IL MOMENTO DI REAGIRE. Negli undici Stati in cui l’aborto è già limitato o vietato vivono circa 70 milioni di persone e dunque è immensa la popolazione femminile che per ottenere un diritto dovrà ora rischiare la vita. Come accadeva in Italia con migliaia di donne uccise dai ferri di calza.
Manifestazione davanti alla Corte suprema degli Usa - Ap
Negli anni ’70, in Italia, le donne che volevano abortire avevano due possibilità. O affidare la propria vita alle mammane che praticavano l’aborto clandestino, o prendere un aereo per pagarsi l’intervento nelle cliniche di Londra. Una condizione che selezionava il bisogno secondo la classe sociale di appartenenza.
La lunga, inarrestabile e alla fine vincente, battaglia per conquistare la libertà di scegliere se e quando avere un figlio, ha segnato uno spartiacque sociale (con la legge sull’aborto gratuito e assistito), politico (la divisione tra partiti pro e contro), antropologico (l’autodeterminazione del nuovo soggetto femminista, protagonista dell’unica rivoluzione italiana). Che nessuno potrà rimettere in discussione, anche se, alla luce dei fatti americani, c’è chi, anche nel nostro paese, plaude alla sentenza della Corte suprema americana, sfoderando vecchi arnesi della propaganda antiabortista.
Con tutte le differenze del caso, è la realtà che oggi attende le donne statunitensi, di colpo private della legge-ombrello federale. Dovranno
Leggi tutto: I crociati della preistoria - di Norma Rangeri
Commenta (0 Commenti)L'OTTIMISMO DEL PRESIDENTE. «Le cose non vengono mai da sole e spesso non vengono così rapidamente»
Draghi al Consiglio Europeo - Ap
«Non sono deluso. Non immaginavo una data precisa per la discussione ma il solito rinvio con linguaggio un po’ vago». Insomma, meglio del previsto. Draghi non si smentisce: il bicchiere è sempre mezzo pieno, di fronte ai colpi di freno si fa buon viso e si continua a martellare. Se trapela qualcosa di quella delusione che il premier nega, è nella formula che ripete più volte nella conferenza stampa al termine del Consiglio europeo: «Le cose non vengono mai da sole e spesso non vengono così rapidamente come uno pensava dovessero avvenire».
Il tentativo di accelerare sul tetto al prezzo del gas, il price cap, è riuscito solo in piccola parte. L’ipotesi di un Consiglio eccezionale in luglio, proposto proprio da Draghi, è sfumata. «Giustamente mi è stato fatto osservare che
Commenta (0 Commenti)STIAMO FRESCHI. La Pianura Padana è al collasso e il centro sud è in allerta rossa sulla crisi idrica. Regioni in pressing. Ma per il governo è avversità atmosferica. Studio Enea, dati allarmanti sul riscaldamento del Mediterraneo: 4 gradi in più
Il Po vicino a Piacenza - Pierpaolo Ferreri /Ansa
Pur di non citare l’emergenza climatica, si preferiscono formule neutre, al limite dell’acrobazia lessicale, come «stato di eccezionale avversità atmosferica». Così il governo si prepara al dpcm che dovrà rispondere alle conseguenze della siccità estrema che sta attanagliando il Paese, a partire dalle regioni settentrionali. E non è una gestazione tranquilla, all’esecutivo si rimprovera una scarsa prontezza d’intervento.
Le Regioni sono in pressing da giorni per chiedere «lo stato di emergenza», ma ora vanno in ordine sparso. Il Piemonte, epicentro della grave crisi idrica non certo alleviata dalle precipitazioni delle ultime ore, invita con il presidente Alberto Cirio il governo a far partire lo stato d’emergenza proprio da Torino: «Almeno in modo parziale da chi, come noi, già sette giorni fa ha anticipato i tempi». Tira il freno, invece, il collega Attilio Fontana che, da Milano, dice che quella dello stato d’emergenza è «una richiesta che eventualmente faremo quando ci saranno delle specifiche necessità».
La situazione ai tavoli del governo si è sbloccata dopo una
Leggi tutto: Siccità, lo stato d’emergenza può attendere - di Mauro Ravarino
Commenta (0 Commenti)M5S. In un sistema democratico stabilità e governabilità dipendono dalla sostanza e dalla coesione della società che si esprime nelle istituzioni, più che dalla loro forma
Giulio Paolini, "L’altra figura", 1984
Che nel M5S fosse da tempo in atto una guerra a bassa intensità era chiaro a tutti. La deflagrazione era inevitabile. L’occasione è arrivata in Senato con la risoluzione sulla guerra in Ucraina.
