Accedi Registrati

Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *

Intervista a Maurizio Landini. Il segretario confederale Cgil: «Per recuperare i guasti del Jobs Act bisogna riscrivere tutte le leggi sbagliate. Chi parla di decreto Cgil dice una sciocchezza: noi la causale l’avremmo rimessa tutta. Sono prime misure giuste ma serve un ridisegno organico come la nostra Carta dei Diritti»

Maurizio Landini, esponenti della Lega sostengono che il decreto Dignità di Di Maio sia in realtà «il decreto Cgil»…
È una sciocchezza. Questo è un decreto che migliora le condizioni per alcune categorie di lavoratori. E quindi va nella direzione di dare più diritti e ridurre la precarietà. Ci sono norme condivisibili e interessanti, ma per ricostruire quanto distrutto dal Jobs act serve un intervento organico molto più vasto. Come la nostra Carta dei diritti che abbiamo presentato a tutte le forze politiche e che mira a dare diritti a tutti i lavoratori a prescindere dal tipo di contratto. Per recuperare i guasti del Jobs act bisogna riscrivere tutte le leggi sbagliate.

È un fatto però che la Cgil contestasse l’abolizione della causale nei contratti a tempo predel decreto Poletti del 2014.
Certo, ma noi la causale l’avremmo rimessa anche per i primi 12 mesi e sempre perché è evidente che l’aumento dei contratti a termine è dovuto alla liberalizzazione totale fatta da Poletti. Per questo diciamo che in questo decreto ci sono cose positive ma che serve molto più coraggio. Anche perché dentro il governo c’è chi vuole il ritorno dei voucher contro cui noi abbiamo raccolto milioni di firme: sarebbe inaccettabile e andrebbe nella direzione opposta e noi ci mobiliteremmo sicuramente.

A spingere per reintrodurre i voucher in agricoltura è il ministro leghista Centinaio. Vede anche lei una spaccatura fra la Lega che spadroneggia sul tema dei migranti e il M5s che cerca di recuperare a sinistra sui temi del lavoro?
Questo governo è il frutto di un contratto tra due movimenti molto diversi che sono stati premiati dal voto degli italiani. Noi come Cgil siamo autonomi dai partiti e quindi guardiamo al merito dei singoli provvedimenti. Sui migranti e sulla chiusura dei porti siamo davanti ad una guerra ai più poveri mentre invece di combattere chi ha la pelle nera bisognerebbe combattere il lavoro nero. Allo stesso tempo distinguiamo e diamo un giudizio positivo sui provvedimenti sul tema del lavoro. Ma il nostro giudizio rimarrà questo solo se si tratta di un inizio di una politica più ampia. Sui voucher la nostra Carta dei diritti propone di regolare il lavoro occasionale, la strada è quella. Così come nella nostro congresso proponiamo nuove misure come il Reddito di garanzia e continuità per i precari.

Oltre al merito c’è però un cambio di metodo. In pochi avrebbero pensato che Di Maio – in passato, come Grillo, molto critico verso di voi – vi avrebbe ascoltato e convocato.
Il cambiamento lo abbiamo visto nella gestione di alcune crisi come Ilva e sul tema dei diritti dei riders. Noi però chiediamo di essere ascoltati su molti altri temi: dagli ammortizzatori sociali che sono stati ridotti dal Jobsact e a settembre rischiano di produrre migliaia e migliaia di licenziamenti, dalle pensioni per superare la Fornero al fisco per ridurre le tasse a lavoratori e pensionati per non parlare della politica industriale. Anche per scrivere questo decreto il governo non si è confrontato con noi: chiediamo che lo faccia prima di prendere ogni decisione. Poi decida come vuole, ma almeno ci ascolti.

La norma anti delocalizzazioni è scritta bene?
Serviva una legge perché la normativa precedente non funzionava. Detto questo noi chiediamo di approfondirla inserendo come fondi pubblici anche gli sgravi sulle assunzioni e di creare un fondo nazionale che affronti le emergenza come quelle della Bekaert e la Invatec Medtronic che sono scoppiate in questi giorni.

In conclusione: il decreto Dignità mette fine al renzismo?
Andrei cauto. I governi di centrodestra prima e di centrosinistra dopo hanno fatto una strage dei diritti e prodotto una svalutazione del lavoro che è sotto gli occhi di tutti. La diseguaglianza è esplosa e anche chi lavora è povero e rinuncia a curarsi. Non voglio ingigantire il valore del decreto: per ridare dignità al lavoro serve molto di più.

