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FARDELLI D'ITALIA. «Polonia e Ungheria fanno bene a difendere i loro interessi», dice Meloni. Anche se vanno contro quello italiano. I nazionalismi Ue in tilt, a Roma la maggioranza si spacca alla rincorsa della destra europea

POLITICA. Tajani contro Salvini: niente accordi con gli ultras di Identità. Lui replica: no a diktat. E si collega con Le Pen. Meloni svicola

 Videoconferenza tra Matteo Salvini e Marine Le Pen - foto LaPresse

 

Antonio Tajani, di solito un maestro di diplomazia, è drastico e tassativo. Matteo Salvini, che la diplomazia nemmeno sa dove stia di casa, gli risponde a tono. La premier, consapevole di camminare sul terreno più minato che ci sia, dice il meno possibile e i suoi ufficiali sembrano partecipare a un gioco del silenzio: «Perché accapigliarsi ora su qualcosa che non sappiamo nemmeno come andrà?». La proposta del leader leghista di stringere in Europa un’alleanza affine a quella che governa l’Italia, mettendo insieme il Ppe, i Conservatori di Meloni e il suo eurogruppo Identità e Democrazia, non è una frecciata. È una bomba a orologeria.

Il pollice di Tajani non potrebbe essere più verso: «Per noi è impossibile qualsiasi accordo con AfD e con il partito della signora Le Pen. Saremmo lieti di avere la Lega parte di una maggioranza, ma senza Le Pen e AfD». È lo stesso leader di Fi a spiegare le ragioni dell’inusuale durezza, quando ricorda di essere «anche vicepresidente del Ppe». Con una posizione meno rigida sarebbe stato letteralmente sbranato in Europa, in particolare dai colleghi della Cdu tedesca il cui incubo oggi si chiama proprio AfD.

IL VELLUTO adoperato da Tajani con la Lega non placa Salvini. Avrebbe dovuto incontrare a Roma proprio la leader francese ostracizzata. Poi, ufficialmente per i disordini in Francia, il colloquio si è svolto invece in rete. A Le Pen e a Jordan Bardella il capo della Lega dice cose opposte a quelle del collega azzurro e non le tiene segrete: «Mai la Lega andrà con la sinistra e con i socialisti. Non accetto veti sui nostri alleati. L’unico centrodestra presente in Francia siete voi». Prima di lui

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In un comunicato le forze armate israeliane confermano le operazioni di bombardamento contro "infrastrutture terroristiche". I residenti di Jenin hanno riferito alla Cnn di aver sentito esplosioni e colpi d'armi da fuoco pesanti nella zona, mentre video girati sulla scena dell'attacco mostrano l'evacuazione di palestinesi feriti sulle ambulanze che li trasportavano all'ospedale della città

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Secondo quanto riferito dal ministero della sanità, almeno tre palestinesi sono rimasti uccisi in un attacco sferrato da Israele a Jenin (Cisgiordania), ci sarebbero ache dei feriti. Secondo la radio militare israeliana ci sono ancora diversi colpi sepolti sotto le macerie di un edificio che è stato colpito dalla aviazione. In un primo commento al-Fatah accusa Israele di aver lanciato un "attacco barbaro" che comunque "non ci dissuaderà dal continuare a difendere il nostro popolo fino alla libertà e alla indipendenza". "Le forze israeliane operano nelle ultime ore con uno sforzo concentrato contro focolari di terrorismo a Jenin" ha affermato il ministro della difesa israeliano Yoav Gallant su twitter.

L'offensiva

Una offensiva che, secondo i media locali, sarebbe stata decisa una decina di giorni fa, in seguito

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IL LIMITE IGNOTO. Le indiscrezioni del Washington Post. Ieri la chiamata fra Mosca e il capo della Cia e la visita a Kiev del premier Pedro Sanchez, presidente di turno della UeVoci di un piano di pace, da siglare alle porte della Crimea Pedro Sanchez con Zelensky a Kiev - Ap

L’Ucraina ha un piano per iniziare i negoziati con Mosca. Secondo il Washington Post, infatti, Kiev avrebbe messo a punto una strategia per costringere il Cremlino ad accettare determinate condizioni messe nero su bianco e consegnate al capo della Cia, William Burns, che ieri ha parlato al telefono anche con Mosca. Intanto però la guerra continua sul campo di battaglia con nuovi raid su Zaporizhzhia e la previsione del capo di stato maggiore congiunto statunitense, Mark Milley, secondo cui «la controffensiva sarà lunga e sanguinosa».

