“Pace fiscale? Mi domando che senso abbia scrivere, nel contratto di governo, che la pace fiscale vale solo per i casi involontari di conclamata povertà e poi dire che, però, bisogna contestualmente mettere la galera per gli evasori fiscali. Se questa norma contro gli evasori non viene fatta, è un condono”.
Sono le parole del direttore de Il Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, ospite di Otto e Mezzo (La7), a proposito della cosiddetta “pace fiscale”. Il giornalista legge un passaggio del contratto di governo: “C’è scritto che la pace fiscale deve riguardare tutte quelle situazioni involontarie di dimostrata difficoltà economica. Cioè soltanto chi non ha potuto pagare le tasse, perché non aveva soldi a causa della crisi, può rientrare in questo condono. Gli importi devono essere piccoli e il range deve essere molto ridotto.
E invece sento dire che il tetto è un milione. Addirittura si era parlato di 5 milioni. Del resto, per fare 20 miliardi in cassa, come ha detto Salvini” – continua – “oppure cinque come sostengono alcuni sottosegretari leghisti, è ovvio che il condono debba essere ampio perché ormai i condoni portano poco anche quando sono ampi. Cioè la gente smette di pagare oggi perché aspetta il condono successivo, che è sempre più vantaggioso di quello presente.
E noi veniamo da due o tre condoni del centrosinistra, chiamati voluntary disclosure o rottamazione delle cartelle, e da decine di condoni di Berlusconi e della Lega, che, da questo punto di vista, è abituata a votarli”. E aggiunge: “Se c’è solo il condono senza una norma contro gli evasori fiscali, ci si sente presi per i fondelli con questa roba della pace fiscale. Io poi, vorrei capire chi ci ha fatto mai la guerra.
A me la guerra l’hanno sempre fatta quelli che le tasse non le pagano. Non me l’ha mai fatta il fisco. E mi sono anche un po’ rotto di pagare le tasse al posto di quelli che non le pagano. Quindi, già questo è impopolare presso gli onesti”.
Travaglio chiosa: “. Se poi la chiamano pure in un altro modo e non aggiungono nessuna sanzione come da contratto per gli evasori, sarà un condono e sarà molto impopolare soprattutto per chi i condoni li ha sempre denunciati, come il M5s”.
Commenta (0 Commenti)La lapide dopo il danneggiamento
Ancora un atto vandalico contro le lapidi che ricordano gli eccidi nazi-fascisti. Questa volta è accaduto a Zattaglia, nel Comune di Brisighella, tra domenica 9 e lunedì 10 settembre, alla vigilia della commemorazione del 74esimo anniversario della strage di Santo Stefano di Zerfognano, prevista per sabato 22 settembre. "Ignoti hanno preso di mira la lapide posta sulla facciata del locale cimitero - informa la locale sezione dell'Anpi con un comunicato - e l'hanno colpita forse con un martello e parzialmente distrutta, asportandone alcuni frammenti".
Nell'eccidio di Santo Stefano furono fucilate cinque persone: Domenico Bellini, Paolo Conti, Mario Gonelli, Silvio Mordini e Domenico Zauli. L'episodio avvenne il 25 settembre 1944. In seguito al alcuni scontri tra gruppi partigiani e tedeschi, la Brigata Nera faentina organizzò insieme ai soldati delle SS un rastrellamento nella zona che portò alla cattura e alla fucilazione dei cinque, tra partigiani e civili.
"La risposta migliore è essere presenti in massa il 22 settembre - scrive l'ANPI di Briisghella - al cimitero di Zerfognano. Ricordare le vittime innocenti della follia nazifascista e dimostrare che la nostra comunità è altra cosa".
Alternative. In Italia è nata la rete delle Famiglie senz’auto. Le storie di chi ha deciso di aderire. Dal 17 al 22 settembre la settimana europea della mobilità sostenibile
Dal 17 al 22 settembre è la settimana europea della mobilità sostenibile: perché non provare a rottamare l’auto? Sembra una sfida irrealistica, esagerata, eppure se andiamo nei quartieri car free di Friburgo, Copenaghen, Malmoe, vivere senz’auto è la prassi.
E così per resistere, per testimoniare, per reclamare il diritto a fare a meno dell’auto, in Italia è nata la rete delle «famiglie senz’auto» (gruppo Facebook e blog www.famigliesenzauto.blogpost.com). Il primo raduno a Bologna, nel giugno scorso. Tante sono le famiglie che ne fanno parte, dal Nord al Sud Italia, dai paesini alle metropoli.
