Giorgia Meloni vola alla corte di Trump a Mar-a-Lago nel tentativo di sbloccare la trattativa per la liberazione di Cecilia Sala. Dal presidente Usa incaricato spera di ottenere il permesso per lo scambio con l’ingegnere iraniano Abedini, arrestato su mandato di Washington
Only you Incontro in Florida. L’obiettivo è risolvere l’affaire Sala-Abedini senza irritare gli Usa. C’è un precedente andato a buon fine del 2019, quando il tycoon era alla Casa Bianca
Giorgia Meloni – Pool Photo via Ap
È attraverso i contatti con «gli amici americani» che il governo italiano intende risolvere l’intrigo internazionale che vede la giornalista italiana Cecilia Sala prigioniera a Teheran e l’ingegnere iraniano Mohammed Abedini recluso nel carcere di Opera con una richiesta d’estradizione degli Usa che pende sulla sua testa.
NELLA NOTTE italiana, l’ora di cena a Palm Beach in Florida, la premier Giorgia Meloni ha visto il presidente eletto Donald Trump e, tra i vari argomenti che hanno trattato, non poteva certo mancare quello che da prima di Natale maggiormente preoccupa il governo italiano. L’incontro, peraltro, è stato concordato solo all’ultimo, segno che qualche urgenza in effetti c’è. L’aereo è partito dall’Italia alle 11 di ieri mattina e, dopo uno scalo tecnico in Irlanda, ha fatto rotta verso gli Stati Uniti. Il tutto nel silenzio chiesto dalla famiglia Sala per non disturbare delle trattative «complicate». Le difficoltà italiane, in effetti, sono evidenti a partire dl rapporto con l’Iran (la situazione non si sblocca dal 19 dicembre, giorno dell’arresto della reporter) e negli ultimi giorni la posta si è alzata sempre più, tra le richieste insistenti della Repubblica islamica di liberare Abedini nel più breve tempo possibile e la minacciosa allusione al deterioramento dei rapporti con Roma se questa continuerà a seguire le indicazioni degli Usa, che almeno sin qui non hanno mai mostrato intenzione di rinunciare all’ingegnere, considerato un criminale.
GIUSTO IERI, il Wall Street Journal, in un lungo pezzo, raccontava le varie difficoltà dell’affaire Sala-Abedini. «Se l’Italia rilasciasse Abedini – era uno dei ragionamenti del quotidiano – rischierebbe di irritare il presidente eletto Donald Trump, che rinnoverà la sua strategia di massima pressione sull’Iran, e di danneggiare lo sforzo della Meloni di posizionarsi come uno degli interlocutori preferiti di Trump in Europa». Se un altro snodo importante sarà l’arrivo del presidente uscente Joe Biden in Italia domenica prossima, non è detto che con l’ amministrazione entrante le cose saranno necessariamente più complicate. L’obiettivo, comunque, è di risolvere la cosa tra il 15 gennaio (quando la Corte d’Appello di Milano si esprimerà sulla scarcerazione di Abedini) e il 19, giorno prima dell’entrata in carica di Trump. Dalla Farnesina, inoltre, ricordano un precedente del dicembre 2019, quando pure il tycoon era al potere e lo stesso Washington e Teheran – attraverso la mediazione della Svizzera – riuscirono ad accordarsi per scambiarsi due prigionieri, lo studente di Princeton Xiyue Wang e scienziato iraniano Masoud Soleimani.
DOMANI, comunque, avrà luogo la parlamentarizzazione della crisi iraniana con l’audizione
Leggi tutto: Meloni cerca l’ok di Trump per lo scambio di prigionieri - di Mario Di Vito
Commenta (0 Commenti)Incontro teso a Teheran con l’ambasciatrice italiana: l’Iran lamenta l’arresto di Abedini e si irrigidisce. I genitori di Cecilia Sala chiedono il silenzio stampa. La liberazione della giornalista resta legata a quella dell’ingegnere iraniano. La scelta spetta al governo
L'ultima parola Le lamentele e gli alibi di Teheran con l’ambasciatrice Amadei. «Situazione preoccupante». I timori italiani sulle trattative. Il ricercatore Abedini dal carcere: «Prego per me e per lei». La decisione sui domiciliari il 15 gennaio
L’ambasciatrice italiana in Iran Paola Amadei – Ansa
L’incontro avvenuto ieri mattina a Teheran tra l’ambasciatrice italiana Paola Amadei e il direttore generale per l’Europa occidentale del ministero degli Esteri dell’Iran Majid Nili Ahmadabadi non viene commentato dalla Farnesina. Solo una voce, informalmente, commenta il resoconto diffuso attraverso l’agenzia di stampa Irna che riporta la sola versione dalla Repubblica Islamica: «Sono le loro posizioni, forti come sono le nostre. È un botta e risposta». È il gioco della reciprocità che caratterizza questa difficile fase della trattativa.
