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Roma, 16 febbraio 2018

L’appassionato confronto sui valori e i dettati della Costituzione in occasione del referendum del 4 dicembre 2016 - al quale abbiamo contribuito sostenendo il No - ha visto partecipare un imponente numero di elettrici e di elettori, pur con scelte difformi, a riprova che le grandi opzioni della politica sono percepite come proprie dai cittadini quando sono messi in grado di scegliere.

Per questo ci rivolgiamo a tutte le candidate e a tutti i candidati di buona volontà con questo accorato e rispettoso appello.

È necessario concentrare almeno quanto resta della campagna elettorale su alcuni obiettivi di fondo che per loro natura vanno oltre il periodo del prossimo mandato parlamentare e oltre i confini dell'Italia, in quanto decisivi dell’intero futuro. Su tali obiettivi non mancano accenni e proposte nel programma di alcuni partiti, ma essi appaiono del tutto oscurati e distorti nel dibattito pubblico rappresentato dagli attuali mezzi di informazione che perseguono altri interessi e logiche contingenti, onde è necessario farli venire alla luce e metterli al centro delle prossime decisioni politiche.

  1. La prima questione è quella del lavoro retribuito, nella specifica forma della sua assenza e precarietà. La mancanza di lavoro sta raggiungendo tali dimensioni di massa da rendere illusori i rimedi finora proposti. La riduzione al minimo di quella che una volta si chiamava “forza lavoro” a fronte dell’ingigantirsi degli altri mezzi di produzione è tale da alterare tutti gli equilibri dei rapporti economici politici e sociali.

In Italia la Repubblica rischia di perdere il suo fondamento (art. 1 Cost.) e perciò la sua stabilità e la stessa sicurezza della sua durata; in Europa l’Unione economica e monetaria perde il primo dei tre obiettivi fondamentali per cui è stata costituita e via via potenziata, ossia “piena occupazione, progresso sociale e tutela e miglioramento della qualità dell’ambiente” come prevede l’art. 3 del Trattato sull’Unione; nel mondo il sistema economico perde

 

Mi è arrivato il plico del voto per corrispondenza, prassi riservata agli italiani emigrati, e prima di mettere nero su bianco la mia scelta per la lista di Liberi e Uguali, mi sono voluto interrogare ancora una volta sul perchè.
Ho riscoperto che le motivazioni sono diverse, ovviamente non tutte dello stesso calibro politico.
Una tra queste è l'esigenza che sento da moltissimi anni, di costruire un partito che riesca a rielaborare l'analisi della crisi del comunismo e quella parallela del riformismo socialdemocratico di fronte alle grandi trasformazioni dell'epoca post fordista e della globalizzazione, facendo leva sia sui troppi fallimenti registrati in questi anni sia sulle notevoli esperienze di resistenza attiva, manifestatesi in tutto il mondo contro il neoliberismo e lo strapotere delle forze invisibili ma molto tangibili del „mercato“.

Un partito che rifletta ed operi in una dimensione europea, ispirato ad una cultura della sinistra socialista e del cattolicesimo sociale, che incroci la dimensione strategica con quella delle esperienze e dei movimenti operanti sul territorio, immersa nel concreto delle lotte per governare la globalizzazione dei diritti e della solidarietà, che modifichi radicalmente le scelte di politica economica della Unione Europea, che la stanno portando ad una crisi spero reversibile.
La centralità del lavoro e dei valori che sono alla base della Costituzione Repubblicana, assieme al respiro europeo del Programma di LeU, sono la base per questo „lavoro“ di lunga lena che il nuovo soggetto politico, che spero si costituisca dopo le elezioni, dovrà produrre, non certo per una riedizione impossibile delle organizzazioni di massa del secolo scorso (partiti, sindacati, cooperazione), ma per ereditarne i valori essenziali, le esperienze, le culture che ne hanno animato la nascita e lo sviluppo, dalle quali non si può prescindere se si intende operare per il loro inevitabile adeguamento.