Angela Sorrentino, che vive a Napoli con marito e figlio quindicenne, senz’auto dal 2011 racconta: «Quando abbiamo finalmente deciso di rottamare l’auto è stata una liberazione, non dovevo più preoccuparmi di alcun parcheggio, di fare benzina, di fare la manutenzione, l’assicurazione. Giro a piedi o coi mezzi pubblici. Mi sento più abitante, più cittadina. Ma le difficoltà ci sono state e ci sono tutt’ora. Linee di bus cancellate, tariffe che aumentano, ritardi, servizi inefficienti…ma in tutto questo noi resistiamo».
Dante Cecili e Francesca vivono senz’auto a Roma col figlio di 11 anni. «Circa dieci anni fa si è rotta l’unica auto che possedevamo. Ci siamo organizzati dapprima col servizio del car sharing appena sbarcato a Roma, poi bici e bus. Non avere l’auto ci ha resi molto più liberi. Le motivazioni sono economiche (secondo un rapporto di Federconsumatori il risparmio si aggira sui 7 mila euro l’anno ndr) ma anche etiche ed ecologiche».
DALLE METROPOLI AI PAESINI SPERDUTI. Angelo Boezi vive in un piccolo paese dell’Appennino laziale tutto salite e discese: «Ho organizzato la vita in modo da poter vivere a piedi, oppure vado in bici. Ho imparato a fare i conti con il freddo, il caldo, la pioggia… a vestirmi in modo appropriato. A gestire la spesa in maniera umana».
C’è poi chi, come Mirko di Fusignano (Ra), non solo vive e va al lavoro senz’auto, (dieci chilometri andata e ritorno in bici), ma con la sua cargobike, nel tempo libero, fa il bibliotecario: «Volevo rimettere in circolo i libri da me letti, condividendoli con altre persone, così ho creato una biblioteca ambulante a zero emissioni».
E per andare in vacanza? Basta scegliere luoghi raggiungibili coi mezzi pubblici, o treno più bici. Raccogliendo le testimonianze di vacanze senz’auto, Roberto Luffarelli ha creato il sito Turismo senz’auto, con vari itinerari e mete (https://turismosenzauto.jimdo.com/).
VIVERE SENZ’AUTO NON È RADICAL CHIC, è anche un modo per essere solidali con chi è più povero, con i migranti, che sono i nostri più assidui compagni di viaggio, in bici e nei mezzi pubblici: mio marito va al lavoro in bici e percorre una strada (da Faenza a Castelbolognese) pericolosa e trafficata. Una strada percorsa in bici soprattutto da giovani africani che vanno al lavoro nei campi. Da anni chiediamo una ciclabile, ma invano. È vero quello che dice l’antropologo Franco La Cecla: «La forza e la prepotenza, l’impunità e il privilegio si giocano sull’asfalto delle nostre città».
Vivere senz’auto è una scelta di solidarietà, pacifismo e non violenza: l’auto non solo uccide negli incidenti stradali (almeno 3400 morti ogni anno secondo l’Istat), ma uccide anche per l’inquinamento dell’aria, e per le guerre causate dal petrolio. Per l’auto si devasta il paesaggio, cementificandolo. Le auto hanno ridotto le nostre città a immensi parcheggi, togliendo spazio ai pedoni, alla vita comunitaria, ai giochi dei bambini. Per le auto, le città si espandono (urban sprawl) e i centri commerciali in periferia proliferano, distruggendo il commercio locale.
Chi vive senz’auto, per forza o per amore, alimenta l’economia locale, etica e solidale. Al centro commerciale in bici non riusciamo ad arrivare, compriamo dai Gas (gruppi di acquisto solidali), nei mercatini rionali, nei negozi di quartiere. Per la spesa più pesante usiamo rimorchi per la bici o cargobike.
LA DOMANDA PIÙ FREQUENTE, quando la gente scopre che viviamo senz’auto è sempre la stessa: «E se piove come fate?» e noi rispondiamo: «Ci vestiamo bene!« Come dice un detto nordico, non c’è buono né cattivo tempo, ma buono o cattivo abbigliamento. «E i bambini non si ammalano?» I bambini sono i primi a non voler tornare ad avere l’auto! Sono i primi a beneficiare del movimento all’aperto, anche col freddo, anche sotto la pioggia: si divertono, rafforzano le difese immunitarie, ne giova il senso di autonomia, di autostima, di orientamento.