Commenta (0 Commenti)

Dopo l’ennesimo disastro elettorale Pietro Spataro giustamente invoca una riflessione di fondo sulla sinistra. Purtroppo parte importante del gruppo dirigente del Pd continua a rispondere a questa crisi ricordando l’età dell’oro del 40% alle europee. Il punto da cui partirei è un poco diverso dal titolo dell’articolo di Spataro. Non è scomparsa la sinistra ma la sua rappresentanza politica.

Certo se proseguisse questa situazione il risultato finale potrebbe essere la coincidenza delle due crisi, cioè della rappresentanza politica e della sinistra diffusa, nella cultura, nella società, nelle persone. Per ora mi sembra ci sia una differenza importante, che lascia una speranza a patto di iniziare finalmente ad affrontare i problemi.

L’esistenza di una sinistra nella società è un punto da cui partire e che potrebbe consentire di individuare e mettere in campo energie e forze importanti per tentare di superare questa crisi. Del resto è del tutto evidente che in situazioni molto diverse tra loro, socialmente e culturalmente la scelta degli elettori di scegliere l’astensione o di cercare altri interlocutori da votare è partita proprio dalla sfiducia nei referenti politici attuali della sinistra, non più vissuti come i propri rappresentanti.

La crisi principale riguarda la sfiducia nella rappresentanza politica della sinistra, arrivata ad un punto tale che potrebbe diventare definitiva, senza appello, se non venisse data una risposta convincente, una svolta. Anche in altre fasi storiche ci sono state crisi rilevanti, ma non con questa gravità. Ne è una prova che all’interno della sinistra non ci sono travasi significativi, quindi nessuna proposta politica oggi è convincente. E’ un fatto.

L’elemento caratterizzante, in particolare nell’ultimo decennio, è lo spostamento massiccio di voti in periodi relativamente brevi. I 5 Stelle ne sono un esempio, ma lo è anche l’affermazione della Lega, che ha avuto un aumento vertiginoso di voti in tempi ristretti. Movimenti così rapidi e di massa sono spiegabili con la scarsa identità ideale e politica dei partiti, che rende più facile abbandonarli senza tante remore. Del resto la scelta del partito leggero è stata fatta con chiarezza.

Nelle elezioni europee il Pd raggiunse il 40% in ragione di una diffidenza ancora forte verso i 5 Stelle, ma questa diffidenza si è sciolta rapidamente nel suo contrario. Ha certamente influito la crisi economica, il raddoppio della povertà, l’arretramento dei diritti e delle condizioni di lavoro, l’abbandono dei giovani. Giovani che hanno visto drasticamente peggiorata la possibilità di occupazione per un improvviso blocco del normale avvicendamento dei lavoratori già occupati (legge Fornero), oppure costretti a un precariato senza diritti (i “riders” che cosa sono se non precari tra i precari?).

Lavoratori, aree territoriali  hanno dichiarato di avere votato 5 Stelle solo perchè si erano fatti vivi con loro, confermando che si sentivano abbandonati, senza speranza. Tuttavia nella società, nell’economia ci sono tutte le ragioni oggettive per una presenza efficace della sinistra.

La marcia in più della sinistra può essere la capacità di partire da tanti particolari, scelta inevitabile di fronte alla distruzione di identità e di legami. Partire dalla frantumazione sociale per ricostruire un disegno politico. La ricostruzione dell’unità oggi non è possibile attraverso la condizione oggettiva creata da grandi agglomerati di lavoratori come in passato e quindi la ricostruzione di un progetto unificante deve essere politica e programmatica, altrimenti le contraddizioni diventerebbero ingestibili. La classe in sé non esiste più come in passato, in ragione di grandi agglomerati di lavoro, ma può esistere una classe lavoratrice che acquisisce, gradualmente, la consapevolezza politica che i destini degli uni sono legati a quelli di altri, in alternativa alla guerra di tutti contro tutti.

La difficoltà nasce dal fatto che parte importante della sinistra ha contribuito a rompere lo schema generale precedente senza avere la più pallida idea di come ricostruirlo. Per questo non bisogna stupirsi delle contraddizioni dei 5 Stelle che sommano cose accettabili,  ad altre inaccettabili, da contrastare. Solo una sinistra con una proposta coerente può fare scoppiare queste contraddizioni positivamente.