L’IRAN ha convocato Amadei per esprimere le sue rimostranze sul caso dell’arresto in Italia di Mohammed Abedini, senza fare alcun cenno alla situazione di Cecilia Sala, detenuta nel carcere di Evin dal 19 dicembre. Il timore della vigilia è che le «comunicazioni» annunciate fossero la formalizzazione dell’accusa, tanto infondata quanto clamorosa, di spionaggio a carico della reporter. Non è detto, ad ogni modo, che non avverrà in futuro, andando ad alzare la tensione oltre ogni livello di guardia immaginabile. Del resto, come già raccontato dal manifesto, in Iran quello di Sala è definito come un caso di «sicurezza nazionale».
Ma di questo, per fortuna, ieri non si è parlato. Ahmadabadi si sarebbe per così dire limitato a intimare all’Italia di respingere «la politica statunitense di presa di ostaggi iraniani» e rilasci subito il connazionale prigioniero a Opera, arrestato «su richiesta del governo degli Usa e in linea con i suoi comprovati obiettivi politici e ostili di tenere in ostaggio i cittadini iraniani in ogni angolo del mondo imponendo l’attuazione extraterritoriale delle sue leggi». Il rischio, secondo gli iraniani, è che «gli Stati Uniti» danneggino «le relazioni bilaterali tra Teheran e Roma», che in effetti sono sempre state buone. Non solo, il caso Abedini si configurerebbe anche come una violazione dei «principi e degli standard del diritto internazionale, comprese le norme sui diritti umani, e può essere considerato una forma di detenzione arbitraria».
E QUESTA è la botta. Quanto alla risposta, niente di niente. Anche se era inizialmente previsto che la Farnesina rilasciasse una nota ufficiale. La decisione di non farlo è dovuta alla richiesta dei genitori di Cecilia Sala: «silenzio stampa» perché la situazione è «complicata e molto preoccupante» e richiede
Leggi tutto: L’Iran alza la posta, i genitori di Cecilia Sala chiedono silenzio - di Mario Di Vito
Commenta (0 Commenti)Trattativa in salita per il caso della reporter Cecilia Sala, detenuta in condizioni difficili a Teheran. Il regime degli ayatollah parla esplicitamente di «reciprocità» con la vicenda del ricercatore Abedini arrestato a Malpensa. Ma Washington non la pensa così e stronca qualsiasi ipotesi di scambio
Fate presto L’Iran parla di «reciprocità» con Abedini, ma gli Usa insistono: «No ai domiciliari, potrebbe fuggire». E Roma finisce in un vicolo cieco. Il pg di Milano sul ricercatore: «Resti in carcere». La decisione non arriverà prima di due settimane
Manifestazione per chiedere la liberazione della giornalista Cecilia Sala detenuta in Iran dal 19 dicembre 2024 nel carcere di Evin. Torino, Italia - Domenica, 29 dicembre 2024 - Cronaca - Foto Andrea Alfano / LaPresse
I La parola chiave è «reciprocamente». Compare nelle ultime righe del comunicato con cui la rappresentanza diplomatica iraniana a Roma ha dato notizia dell’incontro tra l’ambasciatore della repubblica islamica Mohammad Reza Sabouri e il segretario generale della Farnesina Riccardo Guariglia. Oggi succederà la stessa cosa a Teheran, cioè l’ambasciatrice Paola Amadei sarà ricevuta al ministero degli esteri. Se tutti ufficialmente continuano a negare che l’arresto di Cecilia Sala a Teheran sia stato una risposta a quello del ricercatore Mohammed Abedini a Malpensa, i due casi corrono in parallelo e quando si parla di trattative per liberare l’una, inevitabilmente si finisce anche con il parlare dell’altro. E viceversa.
L’USO CHE L’IRAN fa del principio di reciprocità, va da sé, è strumentale, ma nella palude della diplomazia rappresenta uno scoglio difficile da aggirare. Quindi il gioco delle parti prevede che se da parte italiana si chiede l’immediato rilascio della reporter arrestata il 19 dicembre, la risposta è di «accelerare la liberazione del cittadino iraniano» preso tre giorni prima.
Stesso discorso per le condizioni detentive: nelle sue telefonate a casa (sempre controllate dalle autorità locali) Sala ha raccontato di star vivendo in maniera terribile, costretta a dormire per terra, con la luce accesa a tutte le ore del giorno e della notte, senza poter incontrare nessuno e senza aver ricevuto i beni di conforto che le erano stati inviati. E ad Abedini, si ribatte, è stato concesso di sentire i suoi familiari solo la mattina del 31 dicembre, quindi dopo due settimane di custodia, e, prima di essere trasferito a Opera, ha dovuto passare alcuni giorni nel carcere di Rossano, in Calabria, dove i detenuti sono quasi tutti lì perché accusati di terrorismo internazionale e molti sono vicini all’Isis, cioè sono sunniti, mentre lui è sciita. Una situazione potenzialmente pericolosissima, sostengono gli iraniani, che assicurano poi di aver fornito alla loro prigioniera «tutte le agevolazioni necessarie».