Con 62 auto ogni 100 abitanti, circa 2 auto ogni 3 persone (compresi i bambini), siamo il paese con il tasso di motorizzazione più alto in Europa (dopo il Lussemburgo). Le nostre auto per lo più viaggiano vuote e per pochi km (secondo l’Isfort il 60% dei viaggi motorizzati è sotto i 5 km).
La soluzione non può essere quella di sostituire il parco auto attuale con auto elettriche, perché il traffico, gli incidenti, la cementificazione, il furto di spazio resterebbero invariati. Bisogna ridurre la quantità di auto in circolazione! Dobbiamo puntare ad avere 1 auto ogni 3 famiglie, mentre ora siamo in media a 2-3 auto ogni famiglia.
VIVERE SENZ’AUTO NEL NOSTRO PAESE PERÒ NON È FACILE. Il rapporto Pendolaria di Legambiente fotografa un’Italia che investe poco nelle ferrovie, contro il grande investimento su strade e autostrade. Noi famiglie senz’auto chiediamo quindi ai ministri dell’Ambiente e dei Trasporti più democrazia nelle strade (con la riforma del Codice Stradale), più piste ciclabili, incentivi a chi ha auto di proprietà, una politica nazionale di bike to work, mezzi pubblici capillari e efficienti, treni e bus gratis per ragazzi almeno fino a 15 anni, così come succede all’estero e in Lombardia e Alto Adige. Nessuno di noi è un pazzo o un eroe, siamo persone comuni, che fanno scelte controcorrenti in un paese ancora troppo ostaggio delle auto. Affrancarsi dalla proprietà delle auto, è un passo necessario verso un mondo più giusto, più sano, più umano.
Commenta (0 Commenti)A ispirazione e supporto della circolare diramata dal suo capo di gabinetto che intima ai prefetti di procedere ad interventi sgombero di stabili ed aree occupate senza pensare a locazioni alternative, Salvini ha scritto su Twitter che «la proprietà privata è sacra».
Una bestemmia, o una fake news per usare un linguaggio più secolarizzato. Non la pensava così Stefano Rodotà (la cui mancanza si fa sentire ogni giorno di più) che agli inizi degli anni ’80 raccolse i suoi studi sulla proprietà (e più volte ci tornò) in un libro diventato famoso Il terribile diritto. Un titolo desunto da una frase contenuta nell’opera più celebre di Cesare Beccaria: «…il diritto di proprietà (terribile, e forse non necessario diritto)». Quando fu pubblicata correva l’anno 1764.
Evidentemente per alcuni un tempo passato invano. Ma sappiamo che il progresso intellettuale non procede in modo lineare. Né qui si pretende che Salvini abbia mai letto Beccaria o Rodotà. Tuttavia dobbiamo esigere che conosca la Costituzione, su cui ha giurato diventando ministro. Essa non solo all’articolo 41 affronta il tema dell’iniziativa economica privata, esigendo che questa sia indirizzata all’utilità sociale, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. Ma stabilisce, nell’articolo 42, precisi limiti alla proprietà privata «allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti, prevedendo in caso contrario anche l’espropriazione per motivi di interesse generale».
A sua volta l’articolo 44 pone vincoli alla proprietà terriera privata. Conosciamo i vari tentativi di dare un’interpretazione restrittiva in senso favorevole al diritto proprietario del dettato costituzionale, fino a cercare di capovolgerlo. Ma di certo questo terribile diritto non può essere assolutizzato, meno che mai sacralizzato. Sarebbe anche opportuno che il massimo garante della nostra Costituzione facesse giungere la sua voce dal Quirinale a fronte di simili esternazioni ministeriali. Abbiamo un governo nel quale vi è chi parla di nazionalizzazioni e chi si fa paladino della sacralità proprietaria. In ogni caso un ministro che non conosce la Costituzione o che con i suoi atti la viola coscientemente non è degno di quel ruolo e se ne deve andare.
Meglio se non da solo. Jeremy Bentham sorpreso delle parole del Beccaria le definì «un dubbio sovversivo dell’ordine sociale». Ma qui siamo al classico sovversivismo delle classi dirigenti. Secondo la circolare gli sfollati, dopo schedatura, saranno parcheggiati in recinti («strutture provvisorie di accoglienza»). L’iniziativa ministeriale rafforza la spinta a chiudere centri di iniziativa culturale sociale come la Casa delle Donne a Roma, ed è stato giusto portare la questione all’attenzione della Commissione Ue. D’altro canto il tema abitativo si incrocia con quello dei migranti. E riguarda tutti. Ci ricordiamo la violenza poliziesca della scorsa estate in piazza Indipendenza a Roma. Una ragione in più per sostenere l’urgenza di una manifestazione popolare contro il razzismo e la barbarie, come proposto su queste pagine.
