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Paola Taverna in provincia di Ravenna per visitare le realtà colpite dall’alluvione a quasi due mesi dai primi allagamenti di inizio maggio. La vicepresidente e vicaria del Movimento 5 Stelle sabato mattina era a Faenza per un incontro con la giunta guidata dal sindaco Massimo Isola. Dal territorio è arrivato sostanzialmente un grido di aiuto: da lunedì le aziende, che fino adesso hanno lavorato a credito per ripristinare gli argini dei fiumi, potrebbero non lavorare più. C’è bisogno urgentemente dello stanziamento di nuove risorse da parte del Governo. Solo a Faenza ci sono due grandi brecce ancora da chiudere e da finire di consolidare gli argini nel tratto urbano del Lamone.
Insieme a Paola Taverna il senatore Marco Croatti. Martedì dovrebbero iniziare le commissioni in Parlamento dedicate all’alluvione. Il Movimento 5 Stelle ha presentato 98 emendamenti. Presenti a Faenza anche i principali rappresentanti del Movimento in provincia di Ravenna (gli assessori Igor Gallonetto, di Ravenna, e Massimo Bosi, di Faenza, coordinatore provinciale del Movimento, e i consiglieri comunali Marco Neri, di Faenza, e Giancarlo Schiano, di Ravenna).

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DIETRO FRONTE. Il capo della Wagner, nascosto chissà dove, all’attacco dei vertici militari russi. Il presidente risponde, fiacco, in serata: «Il leader sono io». Il ministro Shoigu riappare al fronte. Poco chiaro il destino degli ammutinati: nell’esercito o a Minsk

 Miliziani della Wagner a Rostov prima del ritiro - Ap

Dopo l’eclissi della «marcia della giustizia» di Evgenij Prigozhin, le autorità russe cercano di riportare il paese alla normalità. Il compito più difficile per il Cremlino è spiegare alla popolazione il senso di quanto avvenuto nel fine settimana: implicherebbe mettere mano a numerose questioni sollevate dal clamoroso ammutinamento, che per ora si vogliono evitare.

Così, dopo il breve appello di sabato alla nazione, Putin ha taciuto fino a lunedì sera quando ha rivolto un altro laconico messaggio.

Contrariamente a quanto annunciato dal portavoce Peskov («Determinerà i destini della Russia»), il discorso è stato alquanto generico: il presidente ha ringraziato i militari e il popolo russo per l’unità e la fermezza dimostrata di fronte alla minaccia esistenziale posta dalla fronda interna.

Putin ha affermato che all’accaduto non sono stati estranei «il regime di Kiev e i suoi sponsor occidentali», alludendo come la sua leadership non sia mai venuta meno durante le ore convulse di sabato così da evitare la tragedia nazionale ricercata dai nemici della Russia.

In precedenza, simili messaggi erano venuti dal ministro degli esteri Lavrov che ha in particolare sottolineato la questione di eventuali coinvolgimenti dei servizi d’intelligence occidentali nei torbidi del 24 giugno, su cui l’Fsb starebbe indagando.

Speculazioni sul tema sono state avanzate da numerose fonti ostili alla politica occidentale e ovviamente benvenute a Mosca per occultare le responsabilità del regime nella creazione del fenomeno Prigozhin. Lavrov ha anche sfatato le accuse di isolamento sulla scena internazionale in seguito alla crisi, affermando come molti suoi colleghi abbiano espresso solidarietà alla Federazione russa, «ma alcuni hanno chiesto di non parlarne pubblicamente».

Dal lato governativo da segnalare, infine, l’apparizione al fronte del ministro della difesa Shoigu. L’uomo indicato da Prigozhin quale principale causa degli insuccessi militari del paese è stato così per il momento confermato nel suo dicastero. Dal lato degli ex ammutinati la situazione non è più chiara.

Il ministro della difesa Shoigu con il generale Nikiforov (Foto: Ap)

Contrariamente a quanto annunciato sabato, l’imputazione per organizzazione di ribellione armata (art. 279 del codice penale) contro Prigozhin non è stata archiviata e l’Fsb sta seguendo il caso.

