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PRESA DI POSIZIONE PUBBLICA CONTRO LA POLITICA IN TEMA DI MIGRAZIONI DEL GOVERNO CONTE-SALVINI-DI MAIO

https://dichiarazionepoliticamigranti.wordpress.com/

Dopo la consegna al Presidente Mattarella (4 luglio 2018), la raccolta firme continuerà fino a segni incontrovertibili di volontà di cambiare le attuali direttrici in materia di politiche avverse i migranti diretti in Italia ed Europa, da parte delle istituzioni di questo Governo, senza per converso implementare una politica estera che miri alla sostenibilità dei contesti di partenza.
DIFFONDETE AL 
POSSIBILE IL LINK A QUESTO SITO, GRAZIE

Per aderire si invii Nome Cognome, Affiliazione/Qualifica
e Luogo (di residenza o lavoro)

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Siamo insegnanti, docenti universitari, scrittori, artisti, medici, economisti, membri della società civile. Denunciamo come incostituzionale, moralmente inaccettabile e contraria ai più elementari diritti umani la politica sull’immigrazione del governo Salvini-Di Maio. Nel futuro non assisteremo senza opporci con tutti i possibili mezzi legali al respingimento di navi umanitarie, alla minaccia di “censimenti” di tipo etnico-razzista o ad altri fatti di questa gravità.

Denunciamo come ugualmente pericoloso, anti-costituzionale e inaccettabile l’intero asse politico europeo di orientamento razzista e nazionalista cui questo governo guarda ideologicamente. Da sempre i flussi migratori sono naturali ed essenziali per le civiltà umane; il rispetto della diversità culturale, del diritto d’asilo e del diritto all’integrazione, principi duramente conquistati dall’Europa con la sconfitta del nazifascismo, sono l’unica strada che è necessario regolare e percorrere, naturalmente a livello europeo.

Chiediamo al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella di ostacolare in quanto incostituzionale ogni provvedimento ispirato a discriminazione etnico-razzista o lesivo del diritto d’asilo.

Rita Borsellino... una di noi! GRAZIE! ...siamo certi che continuerai a lottare con noi anche "dai piani alti"

di Associazione Antimafie Rita Atria

Tutti i componenti dell’Associazione Antimafie Rita Atria esprimono il proprio immenso dolore per il lutto che ha colpito tutti i siciliani onesti, tutte le persone che si battono per la verità e la giustizia.

Ci sono momenti come questo in cui si resta senza parole, ma è giusto ricordare quanto importante sia stata la sua vita e quanto sia stato determinante il suo impegno e l’esempio che incarnava per le persone che hanno avuto il privilegio di conoscerla, incontrarla o anche di sentire solo le sue parole.

Noi, in particolare, come associazione, con lei abbiamo un debito di riconoscenza considerato che fu la prima, insieme all’incommensurabile giudice Caponnetto, a darci fiducia e a spingerci a proseguire nel difficile viaggio che avevamo scelto, in una regione che ancora oggi risente di una subcultura mafiosa della quale non riesce a liberarsi del tutto.

Da allora, abbiamo proseguito, non si può più tornare indietro dopo avere saputo che un’altra via è possibile e dopo avere conosciuto persone come lei che questa strada te l’hanno mostrata, che hanno creduto in te, che ti hanno fatto comprendere che ognuno di noi può essere, anzi deve essere, l’agente di cambiamento.

E’ morta senza avere giustizia né verità, né risposte, questo bisogna ricordarlo, specialmente in questi giorni in cui ci sarà una processione di finti cordogli e false commemorazioni, specialmente da parte di chi, ancora oggi tiene le verità ben nascoste o non fa nulla affinché venga data giustizia e verità a chi le aspetta da decenni.

Il suo impegno, il suo testimone, però, continuerà ad essere portato avanti, abbiamo gambe forti e spalle larghe e non ci fermeremo.

La morte terrena non è definitiva se hai lasciato semi che diventeranno piante robuste, e di semi Rita ne ha piantati tantissimi.

Che la terra ti sia lieve.