Commenta (0 Commenti)L'estate di Salvini. Per uscire dall’angolo, bisogna avere la forza di un progetto più ampio, non si può lasciare il ministro dell'interno a sbandierare Italy first
L’estate è stata spesso palcoscenico di tormentoni politici, utili a riempire il vuoto di notizie e raggiungere una opinione pubblica distratta. Ma quella del 2018 passerà alla storia come il tempo di Salvini, capace di consolidare l’egemonia leghista sull’esecutivo giocando cinicamente su una emergenza migranti che oggettivamente non esiste. M5S non riesce a contenere la piena, e nel confronto sembra balbettare su terreni come la Tav, la Tap, e l’Ilva. Si conferma che non c’è partita tra il leader provato sul campo di un partito vero come la Lega e quello costruito in provetta di un movimento in crisi di crescenza.
In parte, un copione già visto. Ma cogliamo una novità: Salvini ha alzato i toni. Sprezzante verso Mattarella, Fico, le opposizioni, i magistrati, l’Europa. E, se a qualcuno mai venisse il dubbio, ha chiarito che non ha alcuna intenzione di dimettersi.
Due punti. Il primo: non accade perché Salvini ha preso un colpo di sole. Il secondo: è una strategia che non può durare a lungo. L’unica conclusione ragionevole è che il leader leghista stia guardando ai prossimi confronti elettorali, a partire dalle europee del 2019, forse affiancato da un anticipo delle elezioni politiche, più probabile proprio per l’accelerazione salviniana. Ne potrebbe uscire una netta svolta a destra del paese. La domanda è: si può fermare o contrastare Salvini?
Diciamo subito che – lo dimostra il caso Mancuso – di un ministro scomodo ci si può liberare solo con una mozione di sfiducia individuale. È possibile o probabile che dalle opposizioni ne venga una. Ma una sfiducia individuale respinta serve solo a compattare la maggioranza e paradossalmente rafforzare il ministro che si vuole colpire. Quindi, cautela.
È utile la via giudiziaria? Probabilmente no. Secondo le ultime notizie, Salvini è formalmente indagato. Se è così, si apre lo scenario di un reato ministeriale, e trova applicazione la l. cost. 1/1989, che riforma il testo del 1948 disegnando per il premier e i ministri una procedura ad hoc. Questa comporta anzitutto il passaggio a uno speciale collegio di tre magistrati estratti a sorte (art. 7).
Se il collegio non decide l’archiviazione, si prevede una autorizzazione parlamentare, che può essere negata a maggioranza assoluta dei componenti ove l’assemblea «reputi, con valutazione insindacabile, che l’inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo» (art. 9). L’autorizzazione è richiesta anche per limitazioni della libertà personale, intercettazioni, sequestro o violazione di corrispondenza, perquisizioni personali o domiciliari. Né può essere disposta l’applicazione provvisoria di pene accessorie di sospensione dall’ufficio (art. 10). È dunque ovvio che una maggioranza compatta può allo stesso modo respingere una sfiducia individuale e bloccare una indagine penale a carico del ministro.
Rimane la politica. Gli argomenti di una sinistra compassionevole e solidale e attenta al legame europeo sono nobili, e per una parte di noi doverosi. Ma sono temi che nel paese non mostrano oggi di riscuotere un consenso maggioritario. Fa impressione che persino la popolarità di papa Francesco abbia subito un netto calo, soprattutto tra i giovani, pare per la sua difesa dei migranti. Per uscire dall’angolo, bisogna avere la forza di un progetto più ampio. Il trumpismo fatto in casa di Salvini si sconfigge certo anche battendosi per i migranti, ma includendoli in un progetto complessivo sui diritti dei lavoratori, i precari, i disoccupati, i milioni di poveri, le periferie degradate, il ceto medio impoverito, i giovani che non possono permettersi una famiglia o un figlio, i deboli, i diversi. Non si può lasciare Salvini a sbandierare Italy first.
