Una democrazia non agisce per vendetta, ma per necessità di sicurezza. Per evitare il baratro e giungere alla pace, bisogna evitare ogni polarizzazione
Dopo gli avvenimenti del 7 ottobre scorso abbiamo avvertito la necessità di una riflessione. La discussione è complessa e affrontarla per tifoserie alimenta la polarizzazione. Il tema è quello della radicalizzazione fondamentalista delle masse in medio oriente e delle lenti con le quali il cosiddetto mondo occidentale ha preteso di leggere alcuni fenomeni volendoli iscrivere al paradigma della democrazia. Le “primavere arabe”, da questo punto di vista, hanno rappresentato una cartina di tornasole. La lettura di certi fenomeni ha forzato l’interpretazione di alcuni movimenti che nei loro “catechismi politici” non avevano solo elementi programmatici di democrazia.
Le primavere arabe hanno messo in discussione i vecchi sistemi non più sostenibili ma non sono state in grado di risolvere né le questioni sociali né quelle economiche mentre le ineguaglianze si sono ulteriormente aggravate. Inoltre, la repressione violenta degli apparati governativi, ha generato nuovi conflitti in Algeria, in Libano e in Iraq ed alimentato la crescita dell'Isis e lo sviluppo delle guerre in Yemen e Siria. Ha portato a cambiamenti permanenti diversi da zona a zona. Gli stati del Levante, in particolare Siria e Iraq si sono disintegrati, forse in modo irreversibile. Le monarchie del Golfo hanno intrapreso piani di vasta portata di cambiamento economico e sociale per allontanare il malcontento. L'Egitto si è ritirato nell'autoritarismo militare e nella guerra agli islamisti, mettendo a rischio la sua futura stabilità. La caduta dei dittatori, da Saddam Hussein a quelli delle primavere arabe, ha sancito il tramonto dell’era post-coloniale e dello Stato-Nazione che conteneva con metodi autocratici i
Commenta (0 Commenti)L’ospedale Al Quds trema, lo Shifa intimato a evacuare, l’oncologico turco già bombardato… Medici, civili, ostaggi: a Gaza tutto è un obiettivo. Netanyahu riparla al paese: «Nessun cessate il fuoco». E dopo 8.300 morti la Corte penale internazionale indaga anche su Tel Aviv
SOTTO ASSEDIO. L'esercito israeliano alle porte di Gaza city. Hamas risponde al fuoco. Peggiorano ancora le condizioni dei civili palestinesi. Ospedali sotto attacco.
Nessuna tregua, nessuna cessazione, anche solo temporanea, di attacchi e bombardamenti su Gaza a scopo umanitario. Benyamin Netanyahu è stato fin troppo esplicito ieri sera all’incontro con la stampa estera tenuto a Tel Aviv. Parlando di nuovo di «guerra di civiltà», paragonando l’attacco di Hamas il 7 ottobre al blitz giapponese contro gli Usa a Pearl Harbour nel 1941 e sostenendo che Israele combatte questa guerra «per il mondo intero contro la barbarie», il premier ha ribadito che il suo paese «non accetterà la cessazione delle ostilità dopo i terribili attacchi compiuti da Hamas». Le richieste di cessate il fuoco, ha affermato, «sono un invito rivolto a Israele ad arrendersi a Hamas, ad arrendersi al terrorismo, ad arrendersi alla barbarie. Questo non accadrà». Questo messaggio perentorio non è stato rivolto solo a chi denuncia le migliaia di civili di Gaza uccisi dai raid aerei nelle ultime tre settimane e le condizioni di vita orribili di oltre due milioni di palestinesi. È indirizzato anche alle famiglie degli ostaggi israeliani e stranieri che invocano l’avvio di una trattativa vera con Hamas per riavere a casa i loro cari, tra cui alcuni minori, prigionieri a Gaza dal 7 ottobre. Netanyahu ha spiegato che solo le operazioni militari in corso metteranno
Commenta (0 Commenti)PALESTINA. Quattromila spediti in Cisgiordania. E ora Israele gli dà di nuovo la caccia. Voci dal campo di Dheisheh: la cattura, l’ospitalità e i raid dell’esercito per ri-arrestarli. «Voglio tornare a casa mia anche se è sotto le bombe. Mi uccide stare qua mentre i miei cari sono laggiù»
Lavoratori palestinesi in un cantiere israeliano - Ap /Kevin Frayer
«Avete ascoltato la nostra storia. Ora uscirà questo articolo, in tanti lo leggeranno, e poi? Non cambierà niente». V. si alza dalla sedia di plastica bianca all’ombra di un melograno, saluta e se ne va.