D'altra parte, la terza via di Blair-Schroeder è fallita sia in Inghilterra che in Germania (la sua versione italiana è stata ancora più disastrosa) e la crisi dei partiti socialisti e socialdemocratici, si manifesta in ogni angolo d'Europa, sia a casa della strutturata e solida SPD tedesca che nel PD che si avvia al fallimento, mi sento di dire indipendentemente dai segretari che ne sono stati a capo.

Ce la potrà fare LeU? Non ne sono certo ma sono sicuro che tutta la sinistra sia di fronte a compiti immani e che il lavoro

Verso il 4 marzo. In Italia Katia Kipping, leader della Linke: migranti, tema chiave. Fratoianni: così il paese scivola a destra, colpa anche dei 5 stelle

 

Katia Kipping, leadder della Linke tedesca © Ap

Se Merkel e Gentiloni, due leader delle larghe intese presenti e future si incontrano a Berlino per sostenersi a vicenda, a Roma si incontrano invece quelli del «no alla Groko», no alla Grosse koalition in salsa tedesca ma anche italiana. Ieri a Roma alla sala Capranichetta il confronto fra Katia Kipping, co-leader di Linke, e Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra italiana, ha sintonizzato i linguaggi delle due forze della sinistra d’opposizione, invitate dall’Associazione per il rinnovamento della sinistra, instancabile costruttrice di ponti, e dal presidente Vincenzo Vita. Che infatti in premessa pone l’obiettivo di «ritessere un filo conduttore fra le forze di sinistra».

gentiloni merkel

LE LARGHE INTESE «hanno gonfiato le vele della destra e nonostante questa evidenza il Pd ha disegnato una legge elettorale che porta a un nuovo governo di larghe intese», spiega Fratoianni. «Le Groko che ho conosciuto io», risponde a sua volta Kipping, che è una quarantenne elegante e di gran polso, espressione di una nuova generazione di militanti della sinistra radicale tedesca che dirige insieme a Bernd Riexinger, «non hanno affrontato le sfide vere del futuro, da quelle sociali, alla paura, alle sfide ambientali. Groko in Germania significa correre senza spostarsi di un metro. E in politica estera trovare i soldi per armi e spese militari, soldi che però quando si tratta di istruzione e politiche sociali non si trovano mai».

DEL RESTO C’È QUALCHE tratto comune fra la ’veterana’ della Sinistra europea Linke e la neonata lista Leu (Si è membro ’osservatore’ della Sinistra europea, per ora, Mdp invece a Bruxelles ha i suoi europarlamentari nel Pse). Lo spiega Norma Rangeri, direttrice del manifesto e moderatrice del confronto: «Se in Germania Linke è una forza unitaria della sinistra che sfiora il 10 per cento, in Italia la lista Liberi e uguali si è data lo stesso traguardo e lo stesso compito di superare la sindrome del ’pochi ma buoni’ e della riproduzione per scissione. Ma la strada è tutta salita, e intanto le larghe intese qui mettono il vento nelle ali di Berlusconi e dei suoi due angeli neri, Salvini e Meloni».

È QUELLO CHE SUCCEDE in molti paesi europei e non solo. «C’è un asse che va da Trump a Orban, la nuova internazionale dei costruttori di muri», ragiona Kipping. Le ricette neoliberiste rendono più fragili e spaventati gli svantaggiati e quelli che temono di sprofondare, alimentano il razzismo e il populismo di destra. Per il futuro, il 4 marzo non è solo la data del voto italiano ma anche quella del referendum interno alla Spd tedesca sull’accordo con la cancelliera Merkel. Kipping «guarda con interesse la battaglia dei Jusos», i giovani socialdemocratici «No Groko». Non a caso il giornale di area Neues-Deutschland ieri aveva in copertina un’agguerritissima intervista del giovane leader Kevin Kühnert.

