CRISI UCRAINA. Questa linea di terra misera e pianeggiante rappresenta la principale linea di faglia nel grande conflitto tra Est e Ovest. Qui si combatterà nelle prossime settimane la battaglia decisiva. Un luogo in cui, dopo otto anni di guerra, il conflitto fa parte della vita quotidiana, come la mancanza cronica di lavoro e l’assenza di prospettive.
Gli effetti della guerra a Donetsk - Ansa
Quando i carri armati di Putin sono entrati ufficialmente nel Donbass, la sera del 21 febbraio scorso, a Donetsk si è esultato pochino. La tv locale ha mostrato qualche timido carosello di auto, mentre alcuni giovani sventolavano in piazza una mezza dozzina di bandiere della Federazione Russa.
Certo non si sono viste sfilare le grandi folle del 9 maggio – giorno della vittoria contro il nazifascismo – e l’impressione, anzi, era che il numero di giornalisti e fotografi fosse quasi superiore a quello dei manifestanti.
Otto anni di guerra e bombardamenti sono assai, ed è chiaro che la gente, nel bacino del Donec, comincia ad averne abbastanza. A Kyivs’kyi Rajon, tra le campagne di Spartak, a Petrovs’kyi e Kirovs’kyi – nelle periferie del capoluogo separatista – le famiglie vivono nei sotterranei dall’estate del 2014.
Qui il conflitto fa ormai parte della vita quotidiana, così come la mancanza cronica di lavoro, l’assenza di prospettive e l’eventualità – tutt’altro che remota – di essere centrati nottetempo da un missile o da una granata: un destino a dir poco sciagurato, di cui
Commenta (0 Commenti)ELEZIONI TRANSALPINE. I risultati elettorali della domenica di voto francese. Il presidente uscente al 27,6%, la sfidante di estrema destra al 23,4%, il candidato della sinistra sfiora l'impresa con il 21,9
Il conteggio dei voti - Ap
Ancora Emmanuel Macron contro Marine Le Pen. Cinque anni dopo saranno di nuovo il candidato di La République en marche (Lrm) e quella del Rassemblement national (Rm) a sfidarsi nel ballottaggio, che si terrà il prossimo 24 aprile. Il presidente uscente ottiene il 27,6% delle preferenze (+3,6%), la sfidante il 23,4% (+2,1%).
Che fossero Macron e Le Pen ad accedere al secondo turno era atteso. Oltre ogni aspettativa, invece, il risultato di Jean-Luc Mélenchon. Con il 21,9% il candidato della France insoumise si piazza al terzo posto e sfiora l’impresa: recuperare i punti di distacco e andare a al ballottaggio.
Dietro si piazzano Eric Zemmour di Reconquête, l’altro candidato di estrema destra, con il 7% e poi la conservatrice Valérie Pécresse (4,7%), il verde Yannick Jadot (4,5%), il centrista Jean Lassalle (3,2%). La socialista Anne Hidalgo raccoglie un misero 1,7%, meno del partito comunista francese che con Fabien Roussel arriva al 2,3%.
Sarà probabilmente l’elettorato di Mélenchon a decidere l’esito del ballottaggio. Il candidato di sinistra, che nella sua campagna elettorale si è duramente contrapposto alle politiche neoliberali messe in campo da Macron, ha ripetuto ieri: «Neanche un voto a Le Pen». Zemmour ha invece dato indicazione di voto per la candidata del Rassemblement. Le altre principali forze politiche per il presidente uscente, nel consueto fronte repubblicano contro le forze neofasciste.
Tra due settimane la Francia tornerà alle urne per un’elezione decisiva non solo per il paese transalpino ma anche per l’assetto futuro dell’Unione europea.
Commenta (0 Commenti)La carovana della Cgil arriva fino a Sobrance, tra Slovacchia e Ucraina, per consegnare le 17 tonnellate di aiuti alimentari alle popolazioni sfollate e costrette a fuggire dalle bombe di Putin
Riso, biscotti, latte a lunga conservazione, alimenti per neonati, succhi di frutta, prodotti per l'igiene personale. Generi di prima necessità per chi, una volta scappato dalle bombe, deve sopravvivere nella nuova “vita” da profugo. È il racconto della delegazione capitanata dalla Cgil nazionale insieme alla Flai Cgil, Cgil Emilia-Romagna, Cgil Lombardia, Spi Cgil Lombardia, Cgil Milano, Nexus Emilia Romagna che ha attraversato il cuore dell'Europa ed è arrivata a Sobrance, al confine con l'Ucraina, per consegnare gli aiuti alimentari.
DI RITORNO DA LEOPOLI. Come si fa a spiegare a un aggredito che per combattere il suo aggressore non è con la logica delle armi che l’Europa può aiutare l’Ucraina?
L’esperienza della marcia in Ucraina, che si è svolta sabato scorso a Leopoli, alla quale ho partecipato non è stata solo il tentativo di portare in quel Paese martoriato la parola pace. È stata l’occasione di una riflessione più profonda sulla difficoltà di affermare un principio: quello della superiorità della logica della pace su quella della guerra, l’unica che sembra in queste ore guadagnare sempre più terreno.