Che alla fine un cambiamento l’ha prodotto davvero. Non sulle armi, ma con la scissione.
Un passaggio del discorso di Pierferdinando Casini, pronunciato in aula, subito dopo quello del Presidente del consiglio Draghi, ha probabilmente suscitato qualche tenerezza tra i meno giovani. Quando ha ricordato che nel bel tempo antico il dibattito si sarebbe chiuso secondo prassi, con le parole: il Senato, udite le comunicazioni del governo, le approva e passa all’ordine del giorno. Citazione corretta. È un paradosso solo apparente che il parlamento in cui risuonava quella formula testualmente priva di qualsivoglia motivazione avesse un peso ben maggiore di quello che oggi ha espresso una verbosa risoluzione. Il cui punto focale pare sia stato nell’”ampio coinvolgimento” di se stesso nelle decisioni governative.
Un’aula parlamentare ha un peso che si misura con la sostanza politica che in essa si esprime. Il dibattito in assemblea è il
Leggi tutto: Nella crisi dei partiti nascono le scissioni e le false soluzioni - di Massimo Villone
Commenta (0 Commenti)LA TRATTATIVA NELLA MAGGIORANZA. Ha pesato che il leader grillino non abbia voluto fornire nuovi alibi agli scissionisti
Un aggettivo, una paroletta: «ampio». Questo è disposto a concedere Draghi a Conte e a LeU. Nulla di più. Dopo un’estenuante vertice di maggioranza che prosegue da 11 ore la formula che il governo propone è una risoluzione che, sul punto chiave impegna l’esecutivo a garantire «il necessario e ampio coinvolgimento delle camere». Però «con le modalità previste dal dl 14/2002»: è il testo approvato alla fine del febbraio scorso che permette al governo di decidere l’invio delle armi all’Ucraina senza passare per il Parlamento e che impone di «riferire» sullo stato delle cose ogni tre mesi.
Per Conte è una resa quasi senza condizioni. Poche ore prima la capogruppo Castellone aveva rifiutato lo stesso testo, solo senza quel magico aggettivo, Conte aveva riunito il Consiglio nazionale, l’ipotesi di una mozione votata per parti separate circolava vorticosamente, l’eventualità di una spaccatura dietro l’angolo.
Ma i 5S si trovano di fronte a una sorta di ricatto che li obbliga a una scelta che l’«avvocato del popolo» non osa fare. Senza la firma in calce al testo che lascia mano libera al governo, la maggioranza presenterà la scarna risoluzione proposta da Pier Casini: «Udite le comunicazioni del presidente del Consiglio il Senato approva». Firmare sarebbe una resa del tutto incondizionata. Negare la firma renderebbe inevitabile per 5S e LeU passare all’appoggio esterno o addirittura all’opposizione. Probabilmente Conte non se la sarebbe sentita comunque: Dario Stefàno, autore del testo sul quale si è chiusa la mediazione, era convinto sin dall’inizio che i 5S non avessero alcuna intenzione di rompere e così il sottosegretario Amendola, che ha gestito la trattativa.
Ma anche ove qualche tentazione ci fosse stata la mossa di Di Maio la avrebbe spazzata via. Troppa la paura di fornire un alibi allo scissionista e di
Commenta (0 Commenti)IL VOTO FRANCESE. Anche Letta apre alla gauche: «Macron guardi a sinistra, ridurre le disuguaglianze conviene anche alle élite, riformisti e radicali devono allearsi per battere le destre»
Per la sinistra italiana, e in particolare per il Pd, Mélenchon resta un oggetto difficile da maneggiare. Anche dopo il successo di domenica della coalizione Nupes che è arrivata a 131 eletti. Il più chiaro tra i dirigenti dem è il ministro del Lavoro Andrea Orlando, che parla di «sinistra resuscitata» in Francia, una «buona notizia» anche per i progressisti italiani.
«Questo risultato spazza via l’idea di un superamento della dialettica destra-sinistra e stimola un punto di riflessione su come la sinistra può interpretare il malessere sociale e le contraddizioni del sistema economico, anche con successo nel rapporto con le generazioni più giovani», dice Orlando al manifesto. «Credo che il Pd debba costruire una interlocuzione con questa realtà nuova e plurale, che peraltro in parte, nel caso del Psf, aderisce alla nostra stessa famiglia a livello europeo». E ancora: «Sarebbe un errore molto grave classificare questo spazio che si è costituito come populismo di sinistra».
Tra i dem in realtà la tentazione di sovrapporsi a Macron, al partito dell’establishment, non è affatto abbandonata. L’ex leader Ds Piero Fassino
Leggi tutto: Orlando: «Guai a trattare Mélenchon come un populista» - di Andrea Carugati
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