In Libano non è un’escalation, è conflitto aperto: una bomba israeliana su Beirut prende di mira un alto ufficiale di Hezbollah e ammazza altre 13 persone, tra loro due bambini. A Gaza un raid sbriciola due case e fa strage di civili, in Cisgiordania proseguono le incursioni
Medio Oriente L’obiettivo: Ibrahim Aqil, quadro di Hezbollah dietro l’attacco all’ambasciata Usa nel 1983. Il partito sciita in difficoltà. E al confine sud si moltiplicano gli scambi di missili. Israele: non abbiamo agito in vista di un’azione su vasta scala. Stessa modalità usata con Shukr a luglio
Il cratere nel quartiere della Dahiyeh, a Beirut – Ap /Bilal Hussein
Beirut sotto tiro per la terza volta dall’inizio della guerra. L’aviazione israeliana ha bombardato una palazzina nella periferia sud della capitale libanese dove era in corso, pare, una riunione di Hezbollah. L’esercito israeliano, che ha subito rivendicato l’attentato avvenuto alle 4 del pomeriggio locali di ieri, ha annunciato dopo poche ore la morte di Ibrahim Aqil e altri dieci comandanti di Hezbollah. La notizia non è stata ancora confermata dallo stato libanese, né da Hezbollah.
AQIL, GENERALE importantissimo nelle fila della milizia, sembra avesse preso il posto del numero due di Hezbollah Fuad Shukr dopo l’uccisione di quest’ultimo con modalità praticamente identica il 30 luglio scorso, poche ore prima di un altro assassinio eccellente, quello di Ismail Haniyeh a Tehran. Su Aqil pende una taglia di sette milioni di dollari del Dipartimento di Stato Usa, che nel 2019 lo aveva dichiarato terrorista globale. Conosciuto anche come Tahsin, Ibrahim Aqil fa parte del più alto corpo militare di Hezbollah.
È il personaggio chiave dietro gli attentati all’ambasciata americana dell’aprile 1983 (63 morti) e dell’attacco ai marine (241 morti) nell’ottobre dello stesso anno.
66 feriti, di cui una decina gravi, e 14 morti, di cui due bambini. È il bilancio provvisorio dell’ultimo devastante attacco israeliano in mezzo a una città densamente popolara come Beirut. Prima di Shukr, il 2 gennaio scorso era stato ucciso Sahel al-Aruri, numero due di Hamas, tra i fondatori dell’ala armata, la Brigata al Qassam, assieme ad altri quadri. Stessa dinamica di ieri e di luglio, e stesso posto, la Dahiye, quartier generale beirutino e roccaforte nella capitale del partito milizia sciita.
«L’ATTACCO di oggi pomeriggio in una zona densamente popolata della periferia sud di Beirut è una nuova escalation allarmante. Assistiamo a un ciclo di violenza estremamente pericolosa con conseguenze devastanti», ha detto a caldo Jeanine Hennis-Plasschaert, coordinatrice speciale delle Nazioni unite per il Libano. Il portavoce dell’esercito israeliano, Daniel Hagari, ha affermato che l’esercito non agisce «in vista di una escalation su larga scala. Agiamo conformemente a obiettivi definiti e continueremo a farlo».
Gallant, ministro della difesa israeliana, definisce l’obiettivo generale e particolare di questo attacco: «Tutta la sequenza di azioni in questa nuova fase continuerà finché non avremo raggiunto il nostro obiettivo: il ritorno dei residenti a nord (di Israele) nelle loro case». Biden si è detto impegnato a fare in modo che «le persone nel nord di Israele e nel sud del Libano tornino alle loro case in tutta sicurezza». L’Organizzazione internazionale per le Migrazioni stima 100mila sfollati da un lato e altrettanti dall’altro.
UNA RAPPRESENTANZA delle famiglie degli ostaggi israeliani ha parlato ieri ai media americani dicendo di non volere la guerra con Hezbollah: ritarderebbe il cessate il fuoco a Gaza e un eventuale rilascio dei propri cari. Su X la radio ufficiale dell’esercito israeliano ha scritto che non si è trattato di «un’eliminazione pianificata da tempo», ma di una «opportunità operazionale».
L’attacco in una zona densamente popolata è una nuova escalation allarmante. Assistiamo a un ciclo di violenza estremamente pericolosaHennis-Plasschaert, Onu
Pianificata o no, rimane il tempismo di un’azione avvenuta in giorni di altissima tensione.
