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Intervista. Il sociologo Andrea Membretti, fra gli autori del libro «Montanari per forza», uno studio che si è concentrato sul fenomeno dei richiedenti asilo distribuiti in territori normalmente dimenticati

 

Macedoni e albanesi che praticano la transumanza sull’appennino centrale, manovali cinesi che portano avanti l’edilizia rurale nel cuneense, rumeni che nel Friuli gestiscono lo sfalcio dei boschi. E’ da circa vent’anni che cittadini stranieri hanno cominciato a insediarsi nelle cosiddette terre alte, andando ad occupare nicchie economiche ed abitative abbandonate dalla popolazione originaria. Sono il prodotto di un flusso migratorio partito inzialmente dai balcani, ma che ha poi interessato il Nord Africa e tutti quei paesi con una forte necessità migratoria. Un fenomeno consistente, che per esempio vede insediati ufficialmente sull’arco alpino 350 mila residenti stranieri, e che in moltissimi casi ha contribuito a contrastare lo spopolamento e mantenere, quando non a rilanciare, le economie delle aree di montagna alpine ed appenniniche.

Ciononostante di cosa è successo in questi luoghi che sono in qualche modo rinati o non sono morti grazie all’arrivo degli stranieri, si parla poco: pionieristico in questo senso è stato il lavoro dell’associazione «Dislivelli», network di ricercatori universitari, giornalisti ed operatori specializzati nel capo delle alpi e della montagna, che ha cominciato ad interessarsi al ruolo nello sviluppo locale dell’immigrazione straniera nelle Alpi e negli Appennini. Ma mentre i ricercatori erano ancora nel pieno di questa riflessione sui nuovi rapporti socio-economici venutisi a creare, ecco che questi territori vedono l’arrivo di un altro tipo di migranti: i richiedenti asilo, persone non approdate alla ricerca di un’opportunità in risposta a un richiamo locale, ma collocate in base a un sistema di accoglienza, quello messo in campo dal precedente governo che cercava di diluirne il più possibile l’impatto distribuendo i migranti nelle aree interne (sistema che poi sarebbe diventato il modello SPRAR e dei CAS).
Ecco quindi sorgere un’altra categoria di migranti e altre dinamiche che un libro appena uscito, Montanari per forza (Franco Angeli Editore) cerca di inquadrare. Fra gli autori il sociologo Andrea Membretti, che fin da subito ha dovuto confrontarsi con questo fenomeno e la nuova attenzione mediatica e politica che esso suscitava su territori normalmente dimenticati da tutti.

Quando sono cominciate le vostre osservazioni?

Abbiamo cominciato a studiare il tema dell’immigrazione straniera nelle aree di montagna circa tre anni fa, quindi possiamo dire che stiamo osservando l’arrivo dei richiedenti asilo fin dall’inizio. Gruppi che vanno dalle 20 alle 50 persone, in gran parte africani, per i quali sono stati utilizzati spazi di risulta: alberghi abbandonati, caserme dismesse, rifugi; mandati lì non perché qualcuno li volesse, ma solo perché costava meno, e dove a causa della rarefazione sociale i contrasti con la popolazione locale erano ridotti.

Come si è sovrapposto questo fenomeno ai rapporti economico-sociali che già stavate studiando?

Per noi è stato un punto di svolta perché ci siamo resi conto che il modello SPRAR ha dato la possibilità ad alcuni comuni di inventarsi dei progetti di accoglienza che contemporaneamente potevano rivitalizzare il territorio. In questo senso l’esperienza di Mimmo Lucano a Riace non è stata l’unica: i sindaci di molti piccoli comuni di montagna hanno capito che potevano drenare le risorse pubbliche dal sistema di accoglienza verso il territorio favorendo occupazione e sviluppo locali: processi di integrazione, corsi di formazione , cooperative di lavoro, filiere a km zero : il tutto con numeri limitati ma comunque significativi per le economie di queste terre lasciate ai margini dalle politiche nazionali.

I fattori che determinano il funzionamento di questi esperimenti sono sicuramente molti e diversificati, ma è possibile individuare alcune direttrici comuni?