Secondo gli accordi verbali intercorsi con il presidente bielorusso Lukashenko, l’imprenditore della violenza si trova al momento a Minsk, in attesa che sia definito il suo destino. Ieri Prigozhin, che di nuovo non è stato nominato da Putin, ha fatto circolare un audio-messaggio di 11 minuti in cui ha ribadito la sua versione.

Dopo le decisioni governative relative all’integrazione dei mercenari nell’esercito regolare, nonostante la maggioranza degli uomini della Wagner rifiutasse una soluzione che considerava la fine della propria eccellenza bellica, la compagnia di ventura era pronta a consegnare gli armamenti pesanti alla Difesa.

È stata invece bombardata e 30 suoi uomini uccisi: «Questo ha scatenato la nostra mobilitazione immediata». Prigozhin continua vantando le prodezze dimostrate dai suoi sabato, rinnovando gli affondi contro i suoi rivali militari.

La «marcia per la giustizia» avrebbe evidenziato i gravi problemi di sicurezza della Russia. Prigozhin aggiunge beffardo: «Se l’operazione speciale contro l’Ucraina fosse stata affidata a noi sarebbe probabilmente durata qualche giorno».

Atteggiandosi a capo-popolo, ha anche sottolineato la simpatia con cui larghi settori della popolazione hanno guardato all’azione della Wagner, fatto altrettanto preoccupante per il Cremlino. Allo stesso tempo Prigozhin si è limitato a esprimere «rammarico» per i danni inferti dai suoi uomini all’aviazione dell’esercito (almeno quattro elicotteri e un aereo da ricognizione Il-22 abbattuti), atti estremamente gravi, costati la vita ad almeno 13 piloti.

Prigozhin ha detto che i suoi uomini sono stati obbligati a rispondere agli attacchi e ha promesso di pagare 50 milioni di rubli di risarcimento alle famiglie dei piloti caduti.

Infine, l’ex «cuoco di Putin» ha ribadito che lo scopo della «marcia» non era il rovesciamento del regime ma la protesta contro le sue disfunzioni. Gli analisti indipendenti russi osservano come Prigozhin abbia interrotto la sua avventura nel momento in cui si è reso conto che la maggior parte dei quadri militari non lo avrebbe seguito, al pari di molti miliziani della stessa Wagner.

L’attenzione è ora tutta rivolta alla Bielorussia di Lukashenko, che secondo Prigozhin ha offerto le condizioni affinché la Wagner possa continuare a operare e dove si starebbero trasferendo i mercenari rimastigli fedeli.

Il loro destino è anche stato oggetto del discorso di Putin che ne ha elogiato il coraggio, suggerendo come siano stati manipolati e confermando che chi non vuole integrarsi nell’esercito può andarsene in Bielorussia. Si tratta di capire come il regime di Minsk si ingegnerà a gestire una situazione del tutto inedita. Ieri sera era anche atteso un discorso alla nazione del leader bielorusso

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DA SAPERE . Le origini del gruppo Wagner e la sua affermazione in vari paesi dell'Africa

Il continente africano: la vera base operativa e finanziaria di Wagner 

I mercenari di Wagner sono saliti alla ribalta per la prima volta durante l’invasione della Crimea del 2014, quando hanno sostenuto l’esercito russo. Li abbiamo poi visti in Siria, accanto alle forze di Bashar Al-Assad, per arrivare nel continente africano in Libia, dove hanno sostenuto il generale Khalifa Haftar.

Il Gruppo Wagner è una compagnia militare privata, ma anche una rete opaca di aziende e organizzazioni di influenza politica che godono dell’appoggio implicito dello stato russo. Guidato da Evgueni Prigojine, un oligarca inizialmente vicino al presidente russo Vladimir Putin. Nel gennaio 2023, gli Stati Uniti l’hanno designata «organizzazione criminale internazionale» anche a causa di «numerose esecuzioni sommarie e brutalità contro civili», come documentato dall’Onu nella Repubblica Centrafricana ed in Mali.