Martedì migliaia di cercapersone in dote a membri di Hezbollah, militari e non, sono esplosi; mercoledì stessa cosa, ma con dei walkie talkie. Il bilancio totale è di 39 morti e oltre 3mila feriti. Oltre cinquecento colpiti agli occhi, 300 dei quali hanno completamente perso la vista.
La gran parte del resto dei feriti, colpita all’addome, ai genitali e alle mani, si trovava in contesti civili e non militari e questo ascriverebbe gli attacchi al rango di crimini di guerra, d’accordo con la convenzione di Ginevra del 1949. Il ministro libanese della sanità, Firas Abiad, terrà una conferenza oggi: farà il resoconto della situazione sanitaria in Libano in seguito agli attentati.
A SUD INTANTO continuano gli scontri, con una violenza maggiore. Giovedì notte si sono contati 70 missili in 20 minuti lanciati dall’esercito israeliano in territorio libanese. Molte le rivendicazioni da un lato e dall’altro di attacchi a obiettivi sensibili. Si è certamente raggiunto il livello più alto di allerta dall’inizio del conflitto e gli episodi di quest’ultima settimana mettono moltissima pressione su Hezbollah.
Oltre l’aspetto puramente militare delle operazioni israeliane, i colpi inflitti al Partito di Dio ne evidenziano le mancanze in termini di controlli e comunicazione interna. Ed espongono ulteriormente il gruppo a una narrazione in cui i membri di Hezbollah diventano un pericolo per l’intera comunità.
Come annunciato da Hassan Nasrallah, leader del partito-milizia sciita, «il castigo sicuramente arriverà» per Israele. I tempi e i modi sono ancora da definire e certamente il bombardamento di ieri mette ancora di più alle strette Hezbollah, che dovrà in qualche modo rispondere al più presto agli attacchi di questa settimana devastante.
NUMEROSE le compagnie che hanno cancellato voli da e per Beirut. Nella capitale e nell’intero Libano la preoccupazione è enorme. L’aria che si respira è di sospensione, come se qualcosa di ancora più grande possa accadere da un momento all’altro.
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Politica Lo scontro sul Ddl sicurezza. E le prime piazze di protesta
Le prese di posizione e le mobilitazioni contro il Ddl 1660 sulla sicurezza proseguono. Ieri è stata la volta di Libera. L’associazione antimafia considera l’approvazione alla camera del provvedimento «una decisione politica indegna per un paese che vuole essere democratico e civile dove si mira a colpire il diritto dei cittadini a manifestare, criminalizzando il dissenso pacifico». E ancora: «Le leggi devono tutelare i diritti, non il potere. Devono promuovere la giustizia sociale, non le disuguaglianze e le discriminazioni».
La destra è passata ancora una volta al contrattacco, polemizzando soprattutto con Magistratura democratica che aveva diffuso un documento molto duro sul Ddl e le sue conseguenze sullo stato di diritto. Al quale da parte leghista viene addirittura rinfacciato il principio della divisione dei poteri, come se nei giorni scorsi tutta la maggioranza non fosse insorta contro la procura di Palermo per il processo Open arms che vede coinvolto Matteo Salvini.
I primi appuntamenti raccontano di diversi mondi (i tanti mondi che la legge vuole colpire) che cercano di comunicare il più possibile e di organizzarsi in vista del passaggio del Ddl al senato per l’approvazione definitiva. Oggi a Torino, alle 10 in piazza della Repubblica, la rete Liberi di lottare ha convocato un presidio. In seguito alla condanna della segreteria nazionale, la Cgil annuncia un presidio sotto la prefettura di Genova per il prossimo 23 settembre alle 18. Il provvedimento, afferma il testo che indice la manifestazione, «è una vergogna che introduce norme pensate e volute per colpire in maniera indiscriminata chi esprime il proprio dissenso verso le scelte compiute dal governo o che manifesta per difendere il posto di lavoro e contro le crisi occupazionali, pacificamente, ma in modo determinato, prevedendo fino a due anni di carcere per chi effettua queste proteste nelle strade o in altri luoghi pubblici».
Cgil e Uil chiamano a manifestare a Roma, davanti a Palazzo Madama, nel pomeriggio del 25 settembre sottolineando che il provvedimento «limita l’iniziativa e le mobilitazioni sindacali».
