Sono ormai 21 mesi che la produzione industriale è in calo. L’Italia annaspa, ma il governo è inerte. Da Nord a Sud, la mappa delle aziende in difficoltà
La crisi non si arresta: in ottobre la produzione industriale è rimasta invariata, mentre su base annua il calo è del 3,6 per cento. Siamo al 21esimo mese consecutivo di riduzione, come rilevato dall'Istat. A trainare al ribasso è anzitutto la produzione di autoveicoli, che ha registrato una flessione tendenziale del 40,4 per cento. “La flessione – aggiunge l’Istituto nazionale di statistica – è diffusa a tutti i principali settori di attività ed è più marcata per i beni intermedi e strumentali”.
“Una fotografia distante anni luce dalle roboanti dichiarazioni della presidente Meloni che continua a raccontare un Paese immaginario, mentre quello reale affonda”, commenta il segretario confederale Cgil Pino Gesmundo: “A parte i settori alimentari, energia, riparazione e installazione di apparecchiature, il resto dell’industria italiana mostra i segni inequivocabili della recessione”.
Un dato che non stupisce la Cgil: “Al di là della narrazione sempre meno credibile del governo, la drammatica situazione dell’industria la misuriamo quotidianamente ai tanti tavoli istituzionali di crisi al ministero delle Imprese e a quelli che affrontiamo sui territori”.
Così conclude Gesmundo: “Tavoli che ormai hanno un tratto comune fatto di chiusure e delocalizzazioni di fabbriche, di riconversioni industriali che impoveriscono qualità di produzione e occupazione, di licenziamenti e cassa integrazione. Quest’ultima, in settembre, ha registrato quasi 45 milioni di ore, con un incremento del 18,8 per cento sullo stesso mese del 2023”.
Dopo diversi cicli di cassa integrazione ordinaria, alla Sodecia (ex F&B) di Raiano (L’Aquila), produttrice di componenti in ferro e alluminio per l’automotive e monocommittente Stellantis, è scattato il contratto di solidarietà. La misura coinvolge l’intero personale (50 dipendenti) e sarà attiva fino al 4 novembre 2025. A motivare la decisione, la contrazione della domanda dovuta al calo di produzione della Pro One Stellantis (ex Sevel) di Atessa (Chieti). Cgil: “Il rallentamento delle attività dell’ex Fiat ha un effetto domino sui suoi fornitori, quindi ricadute dirette sui territori e sulle realtà locali”.
Sono ben 1.935 (pari al 44% dei lavoratori) gli esuberi annunciati il 20 novembre dalla multinazionale turca degli elettrodomestici Beko Europe. La società intende chiudere le fabbriche di Comunanza (Ascoli Piceno) e Siena, ridimensionare quella di Cassinetta (Varese), dismettere il reparto di ricerca e sviluppo di Fabriano (Ancona) e, in generale, operare tagli in tutti i siti italiani. L’azienda si è comunque impegnata a “mantenere le produzioni attive e a continuare ad assorbire le significative perdite generate dai siti fino alla fine del 2025”. Fiom : “L’azienda deve presentare un nuovo piano industriale, non può presentarsi tre mesi dopo l'acquisizione e voler dimezzare i dipendenti”. Il prossimo incontro è previsto per metà gennaio.
Ancora un lungo stop per lo stabilimento Stellantis di Torino Mirafiori. Alle Carrozzerie la cassa integrazione va dal 2 dicembre al 5 gennaio, poi dal 7 gennaio al 2 agosto 2025 per 1.005 lavoratori della Carrozzeria linea 500 Bev e 794 colleghi della Carrozzeria linea Maserati. Gli ammortizzatori sociali coinvolgono anche (dal 7 gennaio al 14 febbraio) i 254 lavoratori della Preassembly & logistic unit (ex mascherine); in cassa anche 334 dipendenti di Stellantis Europe di San Benigno e 300 operai delle Presse 96 della Costruzione stampi. Fiom: “L’utilizzo degli ammortizzatori sociali compie 18 anni. È imbarazzante che Stellantis, che ha distribuito dividendi stratosferici agli azionisti negli ultimi anni, si sia ridotta così”.