QUANTO ALL’ITALIA «la campagna elettorale si è spostata a destra», spiega Fratoianni ripercorrendo i fatti di Macerata, e la difficoltà anche delle grandi organizzazioni (Anpi, Arci) di partecipare in città ad un corteo antirazzista. «Anche i 5 stelle sono parte di questo scivolamento a destra. Dopo la terribile frase sui ’ taxi del mare’, Di Maio di recente ha usato lo slogan ’prima gli italiani’, e cioè lo slogan della destra».

QUESTO NON SIGNIFICA, per ora, che Fratoianni esclude esplicitamente alleanze con i 5 stelle, «faremo una discussione di merito, ma certo noi mai con la destra. Se dovessimo stare all’oggi, non potremmo allearci con nessuno. Ma dal 5 marzo si apre una nuova partita».

A PROPOSITO DI SCIVOLAMENTI, le questioni dei migranti e del «sovranismo» percorrono, più o meno esplicitamente, anche le sinistre di tutta europa. Sulla prima Kipping non cede neanche di un centrimetro alla retorica dell’«aiutiamoli a casa loro». Non è solo una questione di solidarietà con i immigrati e rifugiati. È anche una scelta di campo netta in una discussione che attraversa oggi la sinistra continentale e che ruota intorno al tema del ritorno ai patriottismi declinati a sinistra.

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Rangeri mette il dito nella piaga e chiede se i due segretari sono d’accordo con l’offensiva anti Tsipras del francese Mélenchon (che in questa campagna elettorale italiana dialoga invece con Potere al Popolo, la lista della sinistra radicale). E con le posizioni di chi accusa sostanzialmente il leader greco di aver «tradito» la sinistra. Per Kipping «l’Unione Europea ha molte colpe, ma il colpo di stato contro la ’primavera greca’ lo ha fatto il ministro tedesco Schäuble. Le posizioni di Mélenchon nascondono un conflitto più profondo, quello tra un ritorno ai nazionalismi e una posizione internazionalista», «Bisogna combattere l’egemonia attuale delle politiche di austerità. Ma non rinunciare alle conquiste dell’Europa. La domanda giusta non è più o meno Europa, ma quale Europa».

D’ACCORDO Fratoianni: «Dal 5 marzo dobbiamo costruire una piattaforma comune. Così come sull’immigrazione non dobbiamo mai rinunciare a principio di solidarietà. In Europa al fiscal compact dobbiamo sostituire un social compact, capace di garantire maggiori diritti sociali in ogni paese».

 

 

 

 

Lidia Menapace. Partigiana sempre, oggi candidata con Potere al popolo, «gli unici a sperimentare pratiche di democrazia diretta», mette in guardia: «L’estrema destra oggi è più pericolosa perché la crisi strutturale globale del capitalismo offre un enorme spazio di azione»

 

Lidia Menapace alla manifestazione di sabato 10 a Macerata © Aleandro Biagianti

Lidia Brisca Menapace, 94 anni – «Ma per favore non compatitemi» ripete divertita con capriccio – partigiana sempre, dalla lotta di Liberazione fino alla manifestazione di Macerata di sabato 10. Sull’esperienza partigiana ha scritto due libri molto belli, Io partigiana. La mia Resistenza e Canta il merlo sul frumento (ed Manni). È stata impegnata nei movimenti cattolici progressisti e ha vissuto il fermento del Sessantotto; è stata docente all’Università Cattolica di Milano, dove per un documento «per una scelta marxista» non le fu rinnovato l’incarico universitario. Ha collaborato alla rivista Il Manifesto, partecipando alla nascita del gruppo politico e poi del quotidiano il manifesto, sul quale ha scritto a lungo; nel 2006 è stata eletta senatrice con Rifondazione Comunista (fu indicata come presidente della Commissione Difesa, ma non fu eletta per le sue posizioni pacifiste: definì le Frecce tricolori «uno spreco, fanno baccano, inquinano e vanno abolite. Meglio il vino Tocai»). Sui contenuti di scuola, femminismo, non violenza, pacifismo, autonomia dei movimenti è considerata politicamente una «anticipatrice». A Lei che ha deciso di candidarsi nelle liste di Potere al popolo abbiamo voluto rivolgere alcune domande.