Alleanza Verdi Sinistra chiama a Roma una assemblea pubblica da tenersi a Casetta rossa, a Garbatella, il 28 settembre alle 16 contro «l’accanimento giudiziario nei confronti di chiunque si ponga in rapporto di opposizione alle scelte del governo o alle ingiustizie sociali e ambientali». Hanno finora aderito, tra i tanti, Giuristi democratici, Arci solidarietà, diversi centri sociali, Sinistra civica ecologista, Extinction rebellion Roma, Cgil Roma e Lazio, A buon diritto, Mediterranea, Cnca
Commenta (0 Commenti)Alluvione La presidente della regione replica agli attacchi della destra: «Mattarella mi ha chiamato, Meloni no». Rientra l’allarme sui dispersi. Priolo: «Attendiamo con impazienza che sia approvato il piano della ricostruzione»
Traversara, frazione del Comune di Bagnacavallo, devastato dalla rottura del fiume Lamone foto LaPresse
Dopo la terza alluvione in due anni in Emilia-Romagna, e con le elezioni regionali in programma il 17 e 18 novembre, si è subito acceso lo scontro politico. Per il governo Meloni, il cataclisma sembra un’occasione da sfruttare per racimolare voti e tentare di strappare il territorio al centrosinistra. Il ministro Musumeci e il viceministro Bignami hanno lanciato le loro accuse in una conferenza stampa convocata mentre in alcune città si stavano ancora soccorrendo le persone sui tetti. Secondo loro, la giunta Bonaccini non avrebbe speso tutti i fondi stanziati dal governo, né fatto un adeguato lavoro di prevenzione in seguito al grave evento di maggio 2023.
IERI LA PRESIDENTE facente funzioni della regione Irene Priolo ha ridimensionato le cifre fornite dal governo e ha affermato che tutti gli oltre 400 interventi previsti sono in corso o completati, per un importo complessivo che supera il miliardo di euro. «Ci eravamo illusi che, almeno stavolta, la destra non facesse becero sciacallaggio. Non è passata la notte che hanno invece già replicato il film dell’anno scorso, diffondendo fake news e moltiplicando attacchi a uso e consumo elettorale», ha detto Priolo, che ha lanciato una frecciata alla premier: «Meloni non mi ha chiamato, ma Mattarella sì, e lo ringrazio tanto».
L’ex governatore Bonaccini, oggi europarlamentare, ha aggiunto che «attaccare i nostri sindaci e amministratori mentre l’emergenza è in corso significa non avere rispetto né delle comunità alluvionate, né delle istituzioni. Se a farlo sono il ministro Musumeci e il viceministro Bignami per il governo, che dovrebbe assicurare sostegno e leale collaborazione, allora siamo precipitati nel punto più basso del senso istituzionale».
DURANTE LA CONFERENZA, Musumeci-Bignami non hanno citato le Marche, colpite negli stessi giorni da frane e allagamenti, ma amministrate dalla destra. E in Emilia-Romagna il governo non è esente da responsabilità, avendo accentrato la struttura commissariale a Roma e affidata a chi non conosce la regione né la visita. Anche le procedure per ottenere i risarcimenti sono state molto complicate, portando tanti alluvionati a rinunciare in partenza.
Ma per i cittadini che in queste ore stanno spalando il fango nelle loro case, più che giocare allo scaricabarile, è fondamentale discutere su come evitare un’altra catastrofe. Il 3 maggio 2023 un’intensa precipitazione provocò la prima alluvione a Faenza, e due settimane dopo, un’altra perturbazione si abbatté su un suolo già compromesso e pieno come una spugna.
Le conseguenze furono apocalittiche: 21 fiumi esondati, allagamenti in 37 comuni, 250 frane, 17 morti e 20.000 sfollati.
Tre giorni fa, in 24 ore è caduta quasi più acqua che nell’intero maggio 2023. Alla fine dell’estate il suolo era più asciutto e le allerte hanno funzionato; perciò gli allagamenti sono stati violenti ma meno estesi, gli sfollati mille e nessuna vittima (i due dispersi a Bagnacavallo sono stati smentiti). Ma se fra 15 giorni dovesse arrivare un altro ciclone Boris, le conseguenze potrebbero essere drammatiche.
A QUESTO PROPOSITO, Priolo ha affermato che «tutti gli interventi programmati sin qui dal commissario e realizzati da regione, enti locali e consorzi avevano l’obiettivo di ripristinare le infrastrutture esistenti (argini, canali, strade). Ma per reggere eventi di questa portata, come ci hanno indicato tutti gli esperti, occorrono interventi strutturali di più ampio respiro. Sono quelli individuati dal piano della ricostruzione che abbiamo concordato col commissario e che attendiamo con impazienza che sia approvato. Per realizzarlo serviranno molti miliardi
Leggi tutto: Emilia-Romagna, lotta elettorale nel fango - di Alex Giuzio
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https://youtu.be/ZAqzluInLhA?si=sB6V_I6RmLzAbPYn
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