Il programma politico, la coerenza del disegno sono fondamentali per la sinistra. Ad esempio in materia di lavoro, l’unificazione dei diritti e delle condizioni essenziali di chi lavora è un primo terreno. D’Antona e Alleva, per incarico della Cgil, hanno ragionato decenni fa su un sistema unitario di diritti di chi lavora. Oggi  la Cgil ha elaborato una carta dei diritti di tutti i lavori. Tutto questo va semplificato, aggiornato e tradotto in linea e pratica politica. Esiste o no l’esigenza di unificare il sistema attuale di diritti di chi lavora? Più in generale la condizione di chi lavora? Altrimenti rischieremo di avere tante situazioni come quelle dei riders, che è necessario affrontare ma in un quadro coerente di diritti, altrimenti come troppo spesso accade gli uni vengono messi contro gli altri.

Oppure le pensioni. L’insistenza sul contributivo come scelta unilaterale prenota contraddizioni e blocca la solidarietà, senza la quale non si va da nessuna parte nella ricostruzione dei diritti e delle condizioni di lavoro. Così per l’occupazione, stiamo andando verso un’economia in cui pochi lavorano troppo e molti non lavorano o lavoricchiano. Occorre affrontare anche questo punto vitale, il lavoro va ripartito, redistribuito con un progetto economico e sociale.

Sono solo alcuni punti ma ce ne sono altri, non meno importanti come la progressività fiscale, la lotta all’evasione, il rifiuto dei condoni, la tutela dell’ambiente, che è una risorsa. Su punti caratterizzanti la sinistra può aprire un scenario nuovo in Europa. Senza una prospettiva sovranazionale non si va da nessuna parte, purtroppo la sinistra non è mai stata così poco internazionalizzata come in questa fase, sia per argomenti, sia per legami.

La globalizzazione implica risposte sovranazionali, eppure mai come in questa fase la sinistra resta entro i confini nazionali. Solo un programma coerente di cambiamento per riunire il corpo sociale entro un progetto di nuova società può evitare la frantumazione distruttiva della società e questo deve fare la sinistra se vuole dimostrare oggi le ragioni di fondo della sua esistenza, con un’idea di mondo e di relazioni che recuperino la parte migliore della solidarietà internazionale.

Commenta (0 Commenti)

Sinistra . Se si vuole tornare a parlare alle masse popolari che ci hanno abbandonato la prima regola sarebbe di non insultarle accusandole di fascismo o razzismo. In effetti revisione della legge Fornero, del Jobs Act, della «Buona scuola», il reddito di cittadinanza, sarebbero provvedimenti che tutta «la sinistra» avrebbe dovuto assumere

Si ha l’impressione che, lasciati alle spalle i proponimenti iniziali, della sconfitta del 4 marzo si sia attenuata o smarrita l’eco a sinistra. E anche le rovinose sconfitte successive, non suscitano reazioni oltre la riaffermazione sostanziale della giustezza della propria linea. Non viene detto esplicitamente, ma è implicito nella riproposizione delle certezze del passato recente e nello stesso modo di valutare il successo degli avversari.

Se ci si convince di vivere in un paese fascista e razzista (inserito a sua volta in un continente ancor più razzista, se la questione dei migranti è la cartina di tornasole di tutto il resto) la cosa non potrà che risolversi nella proposizione di una sorta di «suprematismo morale» da parte di una minoranza che considera il resto del mondo «disumano», che crede di detenere in esclusiva intelligenza e umanità, che nega alla stragrande maggioranza del popolo italiano ed europeo.

Una minoranza che sembra aver smarrito perfino la curiosità intellettuale di studiare con serietà gli avversari e le loro motivazioni, di comprenderne natura e logica, che è o dovrebbe essere compito preliminare di ogni battaglia politica, accontentandosi di ripetere luoghi comuni stereotipati e consolatori. Un facile alibi per questo atteggiamento è sicuramente rappresentato dall’onnipresenza mediatica dei proclami di Matteo Salvini, che è ormai invadente e pervasiva quanto quella che fu di Matteo Renzi.