Associazione Antimafie Rita Atria

Pubblichiamo il Comunicato del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, che da informazione di un Esposto per chiedere alla magistratura di fare chiarezza sul respingimento dei migranti in Libia in merito alla vicenda della nave "Asso 28".

Di seguito troverete un link, accedendo al quale potrete firmare, sulla piattaforma Change org, per aderire alla iniziativa.

 

Chiediamo la verità sui respingimenti in Libia

Un gruppo di personalità, attive nella vita culturale, civile e politica: Massimo Villone, Mauro Volpi, Luigi Ferrajoli, Alfiero Grandi, Domenico Gallo, Silvia Manderino, Mauro Beschi, Guido Calvi, Felice Besostri, Livio Pepino, Antonio Esposito, Raniero La Valle, Vincenzo Vita, Luigi De Magistris, Moni Ovadia, Sergio Caserta, Alfonso Gianni, Antonio Pileggi, Giulia Venia, Francesco Baicchi, Elena Coccia, Roberto Lamacchia, Fabio Marcelli, Paolo Solimeno, Leonardo Arnau, Paola Altrui, Elisena Iannuzzelli, Margherita D'Andrea, Tommaso Sodano, Costanza Boccardi, Massimo Angrisano, Antonio Garro tramite l’avv. Danilo Risi hanno presentato un esposto al Procuratore della Repubblica di Napoli intorno alla vicenda della nave “Asso 28”.

Secondo informazioni di stampa il 30 luglio la nave “Asso 28”, società Augusta Offshore di Napoli, operante in appoggio a una piattaforma petrolifera dell’ENI al largo di Sabratha (Libia), ha effettuato il recupero in mare in acque internazionali di 101 profughi in fuga dalla Libia (fra cui 5 donne e 5 bambini) e in seguito si è diretta al porto di Tripoli dove sono stati sbarcati senza alcuna possibilità di chiedere di asilo o protezione internazionale.

I sottoscrittori chiedono al Procuratore della Repubblica di Napoli di accertare se in questa occasione siano stati commessi reati e in questa eventualità da parte di chi, tenendo conto che una nave battente bandiera italiana è a tutti gli effetti parte del territorio nazionale, e se possa configurarsi una forma di respingimento collettivo.

Sulla vicenda della nave Asso 28 sono state fornite diverse versioni dell'accaduto, tra queste quella che alla richiesta di coordinamento dei soccorsi all’MRRC (Maritime Rescue Coordination Center) di Roma non sia venuta risposta o che la risposta abbia rinviato la responsabilità alla guardia costiera libica.

Se confermato sarebbe la prima volta una nave italiana avrebbe sbarcato in Libia dei naufraghi raccolti in acque internazionali dopo la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che nel 2012 ha duramente condannato l’Italia per i respingimenti in Libia, effettuati da navi militari italiane nel 2009, su disposizione del Ministro dell’interno dell’epoca.

E’ noto che la Grande Chambre della Corte di Strasburgo con la sentenza Hirsi Jamaa e altri c. Italia del 23 febbraio 2012 ha statuito che:

Le azioni di Stati contraenti compiute a bordo di navi battenti la bandiera dello Stato, anche fuori del territorio nazionale, rientrano nella giurisdizione della Corte EDU ai sensi dell’art. 1 CEDU.

L’esecuzione di un ordine di respingimento di stranieri costituisce violazione dell’art. 3 CEDU, relativo al divieto di tortura e trattamenti inumani o degradanti, quando vi sono motivi seri ed accertati che depongono per un rischio reale che lo straniero subisca nel Paese di destinazione trattamenti contrari all’art. 3 della Convenzione (con riferimento alla Libia)

L’allontanamento di un gruppo di stranieri effettuato fuori del territorio nazionale, in presenza di giurisdizione dello Stato, senza che venga esaminata la situazione personale di ciascun componente del gruppo e senza che ciascuno possa presentare argomenti contro l’allontanamento, integra una violazione del divieto di espulsioni collettive di cui all’art. 4 Protocollo n. 4 CEDU la cui portata deve considerarsi anche extraterritoriale.