Cassa integrazione alla Piaggio di Pontedera (Pisa). L’ammortizzatore sociale, in vigore dal 2 al 20 dicembre, riguarda 1.098 dipendenti (698 addetti dello stabilimento Due ruote, 306 delle meccaniche e 94 del cosiddetto Vtl) e coinvolge gran parte dei reparti dell’impianto dove si producono scooter. Fiom: “In questo periodo dell’anno il ricorso a questa misura è frequente. Ma siamo preoccupati per l’immediato futuro perché le incertezze sui volumi della produzione sono tante. Temiamo che l’ammortizzatore sociale possa essere riattivato anche all’inizio del nuovo anno”.
Un anno di cassa integrazione straordinaria in deroga per area di crisi complessa per tutto il 2025. Questo l’accordo trovato nell’incontro del 27 novembre (e firmato il 19 dicembre) sulla vertenza della Lear di Grugliasco (Torino), fabbrica di sedili per l’automotive con 380 dipendenti, alle prese da anni con l’utilizzo di ammortizzatori sociali. Sindacati: “I 12 mesi di tutela aggiuntiva dovranno servire a trovare un investitore che reindustrializzi il sito, giacché i volumi produttivi nella fabbrica torinese sono ridotti al lumicino”. Il prossimo incontro è calendarizzato per il 30 gennaio 2025.
Accordo raggiunto alla Berco di Copparo (Ferrara), azienda produttrice di sottocarri per macchine movimento terra cingolate. I 400 esuberi (su 1.235 dipendenti) annunciati il 17 ottobre dalla multinazionale del gruppo ThyssenKrupp restano, ma saranno volontari e incentivati. L’incentivazione economica lorda è pari a 57 mila euro, chi vorrà aderire dovrà comunicarlo alla società entro il 16 gennaio 2025. La multinazionale metterà a disposizione dei lavoratori che lo richiederanno un servizio di outplacement, i cui costi andranno però decurtati dall’incentivo. Sindacati: “Ma la vicenda Berco non è conclusa”
Dopo 125 anni di storia, chiude definitivamente la storica azienda Prandelli di Lumezzane (Brescia), specializzata nella produzione e distribuzione di tubi e raccordi in polipropilene. Per i 53 dipendenti della società è stata avviata la procedura per l’ottenimento dell'indennità di disoccupazione Naspi. L’azienda era in crisi da tempo, con una posizione debitoria di circa 14 milioni di euro. Il 16 ottobre scorso la Prandelli è stata ammessa al concordato semplificato.
Brutte notizie per la Magneti Marelli di Sulmona (L’Aquila). Nell’incontro del 28 novembre scorso l’azienda produttrice di componenti per automotive ha annunciato la proroga di un anno del contratto di solidarietà (l’attuale terminerà il 1° agosto 2025) per i 460 lavoratori dello stabilimento, nonché l’aumento degli esuberi previsti, dagli 85 del 2024 ai 147 del 2025. A motivare la decisione, i bassi livelli di produzione dell’impianto Stellantis (ex Sevel) di Atessa, da cui la fabbrica abruzzese dipende quasi interamente. Sindacati: “Marelli sta uscendo a fatica dalla fase di peggiore difficoltà, ma sta affrontando una crisi di settore di cui non è ancora possibile intravedere la fine”.
Prorogata la cassa integrazione ordinaria per lo stabilimento Leonardo di Grottaglie (Taranto). L’ammortizzatore sociale coinvolgerà a rotazione (come già avvenuto nella prima tranche iniziata a metà agosto) tutti i 931 dipendenti della società italiana a controllo pubblico attiva nei settori difesa, aerospazio e sicurezza. Iniziata il 18 novembre, la cassa terminerà il 5 gennaio. A motivare la proroga, il calo dell’attività con l’industria aeronautica statunitense Boeing, cui Leonardo fornisce due sezioni della fusoliera dell’aeroplano 787.
Accordo raggiunto alla Bystronic, multinazionale svizzera attiva nella progettazione e produzione di macchine di automazione industriale, che il 10 ottobre scorso aveva annunciato la cessazione dell'attività negli stabilimenti di San Giuliano Milanese e Fizzonasco di Pieve Emanuele (Milano). L’accordo prevede che 43 addetti restino dipendenti del gruppo per almeno due anni, con la garanzia che in questo arco di tempo non potranno essere licenziati. Per i restanti 100 è previsto un incentivo all’esodo pari a più di un anno di stipendio, oltre alla possibilità di rivolgersi, a spese di Bystronic, a una società di ricollocazione.