CON UNA DIFFERENZA fondamentale, però: Renzi si rivolgeva a una Italia in gran parte immaginaria, fatta di «eccellenze», brevetti, «startup», benestanti felici coi figlioli all’Erasmus. Salvini invece si rivolge a un’Italia fin troppo reale, impoverita e incattivita, che esprime un bisogno di protezione e sicurezza. Sicurezza che è una dimensione globale e avvertita come tale dalla popolazione, che significa in primo luogo sicurezza del lavoro e nel lavoro, sicurezza sul terreno della salute e dell’assistenza, e che solo in ultima analisi significa anche tutela dell’ordine pubblico.

A mio avviso il vero fenomeno che abbiamo di fronte è quello di una gigantesca sostituzione di rappresentanza sociale, che sta colmando i vuoti che da almeno due decenni la sinistra aveva lasciato e che ora sta giungendo a compimento.  È un fenomeno che rischia di assumere una dimensione epocale (non solo italiana) e di segnare una fase non breve della nostra storia. Non giunge per la verità inatteso, anzi si può considerare per qualche aspetto uno sbocco tardivo, venendo dopo un quarto di secolo di impoverimento costante, di erosione tangibile delle garanzie dello stato sociale, di stagnazione permanente e di perdita di prospettive credibili per le generazioni più giovani.

Temo che anche il mitico «nuovo centrosinistra», che viene spesso evocato con poca fantasia, sia ormai una prospettiva usurata, sia perché è stata una politica ormai rigettata dagli elettori, sia perché la nuova alleanza di governo è già, in termini sociali, una replica dell’alleanza tra classi e ceti, tra aree diverse della popolazione, tra interessi che possono convergere e che furono propri di quella esperienza.

OVVIAMENTE CON FORTI influenze della destra nel discorso pubblico e nel senso comune, perché questa è l’aria che si respira, molto diversa da quella degli anni Sessanta. Ma senza un segno univoco di destra, con una compresenza di tematiche su cui si potrebbe convenire e di propositi inquietanti: in effetti revisione della legge Fornero, del Jobs act, della «Buona Scuola», reddito di cittadinanza, erano provvedimenti che «la sinistra» avrebbe dovuto assumere per riacquistare un minimo di credibilità presso quelli che in un tempo lontano furono i suoi serbatoi elettorali. E anche andare in Europa con la spina dorsale, senza essere succubi di mitologie illusorie, sarebbe stata cosa buona e giusta.

LE INDUBBIE VENATURE razziste che emergono nel discorso pubblico sono conseguenza abbastanza inevitabile dell’egemonia consegnata alle destre. Vanno rifiutate e combattute, possibilmente senza continuare a schierarsi col potere oppressivo di Bruxelles. Ma sarebbe anche lecito interrogarsi su quanto le questioni riconducibili al «razzismo» abbiano un peso effettivo nei comportamenti elettorali di una platea così vasta, e personalmente estenderei il dubbio anche alla questione dei migranti, forse non così cruciale nel motivare le scelte rispetto a quanto suggerirebbe la propaganda ossessiva di Salvini e di altri governanti in Europa.

In ogni caso, continuare a trattare Di Maio e Salvini da ignoranti o trogloditi è sbagliato e sterile.

Invocare fronti antifascisti in assenza di fascismo è fuorviante e consolatorio; le sue implicazioni politiche (Union sacrée repubblicana) sarebbero esiziali. Si tratterebbe, fra l’altro, di una singolare forma di fascismo, senza squadre armate, senza partito unico, in un paese dove si vota quasi ogni domenica e dove i più grandi organi di stampa sono avversi al governo, dove la tv pubblica è un monocolore del principale partito di opposizione e la tv privata è proprietà di un altro partito fuori della maggioranza.

Con buona pace di Umberto Eco, il fascismo non è una categoria dello spirito ma è un fenomeno storico dalle caratteristiche ampiamente studiate e discusse, e va evitato l’abuso di «false analogie» di cui un tempo eravamo abituati a diffidare.

Aggiungerei che ricondurre automaticamente ogni forma di razzismo al fascismo è un dispositivo mentale che semplifica e banalizza entrambi i termini in questione. Non tiene conto fra l’altro della lunga tradizione coloniale, e in essa del ruolo delle democrazie coloniali, le più radicali e risolute nella pratica della discriminazione e dell’apartheid. Se si vuole tornare a parlare alle masse popolari che ci hanno abbandonato, la prima regola sarebbe di non insultarle accusandole di fascismo o razzismo.