Perché, tu che pure hai già avuto una lunga esperienza politica e anche un po’ parlamentare, hai deciso di candidarti di nuovo e, immagino, con il tuo tradizionale appassionato impegno personale?

In Parlamento veramente ho fatto solo meno di mezza legislatura, poi è stata interrotta, ma non importa molto la mia vicenda elettorale, in genere, cui ho sempre dato solo una utilità strumentale, cioè come a un luogo dal quale si può fare politica più efficacemente, mi è stata chiesta una opinione su Potere al popolo: mi sono espressa con entusiasmo favorevolmente, e mi è stata offerta la candidatura che ho volentieri accettato, mi riprometto di fare il possibile: può ripresentarsi un altro 4 dicembre (la vittoria del No al referendum costituzionale del 2016), dato che ironia e autoironia che considero essenziali sono coltivate pure dalla «capa» di Potere al popolo, Viola Carofalo.

Perché con Potere al popolo (Pap)? Che cosa rappresenta questa esperienza, mentre la sinistra che abbiamo conosciuto è scomparsa e quella nuova è già divisa? Che cosa la distingue da LeU?

Pap mi si è presentata come una forma politica (unica in questa tornata) che cerca di sperimentare pratiche di democrazia diretta, fuori dalle strettoie e confusioni che ormai pervadono le varie forze politiche, anche se chiamarle forze e per di più politiche sembra uno scherzo di cattivo gusto: chi vi potrebbe riconoscere la straordinaria invenzione che il partito politico di massa fu? LeU, pur con tutto il rispetto che i suoi rappresentanti meritano, non è attrattivo, personalmente poi ero favorevole a un altro candidato, quando fu messo a capo dell’antimafia, ero per Caselli. Può darsi che un risultato inatteso, come fu quello del 4 dicembre 2016 sia possibile e sarebbe segno che chi legge la realtà dei grandi e piccoli strumenti di informazione non sappia più leggere o – peggio – sappia il potere che ha per non far leggere la realtà complessa in cui viviamo.

Che Italia ci lascia l’esperienza di governo del Pd, e in particolare il premierato di Matteo Renzi?

Mi sembra che la risposta migliore sia stata data dallo slogan gridato a Macerata: «E se ci sono così tanti disoccupati, la colpa è del governo, e non degli immigrati».

Torna la destra estrema fascista sull’onda della xenofobia e di un razzismo che si alimenta della campagna contro l’«invasione» dei migranti. Perché non si parla mai delle responsabilità delle guerre e della nostra economia di rapina, all’origine della fuga epocale di milioni di esseri umani?

Le migrazioni di popoli (così si dovrebbero chiamare) non sono un fenomeno emergenziale, ma una costante della storia umana fin dai Longobardi, da Attila e non aver saputo dare una risposta è segno di una assoluta incapacità di individuare la responsabilità degli imperialismi (dei vari imperialismi da Roma in qua) per ideologizzare e conquistare i popoli sottomessi. Non esistono razze umane, ma solo razze animali e persino in quelle le razze pure non sono le migliori: una quota di bastardaggine giova, Hitler aveva torto persino a proposito di razze pure.

L’estrema destra fascista in Italia era già forte negli anni Settanta e Ottanta, dalla violenza squadrista ai moti di Reggio Calabria, alle stragi, fino ad influenzare i governi Dc. Che cosa la fa ora più pericolosa? Forse la svolta di Salvini: dal leghismo secessionista alla guida del risentimento xenofobo etnico-nazionale?