Sicuramente un ruolo fondamentale lo giocano la capacità e il coraggio delle amministrazioni locali, nel momento in cui hanno l’intelligenza di capire la correlazione fra immigrazione, anche temporanea, e sviluppo locale. E’ importante anche la presenza di una società civile: spesso questi territori sono depauperati, la popolazione è per la maggior parte anziana e sparpagliata nelle frazioni, mentre per far funzionare queste sperimentazioni serve la sopravvivenza di un tessuto sociale minimo e coeso. Inoltre sono favorevoli i numeri bassi, proporzionati con la popolazione locale. Non ultima, la capacità di fare alleanza con altri comuni arrivando a costituire una rete di soggetti che si supportano reciprocamente.

Quali sono invece i loro limiti?

Per prima cosa la dipendenza dai finanziamenti: la maggior parte di questi progetti non ha ancora raggiunto un’autonomia finanziaria; anche se in alcuni casi producono beni e servizi, le entrate non compensano le uscite. Sono da considerarsi delle forme di mercato protetto, delle economie sociali ibride, che hanno ancora bisogno di un accompagnamento. Dal nostro punto di vista rappresentano delle innovazioni economiche e sociali e bisognerebbe andare nella direzione di un loro sostegno anziché in quella di un taglio indiscriminato come quello previsto dal Decreto Sicurezza: in questo senso la riduzione da 35 a 20 euro dei fondi destinati all’accoglienza rischia di far morire anche queste esperienze virtuose. Un altro limite è costituito dalla provvisorietà della permanenza: diversamente dai migranti economici, la maggior parte dei richiedenti asilo nel momento in cui gli viene riconosciuta una forma di protezione lasciano questi territori per raggiungere le città dove hanno più relazioni, mentre nei piccoli comuni montani non trovano una comunità pre-esistente della loro nazionalità. E questo è un peccato nel momento in cui l’Italia è uno dei pochi paesi che consente ai richiedenti asilo di lavorare dopo soli due mesi dalla richiesta. Se con l’accoglienza si riescono ad innescare dei percorsi che prevedono anche uno sbocco lavorativo si consente a queste persone di fermarsi, di creare nuove comunità anziché affollarsi nelle grandi città. Per esempio, a Berceto, sull’appennino tosco-emiliano, è stata aperta una cooperativa per il taglio dei boschi e la vendita della legna: ora chissà cosa succederà in seguito alla riduzione dei fondi.

Quanti sono i richiedenti asilo ospitati nei comuni di montagna?

I dati relativi alla fine 2016 inizio 2017 mostrano che su un totale di circa 130 mila richiedenti asilo, quelli inseriti negli SPRAR e CAS dei comuni considerati di montagna, ovvero al di sopra dei 600 metri, sono il 40 % . Stiamo parlando di un fenomeno di tutto rispetto che oltre ad essere sottovalutato non è stato tematizzato. Da parte del governo precedente non c’è stata la capacità di capire e raccontare quello che stava succedendo in questi territori, ha prevalso la narrazione sul richiedente asilo urbano e la gara di prese di posizione sul terreno della sicurezza. Il messaggio che cerchiamo di far passare noi è che i migranti non ci impongono solo un imperativo solidale, ma rappresentano anche un’opportunità di sviluppo economico e tenuta demografica molto importante. Il governo attuale sembra andare in tutt’altra direzione, infatti i sindaci di molti di questi piccoli comuni sono molto preoccupati.

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Gaetano Azzariti (costituzionalista, presidente di "Salviamo la Costituzione ..")
da "il Manifesto" del 2 gennaio 2019

Fa piacere vedere la maggioranza di ieri, passata all’opposizione, riscoprire il valore della Costituzione. Lo diciamo senza ironia, sperando che non sia solo una ragione tattica, ma l’inizio di un nuovo corso.
Così come – con altrettanto candore d’animo – non riusciamo a trattenere un moto di sconforto quando assistiamo alle giravolte di chi abbiamo avuto sino a ieri al nostro fianco per difendere la Costituzione aggredita in modo selvaggio dai governanti ora sconfitti.
In ogni caso, per non passare troppo da ingenui, chiediamo coerenza ad entrambi. Ai nuovi partigiani della Costituzione domandiamo di fare i conti con la propria esperienza, poiché è dal disinvolto comportamento da loro tenuto in passato che si legittimano i peggiori strappi di oggi. La nuova maggioranza, invece, abbia almeno il pudore di confessare di aver abbandonato gli ideali che li aveva spinti a sostenere la lotta per la Costituzione.
UN’OPERAZIONE di pulizia intellettuale (di «onestà» si sarebbe urlato nelle piazze di ieri) necessaria per poter dare credibilità alle attuali proposte. Ciò richiede una chiara discontinuità e una sincera autocritica. La nuova opposizione anziché rivendicare i successi dei propri Governi e delle azioni sin qui compiute reclami la necessità di una svolta. Se si vuole dare fondamento alla denuncia delle enormità delle violazioni compiute nella vergognosa ultima vicenda della legge di bilancio, si rimetta in discussione una prassi pluriennale che ha teso ad emarginare il Parlamento da tutte le principali

