Israele/Palestina. Ma c’è anche un’altra novità: la «maturazione» della legge discriminatoria sulla nazionalità esplode con le proteste nelle città miste d’Israele - con forte presenza arabo-palestinese - come Lod, Aco e Ramble, dove mentre scriviamo sono in corso pesanti scontri
Nelle ultime ore è diventato tragicamente chiaro che il governo israeliano e Hamas, per ora, non sono interessati alla mediazione di attori internazionali per arrivare a una tregua.
Dopo anni di silenzio rispetto a un conflitto che sembrava dimenticato, tutti si sono svegliati e ammoniscono – adesso se ne accorgono! – che l’occupazione non è una routine accettabile e nasconde contenuti esplosivi. Fattori a lungo occultati o dimenticati sono esplosi ancora una volta, e nuovamente il prezzo da pagare sarà il sangue di entrambi i popoli.
Stati uniti post-Trump – quelli di Joe Biden – , Unione europea, Israele e paesi arabi: tutti si dichiarano «sorpresi». Fra gli israeliani serpeggia la domanda: «Ma come hanno potuto dirci che Hamas non era interessato allo scontro armato?».
La verità è che tanto Netanyahu quanto i leader di Hamas – che aspettavano l’arrivo di altri dollari dal Qatar – proseguivano su una linea che non portava da nessuna parte ma assicurava uno statu quo relativamente vantaggioso. C’erano stati diversi incidenti violenti, durati un giorno o poco più, con un successivo cessate il fuoco mediato dall’Egitto, dal Qatar e dall’inviato delle Nazioni unite.
Ma stavolta, che cosa è accaduto?
Leggi tutto: Non basta contare i morti e sperare - di Zvi Schuldiner
Commenta (0 Commenti)SULLA SCENA DEL CRIMINE: Fridays For Future in piazza per denunciare i crimini di Eni
Il 12 Maggio Fridays For Future manifesterà in tutta Italia per denunciare le responsabilità di Eni nella crisi climatica e nella devastazione ambientale dei territori in cui opera.
Il giorno dell’assemblea degli azionisti della prima azienda italiana di idrocarburi, che si terrà online e a porte chiuse, “torniamo a manifestare contro Eni, che cerca di ripulire la sua immagine mostrandosi in prima linea nella produzione di rinnovabili mentre continua ad investire in gasdotti, oleodotti e petroliere”, affermano le attivisti e gli attivisti, “nelle sue pubblicità si presenta come un’azienda green e al fianco delle persone ma nei territori in cui è attiva ha devastato ecosistemi e compromesso la salute delle persone che li abitano, basti pensare al Delta del Niger o, senza andare troppo lontano, alla Val d’Agri o a Gela”.
Nella stessa giornata saranno organizzati presidi a Ravenna, dove convergeranno attiviste e attivisti dall’Emilia Romagna e da tutta Italia per contrastare il progetto di cattura e stoccaggio di CO2, a Milano, a Licata per opporsi a nuove perforazioni in mare, a Stagno, su cui incombe l’ingannevole progetto di “bio”raffineria, a Presenzano contro la nuova centrale Turbogas e a Roma già da oggi.
L’invito è a “partecipare numerose e numerosi per difendere il nostro presente e il nostro futuro da coloro che si stanno arricchendo a discapito della tutela delle persone e dell’ambiente, devastando territori e posticipando pericolosamente l’azzeramento delle emissioni con progetti insostenibili. Per uscire dall’ economia estrattivista e promuovere una società in cui poter vivere e lavorare in un nuovo rapporto con gli altri esseri umani e con il pianeta. È ora che anche lo stato, che è azionista di maggioranza di Eni, si renda conto dell’urgente necessità di abbandonare il modello fossile e le multinazionali che lo perpetuano, interrompendo ogni forma di finanziamento e legittimazione nei loro confronti e investendo in un reale processo democratico di transizione ecologica. Non un euro del Next Generation EU dovrebbe finire nelle mani di chi inquina e distrugge, che ad oggi dovrebbe unicamente occuparsi di bonificare le aree che ha devastato.”
Appuntamenti
RAVENNA 17.00 manifestazione nazionale, piazza Kennedy
ROMA 9:00 – 13:00 presidio metro fermi eur
STAGNO 15.30 – 17:00 presidio + realtà toscane, bioraffineria
NAPOLI (Presenzano, Caserta) h.18.00 presidio – nuova centrale a turbogas
MILANO (San Donato) – 15:00 – 18:00 presidio (performance, striscionata)
LICATA – 17:00 presidio
Extinction Rebellion il 12 maggio presidia l’assemblea degli azionisti di ENI e si rivolge al Governo
No a una transizione energetica di facciata con soldi pubblici!