Un contratto di solidarietà della durata di 24 mesi per disinnescare i licenziamenti, i demansionamenti e l'internalizzazione del servizio di sicurezza. È quanto prevede l’accordo siglato il 27 novembre tra i sindacati e la L-Foundry di Avezzano (L’Aquila), azienda di proprietà cinese che produce memorie volatili e sensori d'immagine. La società aveva annunciato, per fine anno, il taglio di 134 posti di lavoro, il demansionamento per circa 80 dipendenti e l’esternalizzazione dell’help desk. Riguardo quest’ultimo, l’intesa stabilisce l’impegno dell'azienda a ricollocare al proprio interno “il personale tenendo conto delle competenze specifiche di ciascuno”.
Chiude la Energica Motor Company di Soliera (Modena). L’azienda, produttrice di moto elettriche ad alte prestazioni e controllata al 75% dal fondo statunitense Ideanomics, è entrata in liquidazione giudiziale per stato di insolvenza. Per i 37 dipendenti, scaduto a fine ottobre il contratto di solidarietà, è stata approvata la cassa integrazione straordinaria fino al 31 dicembre. Fiom: “Auspichiamo la prosecuzione dell’ammortizzatore sociale anche per il 2025. Siamo preoccupati per le tempistiche di reindustrializzazione del sito, abbiamo chiesto al liquidatore di velocizzare l’azione di ricerca di eventuali acquirenti”.
Licenziamenti scongiurati negli stabilimenti Edim di Villasanta (Brianza) e Quero (Belluno), società del gruppo Bosch attiva nella pressofusione e lavorazioni meccaniche per la grande industria. Il 3 dicembre azienda e sindacati hanno siglato un accordo che supera la richiesta di 93 esuberi mediante l’attivazione della cassa integrazione straordinaria, l’uscita volontaria e incentivata (supportata da un percorso di riqualificazione e ricollocazione professionale), l’affidamento alle agenzie interinali dei lavoratori con contratto a termine. “L’azienda – spiegano i sindacati – ha comunque ribadito il momento di grande difficoltà e la necessità di ridurre il personale”.
Il 7 novembre la Targetti Sankey di Firenze, azienda di illuminotecnica di alta gamma di proprietà della 3F Filippi di Bologna, ha comunicato la chiusura della produzione e la vendita dello stabilimento di Firenze, con la conseguente riduzione del personale da 90 a 40 lavoratori. La produzione sarà svolta esclusivamente nell’impianto di Nusco (Avellino). A nulla finora sono valse le proteste di sindacati e istituzioni, il tavolo di trattativa presso la Regione Toscana si è interrotto il 20 dicembre. Fiom-Fim: “L’azienda non si è resa disponibile a rivedere la decisione, mettendo sul tavolo solo ipotesi finanziarie e nessun piano industriale. Alla ripresa produttiva del 7 gennaio condivideremo le prossime decisioni da prendere”.
Sei settimane di cassa integrazione ordinaria all’azienda di alta moda Aeffe (produttrice di brand come Alberta Ferretti e Moschino). L’ammortizzatore sociale (dal 1° ottobre al 20 dicembre) coinvolge a rotazione tutti i 600 dipendenti dello stabilimento di San Giovanni in Marignano (Rimini) e dell’unità produttiva di Milano. “La contrazione delle vendite – spiegano i sindacati – è confermata anche per la prima parte del 2025, probabilmente sarà necessario analizzare se richiedere la cassa integrazione straordinaria, visto che la stessa permette un nastro temporale più lungo, anche di 12 mesi”.
Ulteriori incentivi all’esodo volontario e percorsi di outplacement a carico dell’azienda. Questo il contenuto del nuovo accordo tra Benetton e sindacati per fronteggiare la crisi che da tempo colpisce la notissima azienda tessile italiana. L’intesa, siglata il 3 dicembre, prevede la possibilità per i lavoratori di uscire con un incentivo che può arrivare fino a 70 mila euro sulla base dell’anzianità. Previsti anche percorsi di outplacement del valore di 4 mila euro a carico dell’azienda, ma anche l’opportunità, per un massimo di 20 dipendenti, di un impiego di 12 mesi con un’agenzia di lavoro interinale.