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Decreto Salvini. Ciò che ora occorre è una mobilitazione di massa a loro sostegno e a salvaguardia, di nuovo, della Costituzione della Repubblica, già difesa dal 60% degli elettori nel referendum costituzionale di poco più di un anno fa e oggi tradita dai nuovi governanti

Luigi Ferraioli su "il Manifesto" del 6 gennaio 2019

 

Il rifiuto dei sindaci di applicare il decreto Salvini è un atto ammirevole di disobbedienza civile e di obiezione di coscienza e vale a svelarne il carattere «disumano e criminogeno», secondo le parole del sindaco Orlando. E rappresenta una forte presa di posizione istituzionale in difesa dei diritti umani dei migranti. Aggiungo, per chi non condivide statalismo etico e gius-positivismo ideologico, cioè la confusione autoritaria tra diritto e morale e l’appiattimento della morale sul diritto quale che sia, che la disobbedienza civile alla legge palesemente ingiusta è un dovere morale.

Ovviamente, al prezzo delle conseguenze giuridiche alle quali si espongono i disobbedienti. Ma qui non siamo di fronte a un semplice atto morale di obiezione di coscienza. L’obiezione, in questo caso, è motivata dalla convinzione del carattere incostituzionale del decreto perché lesivo dei diritti fondamentali delle persone. Naturalmente i sindaci non possono disapplicare la legge e neppure promuovere essi stessi la questione di illegittimità di fronte alla Corte costituzionale. L’accesso alla Corte per ottenere una pronuncia di illegittimità della legge è tuttavia possibile.

Esso è previsto nel corso di un giudizio, qualora il giudice ritenga la questione non manifestamente infondata e, inoltre, su iniziativa di una Regione, qualora essa ritenga che la legge statale o una sua parte invada la sfera delle sue competenze. Ci sono pertanto tre strumenti di tutela dei diritti fondamentali che potranno essere utilizzati contro l’applicazione di questa legge disumana e immorale. Il primo è affidato all’iniziativa degli stessi migranti, i cui diritti sono dalla legge vistosamente lesi. Consiste nell’attivazione della procedura d’urgenza prevista dall’articolo 700 del codice di procedura civile, secondo il quale «chi ha fondato motivo di temere che durante il tempo occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria questo sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile, può chiedere con ricorso al giudice i provvedimenti d’urgenza che appaiono, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito».

In questo caso il «provvedimento d’urgenza» che i migranti possono chiedere al giudice per opporsi alla minaccia di «un pregiudizio imminente e irreparabile» ai loro diritti fondamentali è precisamente l’eccezione di incostituzionalità che lo stesso giudice ha il potere di promuovere davanti alla Corte Costituzionale contro le norme del decreto che ledono o minacciano tali diritti, tutti costituzionalmente stabiliti. Il secondo strumento è affidato all’iniziativa delle Regioni e richiede la deliberazione delle rispettive giunte regionali. È infatti indubbio che il decreto cosiddetto «sicurezza», sopprimendo il permesso di soggiorno per motivi umanitari, ha trasformato decine di migliaia di migranti in clandestini irregolari, privandoli di fatto delle garanzie dei loro diritti fondamentali, a cominciare dai diritti alla salute e all’istruzione.

Ebbene, sia l’istruzione che la tutela della salute, secondo il terzo comma dell’articolo 117 della nostra Costituzione, sono «materie di legislazione concorrente» tra Stato e Regioni. Le norme del decreto che direttamente o indirettamente incidono su tali materie appartengono perciò alla competenza legislativa, sia pure concorrente, delle Regioni.