SE CONFERMATE, le indiscrezioni del Washington Post costituirebbero un’importante novità. Ovvero sarebbero una prova del fatto che il governo ucraino sta effettivamente cercando una strategia per il cessate il fuoco, al di là dei proclami ufficiali e dei moniti. Anche ieri, in occasione della visita a Kiev del premier spagnolo Pedro Sanchez, presidente di turno dell’Unione europea, Volodymyr Zelensky ha dichiarato ancora una volta che «la diplomazia inizierà solo quando l’Ucraina tornerà ai suoi confini stabiliti nel 1991». Ma il capo deve sempre parlare di vittoria, la guerra si combatte anche così e poi i soldati al fronte devono almeno illudersi di non rischiare la morte inutilmente.

TUTTAVIA, nei piani consegnati a Burns a inizio giugno, il quadro descritto sarebbe molto più pragmatico. L’esercito ucraino punterebbe a riconquistare più territorio possibile nell’est entro l’inizio dell’autunno, motivo per cui continua a premere sui lati di Bakhmut e nelle aree limitrofe. Nel frattempo i reparti corazzati e d’artiglieria si sposterebbero al sud, al confine della Crimea, in modo da tenere sotto tiro Sebastopoli e le basi della penisola. Solo a quel punto, di fronte alla minaccia concreta al controllo russo della Crimea, l’amministrazione di Kiev aprirà i negoziati. Il governo ucraino ritiene che il Cremlino sarà disponibile a trattare, ed eventualmente a fare concessioni, solo se messo con le spalle al muro ed è per questo che tale processo dovrebbe concludersi entro l’anno corrente. I generali sanno che gli uomini e i mezzi a disposizione dell’Ucraina si trovano in una condizione e in una quantità che difficilmente potranno raggiungere di nuovo in futuro. E quindi si prefigura davvero lo scenario, evocato da qualche analista in primavera, della manovra definitiva.

POI SI VEDRÀ, c’è sempre l’ipotesi dell’ingresso nella Nato che cambierebbe definitivamente gli equilibri tra i due belligeranti. Ma le incognite sono troppe, le linee di difesa russe hanno provato la loro efficacia e non è detto che l’avanzata ucraina riesca ad arrivare alle porte della Crimea (e non oltre, si badi bene, la penisola resterebbe sotto il controllo russo); il piano è quindi stato giudicato da fonti statunitense «ambizioso». Che generalmente è un eufemismo per «difficilmente realizzabile», ma staremo a vedere.
Forse anche per questo l’amministrazione Biden sta valutando ufficialmente di fornire bombe a grappolo e missili a lunga gittata Atacms all’Ucraina. Finora, lo abbiamo sentito ripetere più volte, entrambi gli armamenti erano stati negati: il primo perché contrario alle convenzioni internazionali, il secondo per evitare che Kiev colpisse il territorio della Federazione russa con armi made in Usa. Tuttavia, nell’ottica di azioni mirate in Crimea e in Donbass Washington potrebbe cambiare avviso.

ANCHE PERCHÉ il canale tra la Casa bianca e il Cremlino continua a restare aperto. Nelle ultime ore sempre Burns avrebbe telefonato a Sergei Naryshkin, il direttore del servizio estero dell’Fsb (Il Servizio federale per la sicurezza della Federazione russa), per rassicurarlo sulla totale estraneità degli Usa nella rivolta della Wagne

 

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LAVORO. Dopo anni di divisioni il testo prevede una soglia comune a tutti e l'estensione erga omnes dei contratti nazionali, come volevano Cgil e Uil. Sconfitta la Cisl che chiedeva di non intervenire con una legge

Tutta l’opposizione (tranne Renzi): «Salario minimo a 9 euro» Una scritta a favore del salario minimo - Foto Ansa

Nel disastrato stato della sinistra e dell’opposizione, la proposta condivisa di salario minimo orario fissato a 9 euro l’ora sottoscritta da Pd, M5s, Azione, Alleanza Verdi e Sinistra e Più Europa è un fatto rilevante e inatteso. La valenza politica è evidente: per la prima volta dall’inizio della legislatura l’opposizione – con la scontata assenza della stampella della destra rappresentata da Matteo Renzi e da Italia Viva – si unifica su un tema importante e sfidante. «La necessità di un intervento a garanzia dell’adeguatezza delle retribuzioni dei lavoratori, in particolare di quelli in condizione di povertà anche per colpa dell’inflazione, è un elemento qualificante dei nostri programmi elettorali. Per questo abbiamo lavorato a una proposta unica che depositeremo alla camera nei prossimi giorni», scrivono Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni, Matteo Richetti, Elly Schlein, Angelo Bonelli e Riccardo Magi, sottolineando «che è giunto il momento di dare piena attuazione all’articolo 36 della costituzione che richiede che al lavoratore sia riconosciuta una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto e sufficiente a garantire un’esistenza libera e dignitosa per sé e per la propria famiglia». Detto questo, il testo è, nel merito, avanzato e progressista.