A Leopoli non è stato facile. Come si fa a spiegare a un aggredito che per combattere il suo aggressore non è con la logica delle armi che l’Europa può aiutare l’Ucraina? Non soltanto perché regalare armi significa gettare benzina sul fuoco, ma soprattutto perché non è con la guerra che la guerra si può fermare. Concetto difficile da digerire per un aggredito che certo preferirebbe cannoni e non fiori da infilare negli obici. E concetto difficile da spiegare anche a quegli italiani che hanno sottoscritto l’invio di armi, apparentemente la cosa più logica da fare e che risponde a una reazione di pancia: ti mando i proiettili così ti potrai difendere. Ma abbandonarsi a questa logica significa rinunciare ad altro e ignorare le lezioni della Storia recente, dai Balcani all’Afghanistan. Una Storia nella quale non abbiamo sempre chiamato le cose con il loro nome e ci siamo, nel caso afghano, abbandonati a figure retoriche come “Enduring Freedom” o “Operazione Nibbio”, anziché usare il termine che ora usiamo per l’Ucraina: invasione, parola
Leggi tutto: Logica bellica e strumenti di pace. La lezione afghana - di Emanuele Giordana
Commenta (0 Commenti)UCRAINA. Ora si può sperare solo in una tregua armata, non nella pace. E il dopo strage, in attesa di foto di altri eccidi, peserà in una guerra che come spesso accade non ha una sola verità
Cadono le maschere. Quella indossata da Putin, padrino di un massacro e di crimini di guerra a ripetizione. Mosca sta conducendo una guerra totale, di annientamento. Non c’è un obiettivo politico o di governo del territorio ucraino come poteva sembrare all’inizio (e come dichiarava lo stesso Putin) ma l’intenzione di lasciare terra bruciata e di ottenere al massimo il controllo, se riesce, del collegamento via terra della Crimea al Donbass.
Ma è caduta anche la maschera della Nato dove gli Usa sul campo di battaglia europeo conducono le danze per assestare alla Russia una sconfitta epocale con una guerra per procura usando gli ucraini come la loro fanteria. L’idea di fare dell’Ucraina, giorno dopo giorno, l’Afghanistan di Putin sembra sempre più concreta. I civili, in questa ottica di scontro strategico per la supremazia, sono le vittime «collaterali» di questo gioco
Leggi tutto: Bucha, un massacro simbolo di una sconfitta - di Alberto Negri
Commenta (0 Commenti)EDITORIALE. Di fronte alla distruzione di un paese europeo, gli Stati dell’Unione litigano sul prezzo da scontare all’invasore, pur essendo chiaro a tutti che solo chiudendo i rubinetti di Putin, solo bloccando del tutto quel miliardo di euro al giorno destinato alla Gazprom dello Zar, le sanzioni rispetterebbero la propria finalità, ovvero dare una chance al negoziato e fermare la guerra
La foto che abbiamo scelto di pubblicare domenica in prima pagina, con i morti di Bucha, tornata ieri su tutti i giornali, è il simbolo di questa guerra che si accanisce contro la popolazione civile dell’Ucraina. Alla mattanza feroce, alle città rase al suolo dai bombardamenti, si aggiungono poi le specialità di ogni esercito invasore: lo stupro, la tortura, le esecuzioni di massa. Strategie di annientamento di cui l’esercito di Putin sembra essere particolarmente esperto, con le sue squadre di spietati mercenari, con la tattica medioevale dell’assedio che affama le città, con il cinico massacro delle sue stesse giovani reclute.
L’orrore, testimoniato da giornalisti e fotografi indipendenti, è negato dagli uomini del Cremlino, secondo i quali le stragi di Bucha (e presumibilmente quelle che scopriremo in futuro nelle altre città) sono «una messa in scena dell’Occidente», come ha detto ieri il ministro degli esteri Lavrov. E tanto basterebbe per essere certi del contrario, visto che Mosca nega la realtà fin dai mesi precedenti il 24 febbraio («Non siamo una minaccia per nessuno, non deve preoccupare il fatto che spostiamo soldati nel nostro territorio», Peskov), come oggi nega la stessa guerra dopo aver negato l’esistenza di un paese libero come l’Ucraina. Ma, come non si stanca di ripetere papa Francesco, scagli la prima pietra chi è senza peccato.
Come chi oggi chiede di processare Putin per crimini di guerra mentre a suo tempo rifiutò di aderire al Tribunale penale internazionale (Usa, Russia e Ucraina tra questi). O chi predica la pace essendo tra i principali foraggiatori dell’industria bellica (Usa, Russia e Cina). O chi (l’Europa) si mostra generoso e accogliente verso i milioni di profughi ucraini quando fino a ieri gareggiava per respingerne il maggior numero da Africa e Oriente.
Tra le bombe dell’ipocrisia poi, la più micidiale di tutte è fatta di gas, petrolio e carbone. Così,
Leggi tutto: Tagliare il gas contro le bombe dell’ipocrisia - di Norma Rangeri
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