Non solo. L’assistenza sociale, che il decreto Salvini rende impossibile a favore dei migranti da esso ridotti allo stato di clandestini, è materia di competenza esclusiva delle Regioni: una competenza esclusiva ribadita più volte dalla Corte costituzionale, intervenuta in sua difesa con svariate pronunce (sentenze n. 300 del 2005; n. 156 del 2006; n. 50 del 2008; n. 124 del 2009; nn. 10, 134, 269 e 299 del 2010; nn. 40, 61 e 329 del 2011) contro le invadenze dello Stato. Di qui la legittimazione delle Regioni, prevista dall’articolo 127, 2° comma della Costituzione, a sollevare sul decreto Salvini la questione di legittimità costituzionale della legge di conversione, entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, avvenuta il 3 dicembre 2018.

Ci sono ancora, in Italia, molte regioni governate da maggioranze democratiche, dal Lazio al Piemonte, dall’Emilia alla Toscana, dalle Marche alla Campania, dalle Puglie alla Calabria. La loro disponibilità a promuovere la questione davanti alla Corte costituzionale sarà il banco di prova di quanto, al di là delle parole, queste Regioni a guida democratica intendono prendere sul serio i principi costituzionali.

Infine c’è una terza via di accesso alla giustizia costituzionale, percorribile dagli stessi sindaci che hanno deciso di non dare applicazione al decreto Salvini. Oltre alla strada intrapresa dal sindaco Orlando – l’azione di accertamento, già sperimentata in materia elettorale, davanti al giudice civile perché questi chieda alla Corte costituzionale se la legge è conforme o meno alla Costituzione – i sindaci disobbedienti potranno, qualora i loro provvedimenti venissero annullati dai prefetti, impugnare gli atti di annullamento di fronte ai Tar, cioè ai tribunali amministrativi, e, in quella sede, proporre l’eccezione di incostituzionalità delle norme da essi ritenute incostituzionali.

Insomma, la battaglia in difesa della Costituzione è nuovamente aperta, grazie alla coraggiosa iniziativa dei sindaci antirazzisti. Ciò che ora occorre è una mobilitazione di massa a loro sostegno e a salvaguardia, di nuovo, della Costituzione della Repubblica, già difesa dal 60% degli elettori nel referendum costituzionale di poco più di un anno fa e oggi tradita dai nuovi governanti. Questa volta è in questione assai più della tenuta o della modifica delle regole formali sul funzionamento dei nostro organi di governo. Sono in gioco – direttamente – tutti i principi sostanziali della nostra democrazia: l’uguaglianza, la dignità delle persone, il rifiuto delle discriminazioni razziste, la solidarietà, i diritti fondamentali di tutti, la civile e pacifica convivenza.

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È un fatto molto positivo che alcuni Sindaci, per rispetto pieno della Costituzione, abbiano deciso di sospendere l’attuazione di quelle parti della legge sicurezza e immigrazione inerenti l’attività dei Comuni. Lo ha fatto per primo meritoriamente il Sindaco di Palermo Leoluca Orlando, ed altri sindaci, altrettanto meritoriamente, stanno seguendo la sua strada.

L’articolo 13 della legge nega al richiedente asilo in possesso del permesso di soggiorno la possibilità di iscriversi all’anagrafe e quindi di avere la residenza, impedendogli di conseguenza di usufruire di qualsiasi servizio, a cominciare dall’assistenza sanitaria.

Migliaia e migliaia di persone, pur presenti legalmente nel nostro Paese, sono così giuridicamente cancellate. Ciò comporterà inevitabilmente il passaggio di gran parte di costoro all’illegalità, compromettendo ogni loro speranza e la sicurezza di tutti i cittadini.

La coraggiosa decisione di Orlando e di altri Sindaci di non dare attuazione a tale articolo apre così anche sul terreno istituzionale quel percorso di resistenza civile che da tempo l’Anpi aveva auspicato non contro questo Governo in quanto tale, ma contro i provvedimenti che negassero i fondamentali diritti costituzionali ribaditi dalla Dichiarazione universale dei diritti umani.

Se c’è un contrasto fra leggi e Costituzione, occorre che venga alla luce con chiarezza affinché la Corte Costituzionale possa pronunciarsi in merito. Ci auguriamo che ciò avvenga al più presto.