Ammortizzatori sociali alle Ceramica Del Conca di Savignano sul Panaro (Modena). La cassa integrazione straordinaria, iniziata il 9 dicembre, coinvolge a rotazione tutti i 250 dipendenti. La durata prevista è di dieci mesi, anche se l’azienda, in un comunicato, ha affermato che “l’intervento prevede un coinvolgimento per i lavoratori limitato ai primi mesi del nuovo anno, per poi ripartire a pieno regime”. A motivare la decisione, il calo degli ordinativi provocato a livello internazionale dalla forte concorrenza dei produttori asiatici, mentre in Italia dal rallentamento dell’edilizia dovuto allo stop del superbonus.
Ancora tutto da definire il futuro dei 175 dipendenti della Tirso di Muggia (Trieste), azienda tessile del gruppo veneto Fil Man Made, che ha chiuso il 1° ottobre scorso per difficoltà finanziarie. Il personale, in larga parte donne sopra i 50 anni d’età, potrà essere coperto (ha assicurato la Regione Veneto) dalla cassa integrazione fino al 30 settembre 2025. Nel frattempo si sta cercando un acquirente per un possibile passaggio di proprietà dell’impianto. Sindacati: “Occorre attivare subito una formazione che consenta agli addetti di affacciarsi sul mercato o reimpiegarsi all’interno delle nuove produzioni che potrebbero arrivare nella fabbrica”.
La crisi generale dell’automotive sta provocando grandi difficoltà anche nelle aziende che lavorano per il settore: è il caso della Alcantara di Nera Montoro (Terni). La storica impresa (di proprietà giapponese) produttrice dell’omonimo materiale tessile per rivestimenti interni di autoveicoli, imbarcazioni, arredi di design e alta moda, ha annunciato l’avvio di un nuovo ciclo (dopo quello del giugno 2024) di 13 settimane di cassa integrazione per i suoi 520 dipendenti, dal 2 gennaio fino al 30 marzo 2025, con lo stop totale di alcuni specifici reparti dello stabilimento.
Raggiunto il 5 novembre scorso l’accordo sulla chiusura della Fcm di Campi Bisenzio (Firenze), azienda di accessori moda di proprietà della multinazionale Oerlikon. L’azienda si è resa disponibile a supportare il “piano di continuità aziendale” e la ricollocazione dei 18 lavoratori (cui in settembre era stato avviato il licenziamento collettivo). L’accordo prevede uscite volontarie con incentivo economico, l’adozione della cassa integrazione straordinaria fino al 31 dicembre, una dote economica per la ricollocazione dei lavoratori presso altre aziende e un’ulteriore dote per il rilancio del sito pari a 8 mila euro per ogni lavoratore riassunto dall’impresa che reindustrializzerà il sito.
Avviata il 2 dicembre scorso la cassa integrazione ordinaria, che proseguirà per 13 settimane, per i 350 dipendenti della Ceramica Dolomite di Borgo Valbelluna (Belluno). L’azienda (ex Ideal Standard) ha ritirato la richiesta di 45 esuberi, determinati dalle annunciate esternalizzazioni di una serie di funzioni di alcuni reparti, che non verranno più affidate a ditte esterne. “Il quadro generale rimane incerto”, commentano i sindacati, sottolineando che rimangono ancora perplessità “sia sulla volontà dei soci di continuare a sostenere l’azienda, in grave difficoltà finanziaria, sia riguardo la definizione dei piani industriali e commerciali, previsti per metà gennaio”.
Revocato il licenziamento collettivo di 50 lavoratori di Milano impiegati nel customer service di Just Eat, annunciato l’8 novembre dalla multinazionale anglo-danese della consegna di cibo a domicilio, che intendeva spostare il servizio in Albania. Il 5 dicembre azienda e sindacati hanno raggiunto un accordo che “consentirà - spiegano Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs territoriali - di iniziare un percorso strutturato per studiare soluzioni alternative ai licenziamenti, oltre a permetterci di comprendere quale sia il progetto di riorganizzazione internazionale di Just Eat, così da prevenirne eventuali future ricadute sul nostro Paese”.
“La perdita del 14% della forza lavoro della più grande azienda industriale del territorio è inaccettabile”. Questo il commento della Filctem Cgil senese in merito alla decisione dell’azienda biofarmaceutica britannica Gsk (GlaxoSmithKline) di ridurre di 270 unità il personale degli stabilimenti di Siena e Rosia. Quest’ultimo è un centro di eccellenza che produce circa 60 milioni di dosi di vaccini l’anno, distribuite in 57 Paesi nel mondo. Le uscite, previste nell’arco di due anni, saranno volontarie e incentivate. Cgil: “Abbiamo chiesto all'azienda cosa succederà se non ci saranno volontari, ma non c’è stata risposta. Il timore è che da volontari si trasformino in veri e propri esuberi”.
