Accedi Registrati

Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *

ISRAELE/PALESTINA. Spari sulla folla che cercava cibo. Il premier israeliano annuncia il piano per l’offensiva a sud. Da Hamas nuova proposta di tregua. Al Aqsa aperta, ma non per chi arriva dalla Cisgiordania. Biden: da Schumer «un buon discorso»
L’arrivo al Nasser Hospital di Khan Younis di un ferito in un raid israeliano foto Epa/Haitham Imad L’arrivo al Nasser Hospital di Khan Younis di un ferito in un raid israeliano - Epa/Haitham Imad

«Una persona è stata uccisa per questo sacco di farina». Un giovane palestinese insiste per mostrare gli schizzi di sangue sulla iuta. Vuole raccontare a chi lo riprende con un telefonino l’ultima strage degli affamati. Dal massacro alla rotonda Nabulsi a Gaza City, 120 uccisi a fine febbraio, la conta è quasi quotidiana.

Siano bombe su magazzini di beni alimentari dell’Unrwa o spari su chi si arrampica sui camion. È successo di nuovo nella notte tra giovedì e venerdì, a nord di Gaza, alla rotonda Kuwaiti. Bilancio di almeno 25 uccisi e 155 feriti ma i medici dello Shifa Hospital sono certi che il numero crescerà: molte le ferite gravi, pochi i mezzi a disposizione.

LA REDAZIONE CONSIGLIA:
A Gaza spari sulla gente in fila per il cibo: 25 uccisi

STAVOLTA, denunciano le migliaia di palestinesi presenti, a sparare è stato un elicottero dell’aviazione israeliana. «Ci hanno massacrato, hanno ucciso mio fratello – racconta Mohammed all’agenzia Middle East Eye – Non hanno pietà. Tutto questo per un po’ di farina». I cani randagi, la mattina dopo, si sono radunati intorno ai resti dei corpi che non erano stati portati via.

Secondo il corrispondente di al Jazeera, Hani Mahmoud, i tank israeliani hanno impedito per ore di recuperare i cadaveri. E i feriti: «Erano lì a dissanguarsi e probabilmente ormai sono morti».
Amjad Ahmed, un altro testimone, parla di elicotteri che volavano sopra la folla. Lui, dice, ha perso un cugino. Un medico dello Shifa racconta di feriti colpiti allo stomaco, di altri schiacciati dalla folla nel panico.

Nel pomeriggio di ieri l’esercito israeliano ha negato di aver sparato, dicendo che il fuoco è partito dai palestinesi e accusando Hamas di voler infiammare gli animi. Il ministero degli esteri dell’Autorità palestinese ha sbottato, simili crimini vengono commessi «quasi ogni giorno davanti agli occhi della comunità internazionale». Sono più di 400 i palestinesi uccisi nelle ultime settimane mentre cercavano di procacciarsi del cibo, soprattutto nel nord di Gaza dove ormai la carestia è realtà. E sono 56 quelli uccisi in 48 ore in centri di distribuzione del cibo, tra Rafah e il campo di Nuseirat.

DIFFICILE STIMARE i morti per la fame, il bilancio accertato è di 27, ma le organizzazioni umanitarie lamentano la mancanza di informazioni dalla parte di Striscia a nord di Wadi Gaza, sotto il controllo dell’esercito israeliano. Secondo le Nazioni unite, il livello di fame nell’enclave palestinese è totale: non c’è nessuno che non la soffra.

LA REDAZIONE CONSIGLIA:
Hrw: la fame a Gaza è uno strumento della guerra di Israele

E mentre il bilancio degli uccisi a Gaza dal 7 ottobre sfiora i 31.500 (a cui si aggiungono migliaia di dispersi), ieri fonti di Hamas hanno detto di aver presentato una nuova proposta di cessate il fuoco in tre fasi, 42 giorni ciascuna: nella prima Israele dovrà ritirarsi al di là di Gaza City permettendo il ritorno degli sfollati e rilasciare 50 prigionieri palestinesi per ogni donna israeliana ostaggio; nella seconda sarà stabilito un cessate il fuoco permanente e il rilascio dei soldati ostaggio; nella terza Israele dovrà cessare l’assedio di Gaza in atto dal 2007. Poche ore dopo, il primo ministro israeliano Netanyahu ha rigettato la proposta, definendola «assurda». Invierà comunque una delegazione di negoziatori in Qatar.

Un’«apertura» che si scontra con la seconda parte dell’annuncio di ieri: il premier ha approvato il piano di operazione militare contro Rafah, la città dell’estremo sud in cui hanno trovato rifugio 1,5 milioni di persone. Da settimane anche gli alleati di Israele si battono contro l’offensiva di terra su Rafah, temuto preludio a una carneficina.

Le forze israeliane, ha aggiunto Netanyahu, si stanno preparando a «evacuare la popolazione». Non ha dato dettagli ulteriori e il segretario di stato Usa Blinken ieri ha detto di non aver visto ancora alcun piano sulla sua scrivania (intanto Biden definiva «un buon discorso» l’attacco a Bibi del leader dem alla Camera, Chuck Schumer).

LA REDAZIONE CONSIGLIA:
Lettera X al valico proibito. La vita non può entrare a Gaza

Rafah attende, terrorizzata. Ieri, primo venerdì di Ramadan, a centinaia si sono ritrovati tra le macerie delle moschee della città per pregare. Si è pregato anche sulla Spianata, a un centinaio di chilometri in linea d’aria. Secondo la Wafq islamica, 80mila fedeli hanno fatto ingresso ad al Aqsa, nonostante le restrizioni imposte dalle autorità israeliane.

CHE HANNO COLPITO non solo lo staff della Mezzaluna rossa, rispedito indietro davanti alle porte della Spianata, ma soprattutto chi tentava di arrivare dalla Cisgiordania, compresi anziani e donne. Fin dalle prime ore del mattino i checkpoint lungo il muro di separazione sono stati chiusi, insieme alle strade che dalla Cisgiordania occupata raggiungono Gerusalemme est. Di checkpoint ne sono apparsi anche di nuovi, volanti. A migliaia sono stati rimandati indietro sebbene in possesso del requisito «giusto»: l’età. La giustificazione: l’assenza di «permessi di preghiera», inventati lì per lì, che nessuno sapeva di doverne avere uno.

«Alla mia età, 71 anni, perché mi chiedono un permesso? È una delle politiche israeliane per impedirci di entrare ad al Aqsa con la scusa della sicurezza», ha detto l’anziano Sadiq del villaggio di Huwwara ai giornalisti di Middle East Eye. È la prima volta, dice, che non riesce ad andare a pregare