L’autrice è Presidente nazionale Anpi

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Rivolta in Comune. Il sindaco di Palermo: «È un provvedimento incostituzionale e criminogeno. Il leghista mi denuncia? Farò ricorso alla Consulta»

Il ministro Salvini l’ha bollato come «un atto di disobbedienza sugli immigrati», per Leoluca Orlando invece «è un provvedimento di civiltà e rispetto della Costituzione». Certo è che la decisione del sindaco di Palermo di «sospendere» l’applicazione del decreto-sicurezza nella parte che vieta il rilascio della residenza ai migranti in scadenza di permesso di soggiorno, ha innescato reazioni inaspettate per il capo del Viminale, che si ritrova a dovere gestire una fronda di amministratori pronti a dare battaglia, a cominciare da quelli di Napoli, Firenze e Milano, con l’Anci che sollecita un tavolo di confronto immediato per evitare il caso nelle città.

La firma sul documento che ha rovinato le vacanze a Salvini, il sindaco l’ha messa il 21 dicembre, dieci giorni prima del discorso del presidente della Repubblica Sergio Mattarella che nel suo messaggio di fine anno ha toccato proprio il tema della sicurezza e lanciato un monito al governo Salvini-Di Maio. Con la nota amministrativa il sindaco dà ‘copertura’ agli uffici comunali che stavano andando in tilt di fronte alle richieste di chi ha un regolare permesso di soggiorno. Orlando di fatto invita il dirigente dell’anagrafe ad approfondire gli aspetti del decreto sicurezza e nella more di continuare a iscrivere nel registro dei residenti i migranti.

Una mossa che riapre di colpo il dibattito sulla legge con la quale il governo giallo-verde ha riscritto le regole sui migranti, creando tante difficoltà proprio agli amministratori locali, che sono in prima fila nella gestione soprattutto dei minori non accompagnati.

Sindaco, sta disobbedendo alla legge come sostiene il ministro Salvini?
No, difendo la Costituzione. In un’altra vita sono stato titolare di una cattedra di diritto costituzionale, mi porto dietro questo bagaglio.

Quindi non intende applicare il decreto-sicurezza perché lo ritiene anti-costituzionale?
E’ disumano e criminogeno; è disumano perché eliminando la protezione umanitaria trasforma il legale in illegale, ed è criminogeno perché siamo in presenza di una violazione dei diritti umani e mi riferisco soprattutto ai minori che al compimento del diciottesimo anno non potranno stare più sul territorio nazionale. Per queste ragioni ho disposto formalmente agli uffici di sospendere la sua applicazione, perché non posso essere complice di una violazione palese dei diritti umani, previsti dalla Costituzione, nei confronti di persone che sono legalmente presenti sul territorio nazionale.

Dunque l’ufficio anagrafe di Palermo sta accettando le richieste?
Il dipendente comunale se ritiene illegittimo un provvedimento non lo adotta, ma in questo caso ha l’ordine per iscritto e la responsabilità è mia

Cosa comporta il rifiuto della residenza?
Significa impedire l’assistenza sanitaria, significa non permettere a un ragazzo di frequentare la scuola, significa non dare servizi a chi vive legalmente nel nostro Paese

Il ministro Salvini sostiene che non farà azioni di forza, ma che i sindaci «ne risponderanno personalmente, legalmente, civilmente«, perché il decreto è ormai una legge dello Stato «che mette ordine e mette regole».
Se dovessi essere incriminato solleverò la questione di fronte alla Corte costituzionale

E’ questo il suo vero obiettivo?
Il mio obiettivo è difendere i diritti umani e la Costituzionale

E vuol raggiungerlo con un atto rivoluzionario?
La mia è la rivoluzione della normalità. Ho già informato i vertici dell’Unione europea e altri sindaci. Siamo in presenza di una violazione continua del quadro dei diritti umani, mi riferisco anche ai migranti sulle navi. Questo governo compie atti oltraggiosi prima nei confronti degli italiani e poi dei migranti.

Cosa si aspetta?
Per me viene prima l’Italia, non gli italiani. E l’Italia è fatta di persone che hanno dei diritti sanciti dalla Costituzione. La mia è una posizione europeista, non è certo quella dell’Europa delle banche

Qualcuno già parla di «modello Orlando»
Non aspiro a fare da modello. Ognuno deve fare la propria parte, gli altri sindaci facciano quello che ritengono giusto si debba fare. Perché ormai il re è nudo

Vale a dire?
Questo governo ha gettato la sua maschera post-fascista. A livello internazionale si ha la piena consapevolezza che in questo momento storico c’è una anomalia nel governo del Paese

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Invito accettato da Fim e Uilm per gennaio. Al congresso della Fiom-Cgil standing ovation per Maurizio Landini, candidato alla segreteria della Cgil.