A inizio novembre gli esuberi annunciati erano 129, il 10 dicembre è stata aperta la procedura di licenziamento collettivo per 252 lavoratori (su complessivi 400 addetti). Si aggrava, dunque, la situazione del call center Callmat di Matera, travolto dal drastico ridimensionamento della commessa da parte di Tim. Sindacati: “Callmat deve attivare subito gli ammortizzatori sociali per garantire un minimo di protezione alle maestranze”. I licenziamenti sono per ora sospesi in attesa dell’incontro ministeriale previsto per l’8 gennaio.
La Agr Packaging (ex Farmografica) di Cervia (Ravenna), multinazionale austriaca attiva nei settori imballaggio e stampa di consumo con 80 dipendenti, chiuderà definitivamente. Il 9 dicembre azienda e sindacati hanno siglato un accordo per la cassa integrazione straordinaria per cessazione di attività (da gennaio a dicembre 2025) per i lavoratori che non accetteranno il licenziamento; per chi lo accetterà, invece, è stato “concordato un incentivo economico all’esodo da calcolare su anzianità contrattuale, inquadramento e retribuzione attuale”.
Un anno di cassa integrazione straordinaria per crisi complessa e 105 possibili ricollocazioni nelle Marche (più altri 55 nelle società del gruppo presenti in Nord Italia). Questo l’accordo trovato il 9 dicembre per i 173 lavoratori della Giano di Fabriano (Ancona), azienda del gruppo cartario Fedrigoni, di cui il 3 ottobre scorso era stato annunciato il licenziamento collettivo. Previsti anche incentivi per chi opterà per il prepensionamento o per l’uscita entro la fine del 2025. La società ha confermato lo stop definitivo entro il 2024 alla produzione di carta per ufficio, mentre continuerà quella delle carte speciali. “La reindustrializzazione - commenta la Slc Cgil - è l’obiettivo a lungo termine più importante”.
La ex Cinzano chiuderà. La comunicazione è arrivata martedì 26 novembre: la Diageo, multinazionale britannica delle bevande alcoliche, ha infatti annunciato la dismissione della distilleria di Santa Vittoria d'Alba (Cuneo), mettendo a rischio i suoi 349 addetti (215 operai, 113 impiegati, 16 quadri e cinque dirigenti). A motivare la decisione, l'esigenza di focalizzare “gli investimenti sui siti ritenuti strategici” e la “lontananza dell’impianto dai principali mercati del gruppo”, che sono quelli del Nord Europa. Sindacati: “Decisione non legata a ragioni economiche, ma a una scelta strategica e di mercato. Ma noi lavoreremo per ottenere la salvaguardia dei posti di lavoro”.
Il 10 gennaio l’agenzia di stampa Redattore Sociale chiuderà. Dopo due anni di crisi aziendale e una pesante cassa integrazione, l’editore Comunità di Capodarco licenzierà sette dipendenti (di cui cinque giornalisti e due poligrafici). “Da due anni, nonostante le sollecitazioni della redazione, l’editore non ha cercato nessun’altra soluzione per tenere in piedi un progetto che considerava ormai concluso”, scrivono il Cdr e l’assemblea dei dipendenti: “Poco importa che quel progetto in questi anni abbia raccontato per primo il disagio, economico e sociale, sempre crescenti nel nostro Paese”.
Al Cairo il negoziato sulla tregua prosegue, a Tel Aviv Netanyahu promette: nessun accordo fino alla distruzione di Hamas. Pioggia di fuoco sull’ospedale Kamal Adwan di Gaza, Israele ordina ai medici di andarsene. Papa Francesco: «Non è guerra, è crudeltà»
L'intrattabile Al centro dei negoziati il destino del valico di Rafah. Bombe e artiglieria, a Gaza attacco senza precedenti contro l’ospedale Kamal Adwan. I missili yemeniti arrivano a Tel Aviv: 20 feriti
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu durante un sopralluogo sul monte Hermon, nel Golan occupato, con il ministro della difesa Israel Katz – Ansa
Una delegazione israeliana è giunta ieri al Cairo per riprendere la discussione su un possibile accordo di cessate il fuoco a Gaza, con scambio di ostaggi e prigionieri politici palestinesi.