Appuntamento a Roma sotto il palazzo di vetro e a Ravenna in P.za Kennedy contro il CCS.
Mobilitazioni anche a Milano, Torino e altre città in Italia.
Mercoledì 12 maggio Extinction Rebellion Italia (XR) presidia l’assemblea degli azionisti di ENI per chiedere al Governo di cessare la connivenza con il cane a sei zampe, principale responsabile italiano delle emissioni di gas serra e del collasso climatico ed ecologico.
A Roma, dalle 9.00 alle 13.00, in Piazza della Stazione Enrico Fermi appuntamento per “far rumore” e pretendere dagli azionisti l’eliminazione definitiva delle fonti fossili dai piani energetici di ENI.
A Ravenna, dalle 17:00 in Piazza Kennedy manifestazione nazionale “Il futuro non si (s)tocca! – NO CCS” per denunciare l’ipocrisia green malcelata dietro il progetto di ENI per la cattura e lo stoccaggio della CO₂ a largo della costa ravennate.
Mobilitazioni anche a Milano, Napoli e in altre città italiane. Tutti appuntamenti che vedranno schierati, accanto a XR, cittadin* e attivist* dei maggiori schieramenti ecologisti locali, nazionali e internazionali tra cui GreenPeace, Fridays for Future e Rise Up for Climate Justice.
I progetti pilota sul CCS nel mondo raccontano una tecnologia con una grossa inefficienza nella cattura, molto costosa, non consolidata, energivora e che perpetua lo sfruttamento dei pozzi e del fossile.
Un dato su tutti: a fronte delle attuali 400 milioni di tonnellate di CO₂ emesse all’anno dall’Italia, ENI prevede di stoccare 7 milioni di tonnellate di CO₂ all’anno sotto il mare di Ravenna entro il 2030 e 50 milioni di tonnellate all’anno entro il 2050, per una capacità complessiva di stoccaggio del sito fino a 300-500 milioni di tonnellate di CO₂.
ENI stima un costo di circa due miliardi di euro per il CCS ravennate e lesina finanziamenti pubblici per realizzarlo. L’Ente Nazionale Idrocarburi è partecipato al 30% dalla Cassa Depositi e Prestiti (controllata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze), di fatto è sostenuto dal settore pubblico italiano, con i soldi di tutt*. Questo impone scelte collettive e condivise su come attuare una reale transizione energetica e abbandonare il vigente sistema tossico della finanza fossile.
Il Governo deve rispondere al mandato costituzionale che gli impone di proteggere la salute della popolazione. Il Governo deve fare scelte coraggiose e introdurre le assemblee dei cittadin*, reale strumento di democrazia deliberativa su questioni che, come il CCS, riguardano il benessere e il futuro di tutt*. Sulla base delle migliori evidenze scientifiche, le assemblee delibereranno su strategie e percorsi da attuare per trasformare la società in chiave di neutralità di emissioni e rispetto dei sistemi ecologici, in equità con tutti gli esseri viventi.
Extinction Rebellion chiede al Governo di agire ora, di dire la verità, di andare oltre la politica.
Brevetti. In difesa di Big Pharma è rimasta fino all’ultimo la Commissione europea e i Paesi dell’Ue, tra questi il governo italiano. Draghi non ha ancora risposto al Comitato italiano
La decisione dell’amministrazione Biden è di estrema importanza e potrebbe rappresentare una svolta storica nella lotta contro la pandemia. È altresì il risultato dell’enorme pressione organizzata in tutto il mondo dalle reti associative attive in difesa del diritto alla salute, che hanno costruito alleanze con ampi settori del mondo scientifico, artistico e culturale. Vi è stato un susseguirsi impressionante di appelli in sostegno della moratoria: l’Oms, l’Unaids, l’Unitaid, la “Commissione Africana per i Diritti Umani”, 243 Ong e 170 personalità, fra cui numerosi premi Nobel. Prese di posizione che hanno rafforzato l’azione dell’ala sinistra del Partito Democratico statunitense verso il presidente.