A norma del codice penale (art. 4) le navi italiane sono considerate “territorio dello Stato” agli effetti della legge penale.

I presentatori chiedono alla magistratura che siano accertate le condotte di tutti coloro che hanno concorso nell’evento in quanto sussiste pienamente la giurisdizione italiana sui fatti accaduti.

La richiesta è che l'Autorità giudiziaria verifichi se vi sia stato un respingimento collettivo di migranti, vietato dall’art. 4 del quarto Protocollo aggiuntivo alla Convenzione Europea per i Diritti Umani (CEDU) e dall’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, in quanto è stato impedito ai migranti l’accesso alla protezione internazionale poiché forzosamente ricondotti in Libia, Paese dichiarato posto non sicuro dall'UE e dall'UNHCR nel quale i migranti sono notoriamente sottoposti a torture, trattamenti disumani e degradanti in violazione dell’art. 3 della CEDU e dell’art. 33 della Convenzione di Ginevra sui rifugiati, a cui la Libia non ha mai aderito.

Ad avviso dei firmatari, stanti le diverse e contraddittorie versioni fornite dalla stampa, va chiarito anche il ruolo svolto dal Centro Nazionale di Coordinamento del Soccorso Marittimo (MRCC), contattato dalla nave “Asso 28”, che ha l’obbligo di coordinare i soccorsi adottando tutte le misure necessarie affinché le persone soccorse possano sbarcare nel più breve tempo possibile in un luogo sicuro. L’autorità giudiziaria italiana ha avuto modo in più occasioni di escludere che la Libia possa essere considerata un luogo sicuro, ai sensi delle convenzioni internazionali.

In particolare il Gup del tribunale di Ragusa, con il provvedimento che ha disposto il dissequestro della motonave Open Arms (dep. in data 16 aprile 2018), ha osservato che “le operazioni SAR di soccorso non si esauriscono nel mero recupero in mare dei migranti, ma devono completarsi e concludersi con lo sbarco in un luogo sicuro (POS, Place of safety), come previsto dalla Convenzione SAR siglata ad Amburgo nel 1979 .. Non può essere considerato sicuro un luogo dove vi sia serio rischio che la persona possa essere soggetta alla pena di morte, a tortura, persecuzioni od a sanzioni o trattamenti inumani e degradanti, o dove la sua vita o la sua libertà siano minacciate per motivi di razza, religione, nazionalità, orientamento sessuale, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o orientamento politico. Il tema è evidentemente connesso con il principio di non respingimento collettivo, con il diritto internazionale dei rifugiati, e più in generale con i diritti fondamentali dell’uomo.”

I sottoscrittori dell'esposto confidano che l’Autorità Giudiziaria, accerti l’esatto svolgimento dei fatti, verificando se vi siano responsabilità individuali private o pubbliche e ribadiscono di essere mossi dalla preoccupazione che vi sia stata violazione dell’obbligo di soccorso in mare e della libertà personale delle persone ricondotte contro la loro volontà in Libia, salvo diversi e più gravi reati, sottolineano, inoltre, che sarebbe necessario individuare queste persone e ripristinare il loro diritto individuale di chiedere asilo.

8/8/2018

 

RICORDIAMO UNA DATA, l’8 AGOSTO 1956. 62 anni fa, la strage su lavoro nella miniera di MARCINELLE in Belgio. Il bilancio finale fu di 262 morti, di cui 136 di emigrati italiani.

 

Causa della strage operaia, un incendio scoppiato a quota 975 della miniera, nel distretto carbonifero di Charleroi, i minatori morirono a causa di un incidente banale, UCCISI SUL LAVORO soprattutto dalla "premeditata" imprevidenza, dalla mancanza di elementari misure di protezione, dalla disorganizzazione.

Uno degli eventi luttuosi dell'immigrazione italiana all'estero, in base ad accordi tra i Governi belga e italiano, forza lavoro e braccia in cambio di quote di carbone per la "ripresa economica". Nel linguaggio locale, un misto tra il francese e il dialetto, fu detta "La catastròfa".