Oggi è più pericolosa perché la crisi strutturale globale e – spero – finale del capitalismo offre politicamente un enorme e pericoloso spazio di azione. Torna ad essere vera l’alternativa detta da Rosa Luxemburg: la crisi capitalistica lasciata alla sua spontaneità, non produce il superamento del capitalismo, bensì barbarie. Per questo è stupido litigare sul riformismo, esso non è più possibile, arriva la barbarie, se non si incomincia a pensare ad agire l’alternativa, detta socialismo o come altro si deciderà. La crisi consiste soprattutto nell’incapacità del capitalismo di costruire una sua classe dirigente decente, basta passare in rassegna da Trump, Hollande, Sarkozy, il re di Spagna (aggiungerei quanto a impresentabilità perfino il nemico necessario, il nordcoreano Kim). Lascio i nostri per carità di patria. Agli estremi questo capitalismo incapace potrebbe ricorrere alla sua arma assoluta che è la guerra, ma oggi la guerra atomica è certo la fine del capitalismo, ma insieme la fine del mondo civile.

Che cosa pensi del Movimento 5 Stelle?

Che sono una riedizione aggiornata del qualunquismo. Sono qualunquisti.

Quanto fa paura il ritorno di Berlusconi, che pure non riesce a mettere insieme la compagine di governo della Destra, se non nelle liste elettorali e forse nemmeno in quelle?

Berlusconi non è meno o più ridicolo di altri, come non vederne la levatura e l’incapacità di dire qualcosa di razionale, a parte che è un personaggio colpito dalla giustizia per cause affatto eroiche.

Molti, a sinistra, sono tentati dall’astensione…

Astenersi significa semplicemente far sì che Renzi abbia una facilità in più, essere il 45% del 30% è ben diverso che essere il 40% dell’80%.

E in tanti non vedono l’ora che le elezioni finiscano. Non credi che il giorno dopo le elezioni, oltre coalizioni e schieramenti in campo e dopo la rottura dell’esperienza positiva del Brancaccio, a sinistra bisognerà pure tornare a lavorare, tutti, alla nascita di una nuova forza di sinistra alternativa? C’è spazio ancora per l’unità a sinistra?

Sì, bisognerà continuare a parlare ed agire in tante e tanti, ad agire nello spazio e nel tempo perché il popolo trovi coscienza e usi il suo potere: la democrazia significa Potere al popolo, che ne ha esercizio diretto.

 

 

http://www.qualcosadisinistra.info/11-prendi-nota/1655-15-02-roma-sbilanciamoci-stiamo-meglio-o-peggio-di-cinque-anni-fa-un-bilancio-di-fine-legislatura

 La campagna elettorale de L'Altra Faenza

Venerdì 16 febbraio, alle 20.30 sala del Circolo “Nuova Europa” via Oberdan

Assemblea pubblica su

Lavoro e diritti

per sconfiggere precarietà e disuguaglianze

per un modello di sviluppo equo e sostenibile

nella quale sono stati invitati, per un proficuo confronto, le organizzazioni e le associazioni sociali, i sindacati, il volontariato e, naturalmente, tutti i cittadini.  Sono previsti (finora) interventi di:

Vittorio Bardi (L'Altra Faenza); Beppe Casadio (già segretario nazionale Cgil); Alessandro Messina (Comitato difesa della Costituzione); Cristan De Benedetto (Angeli di Romagna); un rappresentante della Caritas diocesana; Davide Tagliaferri (Fim-Cisl Romagna); Massimo Sangiorgi (Legambiente); Ivan Missiroli (Fiom – Cgil).

Coordina Angelo Emiliani, Presidente dell'Associazione L'Altra Faenza.

Queste iniziative si propongono di portare nel dibattito pre-elettorale alcune questioni cruciali, viste da un ambito locale nelle loro connessioni con la dimensione nazionale e più generale, a partire dall’idea di sviluppo che si intende perseguire e dai suoi risvolti sociali, produttivi e ambientali.