Alla base della decisione di Biden vi sono anche ragioni di opportunità mediatica ed economica: nello scenario interno può rivendicare la propria coerenza con quanto dichiarato in campagna elettorale sulla necessità di una risposta globale alla pandemia; nello scenario internazionale si pone come il salvatore dell’umanità, rimette gli Usa al centro dello scenario mondiale e contemporaneamente risponde agli allarmi lanciati da diversi centri studi di economia, secondo i quali il crollo del sud del mondo – geografico ed economico – con la conseguente contrazione del mercato globale, avrebbe prodotto una danno economico enorme nei Paesi maggiormente sviluppati, primi tra questi gli Usa.
QUESTE REALI contraddizioni interne all’attuale capitalismo neoliberista, nulla tolgono né all’oggettività importanza delle decisioni della Casa Bianca, né alla possibilità che, grazie a tale scelta, molte, forse milioni, di vite umane possano essere risparmiate.
A difendere gli interessi di Big Pharma è rimasta fino all’ultimo la Commissione europea e i Paesi dell’Ue, tra questi il governo italiano; il 19 aprile il Comitato italiano impegnato nella raccolta di un milione di firme sull’Ice- l’Iniziativa dei cittadini europei – “Diritto alla cura. Nessun profitto sulla pandemia” aveva inviato al presidente Draghi una lettera con le firme di oltre cento associazioni nazionali, tra le quali tutti i principali sindacati, chiedendo che il governo appoggiasse la moratoria sui brevetti richiesta dall’India e dal Sudafrica con l’appoggio di un centinaio di Paesi, e che esercitasse tutta la sua influenza per obbligare la Commissione europea a modificare la propria posizione.
Stiamo ancora aspettando la risposta. Ora, dopo la decisione di Biden, dalla presidente della Commissione europea ai ministri italiani è un susseguirsi di dichiarazioni di disponibilità alla trattativa. Non esprimo alcun giudizio, saranno i lettori a valutare l’eticità di simili comportamenti; mi auguro solo che a queste tardive dichiarazioni seguano comportamenti conseguenti.
Fino ad ora ci siamo battuti perché avesse inizio la partita, ossia la discussione sulla moratoria; ora che la partita ha inizio il gioco si fa estremamente duro e c’è bisogno di tutti. Big Pharma si è già scatenata alternando dichiarazioni minacciose “con queste decisioni sarà più difficile sconfiggere la pandemia”, a lacrime di coccodrillo sulle conseguenze economiche di queste scelte, dimenticandosi non solo che questi vaccini sono stati prodotti con ampi finanziamenti pubblici – ad esempio secondo quanto riportato dal the Guardian il vaccino AstraZeneca è stato prodotto con il 97% di soldi pubblici o provenienti da enti di beneficenza – ma anche ignorando i profitti stratosferici realizzati in questi mesi e nei prossimi. Infatti, la proposta di moratoria non prevede un esproprio, ma anzi un risarcimento, da definire in ambito Wto, alle aziende possessori del brevetto.
PER CONTRASTARE questa azione lobbistica sarà fondamentale, nelle prossime settimane, il ruolo della società civile nel premere per una rapida e soddisfacente soluzione per la salute dell’umanità. E’ importante rafforzare da subito la raccolta di firme “Diritto alla cura. Nessun profitto sulla pandemia” per obbligare la Commissione e gli stati europei a modificare a 180° la propria posizione. Il tempo è un fattore fondamentale; è diverso raggiungere un accordo tra una settimana o tra sei mesi, ogni giorno che passa ci sono delle morti evitabili.
E’ necessario vigilare perché l’accordo non sia una semplice dichiarazione d’intenti che rimane poi irrealizzabile, come fu la dichiarazione di Doha del 2001, nella quale il Wto affermava che la tutela dei brevetti non avrebbe mai dovuto impedire ai governi di fornire la miglior assistenza sanitaria possibile ai loro cittadini. Parole sante, ma solo parole.
Quello per cui ci battiamo è l’affermazione del diritto alla salute per tutti, non un aumento dell’intervento caritativo. La carità è importante, ma non può sostituire la fruibilità di un diritto, può eventualmente rafforzarlo.
AI TEMPI DELLA pandemia da Aids, pur di mantenere i brevetti fu attivato il “Fondo Globale Aids Tbc Malaria” attraverso il quale raccogliere fondi da privati e da Stati per distribuire farmaci ai Paesi poveri. In questi casi è sempre il “ricco” che decide a chi dare e cosa dare: in Africa sono ancora milioni le persone Hiv+ che non possono curarsi. E’ la filosofia proposta dalla Fondazione Gates e sostenuta anche da Big Pharma, che oltretutto potrebbe capitalizzare un’immagine di buon mecenate.