Non è compito da poco. Soprattutto per il Pd, a rischio di una definitiva consunzione, come dicono anche i fischi di Genova e la consapevolezza che la storia di privatizzazioni sospette di favori ad amici e sodali è a lungo maturata nelle stanze del centrosinistra di governo. Una palingenesi è indispensabile, anche se tuttora impedita dalle scorie del renzismo. Niente scorciatoie. Potrebbero solo condurci a un Salvini santo subito.
Commenta (0 Commenti)Sarebbe arrivato il momento di togliere ai bassi fondi dei social l’esclusiva della formazione dell’opinione pubblica per riportarla nella dimensione della piazza reale. Se, a settembre, decine di migliaia di persone decidessero di incontrarsi a Roma, oltreché su Facebook, per una manifestazione contro la politica del governo sui migranti sarebbe un modo, per ciascuno e per tutto il paese, di ritrovarsi.
Servirebbe uno scatto di dignità nazionale contro chi si atteggia a piccolo padre della patria, capace di trattare gli immigrati come ostaggi, di sequestrare ragazze e ragazzi minorenni in fuga dai disastri del mondo, di fomentare rigurgiti razzisti, di stravolgere diritto e diritti costringendo la guardia costiera a diventare il suo braccio operativo. Al punto da intimidire il comandante della nave Diciotti: «Non sapevo se nell’attraccare al porto correvo il rischio di essere arrestato». Il ministro degli interni va combattuto a fondo e seriamente. Esposti e querele rischiano di lasciare il tempo che trovano.
Per fortuna dalla nostra parte abbiamo il presidente della Repubblica e il presidente della Camera. Fico è espressione dello stesso governo di Salvini che, dopo averlo attaccato personalmente su come si guadagna lo stipendio (ignorando che Fico restituisce l’indennità da presidente), ha buttato la palla addosso al Movimento pentastellato. Lui si trova benissimo con Di Maio e Toninelli, se i 5Stelle sono divisi è affare loro. Quanto a Mattarella «non temo il Colle, ho la coscienza a posto». Come è evidente, lo scontro politico-istituzionale è frontale, sia dentro il governo che, se non soprattutto, con l’Europa.
Oltretutto se a Bruxelles l’Italia incontra un muro sull’accoglienza, il governo è pronto a sparare cannonate sui conti pubblici e il momento si avvicina. Che il massimo dell’impegno sia riunire oggi le seconde file di dodici dei ventotto paesi per venire a capo del caso Diciotti, significa che non sarà l’Europa a fermare Salvini e i suoi amici europei. Non si può certo dire che la situazione sia eccellente anche se la confusione è grande.
La tentazione della crisi di governo per andare alle elezioni europee e fare il pieno di voti fa parte del gioco spericolato che, nei piani della Lega, dovrebbe prevedere, come suggerisce il sottosegretario Giorgietti, la riforma presidenziale e monocamerale.
Tuttavia la storia non è finita anche se le bandiere democratiche e costituzionali (in momenti come questo si sente la mancanza del professor Rodotà) sono state via via abbandonate, lasciate nelle mani di una classe dirigente e di governo che negli anni (grazie anche a Renzi, Minniti e compagni) le ha strappate pezzo a pezzo, fino a renderle irriconoscibili brandelli.
Come del resto sta succedendo alla bandiera europea, affogata nel Mediterraneo insieme ai 34.361 migranti morti per raggiungere le nostre coste negli ultimi 15 anni. Le vittime che abbiamo voluto ricordare, con nome e cognome, nell’inserto speciale pubblicato dal manifesto. Con nome e cognome perché sono persone e privarle dell’identità è disumanizzarle, a tal punto da immaginare di poterle riportare nei lager (libici). Una ferita che sfigurerebbe chiunque.
Proprio in questi giorni la Grecia festeggia l’uscita dai memorandum tornando a Itaca dopo la lunga odissea, dopo la vera e propria guerra europea contro i greci, un attacco brutale sotto gli occhi di tutti. Abbiamo visto da vicino di cosa è capace l’Europa ora che lo scenario internazionale la mette alla prova: non solo sul che fare nei confronti del governo italiano, ma verso la propria stentata sopravvivenza.
Sarebbe più che giustificato un lucido pessimismo, ma abbandonare il campo è sconsigliabile, questa è una battaglia campale che la destra italiana vuole stravincere senza fare prigionieri. L’unica via è andare controvento, i ponti da ricostruire sono molti e da qualche parte bisognerà cominciare. E Roma, a settembre, potrebbe fare al caso nostro.
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