«Una grande manifestazione nazionale per dare valore e centralità al lavoro industriale». La proposta di Francesca Re David viene subito accettata da Fim e Uilm e sarà preparata unitariamente a gennaio. È il cuore della relazione che ha aperto il 27esimo congresso della Fiom in quel di Riccione chiusa con la – scontata – standing ovation, quella riservata alla citazione di «Maurizio Landini». «L’ho fatta alla fine perché lo sapevo», rivela Re David. Le 28 pagine sono state però piene di un’analisi approfondita e spietata della trasformazione del lavoro e ugualmente piena di proposte innovative e di parole chiare sulle questioni politiche, sindacali e riguardo al congresso della Cgil, sullo sfondo di un palco grande su cui campeggia la parola «uguaglianza» su cui sventola e si muove una piccola bandiera rossa.

«I nostri avversari di oggi sono ingiustizie e frammentazioni – comincia Re David – Per ricostruire la coalizione delle lavoratrici e dei lavoratori» servono «un’idea politica del mondo, democrazia e un’indipendenza che non significa indifferenza». Nella «crisi che è diventata un elemento strutturale, il lavoro è sempre più diviso ma il suo controllo è sempre più centralizzato». Nelle «catene degli appalti dove lavorano 400mila metalmeccanici c’è un problema di conoscenza e di organizzare la conoscenza». Al tempo degli algoritmi «l’idea che il lavoro umano è destinato a scomparire come la fabbrica è una grande bugia». «Per dare rappresentanza collettiva ad un mondo parcellizzato serve un sindacato confederale, capacità di costruire una coalizione tra lavoratori per fare sintesi dando più forza alla rappresentanza». Qui arriva la proposta: «I delegati dei luoghi di lavoro siano sopra il 50 per cento nel comitato Centrale da convocare di norma ogni mese».

La continuità sindacale e politica tra le parole di Francesca e la linea che Landini ha tracciato nella Fiom e ora nella Cgil si trova ricostruendo la storia della confederazione in questi ultimi tre anni: la vittoria in Corte Costituzionale contro Fca, la Carta dei diritti e i referendum contro il Jobs act hanno spostato l’asse della Cgil verso sinistra. Ora «davanti ad un governo M5s-Lega («votati da molti dei nostri») che hanno puntato tutto sul disagio sociale ma governano con un contratto privatistico in cui il confronto è quasi impossibile« serve «ancora più autonomia e indipendenza», anche «perché la legge di bilancio sta deludendo gran parte di chi li aveva appoggiati». «E se Di Maio ha festeggiato l’accordo Ilva con Mittal sottolineando che rimaneva l’articolo 18 – che invece ci spiegavano impediva alle aziende di investire in Italia – ora sia conseguente e lo ridia a tutti».

Toltatasi qualche sassolino dalle scarpe («eravamo in piazza coi No Tav a Torino come sempre perché crediamo nella democrazia e in un diverso modello di sviluppo»), («il welfare aziendale nel nostro contratto lo criticano ma lo abbiamo esteso a tutti i lavoratori – 1,6 milioni – e a 21 Ausl pubbliche e puntiamo a finanziare la sanità pubblica»), Re David è passata ai temi più delicati a partire dalla differenza fra il contratto nazionale unitario e quello Fca che si prevede ancora separato: «Il primo lo hanno votato i lavoratori, il secondo no, anche se gli interlocutori hanno sensibilità diverse». Nell’ex Fiat «lo scambio diritti-lavoro era un ricatto, ora si è rivelato una grande illusione». Se il contratto dei metalmeccanici «ha salvato il contratto nazionale» e permette di dare un contratto a due milioni e mezzo di persone, sul welfare aziendale serve «una discussione confederale», mentre «la riduzione d’orario oggi è ancora più necessaria».

Alla fine è arrivata la citazione di «Maurizio» come prossimo segretario confederale, «indicato da Susanna Camusso che ha spostato in avanti lo sguardo come solo le donne sanno fare»: «È una proposta in grado di parlare fuori e dentro la Cgil, unendo la discussione sul documento congressuale votato dal 98% da quella sul gruppo dirigente».«Maurizio sa che da segretario confederale troverà la Fiom che conosce, confederale e dialettica». La proposta della manifestazione viene accolta negli interventi di Marco Bentivogli (Fim Cisl) e di Rocco Palombella (Uilm), applaudito quando dice: «Se Maurizio diventa segretario Cgil non può che farmi piacere».

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