sul partito è ormai salda, meno chiaro è dove lo porterà
Il Conte 2 Arriva la mossa finale del garante: dispone che le consultazioni hanno cancellato i suoi poteri si ripetano. L’avvocato accetta la sfida
Tutto da rifare. Beppe Grillo, il grande capo ferito dalla votazione digitale i cui risultati sono stati annunciati domenica scorsa alla fine dell’assemblea costituente del Palazzo dei congressi, esercita l’ultima delle sue prerogative e chiede che le urne virtuali si riaprano per ripetere la consultazione degli 89 mila iscritti al Movimento 5 Stelle.
LA MOSSA era in qualche modo attesa da Giuseppe Conte. Il quale annuncia, da avvocato e leader del nuovo M5S: «Beppe Grillo ha appena avviato un estremo tentativo di sabotaggio. Ha chiesto di rivotare, invocando una clausola feudale che si trascinava dal vecchio statuto». «Potremmo contestare questa vecchia clausola e vincere con le nostre buone ragioni un contenzioso legale – prosegue Conte rivolgendosi agli iscritti – Ma il ruolo dell’azzeccagarbugli lo lascio a Grillo. Noi preferiamo ancora e sempre la democrazia, la partecipazione, la vostra libertà di scelta. Per questo, dateci qualche giorno, e torneremo a votare sulla rete i quesiti sullo Statuto impugnati da Grillo».
CIÒ CHE trapela da via Campo Marzio, il quartier generale pentastellato, è l’ennesima disapprovazione per le scelte del quasi ex garante. Secondo i vertici, Grillo in questo modo sconfessa ulteriormente il suo percorso, tradisce la cultura della democrazia diretta al quale si richiama. Soprattutto, proseguono i ragionamenti, annulla un voto regolarmente espresso soltanto per difendere le sue prerogative personali e medievali. Come a dire: da una parte ci sono le oltre cinquantamila persone che hanno votato, dall’altra ci sei tu che difendi la tua carica. Un modo per sostenere che l’«ultimo giapponese», questa l’immagine che il fondatore aveva appioppato all’ex premier colpevole a suo dire di non rassegnarsi alla fine del M5S, è Grillo e non Conte.
SI POTREBBE guardare la vicenda da questo punto di vista: Beppe Grillo ha salvato Giuseppe Conte. Se, come ha raccontato uno ben introdotto nel mondo dei 5 Stelle come Marco Travaglio, il presidente M5S era pronto a dimettersi all’indomani del flop delle elezioni europee dello scorso mese di giugno, allora è vero che il garante ha già commesso l’errore clamoroso (tanto più per u uomo di comunicazione) di trasformare l’assemblea costituente in una lotta per liberarsi delle zavorre del passato più che in una (nel migliore dei casi) seduta di autocoscienza collettiva per indagare le ragioni della sconfitta elettorale. Il che testimonierebbe per l’ennesima volta che Grillo ha perso il tocco magico: continua a sbagliare proprio sul terreno della tattica mediatica che Gianroberto Casaleggio gli aveva appaltato, trasformandolo ormai quindici anni fa nel più efficace testimonial di un brand politico della storia della Repubblica.
DAL M5S sostengono che la votazione online verrà riconvocata a stretto giro, giusto il tempo di attendere le esigenze tecniche. Grillo gioca tutto sul calo di attenzione, e sul fatto che non si raggiunga di nuovo il quorum della maggioranza dei votanti. Conte spera che la mossa gli si ritorca contro. Il braccio di ferro prosegue
Commenta (0 Commenti)
Nella foto: Manifestazione di Non Una Di Meno a Roma, del 23 novembre. Contro la violenza maschile e le guerre via Getty Images
Oggi un Lunedì Rosso dedicato alla giornata internazionale per l’eliminazione della violenza maschile sulle donne e violenza di genere.
Mandiamo con questa newsletter alcuni degli articoli usciti con lo speciale di sabato dedicato a questo tema.
Il titolo dell’inserto è “Furore”. Una parola politica già disarmata, da rilanciare nei nostri luoghi come passione del presente.
Per iscriverti gratuitamente a tutte le newsletter del manifesto vai sul tuo profilo e gestisci le iscrizioni.
https://ilmanifesto.it/newsletters/lunedi-rosso/lunedi-rosso-del-25-novembre-2024
Commenta (0 Commenti)
Sono tornate, o meglio non sono mai andate via. Non una di meno riempie Roma (e Palermo). In piazza sono oltre 200mila, una conferma della forza del movimento transfemminista. Protagonista della lotta per la vita e la libertà delle donne, fuori dal potere maschile
Contaci Nella Capitale una marea fucsia contro i femminicidi e il genocidio e per il welfare
Resisteva un sospetto. L’enorme successo della manifestazione contro la violenza sulle donne dello scorso anno era forse dovuto esclusivamente all’ondata di emozione per il femminicidio di Giiulia Cecchettin? Era un sospetto sbagliato. Un anno dopo il corteo transfemminista convocato a Roma da Non una di meno ha visto sfilare almeno 200 mila persone con una piattaforma politica ed economica che prescinde, travalica e restituisce senso ai fatti di cronaca. «La violenza è politica e questo è un governo patriarcale, non basta una premier donna», spiegano le attiviste Nudm alla partenza, davanti la Piramide Cestia.
ALLA SPICCIOLATA arrivano donne e uomini di tutte le età, bambini e bambine: la piazza che all’inizio sembra troppo vasta, si riempie. Di certo un assist fortissimo per la partecipazione lo hanno dato, loro malgrado, il ministro all’Istruzione (e merito) Valditara e la presidente del Consiglio Meloni che ne ha rivendicato le frasi inopportune, xenofobe e negazioniste pronunciate alla presentazione della Fondazione Cecchettin solo lunedì scorso. Naturale quindi che la gran parte dei cartelli, ironici e irriverenti, fosse dedicata a loro. «Il patriarcato esiste, il razzismo istituzionale non è la risposta» è il coro di risposta unanime a Valditara. Ma c’è anche altro: «manifestiamo contro l’orbanizzazione della società, contro il Ddl sicurezza che si realizza nella criminalizzazione delle scelte di vita e del dissenso e nella militarizzazione del territorio mentre la crisi economica morde, contro il lavoro povero e il part time obbligatorio femminile che è un record di Meloni – spiegano dalla piazza – contro il governo che taglia welfare, sanità e scuola per finanziare il riarmo».
«104 morti di Stato. Non è l’immigrazione ma la vostra educazione», recita lo striscione dei collettivi degli studenti medi che arrivano in massa dopo aver fatto un flash mob davanti al ministero dell’Istruzione di Viale Trastevere. Lì hanno anche bruciato una foto del ministro leghista: gesto preso subito a pretesto dalla maggioranza per tentare di descrivere anche questo corteo come violento e per chiedere ai partiti di centrosinistra di prenderne le distanze. Altro segnale che al governo sfugge il senso di una mobilitazione femminista che non è convocata da nessun partito ma da una rete composita di associazioni, centri anti violenza, collettivi, centri di aggregazione giovanile.
Ci sono gli striscioni di Be Free, Differenza Donna, Lucha y Siesta, Giuridicamente Libera. Quelli della Casa Internazionale delle Donne, di Scosse della Rete degli studenti medi, di Aracne. C’è la Cgil e Nonna Roma. Ci sono anche diversi esponenti del centro sinistra ma senza alcun simbolo di partito. «È una manifestazione di tutti», spiega
Leggi tutto: «Meloni, il patriarcato esiste». 200 mila al corteo femminista - di Luciana Cimino
Commenta (0 Commenti)