C’È INFINE IL NODO sulle accuse: quelle rivolte a Sala sono ignote, si parla di «violazione delle leggi della repubblica islamica», senza però dire quali. E l’Iran ribatte: anche Abedini in Italia non è accusato di nulla, eppure è lo stesso in prigione. Il fatto è che al tavolo delle trattative c’è un convitato di pietra, gli
Leggi tutto: Il gioco delle parti sulla pelle di Cecilia Sala - di Mario Di Vito
Commenta (0 Commenti)Alle otto del primo gennaio è scaduto il contratto tra Russia e Ucraina per il transito del gas. Danno economico per Mosca. Ma anche per Kiev: le commissioni sono lo 0,5% del pil nazionale. Scure sulle spese energetiche europee, la Transnistria torna al carbone
Scade l’accordo energetico fra Russia e Ucraina Si interrompe il transito attraverso Sudzha. La Transnistria torna al carbone
Foto d'archivio di un lavoratore in una stazione di servizio ucraina – foto Pavlo Palamarchuk/Ap
Con l’inizio dell’anno nuovo, la dimensione energetica della guerra in Ucraina compie un ulteriore salto di scala. Alle otto (orario di Mosca) della mattinata di ieri, infatti, si sono interrotte le forniture di gas russo che fino a quel momento ancora transitavano per il territorio ucraino attraverso la stazione di Sudzha (cittadina della oblast di Kursk, che si trova sotto controllo militare di Kiev dopo l’incursione nella regione dello scorso agosto). Si tratta di un passo che era stato annunciato dal presidente Zelensky circa due settimane fa, e che è entrato definitivamente in essere con la scadenza ufficiale del contratto firmato fra i due paesi prima dell’invasione. Il ministro dell’energia ucraino Herman Galushchenko lo ha definito un evento «di portata storica», che infliggerà alla Russia «perdite finanziarie».
Senza dubbio siamo di fronte alla fine di una dipendenza energetica che ha segnato ripetutamente le relazioni fra Mosca e Kiev, in una serie di dispute, controversie e ricatti reciproci per cui il gas è stato spesso utilizzato come “leva diplomatica” (nel 2009, per esempio, si verificò una delle più importanti crisi in cui le forniture russe vennero sospese per due settimane). D’altra parte l’interruzione, oltre a essere una misura annunciata, è in linea con il progressivo disaccoppiamento dalla Russia che l’intera comunità europea sta perseguendo da tre anni a questa parte (con l’inizio della guerra, è stata presa la decisione non vincolante di terminare in toto l’import di gas russo entro il 2027 e, secondo Bruxelles, le entrate da Mosca si sono già ridotte dal 40% pre-guerra all’8% sul totale). In Ucraina si è passati da 65 a 15 miliardi di metri cubi negli ultimi cinque anni.
Ma non è detto che la chiusura del rubinetto di Sudzha provocherà danni solo a Mosca e alla multinazionale russa Gazprom che ha dato seguito alla decisione. L’Ucraina, infatti, si trova costretta a rinunciare alle commissioni che derivavano
Leggi tutto: Rubinetti chiusi, il conflitto interrompe i rifornimenti di gas - di Francesco Brusa
Commenta (0 Commenti)Istituire «zone rosse» nelle città e vietarle ai «soggetti pericolosi». Con una lettera ai prefetti, il ministro Piantedosi anticipa il disegno di legge «sicurezza». Dalle feste in piazza di questa sera e per i prossimi mesi, decide la polizia chi entra nei centri storici e chi deve stare lontano
I soliti sospetti La direttiva del Viminale per Capodanno rafforza il Daspo urbano, la discrezionalità e le emergenze penali
Agenti di pattuglia a Capodanno – LaPresse
Sarà un capodanno con meno diritti, anche se la notizia viene impacchettata in mezzo all’allarme petardi e frullata nel contesto delle eterne emergenze sicurezza dichiarate di continuo, soprattutto in occasione di grandi eventi. Il ministro dell’interno Matteo Piantedosi ha inviato una direttiva ai prefetti per sottolineare l’importanza di individuare, con apposite ordinanze, aree urbane dove vietare la presenza di «soggetti pericolosi» o con precedenti penali e poterne disporre l’allontanamento.