QUESTA NUOVA DESTRA si potrà combattere solo contendendole la capacità di parlare ai ceti popolari. Servirebbe un vero Partito del lavoro, collegato a sindacati, organizzazioni esistenti, corpi intermedi. Purtroppo è qualcosa a cui la sinistra nel suo complesso appare oggi del tutto inadeguata, tanto nel balbettio di una sinistra «riformista» artefice della situazione nella quale ci troviamo, quanto negli automatismi di una sinistra «radicale» che non riesce a dismettere l’abitudine di immaginarsi solo come assemblaggio di minoranze e monoculture, incapace di rivolgersi alla società italiana nel suo complesso.

Tutta la sinistra, moderata, radicale o antagonista, è stata percepita dalla maggioranza dei cittadini come estranea o nemica. Se non si parte da questa dolorosa consapevolezza sarà molto difficile proporsi di voltare pagina e ripensare tutto, con umiltà. Presidiare il tre-quattro per cento, destinato a farsi sempre più precario, può risolversi alla fine in uno sforzo inutile e superfluo, perché le classi popolari troveranno comunque il modo di farsi rappresentare, con o senza una sinistra.

Commenta (0 Commenti)

Convegno Fiom. Ad un anno dalla morte del giurista alla Lamborghini il contratto appena firmato prevede un corso sulla Costituzione

Il grande giurista e i metalmeccanici. Il rapporto tra Stefano Rodotà e la Fiom – ricordato ieri ad un anno dalla morte nel convegno «Sulla via maestra» – risale al 2010, ai giorni caldi del referendum di Pomigliano: da una parte la modernità di Marchionne, dall’altra un piccolo gruppo di operai che combattevano per i loro diritti. «Mentre tutti ci spiegavano che era un caso eccezionale, Stefano fu l’unico a scrivere e a dire che invece era un attacco ai diritti di tutti perché cancellare la democrazia nei luoghi di lavoro significava avere una concezione autoritaria di gestione dei rapporti sociali», ricorda Maurizio Landini, all’epoca appena eletto segretario generale.
Rodotà andò ad incontrare i lavoratori di Pomigliano, iniziò un rapporto umano che è continuato con un’empatia inaspettata. Per questo ieri mattina la sala Di Vittorio era piena di operai e delegati che consideravano «il professore» uno di loro, avendolo ascoltato dal palco in tutte le manifestazioni della Fiom dal 2010 in avanti.
L’intervento al congresso di Rimini del 2014 è stato citato da Landini per sottolineare l’attualità del pensiero di Rodotà: con i passaggi quasi «profetici» sul populismo – anche quello di Grillo che un anno prima lo propose e fece votare presidente della Repubblica – «segnati da questa maniera di guardare al rapporto tra società ed istituzioni» tramite «un rifiuto della mediazione, il rifiuto delle soggettività», «una riduzione forzosa della complessità»: «populismi che dicono no al conflitto che invece è il sale della democrazia, nel senso di confronto anche duro intorno alle grandi questioni della società» mentre «la partita che si sta giocando può avere un esito inquietante: una democrazia senza popolo perché i populismi che saltano tutte le mediazioni alla fine usano il popolo, non gli danno voce».
Landini ha quindi ricordato che fu Rodotà a inventarsi l’espressione «coalizione sociale» come «popolo che torna protagonista», «l’opposto del populismo».
La bussola di ogni ragionamento di Rodotà – come sottolineato negli interventi di Gaetano Azzariti, Sergio Cofferati, Franco Focareta, Francesca Re David, Riccardo Realfonzo – è sempre stata la Costituzione, i diritti e la dignità delle persone.
L’ACCORDO LAMBORGHINI
Quale migliore dimostrazione di aver compreso la lezione di Rodotà che sottoscrivere un contratto in cui si prevede che tutti i 1.600 lavoratori seguano un corso di otto ore sulla Costituzione pagato e in orario di lavoro? Ebbene è accaduto proprio pochi giorni fa alla Lamborghini di Sant’Agata Bolognese. «Abbiamo voluto promuovere un grande piano di formazione – obbligatorio, prendendo come esempio la formazione obbligatoria sulla sicurezza – sulla Costituzione, i suoi contenuti, la sua origine, i diritti civili e sociali, il ruolo dei lavoratori: come ci ha insegnato Rodotà la nostra via maestra sono i diritti, a partire dalla conciliazione tra tempo libero e tempo di lavoro, altra innovazione di questo contratto che porta ogni lavoratore a poter scegliere tra un bonus fino a 3mila euro o 5 permessi aggiuntivi», spiega il segretario Fiom di Bologna Michele Bulgarelli.