Al centro dei negoziati, secondo i media qatarioti, la gestione dei confini e il controllo del valico di Rafah. Hamas e i gruppi palestinesi della Jihad Islamica e del Fronte popolare per la liberazione della Palestina hanno dichiarato di essere vicini a un accordo, sempre che Israele «non aggiunga nuove condizioni».
SI TRATTEREBBE, in ogni caso, di una tregua temporanea e non della fine della guerra. Lo ha dichiarato apertamente il premier Netanyahu in un’intervista rilasciata venerdì al Wall Street Journal: «Non accetterò di porre fine alla guerra prima di aver rimosso Hamas». Mentre il gruppo islamico spiegava in un comunicato di aver discusso con le altre fazioni palestinesi del governo del dopoguerra, il primo ministro israeliano dichiarava che non c’è spazio per Hamas nella Striscia: «Non li lasceremo al potere a Gaza, a trenta miglia da Tel Aviv. Non succederà».
Nell’intervista traspare tutta la fiducia del governo di Tel Aviv sull’impegno del nuovo presidente Usa Donald Trump per garantire il proseguimento della guerra: «I rinforzi sono in arrivo», ha dichiarato, riferendosi all’invio di armi. Da utilizzare sui diversi fronti, anche in Libano se Hezbollah dovesse «voler continuare» il confronto.
Al momento i pericoli maggiori in termini di perdite militari per Israele sono a Gaza, mentre gli Houthi stanno mettendo a dura prova la sicurezza della popolazione civile: nella mattinata di ieri un missile balistico partito dallo Yemen ha colpito l’area di Tel Aviv. I sistemi di difesa non sono riusciti a intercettarlo e circa venti persone sono rimaste ferite. Dall’inizio della guerra gli Houthi hanno lanciato più di 200 missili e 170 droni.
Intanto, diverse fonti riportano notizie di un’ulteriore escalation delle operazioni israeliane nel nord di Gaza, soprattutto nell’area
Leggi tutto: Al Cairo si dialoga, Netanyahu frena: «Il conflitto non finirà» - di Eliana Riva *
Commenta (0 Commenti)Politica e giustizia Resuscitare politicamente Matteo Salvini resta un’impresa difficile, ma il processo di Palermo dal quale ieri sera è emerso candido come un giglio darà il suo contributo. Ennesima prova che la […]
Resuscitare politicamente Matteo Salvini resta un’impresa difficile, ma il processo di Palermo dal quale ieri sera è emerso candido come un giglio darà il suo contributo. Ennesima prova che la correzione dei torti politici per via giudiziaria non è solo inefficace ma anche controproducente. Il nostro paese dovrebbe conoscere a memoria questa storia, nella quale però puntualmente ricasca.
Certo, non è una buona notizia per nessun cittadino dotato di elementare spirito democratico apprendere all’ora di cena che per un tribunale della Repubblica tenere forzatamente a bordo 147 persone in stato di sofferenza per 19 giorni, impedendo loro di sbarcare a terra, non è contrario alla legge. Essendo evidentemente contrario a tante altre cose più immediate, dal raziocinio al senso di umanità. Ma è notizia assai peggiore che questo infame comportamento sia meritevole, per tanti, di quel consenso politico in forza del quale si governano il nostro paese e un bel po’ del civilizzato Occidente. E questo non ce lo doveva dire, ieri sera, il tribunale di Palermo.
La giustizia penale è un fatto tecnico, la verità processuale non è quella storico politica che talvolta è migliore e talvolta peggiore. In un’aula di tribunale si può, carte e mail dell’ex presidente del Consiglio Conte alla mano, sostenere che Salvini ha fatto tutto da solo quando – per due volte – ha tenuto i migranti, molte donne e molti bambini, legati alla banchina a impazzire sotto il sole per giorni. In qualsiasi altro consesso dotato di memoria non si può invece dimenticare quanto ci tenessero i 5 Stelle, alleati di governo della Lega, a rivendicare anche loro la linea durissima contro i migranti e quanto condividessero la vile retorica della difesa dei confini.