DA ANNI IL TEMA «salario minimo» stava dividendo la sinistra politica e sindacale con posizioni molto diversificate. M5s, Pd e Sinistra Italiana non erano riuscite a trovare un compromesso durante il governo Conte Due nel quale erano assieme al governo e come maggioranza.

ANCHE SUL PIANO SINDACALE, dopo una prima fase di diffidenza da parte di tutti i confederali, Cgil e Uil si erano dette disponibili a fissare un salario minimo orario a patto che parallelamente venisse prevista l’estensione erga omnes a tutti i lavoratori della validità dei contratti nazionali e una norma sulla rappresentanza che evitasse i contratti pirata come quello «capestro» firmato dall’Ugl e Assodelivery nel 2019 che aveva riportato al cottimo i rider.

La vera sconfitta da questa proposta è dunque la Cisl che con il segretario Luigi Sbarra un mese fa continuava a sostenere «il salario minimo facciamolo con i contratti», chiedendo di non intervenire con una legge.

A giugno 2022 è arrivata la direttiva Europea che comunque non implicava un obbligo di «salario minimo» per l’Italia: uno dei soli sei paesi su 27 a esserne priva. La Direttiva stabilisce però un trattamento minimo sopra la soglia di povertà che Eurostat ha fissato a 7,66 euro l’ora nel 2018, valore non raggiunto da alcuni contratti nazionali firmati dai confederali, compreso anche il recente rinnovo della Vigilanza privata.

Detto questo la divisione rimaneva. Perfino la proposta dell’ex ministro del Lavoro Pd Andrea Orlando prevedeva di applicare come salario minino del settore il Trattamento economico complessivo risultante dai minimi del contratto nazionale. Bocciando la fissazione di un salario minimo orario comune per tutti.

Alla fine la proposta è molto vicina a quella dell’altra ex ministra del Lavoro Nunzia Catalfo del M5s, ora non più in parlamento per aver già fatto due mandati.

NEL TESTO SI SPECIFICA infatti che «al lavoratore di ogni settore economico sia riconosciuto un trattamento economico complessivo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative – e questo va incontro alla richiesta di Cgil e Uil -; a ulteriore garanzia del riconoscimento di una giusta retribuzione, venga comunque introdotta una soglia minima inderogabile di 9 euro all’ora, per tutelare in modo particolare i settori più fragili e poveri del mondo del lavoro, nei quali è più debole il potere contrattuale delle organizzazioni sindacali».

La proposta prevede che «la giusta retribuzione» riguardi anche i «parasubordinati e il lavoro autonomo», anche se non viene spiegato come. Prevista anche, come da Direttiva europea, «una commissione composta da rappresentanti istituzionali e delle parti sociali per aggiornare periodicamente il trattamento economico minimo orario».

Infine si «riconosce un periodo di tempo per adeguare i contratti alla nuova disciplina, e un beneficio economico a sostegno dei datori di lavoro per i quali questo adeguamento risulti più oneroso», chiudendo dunque con una mano tesa a Confindustria che vede il salario minimo come un pugno nello stomaco

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IL LIMITE IGNOTO. Il convegno al Senato con Conte, Fratoianni, Scotto, Ciani

 Nicola Fratoianni e Giuseppe Conte - Ansa

«È possibile avviare un percorso di pace?». Questa la domanda, posta da Alfonso Gianni, al centro del convegno Guerra o Pace? Quali scelte politiche per riportare la pace in Europa, organizzato ieri al Senato dalla vicepresidente Maria Domenica Castellone (M5s), a cui hanno partecipato giornalisti, diplomatici, militari e rappresentanti delle forze politiche in parlamento, dal Pd al M5S per il quale ha preso parte al dibattito Giuseppe Conte. Al cuore del discorso anche il «dovere della complessità» evocato da Nicola Fratoianni (Si) «nell’ambito di un dibattito pubblico all’insegna della messa all’indice» di ogni argomento che problematizzi il necessario sostegno all’Ucraina nella guerra in corso. «Amici e amiche di Putin», aggiunge infatti Fratoianni, non si trovano nelle fila dei pacifisti ma «della destra italiana e internazionale», che il presidente russo «ha finanziato per anni».