Commenta (0 Commenti)

La disfatta del Pd. L’elettorato di centrosinistra è frastornato. Dopo la batosta del referendum costituzionale (gli attuali governanti in quella vicenda posero le prime basi dell’alleanza e del contratto), il Pd ha compiuto errori madornali, non affrontando una discussione di fondo, non scegliendo un percorso, e lasciando a bagnomaria un reggente che quando parla non si sa a nome di chi. Purtroppo, la crisi del Pd è contagiosa. Il suo fragoroso smottamento, verso la Lega, verso i 5Stelle e verso l’astensionismo, coinvolge anche le forze alla sua sinistra, che o si uniscono in modo strumentale o si dividono in modo autolesionistico.

Abituati alle frane di un paese che si sbriciola, restiamo invece quasi stupiti quando la frana assume i connotati di un cedimento del territorio dal punto di vista sociale e politico. Come accade da alcuni anni ad ogni appuntamento elettorale. Quando la montagna smotta o il fiume allaga, ogni cosa finisce per essere travolta, i campi incolti come i terreni ben coltivati. La disfatta del Pd in Emilia Romagna e in Toscana, due regioni amministrate meglio di tante altre, dimostra che la valanga fascistoide non ha trovato argini in grado di contenerla.

Città dove il Pci-Pds-Ds-Pd era al governo da 70 anni (Imola e Siena), o da 20 come Terni, hanno scelto di cambiare.

Nulla di drammatico di per sé, perché il problema non è sbaraccare le vecchie, ossificate nomenklature. Il problema è che il cambiamento premia una Vandea. Presente e diffusa in tutto il paese. Su quali basi noi oggi assistiamo alla crescita di un partito che, dal 4 per cento del 2013, nel 2018 quadruplica? E che i sondaggi danno in costante salita? Sicuramente sulla base di fortissime tensioni sociali. Ma anche sull’odio (quel che si è scatenato contro Saviano è barbarie), sulla paura, sul livore, sull’intolleranza.

Ha fatto la sua parte la mancanza di governo di alcune questioni, come il lavoro e la sicurezza sociale, ovvero gli argini politico-culturali da sempre appannaggio della sinistra: queste vie maestre della convivenza civile e della tutela sociale non sono state difese. Anzi, è accaduto il contrario. Come dimenticare la battaglia durissima condotta da Renzi contro i sindacati, oppure la beffa del contratto a tutele crescenti, o l’affidamento dell’accoglienza al sistema malato delle cooperative (l’imprenditore campano dei centri per i migranti con la Ferrari), come la retorica renziana di «aiutiamoli a casa loro», o la brutalità del ministro Minniti che «risolveva il problema» ricacciando i migranti nell’inferno libico? Tutto questo ha desertificato il terreno del consenso, favorendo la scia salviniana, tirandogli la volata.

La persona anziana che si sente spaesata e insicura nel quartiere, quelli che temono «i neri» che rubano il lavoro (come se gli autoctoni fossero disposti a vendere pareo sulle spiagge), quelli che pensano ai diritti di se stessi e dei propri simili e se ne fregano del resto, quelli che temono la violenza (vergognosamente manipolata e usata dalla propaganda mediatica), non vogliono ascoltare, non vogliono discutere e confrontarsi: chiedono risposte immediate, semplici, rassicuranti e si offrono a chi le propone. Senza però riflettere sul fatto che le soluzioni delle destre xenofobe non danno una risposta che guarda avanti, ma giocano tutto in difesa e alzano muri: contro gli immigrati, contro l’Europa, contro i pericoli esterni (magari armando ogni singolo cittadino che vuole autodifendersi).

L’elettorato di centrosinistra è frastornato. Dopo la batosta del referendum costituzionale (gli attuali governanti in quella vicenda posero le prime basi dell’alleanza e del contratto), il Pd ha compiuto errori madornali, non affrontando una discussione di fondo, non scegliendo un percorso, e lasciando a bagnomaria un reggente che quando parla non si sa a nome di chi.