Adesso, almeno, Salvini non potrà fare il martire, lui che su questa presunta salita al patibolo stava politicamente campando da anni, un video e un tweet dopo l’altro. Gli mancherà un argomento, ma lo sostituirà con un altro più pericoloso ancora, e cioè che d’ora in avanti sarà lecito e più semplice negare lo sbarco alle navi che soccorrono i migranti, senza bisogno di tenerle in mare a navigare verso i porti più lontani. Naturalmente non è così, proprio perché questo processo penale ha giudicato un singolo episodio amministrativo e due specifiche accuse. Ma è vano sperare in un discorso razionale, soprattutto da parte di Salvini.
Anche perché, altrimenti, questo processo dimostrerebbe innanzitutto alla maggioranza di governo, impegnata in una guerra contro la magistratura e la sua indipendenza, che quella delle toghe rosse e politicizzate è una favola. E che non c’è quel totale appiattimento dei giudici sui pubblici ministeri, in forza del quale sarebbe necessaria la definitiva separazione delle carriere.
Nessun tribunale richiamerà mai l’incoerenza di un ministro che rivendica le sofferenze imposte con il suo blocco a 147 persone fragili e in fuga e il contemporaneo disegno di legge sicurezza che punisce con anni di galera chi con il suo semplice corpo prova a non farsi trascinare via da un agente. Nessun giudice condannerà La Russa per aver rubato la voce a quel vecchio busto che aveva in casa per rispondere al Consiglio d’Europa che non si intromettesse nelle nostre autarchiche violazioni dello stato di diritto. Per quello c’è solo la politica, o dovrebbe esserci.
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Agitare è bene Oggi a Roma a Testaccio (ore 11) e sit-in al ministero dell'università (ore 15): ricercatori precari, studenti, docenti, associazioni e sindacati Critiche alla ministra Bernini ("Nega l'evidenza dei tagli e delle riforme"). "Ci vogliono convergenza massima, azioni significative". L'appello contro i rischi del ridimensionamento della ricerca in Italia della Rete delle 122 società scientifiche
Torino, gli studenti e i ricercatori universitari bloccano l'entrata al Campus Universitario Einaudi per protesta contro la legge di bilancio
Gli «stati di agitazione delle università» che si terranno stamattina al dipartimento di Architettura di Roma Tre al Mattatoio di Testaccio (dalle 11), e in un presidio alle 15 al ministero a Trastevere, sono il risvolto di quello che non è stato detto, o è stato detto tra le righe, ieri alla Camera dove oggi continuano gli «Stati generali dell’università» organizzati dai rettori della Crui. Nell’assemblea si parlerà infatti dei tagli aggiuntivi previsti dalla legge di bilancio in votazione stasera dalla Camera (702 milioni di euro in tre anni), del DdL Bernini che aumenterà il precariato nella ricerca, della paventata riforma peggiorativa degli attuali assetti che una commissione ministeriale sta preparando, del boom delle università telematiche.
L’«AGITAZIONE» di cui parla il bel titolo dell’iniziativa di oggi rispecchia la rapida fioritura di «assemblee precarie» sbocciate negli ultimi tempi in molti atenei: da Torino a Milano, da Roma a Napoli. Si sono formati coordinamenti interuniversitari a Palermo o a Padova. In una dinamica aperta e in evoluzione si tessono reti tra associazioni universitarie (Andu, Rete 29 aprile, Adi), dei precari della ricerca (Restrike, 90%, Arted), studenti (Udu, Link, primavera degli studenti) e sindacati (Flc Cgil, Clap).
VA EVIDENZIATA la novità, per molti versi significativa, della nuova mobilitazione. È impressionante leggere l’elenco delle 122 società scientifiche accademiche che hanno firmato un drammatico documento sui «rischi di ridimensionamento della ricerca» pubblicata a ottobre sul sito «Scienza in rete». Parliamo di una parte rappresentativa della ricerca italiana che, a partire dai suoi vertici, sta provando a varcare i confini di un mondo gerarchico. L’appello al governo contro i tagli è rimasto finora inascoltato.
NELLE ASSEMBLEE e nei sit-in che si continua a sentire una tensione anti-corporativa e una spinta verso la costruzione di «alleanze» e convergenze dentro e
Commenta (0 Commenti)«L’Ucraina non ha la forza per riconquistare i territori controllati dai russi». Per la prima volta Zelensky ammette che la via d’uscita dalla guerra non può essere militare. Ma chiede ancora armi
Giocoforza Il presidente ucraino sembra aprire al negoziato, poi ci ripensa: «Ce lo vieta la Costituzione». E chiede maggiore sostegno a Trump
«L’Ucraina non ha la forza per riconquistare i territori controllati dai russi» e potrà affidarsi solo alla «pressione diplomatica della comunità internazionale per costringere Putin a sedersi al tavolo delle trattative». Se a dirlo è Volodymyr Zelensky in persona vuol dire davvero che siamo a un momento di svolta. Ma attenzione: «Non rinunceremo ai nostri territori – aggiunge -, è la Costituzione ucraina che ce lo vieta».