Quello di ieri è un passo importante, forse storico, ma la strada è ancora lunga.
Spagna . Il messaggio che viene lanciato dalla Ayuso al PP è netto: per seppellire il governo progressista di Sanchez e l’alleanza con Podemos su cui si basa è necessario far cadere ogni ambiguità e cavalcare la crescente rabbia popolare diffusasi in questo anno di confinamento
Ciò che è uscito dalle urne martedì scorso nella regione di Madrid è molto chiaro: ha vinto la destra e ha perso la sinistra. Meno evidente è forse la portata della sconfitta, che va detto con nettezza non riguarda solo il governo della regione, apparso fin dalla convocazione delle elezioni un dettaglio. Il voto della comunità di Madrid è destinato a scuotere tutti gli equilibri politici nazionali e forse avere anche conseguenze imprevedibili su quelli europei. Un po’ di chiarezza la fanno le dimissioni di Iglesias e il conseguente passaggio di consegne a Yolanda Diaz.
A lei è affidato il percorso e la responsabilità di ricostruire lo spazio politico di Unidas Podemos. Non sembra invece farsi largo fra i socialisti spagnoli, la forza che più è stata penalizzata dall’elettorato della comunità di Madrid, la consapevolezza che dalle urne emerge una nuova destra, guidata dal PP di Isabel Ayuso, un partito popolare che abbandona la sua faccia moderata e centrista, fondata sul rapporto con Ciudadanos, per assumere il volto di Vox, la destra neo franchista. Elettrici ed elettori hanno emesso un chiaro certificato di morte dell’operazione politica tentata nel 2014 dai poteri forti spagnoli, di dar vita, dopo la nascita e i successi di Podemos, a un partito moderato e di centro come Ciudadanos.
La crisi globale, ambientale, economica e sociale, che la pandemia ha solo fatto precipitare, ha ristretto, se non azzerato, gli spazi sociali, prima che elettorali, di una destra liberal e moderata. Il messaggio che viene lanciato dalla Ayuso al PP è netto: per seppellire il governo progressista di Sanchez e l’alleanza con Podemos su cui si basa è necessario far cadere ogni ambiguità e cavalcare la crescente rabbia popolare diffusasi in questo anno di confinamento. Una radicalizzazione la cui onda travolgerà oltre al governo anche la eterogenea maggioranza che lo sostiene, chiudendo la partita con l’indipendentismo non solo catalano.
Questo è il livello dello scontro con cui le sinistre, moderate o radicali che siano, devono fare i conti dopo questo voto di Madrid. Va detto con chiarezza che non è un fenomeno solo spagnolo, ma da Madrid parte un segnale a tutta la destra europea che può mettere rapidamente in crisi il tentativo di rilanciare il progetto europeo con il NextGenerationEU.
Sono quindi urgenti decisioni su come reagire a questa nuova destra e alla radicalizzazione dello scontro sociale che imporrà. Una prima scelta spetta a Sanchez e al governo che dirige: per fermare le destre conviene ridimensionare le ambizioni di trasformazione fin qui espresse dal governo progressista o al contrario rilanciarle ribadendo scelte programmatiche e alleanze? In altre parole facciamo di Sanchez il Draghi spagnolo in modo da ricreare spazi e credibilità ad una destra moderata o al contrario si rilancia l’accordo con Unidas Podemos e gli impegni presi con loro sulla transizione ecologica e sulla giustizia sociale?
L’impressione è che ridimensionare alleanze e programma aprirebbe le porte ad una sconfitta definitiva e di lungo periodo delle due sinistre. Si snaturerebbe non solo la svolta che Sanchez impose al Psoe vincendo le primarie e che mise fine ai governi di unità nazionale. Soprattutto liquiderebbe quella nuova Spagna invocata dal moto di indignazione che percorse tutte le città spagnole nel 2011 e a cui Podemos ha dato prima rappresentanza politica e poi portata al governo nazionale. Insomma i socialisti spagnoli non possono dopo il voto di martedì mantenere una ambiguità su questo terreno.
Comunque la si giudichi la scelta di Pablo Iglesias di abbandonare gli incarichi prima di governo e ora la guida del partito contiene una coerenza di fondo e cioè che lo spazio politico conquistato con la nascita di Podemos non lo si difende vivacchiando, ma compromettendolo con lo scontro sociale e politico che decide il futuro del paese. Nelle stesse dimissioni c’è la convinzione che l’alleanza fra il nuovo Psoe di Pedro Sanchez e la nuova Unidas Podemos guidata Yolanda Diaz va rilanciata. Ciò che soprattutto va evitato è svolgere questa discussione nel chiuso dei due partiti.