Per molti anni, nessun Presidente della Repubblica Italiana, nessun esponente del Governo italiano, si è recato sul luogo della strage di Marcinelle, nè si impegnò a sostegno delle vittime e dei familiari, nessun intervento istituzionale durante l'inchiesta successiva al disastro sul lavoro, con una giustizia inerte di fronte a questo "massacro annunciato". OGGI, sarà presente l’attuale Ministro degli Esteri.

A tanti anni di distanza dalla strage e in una fase nella quale in Europa, in Italia, continua la fuga di centinaia di migliaia di disperati e disperate, non solo dalla fame e dalla miseria, ma anche da persecuzione religiose, politiche, dalle discriminazioni etniche, con forme di sfruttamento bestiale e un mercato che ricorda quello, abolito formalmente, della schiavitù e della tratta di di esseri umani, questa storia di emigrazione e di immigrazione (italiana, questa volta) dovrebbe farci riflettere. La sola rievocazione del fatto, non dovrebbe lasciare insensibili coloro che oggi, in Italia come nella "civile" Unione Europea con tante direttive sulla salute e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, parla di "flussi programmati"e di "integrazione", o di "invasione", quando si riferisce al fenomeno dell'immigrazione, come se fosse già dimenticato quello che subirono i nostri antenati, bisnonni, nonni...emigrati e immigrati nei Paesi "ricchi" per uscire dalla quotidiana miseria e alla ricerca di un destino e di un futuro migliore.

Spesso pagato a caro prezzo di vite umane, come a Marcinelle, non dovremmo mai dimenticare i cartelli davanti a negozi ed esercizi pubblici “…vietato l’ingresso ai cani e agli italiani”. Non facciamo anche da noi, quello che fecero ai nostri connazionali, in termini di discriminazione, intolleranza e razzismo. OGGI COME IERI, CON I MORTI DI BRACCIANTI NELLE CAMPAGNE DELLA CAPITANATA E NEL NOSTRO “BEL PAESE”, sottoposti a regime di semischiavitù e del caporalato, quindi della criminalità organizzata che sfrutta forza lavoro per pochi soldi e ottiene comunque margini di profitto e di controllo sociale, non sono sufficienti alcuni controlli DOPO che avvengono morti e disgrazie “annunciate”, sono fattori di sfruttamento sul lavoro e del lavoro, che vanno combattuti sempre e in funzione preventiva, all’interno della generale “lotta di classe” per la liberazione da sfruttamento e dominio, collegando la lotta contro le discriminazioni, l’intolleranza, la barbarie di matrice razzista, anche se non esplicita, con la lotta contro lo sfruttamento salariale, di riduzione di diritti e di dignità delle persone, che lavorano e producono comunque la “ricchezza sociale” italica.

l'Italia rimane pur sempre un PAESE DOVE LA SALUTE E' CONSIDERATA UNA MERCE, LA SICUREZZA NON SOLO SUI LUOGHI DI LAVORO MA SUI TERRITORI (inquinati, devastati, senza manutenzione, rimboschimento, o controlli seri in termini preventivi), E' VISTA DA PADRONI E GOVERNANTI COME "UN COSTO" DA RIDURRE O ELIMINARE PER MANTENERE, IN REGIME DI "CRISI PERMANENTE", UN MARGINE PUR MINIMO DI PROFITTO, UN’OCCASIONE PER LUCROSE SPECULAZIONI FINANZIARIE, EDILIZIE, o come smaltimento illecito di scorie e deposito di materie pericolose, inquinanti sui territori.

NOI NON DIMENTICHIAMO, PERCHE' CHI NON HA MEMORIA, NON HA UN FUTURO E NONOSTANTE TUTTO, SIAMO ANCORA TENACEMENTE DETERMINATI, A LOTTARE COLLETTIVAMENTE, AD ESSERE SOLIDALI, PER UN ALTRO FUTURO...POUR UN AUTRE FUTUR

Usi Unione Sindacale Italiana segreteria nazionale confederale