Ha 52 anni, è di Khan Yunis e non ha quasi più nulla da perdere. Un lavoro, una casa, non li ha più. Gli resta la famiglia ancora viva, giù a Gaza, almeno fino a venerdì notte: da quel momento, come tutto il resto del mondo, non ha più modo di comunicare con la Striscia. Non sa se la moglie e i figli sono vivi.
LA RABBIA e il dolore li maschera con l’indifferenza, ma gli occhi tradiscono. La rabbia è merce comune tra i tanti riuniti qua al Phoenix Center del campo profughi di Dheisheh e il resto dei palestinesi sparsi per il paese e fuori, in diaspora. La convinzione profonda di essere soli accompagnava già il popolo palestinese, ora glielo stanno dicendo in faccia.
Sull’accrocco di case che è Dheisheh, 20mila profughi per 0,33 chilometri quadrati di suolo, sono ospitati alcuni dei circa quattromila palestinesi di Gaza che avevano in tasca un permesso di lavoro in Israele e che il 7 ottobre hanno visto cambiare tutto di colpo.
«Nei giorni successivi, al Phoenix Center ne sono arrivati 166, ora ne sono rimasti circa 50. Sessanta sono stati arrestati dall’esercito israeliano, tanti altri sono scappati e si nascondono tra le famiglie del campo. Qualcuno sembra sia fuggito a Ramallah».
Lo racconta O., uno dei leader della comunità di Dheisheh, volto noto della sinistra palestinese radicata nel campo, chiedendo di non essere
Leggi tutto: Tra i lavoratori di Gaza «prigionieri» fuori - di Chiara Cruciati, INVIATA A DHEISHEH
Commenta (0 Commenti)Lo stop al massacro in corso a Gaza lo chiedono i 300mila sfilati nelle strade di Londra, le decine di migliaia che hanno urlato «Palestina libera» a Roma, gli ebrei newyorkesi che hanno occupato Grand Central. Governi ciechi, è qui la solidarietà con la Striscia
GUERRA. Il gabinetto di guerra israeliano poggia la sua incerta credibilità dopo l’eccidio di Hamas sulla misura dei danni inflitti ai palestinesi individuati tutti come nemici. L’artificio del governo con i militari: Netanyahu prima dichiara che anche lui risponderà del 7 ottobre «ma dopo la guerra». E ieri sera annuncia che questa «sarà lunga»
Palestinesi cercano superstiti tra le macerie di un palazzo distrutto a Khan Younis, nella Striscia di Gaza - Ap
È dalle prime parole ambigue del premier israeliano Netanyahu che si comprende che cosa dobbiamo aspettarci ora. «È stato un giorno nero. – ha detto parlando alla nazione dell’attacco di Hamas del 7 ottobre – Chiariremo tutto quello che è successo. Tutti dovranno dare spiegazioni per quell’attacco, a cominciare da me. Ma solo dopo la guerra. Il mio compito ora è quello di guidare il Paese fino alla vittoria» e ancora «Ogni militante di Hamas è un uomo morto», dimenticando che cosa vuol dire questo per gli ostaggi israeliani nelle mani del movimento islamista.
Ma il governo di guerra israeliano vuole davvero liberare gli ostaggi o pensa di farla finita, nel mucchio, com’è accaduto a Monaco?
Certo, magari i militanti di Hamas, responsabili del sanguinario eccidio del 7 ottobre, li eliminerà tutti, ma quei bambini terrorizzati e sporchi di polvere e sangue tra le macerie di Gaza non è facile immaginarli come “dialoganti” senza memoria e rabbia tra dieci anni.
Dopo l’annuncio dei giorni scorsi dell’esercito israeliano che l’invasione «è stata rinviata», sembra confermarsi, anche con il primo assalto – «comincia la vendetta» – di queste ore, che non vedremo 300mila soldati israeliani invadere con duemila carri armati la Striscia e combattere tutti casa per casa in una guerra urbana incerta per ogni esercito.