Dunque, la domanda sorge spontanea: Zelensky si rassegnerà a cambiare la Costituzione oppure sta tentando nuove vie, come quella di chiedere garanzie di sicurezza dai paesi dell’Ue per affrontare il discorso dell’integrità territoriale nel futuro prossimo? Nel caso della seconda eventualità nessuno dei leader della Nato dubita che lasciare il Donbass, forse la Crimea definitivamente e chissà che altro a Mosca voglia dire cambiare le mappe una volta per tutte. Ma il vero punto è quanto la futura amministrazione statunitense tenga all’integrità territoriale ucraina a fronte di un cessate il fuoco permanente.
IN UN’INTERVISTA INSOLITA, organizzata sotto forma di video-incontro con i lettori di Le Parisien a fare le domande, Zelensky ha interpretato una parte ben diversa da quella a cui ci ha abituato negli ultimi tre anni di conflitto con la Russia. Ha parlato di difese aeree, ovvio, della barbara violenza del nemico e della sofferenza dei suoi concittadini. Ma per la prima volta ha ammesso in modo inequivocabile che la via militare non riparerà ai torti di guerra. «Putin deve essere messo al suo posto», ma non saranno le armate ucraine a farlo, se non altro perché non ne hanno la forza materiale. E quindi il leader ucraino chiede agli alleati di farsene carico: «Non dimenticate tutto ciò che è successo: i missili, l’occupazione delle nostre terre, i morti, l’esilio di 8 milioni persone e i milioni di sfollati interni. Putin è come un boomerang: ritorna finché non ottiene ciò che vuole. E per la prima volta in 30 anni ha trovato un paese che gli ha resistito».
MA QUESTA NARRAZIONE ora eroica della guerra in corso si scontra con la dura realtà del
Commenta (0 Commenti)Striscia di sangue Si riduce la distanza tra Israele e Hamas, cessate il fuoco possibile nei prossimi giorni. La tregua, si dice, potrebbe essere legata alla normalizzazione tra Tel Aviv e Riyadh
Una casa distrutta nel campo profughi di Al Nuseirat, nel centro della Striscia di Gaza – Omar Ashtawy/Ansa
Non era al Cairo ieri Benyamin Netanyahu, ma sul Jabal Sheikh (Monte Hermon), nelle alture del Golan occupate, a fare il punto della situazione lungo le linee di armistizio con la Siria abbondantemente superate dalle truppe israeliane – il 603° Battaglione del Genio dell’Esercito ha raggiunto villaggi a 20 chilometri da Damasco e girano voci di unità speciali alla ricerca dei resti di Eli Cohen, la spia israeliana giustiziata dalla Siria nel 1965 – dopo l’8 dicembre, quando Bashar Assad è fuggito dalla Siria mentre i jihadisti occupavano Damasco. Sul Jabal Sheikh, Netanyahu ha messo le cose in chiaro, confermando ciò che era stato palese a tutti nei giorni scorsi. Israele, ha annunciato, rimarrà sulla cima del monte «finché non verrà trovato un altro accordo (con la Siria) che garantisca la sua sicurezza». L’occupazione si espande, va ben oltre i 1200 kmq del Golan che Israele occupa dal 1967.
LA NOTIZIA DELLA PARTENZA del premier israeliano per la capitale egiziana, poi smentita, ha subito fatto il giro del mondo avvalorando le indiscrezioni su un accordo imminente (mediato da Egitto e Qatar) tra Hamas e il governo Netanyahu per una tregua temporanea a Gaza e lo scambio tra ostaggi israeliani e prigionieri politici palestinesi. Accordo che sarebbe legato, dietro le quinte, alla normalizzazione delle relazioni tra Israele e Arabia saudita. In sostanza, secondo le voci, Netanyahu si sarebbe
Leggi tutto: Bibi sul Golan: resteremo qui. A Gaza si spera nella tregua - di Michele Giorgio
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