Essa per essere efficace e dare risposte all’altezza della nuova sfida che le destre lanciano, non può che aprirsi all’intera società spagnola, intrecciando le decisioni organizzative con quelle programmatiche. Va cioè ricostruita nella popolazione fiducia e speranza. Aprire una discussione di massa sulla transizione ecologica sul fatto che incamminandosi su quella strada può garantire non solo assistenza, ma anche giustizia sociale e lavoro stabile e con diritti è ciò che serve.
La sfida delle destre non si può vincere ridimensionando il progetto politico che ha unito le due sinistre. Va rilanciato e soprattutto bisogna farlo organizzando una grande partecipazione popolare.
Commenta (0 Commenti)Nel giorno della festa dei lavoratori i dati Istat certificano una perdita di 900 mila posti di lavoro dall’inizio della pandemia.
Sono donne e giovani i più colpiti. La battaglia dei settori più sfavoriti per avere diritti e tutele: dai rider agli addetti dello spettacolo ai migranti.
1° maggio. I problemi aperti dalla crisi del capitalismo, la stessa disoccupazione e la crescita enorme della popolazione inattiva si possono superare solo liberando la società da questo lavoro, che è il riflesso speculare, ma imposto con l’oppressione, del meccanismo di produzione e riproduzione del capitalismo
1° maggio. I problemi aperti dalla crisi del capitalismo, la stessa disoccupazione e la crescita enorme della popolazione inattiva si possono superare solo liberando la società da questo lavoro, che è il riflesso speculare, ma imposto con l’oppressione, del meccanismo di produzione e riproduzione del capitalismo
Il primo maggio dell’anno scorso pubblicammo un editoriale dal titolo «Contro il lavoro», «contro il lavoro – scrivevamo – per ciò che esso è e sempre sarà in una società capitalistica, in una società divisa in classi». Quell’articolo suscitò incomprensioni e molte reazioni negative: fummo accusati di luddismo, scarso rispetto delle forze produttive, marcusianesimo, pre o post marxismo a seconda delle letture dei nostri critici.
Quell’articolo aveva, forse, il torto di apparire un tantino ideologico. Ma, a un anno di distanza e con l’occhio più attento alla profondità dell’attuale crisi del capitalismo italiano, non verifichiamo forse che è proprio su questo lavoro che si incentra lo scontro di classe? Che questo lavoro è stato messo in questione dalle lotte operaie e che ora padroni e governo vogliono restaurarne la compiutezza, mentre gli operai vogliono rivoluzionarne la determinazione storica, cioè capitalistica?
È contro questo lavoro che si indirizzano le lotte alla organizzazione capitalistica del lavoro e quindi ai cottimi e ai ritmi, agli orari e ai turni, per l’ambiente e la salute, contro la determinazione padronale delle carriere e delle mansioni.
Ma oggi si verifica anche che i problemi aperti dalla crisi del capitalismo, la stessa disoccupazione e la crescita enorme della popolazione inattiva si possono superare solo liberando la società da questo lavoro. Questo lavoro è il riflesso speculare, ma imposto con l’oppressione, del meccanismo di produzione e riproduzione del capitalismo. Del meccanismo del profitto in fabbrica, dell’organizzazione del consenso e del mercato fuori fabbrica.
È attraverso questo lavoro che il meccanismo capitalistico genera le classi, la divisione tra gli uomini, un sistema piramidale di ineguaglianze. Un sistema generalizzato di diseguaglianza, che si riflette nella diversificazione della qualità dei beni che il capitalismo dà da consumare, nella diversificazione dei modi di vita che il capitalismo impone, nella gerarchizzazione, apparentemente razionale, di questa società.
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L'incontro. Bettini battezza l’alleanza. C’è anche Elly Schlein: «Dobbiamo unire le nostre lotte»
«Giuseppe, io vorrei che tu, Elly ed io…». Enrico Letta, in una inusuale veste lirica, utilizza un sonetto di Dante per descrivere la coalizione che dovrà sfidare Salvini e Meloni alle politiche. Perché, come dice il leader Pd, «una maggioranza come quella di Draghi è unica e irripetibili, non dovrà ripetersi mai più».