E questo perché l”invasione” c’è già stata e continua ogni giorno: è la guerra di bombardamenti aerei che uccide e terrorizza la popolazione civile di più di
Commenta (0 Commenti)Netanyahu ha deciso: dopo una pioggia di bombe senza precedenti, via libera ai tank nelle strade di Gaza. Stop ai negoziati per la liberazione degli oltre 200 ostaggi nella mani di Hamas. Isolata dal resto del mondo, la Striscia lasciata sola dalla comunità internazionale alla mercé della vendetta di Israele
ISRAELE/PALESTINA. «È la terza guerra mondiale in 400 km quadrati». Israele inizia l’invasione via terra, la Striscia senza più rete internet e telefoni
Gaza, profughi in una scuola gestita dall’Agenzia delle Nazioni unite per il soccorso e l'occupazione dei rifugiati (Unrwa) a Khan Younis - foto Ap
«Da otto giorni con la mia famiglia sono rifugiata nell’ospedale Al Quds, le condizioni di vita sono spaventose, siamo in 15mila. E abbiamo paura, tanta paura di essere colpiti». La linea telefonica è precaria, sembra poter cadere da un momento all’altro. Ma la voce di Fatena al Ghurra ci arriva ugualmente, assieme alla sua richiesta rivolta al mondo «Fate presto, salvateci».
Questa, ci ripete più volte, «è la terza guerra mondiale, in meno di 400 kmq, la guerra mondiale contro Gaza». Quello di Fatena Al Ghurra per Gaza era stato un viaggio tanto desiderato e programmato. Dalla sua terra d’origine mancava da 15 anni.
Il 4 ottobre, proveniente dal Belgio dove risiede e lavora alternando la professione di traduttrice alla scrittura di poesie, era rientrata a Gaza per far visita ai genitori e al resto della famiglia. Un abbraccio atteso da tanto.
«Pochi giorni dopo mi sono ritrovata all’inferno con tutta la famiglia», prosegue Fatena
Leggi tutto: Inferno di bombe su Gaza isolata dal mondo - di Michele Giorgio, GERUSALEMME
Commenta (0 Commenti)PALESTINA/ISRAELE. Intervista a Munir Nuseibah, professore alla Al Quds University: «Finora Israele ha commesso crimini di guerra ma stavolta è diverso: privazione di acqua e cibo, dichiarazioni di vendetta, raid sui civili, stop agli aiuti...queste pratiche combinate mostrano intenzioni genocide»
Munir Nuseibah è professore di diritto internazionale alla Al Quds University, di cui gestisce anche il Community Action Center. Lo incontriamo a Gerusalemme nei giorni successivi all’attacco israeliano alle Nazioni unite.
Assistiamo in diretta a un’operazione contro la popolazione civile di Gaza che più parti descrivono come crimine di guerra. Come va inquadrato l’attacco israeliano nell’ambito del diritto internazionale?
Quello in corso a Gaza è un genocidio. Come professore ed esperto di diritto internazionale non ho mai usato la parola genocidio per descrivere la situazione in Palestina e ho sempre avvertito chi lo faceva a non commettere questo errore. Finora contro i palestinesi Israele ha commesso crimini di guerra e contro l’umanità. Stavolta è diverso: assistiamo a una politica deliberata di privazione di acqua, cibo, elettricità e carburante, a rivendicazioni di vendetta da parte del governo israeliano, al bombardamento a tappeto di civili, al dilagare di malattie a causa dell’impossibilità di seppellire i morti e del collasso della sanità, allo stop all’ingresso di aiuti umanitari. Tutte queste pratiche combinate insieme mostrano un’intenzione genocida. Se l’esercito israeliano non verrà fermato, assisteremo a numeri ancora peggiori.
Alle uccisioni di migliaia di civili si aggiungono gli sfollati: oltre un milione su 2,2 milioni di popolazione totale.
Sono molto preoccupato. Dal 1948 i palestinesi hanno subito diverse esperienze di trasferimento forzato, più grandi e più piccole. Da quelle esperienze abbiamo imparato che quando un palestinese viene cacciato dalla propria casa non riuscirà mai a tornarci. Quello che sta avvenendo è nel migliore dei casi uno sfollamento di massa, nel peggiore un genocidio.
Vi aspettate interventi della Corte penale internazionale?
La Palestina cerca
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