Purtroppo, la crisi del Pd è contagiosa. Il suo fragoroso smottamento, verso la Lega, verso i 5Stelle e verso l’astensionismo, coinvolge anche le forze alla sua sinistra, che o si uniscono in modo strumentale o si dividono in modo autolesionistico.

La sinistra che non si riconosce nel Pd, non ha bisogno di un leader solitario. Ha urgenza di mettersi insieme, di qualcuno capace di prendere per mano questo mondo disorientato. Un compito che, in questa fase, non può essere assolto dal presidente Grasso, perché si tratta di riavviare tanto una riflessione teorica quanto un riassetto politico. Ora c’è bisogno di persone giovani, donne e uomini impegnati sul territorio, politicamente rodati. Ci sono, ma purtroppo concentrati a costruirsi ciascuno il suo partitino.

Nel tentativo di incontrare chi, dentro e fuori del partito democratico lavora per una svolta vera, ieri Zingaretti, il presidente del Lazio, una delle regioni che più e meglio ha retto all’arrembaggio della destra, ha invitato il Pd a considerare chiuso un ciclo storico e ad abbandonare «personalismi e settarismi», i due mali endemici della sinistra. Nel Lazio si è rivelata un’idea vincente. Naturalmente al netto di un’astensione-monstre.

Per ritrovare una luce in fondo al tunnel bisogna allenare i muscoli a una ripida e lunga salita, evitando di cadere nella trappola «molti nemici, molto onore», cioè regalando i 5Stelle alla Lega, considerandoli alla stessa stregua. Per due semplici ragioni. Perché, come rivelano i flussi elettorali, secondo l’istituto Cattaneo, in alcune città il voto pentastellato è andato al candidato leghista (nelle città toscane), mentre altrove è andato al centrosinistra (nelle città del Sud come Brindisi e Teramo). E perché significherebbe dire che oggi in Italia il 70% dei cittadini è di destra, mentre il nostro è sempre stato un paese spaccato a metà, con una larga fetta di opinione pubblica che si tira fuori, che si astiene.

Nel municipio di Roma dove ha vinto Caudo, ex assessore ai tempi di Marino (una macchia orribile, tra le varie per il Pd), erano chiamati al voto più di 160mila elettori, come a Imola o a Terni, ed è andata al seggio una risicata minoranza, l’80% è rimasto a casa. Non per scelta, per disperazione. Ma se non vogliamo farci sommergere dall’onda, è da queste piccole vittorie che si può ripartire. Dimostrano, nonostante tutto, nonostante la Vandea montante, che c’è ancora vita a sinistra.

Commenta (0 Commenti)

Video: Governo, il messaggio di Saviano a Salvini: “Buffone, non ho paura di te. Sei ministro della malavita”

Lo scontro a distanza tra lo scrittore Roberto Saviano e il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, prosegue. Dopo che il leader del Carroccio ha annunciato di voler dare avvio a verifiche sulla scorta dell’autore di Gomorra, Saviano gli ha risposto con un video che ha pubblicato su Facebook: “E secondo te, Salvini, io sono felice di vivere così da 11 anni? Da più di 11 anni. Ho la scorta da quando ho 26 anni, ma pensi di minacciarmi, di intimidirmi? In questi anni sono stato sotto una pressione enorme, la pressione del clan dei Casalesi, la pressione dei narcos messicani. Ho più paura a vivere così che a morire così. E quindi credi che io possa avere paura di te? Buffone” è l’inizio del messaggio rivolto al ministro.

In serata, in difesa di Saviano è intervenuto anche il presidente della Camera, Roberto Fico: “L’Italia è il Paese che ha nel suo ventre tre fra le più grandi organizzazioni criminali internazionali: mafia, camorra, ‘ndrangheta. Tutti i cittadini, gli imprenditori e gli intellettuali che hanno avuto il coraggio di opporsi alla criminalità organizzata devono essere protetti dallo Stato – ha scritto su Facebook – Spero che al più presto questo male possa essere definitivamente sradicato, diventando così solo un brutto ricordo. In questo modo nessuno dovrà più essere scortato perché finalmente libero.”

Commenta (0 Commenti)