Secondo vari studi il gruppo Wagner ha la propria «base operativa ed economica in Africa» dove svolge attività in tredici diversi paesi: Libia, Eritrea, Sudan, Algeria, Mali, Burkina Faso, Camerun, Sud Sudan, Guinea Equatoriale, Repubblica Centrafricana, Madagascar, Mozambico e Zimbabwe. Ha attivato collaborazioni in alcuni casi di tipo militare, in altri solo commerciali: l’obiettivo è da un lato di ottenere vantaggi economici, con lo sfruttamento delle risorse locali, dall’altro creare nel continente una rete di governi vicini alle posizioni russe e in opposizione ai paesi occidentali.

I mercenari del gruppo avevano iniziato a operare in Libia dopo la fine del regime di Muammar Gheddafi e l’inizio della guerra civile, e avevano affiancato le milizie del maresciallo Khalifa Haftar nella guerra contro il governo di Tripoli, sostenuto dai paesi occidentali.

LA REDAZIONE CONSIGLIA:

La Wagner volta le spalle a Putin e marcia su Mosca: i miliziani si fermano a sud della Capitale

Ma è nella Repubblica Centrafricana che hanno stabilito «la loro partnership più proficua», stima la Global Initiative against Transnational Organised Crime (Gi-Toc) in un rapporto pubblicato nel febbraio 2023. Arrivato nel 2018 per facilitare i trasferimenti di armi e fornire addestramento e protezione, il personale Wagner ha rapidamente preso parte alle operazioni militari contro i ribelli armati che cercavano di attaccare il governo del presidente Faustin-Archange Touadéra. Le loro aziende sono passate dalla sicurezza anche al settore delle risorse naturali, con accesso privilegiato alle miniere d’oro e di diamanti, oltre al controllo di alcuni ministeri.

Una situazione simile si è verificata in Mali. In seguito a due colpi di stato, i rapporti tra Bamako e Parigi, ex potenza coloniale, si sono deteriorati e, dopo il fallimento dell’operazione Barkhane – la forza antiterroristica francese– il ritiro francese ha lasciato campo libero ai russi. Il Mali nega la presenza di mercenari, riconoscendo solo quella di istruttori e addestratori russi, arrivati in virtù di un accordo di cooperazione con la Russia. Ma il capo dell’Africa Command degli Stati Uniti, il generale Stephen Townsend, ha sostenuto lo scorso luglio che il Mali stava pagando a Wagner «10 milioni di dollari al mese, sotto forma di risorse naturali come oro e pietre preziose».

In Sudan, Wagner ha approfittato dell’instabilità per ottenere profitti. Le aziende della rete Prigojine hanno avuto per anni accesso a concessioni minerarie e trafficato in prodotti auriferi sudanesi. Nel conflitto in corso nel paese, Wagner sostiene i paramilitari delle Rapid Support Forces (Rsf) del generale Mohamed Hamdane Daglo, detto Hemetti, ai quali ha fornito in particolare missili terra-aria e sostegno logistico, in particolare nella zona del Darfur.

Dopo i fatti di oggi, bisognerà vedere quali ripercussioni ci saranno anche per i governi locali africani legati sia a Mosca con rapporti economici e militari, ma intrinsecamente affiliati in numerose operazioni militari ai miliziani di Wagner

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A MOSCA E RITORNO. Le prove tecniche della guerra civile chiuse da un colpo di scena: la Wagner fa dietrofront

Contrordine. Dopo una giornata convulsa in cui la Russia è sembrata precipitare nella guerra civile, il capo dei mercenari Prigozhin ferma la sua “marcia della giustizia” a 200 km da Mosca. Delusione a Kiev. Ma niente, per Putin, sarà più come prima

Il giorno più lungo per Vladimir Putin Un carro armato della Wagner a Rostov sul Don - Epa

Ieri, la «marcia della giustizia» dell’imprenditore della violenza Evgenij Prigozhin ha marcato un giorno decisivo nella storia della Russia contemporanea, apparentemente conclusosi senza tragedie ma destinato a segnare ancora a lungo gli sviluppi del grande paese. Nella notte di giovedì, l’oligarca ribelle ha raggruppato le sue forze dimostrando di voler fare sul serio nei confronti dei «traditori» a capo del Ministero della Difesa responsabili degli attacchi denunciati contro i suoi mercenari della compagnia Wagner.