OSPITI VIA ZOOM DELL’AGORÀ di Goffredo Bettini, i due leder di Pd e M5S – più la giovane promessa della sinistra ecologista Elly Schlein e Massimiliano Smeriglio – discutono per oltre due ore del centrosinistra che verrà, e delle ricette con cui renderlo appetibile a un’Italia sempre più disuguale, rassegnata, impoverita. Bettini parla dei due «decolli paralleli» di Pd e M5S che «devono avere un obiettivo comune di unità a partire dalle comunali», e assegna i compiti: bisogna mantenere «connotazioni distinte per evitare sovrapposizioni».
«Ognuno deve arare i terreni a lui più congeniali», avverte, ricordando la necessità comune di «mettere in forma politica i conflitti sociali», di «ridurre le distanze tra alto e basso, tra inclusi ed esclusi». C’è, grazie anche alla spinta radicale di Biden negli Usa, una condivisone con Letta e Conte sulla necessità di superare i vecchi paradigmi del centrosinistra, la sbornia liberista, di recuperare una funzione sociale, di «tornare a occuparsi del popolo, dei precari, dei non garantiti», come ricorda Nadia Urbinati che dà atto al M5S di aver cercato di interpretare «le emozioni di rabbia e disperazione» degli strati popolari».
CONTE LA SEGUE NELLA CRITICA al «primato dell’economia sulla politica», assicura che «non partiamo da zero, abbiamo condiviso con Pd e sinistra l’esperienza sul campo del mio secondo governo», ricorda che su alcune tipiche distinzioni destra/sinistra (come progresso vs conservazioni o egualitarismo vs gerarchia) il M5S è stato storicamente più a sinistra che a destra, ma rilancia la vocazione «trasversale e popolare» del suo nuovo M5S. «Non lasceremo alla destra il tema dell’identità, delle tradizioni popolari, o il blocco sociale dei lavoratori autonomi».
Alla fine, dopo un black out della connessione internet (Bettini evoca ironicamente un «complotto» contro Giuseppi) torna per dire che «avrete un M5S rigenerato, che ci sarà, col suo Dna». La connessione cade ancora, Letta sorride: «Ha detto che il Movimento ci sarà, ottimo risultato». E Bettini: «Senza Casalino le piattaforme di Giuseppe non funzionano…».
Il leader Pd è il più esplicito nel disegnare un campo largo progressista, che ribattezza «Piazza Grande» in omaggio al suo predecessore Zingaretti. «Questa piazza si costruisce con empatia, innanzitutto tra di noi, tenendoci per mano. Gli italiani si fideranno solo se vedranno persone che si stimano, si vogliono bene, il contrario dell’odio che ha abitato tante volte nel centrosinistra».
UN MESSAGGIO QUASI prepolitico. Cui segue una riflessione sulla svolta di Biden: «I democratici Usa, e anche io, hanno creduto che bastasse investire sulla locomotiva e i vagoni avrebbero seguito. Invece i vagoni- in senso sociale e geografico- si sono staccati e ora bisogna modificare l’ordine delle cose, la locomotiva deve stare in fondo e spingere». Per Letta, dopo la «convergenza di azione» tra Pd e M5S avvenuta sotto il governo Conte, ora serve una «convergenza di pensiero». E assicura: «Noi ascolteremo con umiltà, il nostro non deve più essere un partito antipatico, ma che soffre e spera con le persone».
Le spine delle mancate alleanze alle comunali d’autunno sono un convitato scomodo, che rischia di appannare il pomeriggio di amorosi sensi. «Sarebbe un peccato se, rispetto alle amministrative, non si riuscisse a concordare alcuni passaggi insieme, anche se credo che i tempi non siano ancori maturi per poter varare un’alleanza a tutto tondo col Pd», aveva detto Conte in mattinata. «Le amministrative sono solo una tappa intermedia del percorso che deve portarci uniti alle politiche del 2023 per avere la maggioranza», risponde Letta.
SCHLEIN PROPONE: «Bisogna ricostruire un campo nel suo insieme, le singole ristrutturazioni dei partiti non bastano. Su lavoro, ambiente e disuguaglianze abbiamo idee comuni, i giovani ci chiedono di unire le lotte, una visione comune» A Renzi ci pensa Bettini. «Non dialogheremo con chi mette in discussione la nostra alleanze, con chi fa azioni di disturbo per rafforzare il suo orticello». Conte e Letta, entrambi cacciati da palazzo Chigi dal rottamatore, non hanno bisogno di aggiungere una virgola. Il ticket dei due ex premier verso il 2023 è partito.
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