Per questo la scelta di affrontare i temi del lavoro, dell’ambiente, della qualità dello sviluppo. La questione dell'occupazione e di un lavoro dignitoso, al quale siano riconosciuti diritti e un reddito adeguati, è una tra le emergenze del nostro Paese e anche dei nostri territori: lo testimonia l’aumento delle diseguaglianze, della precarietà e di nuove povertà.

Questioni, queste, che non si risolvono con provvedimenti come il job-act, togliendo diritti e tutele al lavoro, né con i bonus, siano gli 80 euro, il Reddito di Inserimento, o gli sgravi regalati alle aziende senza alcun vincolo sulle scelte produttive.

Serve un nuovo intervento pubblico in economia che non lasci unicamente al mercato le scelte imprenditoriali. Per questo è necessaria una politica industriale nazionale che orienti un diverso sviluppo, tale da dare risposte innovative e sostenibili alla domanda di giustizia sociale, di rispetto dell’ambiente, di riconversione energetica e di sviluppo dell'innovazione. Puntando all’inclusione dei soggetti più deboli.

Azioni importanti per la qualità dello sviluppo possono essere compiute anche a livello locale, a partire dalle competenze delle Regioni e degli Enti Locali, utilizzando gli strumenti programmatori a loro disposizione (strumenti urbanistici, Rue, Piani di Azione per l'Energia Sostenibile, mobilità, qualità dell'aria, gestione dei rifiuti, ecc.).

Purtroppo le scelte locali non sono state particolarmente lungimiranti, basti ricordare in proposito l’abnorme presenza di grandi strutture commerciali e il loro impatto sulla rete distributiva, sui flussi di traffico, sul rapporto con i produttori e il tessuto economico del territorio.

Può dunque risultare utile ritornare al dibattito che ha accompagnato il "Patto per lo sviluppo" della Romagna Faentina, sul quale a suo tempo L’Altra Faenza ha espresso critiche precise, rivolte in particolare al persistere nella logica degli incentivi a pioggia (necessariamente di scarsa entità) senza tentare di indurre scelte più coerenti con “una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva del territorio” così come si dichiara di voler perseguire.

Oggi, a un anno dalla sottoscrizione di quel Patto, è necessario verificare quali risultati ha prodotto, cosa è stato fatto, cosa invece non è stato neppure avviato e cosa, invece, sarebbe possibile fare.

Abbiamo avanzato l'idea dell'attivazione di un Osservatorio, coordinato dai Comuni, che raccolga tutti i dati a disposizione degli Enti pubblici, dei servizi, di tutte le realtà associative; una struttura leggera, tale da consentire una lettura attendibile dell'andamento delle attività economiche, sociali, produttive e del mercato del lavoro del territorio, da cui trarre indicazioni per iniziative concrete nei nostri territori.

Su questo, e su altro, L'Altra Faenza ha qualcosa da dire: intende dunque confrontarsi, oltre che con tutti i cittadini, con i soggetti sociali che si occupano, a diverso titolo, di tutte queste questioni.

Le derive del cosiddetto populismo e dell’uomo solo al comando si combattono non delegando ad un generico concetto di politica la soluzione dei tanti e gravi problemi dell’oggi, ma attraverso la partecipazione, la cittadinanza attiva, il coinvolgimento delle associazioni sociali e ambientali, dei sindacati e del volontariato. E’ questo il metodo che può fare la differenza, che dà sostanza alla buona politica.

L’Altra Faenza non dà specifiche indicazioni di voto, ma a partire dalla coerenza con questi contenuti, fa appello ad andare a votare, esercitando un diritto conquistato con la Resistenza e posto a fondamento della Costituzione.

E di esprimere un voto a sinistra, contro la destra vecchia e nuova, per l’uguaglianza e la solidarietà.

Ma soprattutto è quello di continuare, anche dopo le elezioni del 4 marzo, con l’impegno civile e la mobilitazione per i valori e gli obiettivi di una sinistra unitaria e alternativa.