LE PRIME scoordinate reazioni dal lato del Cremlino hanno dimostrato come il regime di Putin sia stato colto alla sprovvista dalle mosse di Prigozhin. In particolare, mentre Prigozhin si rivolgeva ai militari, Mosca è parsa esitante sulla fedeltà delle forze di sicurezza di fronte alla sfida. È sembrato che un certo panico serpeggiasse dentro la “verticale del potere” (la catena di comando piramidale facente capo a Putin), in particolare ai livelli intermedi, incerti su cosa e come riferire gli sviluppi sul campo al leader supremo, riflesso di un problema da sempre endemico alla macchina burocratica russa.

IN OGNI CASO, a Mosca scatta lo stato d’emergenza. Posti di blocco vengono allestiti dalle varie branche dell’apparato di sicurezza russo, in particolare l’Fsb (ex Kgb) e la recente Rosgvardija (Guardia nazionale), creata da Putin quale reparto pretoriano a puntello del regime. All’alba, i blindati cominciano a circondare i palazzi del potere a Mosca e a San Pietroburgo.
Iniziano anche i tentativi per far desistere Prigozhin. Il primo viene dal generale Surovikin, a lungo considerato un sodale del capo popolo ribelle, che lo esorta a «fermare le colonne».

IMPASSIBILE, alle 7.30 locali Prigozhin parla da Rostov. Quale un novello Pugaciov, il capo della rivolta cosacca narrata da Pushkin che nel 1773 fu sul punto di rovesciare Caterina la grande, si erge a padrone della principale città del sud della Russia e rinnova gli anatemi contro il Ministero della Difesa. «Le perdite sono state 3-4 volte maggiori di quello dichiarato da Mosca, fino a 1.000 caduti al giorno…Ci arrivano messaggi di sostegno dalle truppe, ci incitano a regolare i conti a fargliela finalmente pagare, a chi ci ha mandato al massacro». Le notizie si susseguono convulse. Fonti vicine alla Wagner riferiscono che Millerovo, importante snodo logistico a Nord di Donetsk e a ridosso del fronte risulta in mano ai ribelli, a cui si arrendono 180 soldati a Bugaevka, nella regione di Voronez.

Mentre Putin continua a tacere, i principali nemici di Prigozhin, il capo della Difesa Shoigu e dello Stato Maggiore Gerasimov, inviano i loro vice a trattare con il dissidente. Spicca in particolare la figura del generale Junus-Bek Evkurov, l’eroe della marcia su Prishtina del 1999, il quale però può solo registrare la determinazione di Prigozhin a «far giustizia e mettere fine a questa vergogna».

Alle 12.00 italiane, infine, Putin rompe gli indugi. Il leader sfidato sgombra il campo da

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IL CORTEO. Dalle 14 oggi a Roma la manifestazione nazionale promossa da 40 tra sindacati, partiti e associazioni. Prosegue la raccolta firme sul salario minimo legale di dieci euro lordi all’ora

«Il governo Meloni ci ruba il futuro: abbassate le armi, alzate i salari» In corteo contro il governo Meloni - LaPresse

Potrebbero essere, si stima, diecimila i partecipanti al corteo contro il governo Meloni che partirà oggi dalle 14 da piazza della Repubblica e arriverà a piazza di Porta San Giovanni a Roma dopo aver sfilato lungo via delle Terme di Diocleziano, via Giovanni Amendola, via Cavour, piazza dell’Esquilino, via Liberiana, piazza Santa Maria Maggiore, via Merulana, viale Manzoni e via Emanuele Filiberto. La manifestazione è stata indetta da 40 tra sindacati, partiti e movimenti (tra cui Usb, Potere al Popolo, Rifondazione Comunista, Rete dei Comunisti, Unione Popolare, movimento No Tav, per il diritto all’abitare o Peacelink) e più di 40 organizzazioni territoriali (tra le altre il Comitato contro il rigassificatore di Piombino, stop allo scempio ambientale a Giugliano e Aversa, il terra e libertà di Torretta Antonacci a Foggia, il centro sociale ex Opg di Napoli e molte altre). Numerose le adesioni individuali.