Nei giorni della missione di pace del cardinale Zuppi a Mosca (che ieri ha incassato «l’alto apprezzamento» del Cremlino «per la posizione equilibrata e imparziale del Vaticano») sono tante le voci del convegno che sostengono la necessità di affiancare l’iniziativa del pontefice. «Non può essere solo il Vaticano a farsene carico» osserva

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IL CASO. Varato l'«assegno di inclusione» al posto del «reddito di cittadinanza» e arriva un'altra spinta ai contratti precari. I dipendenti con 35 mila euro di redditi avranno fino a 100 euro in più, già bruciati dall'inflazione, poi più nulla

Approvato il «decreto lavoro»: parte la caccia ai poveri «non meritevoli» La presidente del Consiglio Giorgia Meloni con la ministra del lavoro Marina Calderone - LaPresse

La provocazione è arrivata all’ultima stazione. Ieri la Camera ha convertito in legge il cosiddetto «decreto lavoro» varato dal consiglio dei ministri il primo maggio scorso con 154 voti a favore, 82 contrari e 2 astensioni. Secondo l’ufficio parlamentare di bilancio saranno all’incirca 400 mila famiglie che hanno beneficiato del «reddito di cittadinanza», cioè di un sussidio di ultima istanza vincolato formalmente a formazione e lavoro obbligatori, a rischiare di perderlo perché tra i loro membri c’è almeno un «occupabile».

Il taglio dovrebbe avvenire dal primo gennaio 2024 quando dovrebbe entrare in vigore l’«assegno di inclusione» che, di base, mantiene l’impianto del Workfare progettato dai Cinque Stelle e dalla Lega durante il governo «Conte 1». Il governo Meloni lo peggiorerà significativamente, facendo partire la caccia agli «occupabili» reputati in maniera infondata come dei «renitenti» a un lavoro che non possono svolgere perché al 70% esclusi dal mercato da almeno tre anni. In questo caso il sussidio sarà inferiore a quello attuale (da 540 euro medi a 350). Sarà più breve (da 18 a 12 mesi non rinnovabili) e in più sarà vincolato alla frequentazione di corsi di formazione che probabilmente non partiranno. O se lo faranno produrranno effetti tutt’altro che emancipativi. Dunque, non solo sarà selettivo, ma anche condizionato e colpevolizzante. Per tutti gli altri «poveri assoluti» sarà mantenuta la stessa logica restrittiva, ed escludente, ideata dal pentaleghismo e sostanzialmente accettata dal populismo compassionevole che ha colonizzato anche una «sinistra» che non riesce ancora a riconoscere l’esistenza di un problema chiamato Workfare e ne ignora ostinatamente la storia, le motivazioni politiche e le aberrazioni prodotte dalle cosiddette «politiche attive del lavoro» note in Francia, Inghilterra, Germania o Stati Uniti. E diligentemente riprodotte dal governo Meloni in continuità assoluta con tutti gli altri governi. In un dibattito ideologico il contenuto politico del governo dei poveri – il contrario della liberazione della povertà – giace sepolto.

Nel quadro di questa legge è stato inoltre previsto una pioggerellina di bonus accattivanti per il ceto medio che servirà tutt’al più come esca elettorale. Dal primo luglio e fino al 31 dicembre 2023, grazie a un ulteriore taglio del cuneo fiscale, le buste paga dei lavoratori dipendenti con reddito fino a 35 mila euro aumenteranno tra 60 e 100 euro al mese. Tutto ora dipende dalla possibilità del governo di individuare altre risorse per stabilizzare o prorogare lo sgravio. Nei fatti da gennaio 2024 il beneficio si azzererà. In ogni caso la mancia in arrivo servirà a tamponare la perdita dei salari prodotta dall’inflazione.

Precarizzare è la parola d’ordine sui contratti a termine. Al di là dei tecnicismi nei fatti ieri il governo e la sua maggioranza li hanno liberalizzati fino a 24 mesi. Pur affidando un ruolo alla contrattazione, si escludono le causali per legge (eccetto quella per sostituzione). Senza un intervento prioritario della legge o della contrattazione nazionale si rischia un sistema totalmente deregolato. In sostanza si procede a una individualizzazione spietata del rapporto che pregiudica la stessa efficacia della contrattazione.

Prevista un’estensione dei voucher. Il tetto complessivo passa da 10 mila a 15 mila euro per i settori dei congressi, delle fiere, degli eventi, degli stabilimenti termali e dei parchi divertimento. Un assist ad alcune delle associazioni di categoria che hanno un certo peso anche tra i ministri.

 

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