«Il governo Meloni sta rubando il futuro a questo paese – ha detto Guido Lutrario dell’Esecutivo nazionale dell’Usb – il peggioramento delle condizioni di vita e la perdita di potere di acquisto dei salari è una situazione contro la quale non c’è alcun intervento serio e strutturale. La manifestazione affronta tutti problemi creati dall’azione antipopolare e guerrafondaio dell’esecutivo».

«Siamo in piazza per dire basta al lavoro povero, in nero o irregolare – ha detto Giuliano Granato (Potere al Popolo) – e frutto della precarietà introdotta dal 1997 dal governo di centrosinistra di Prodi e indurita fino all’ultimo decreto lavoro del governo Meloni. Il mondo del lavoro assomiglia sempre di più al lavoro dei braccianti migranti in mano a imprenditori senza scrupoli». «Vogliamo esprimere la nostra opposizione alla guerra e rimettere al centro la risoluzione pacifica del conflitto tra Russia e Ucraina – ha aggiunto Marta Collot (Potere al Popolo) – Vogliamo denunciare le priorità invertite di questo governo: mentre anche noi siamo andati a spalare il fango in Romagna dopo l’alluvione i militari erano invece in Sardegna per fare un’esercitazione».

«Manifesteremo per contrastare le privatizzazioni e i tagli che con questo governo continuano a impoverire il sistema sanitario sia nelle strutture sia nelle risorse professionali – hanno detto Maurizio Acerbo e Antonello Patta, rispettivamente segretario e responsabile lavoro di Rifondazione Comunista che parteciperà anche alla manifestazione indetta al mattino a Roma dalla Cgil con oltre 90 associazioni «Insieme per la Costituzione» – Ci opponiamo alla guerra e all’eliminazione del reddito di cittadinanza, alle politiche sui migranti e alla riforma regressiva del fisco, fino all’autonomia differenziata».

Anche nella manifestazione del pomeriggio saranno raccolte le firme a sostegno della proposta di legge di iniziativa popolare per il salario minimo legale di dieci euro lordi l’ora che è stata depositata in Cassazione da Unione Popolare.

«Nelle politiche sul lavoro il mantra del governo è la moderazione salariale scambiata con una misera esenzione contributiva per alcuni mesi – si legge nell’appello della manifestazione – Decenni di riduzione dei salari e una fortissima perdita di potere d’acquisto sono state dovute all’impennata dei prezzi che non è finita e non trovano nessuna risposta seria nei rinnovi contrattuali». I promotori del corteo criticano «una sequela martellante di provvedimenti presi senza alcuna interlocuzione con la società. Una logica applicata nella realizzazione degli impianti di rigassificazione da Piombino a Ravenna, nel progetto del Ponte sullo Stretto o nella prosecuzione della Tav in Val di Susa o della base militare in programma a Coltano»

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Alta tensione con Mosca. Nella capitale russa misure antiterrorismo. Nella notte a Kiev colpito un grattacielo

Il capo dei mercenari della Wagner, Yevgeny Prigozhin, accusa i capi della Difesa russa, ministro Shoigu in testa, di avere ordinato un attacco contro i suoi uomini e marcia su Rostov e Mosca.

 Yevgeny Prigozhin © ANSA Yevgeny Prigozhin

 

"Non è un colpo di Stato, ma una marcia della giustizia", "e andremo fino in fondo" assicura, ignorando gli appelli a fermarsi.

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