L’INDICAZIONE di Piantedosi serve ad estendere ad altre città il dispositivo che è in vigore a Milano per Capodanno fino al 31 marzo e che ha già avuto una prima applicazione a Firenze e Bologna. Dove negli ultimi tre mesi, si apprende, sono stati emessi 105 provvedimenti di allontanamento su quattordicimila persone controllate. A Firenze, ha fatto sapere ieri la questura tracciando un bilancio dell’anno passato, le misure di prevenzione adottate nel 2024 registrano un aumento del 37,50% rispetto all’anno precedente. In particolare, sono raddoppiati i provvedimenti di divieto di accesso alle aree urbane (previste all’articolo 13 bis del decreto emanato, nel 2017, quando al Viminale c’era Marco Minniti, governo Gentiloni) per reati contro la persona o contro il patrimonio, con estensione alla resistenza a pubblico ufficiale ed al porto di armi od oggetti atti ad offendere (fattispecie inserite da questo governo nel cosiddetto «Decreto Caivano») commessi nelle pertinenze di locali pubblici e i Daspo in ambito sportivo per condotte ritenute pericolose in occasione o a causa di manifestazioni sportive.
IL RICORSO alle cosiddette «zone rosse», dicono dal Viminale, rientra nella più ampia strategia volta a garantire la tutela della sicurezza urbana e la piena fruibilità degli spazi pubblici da parte dei cittadini. Queste ordinanze, recita la versione governativa, sono particolarmente utili in contesti caratterizzati da fenomeni di criminalità diffusa e situazioni di degrado, come le stazioni ferroviarie (vera ossessione del ministro, citate a più riprese) e le aree limitrofe, oltre che le «piazze dello spaccio». Il fatto è che le misure potranno essere applicate anche in altre zone, come quella della cosiddetta movida, «caratterizzate da un’elevata concentrazione di persone e attività commerciali e dove si registrano spesso episodi di microcriminalità, risse, vandalismo, abuso di alcol e degrado». In vista del Capodanno, recita la velina del ministero dell’interno, l’applicazione delle «zone rosse» rappresenta «un ulteriore efficace strumento per rafforzare i controlli nelle aree di maggiore affluenza».
MA CHI PRENDE di mira il provvedimento? Ciò che preoccupa è la discrezionalità delle misure, visto che
Leggi tutto: Piantedosi blinda le città in nome della «sicurezza» - di Giuliano Santoro
Commenta (0 Commenti)Chiusa senza discussione la legge di bilancio, si riapre lo scontro nella maggioranza. La Lega alza il tiro sul governo: dall’autonomia alle armi alle imprese del nord. Soprattutto chiede il rimpasto. Salvini: sogno ancora il Viminale. Palazzo Chigi: non se ne parla
MANOVRA DI ALLONTANAMENTO Chiusi i conti in senato con la fiducia, non protesta solo l’opposizione. La Lega calca su tutto quello che non gradisce e apre il fronte interno
Nessuna sorpresa né potevano essercene. Il Senato era chiamato a ratificare la legge di bilancio, non a discuterla. Ha vistato e approvato come da copione con unica protesta sonora quella del relatore Liris, FdI, che ha mandato la premier su tutte le furie. Insieme ai voti a comando non è mancata la abituale apologia di se stesso cantata dal governo: la «manovra di grande equilibrio che sostiene i redditi medio-bassi» della premier, che peraltro in aula non c’era, il «valore della prudenza» del meno iperbolico Giorgetti.
Serviva maggiore attenzione alle industrie del Nord. E adesso bisogna prendere le distanze dai paesi più bellicosi Romeo, capogruppo Lega
I SOLI BRIVIDI sono arrivati con Renzi. Il leader di Iv si è beccato a microfoni accesi con il presidente del Senato: «Camerata La Russa, deve abituarsi a rispettare le opposizioni». «E lei deve abituarsi a non sfuggire la verità». Scambio di cortesia natalizie ma il leader di Iv è imbufalito davvero per quella norma che lo costringe a scegliere tra il seggio al Senato e le conferenze ben pagate all’estero: «Ve ne pentirete. Io sono come il Cavaliere nero di Proietti», minaccia. E promette pirotecniche manovre per il futuro prossimo: «Compio 50 anni, poi mi rimetto a fare sul serio».
Capita che buona parte della maggioranza, sulla norma, sia d’accordo con lui. «Il senatore Renzi non ha tutti i torti, per usare un eufemismo», va giù piatto nella dichiarazione di voto il capogruppo leghista Romeo. Dalle parti di Forza Italia basta chiedere per sapere che la pensano allo stesso modo e anche tra i Fratelli di Giorgia la norma ad personam anti-Renzi ha un indice di gradimento decisamente basso. «L’hanno voluta Giorgia e Arianna», sibila il conferenziere ex premier.
LA STILETTATA sulla norma Renzi, però, non è l’unica vibrata dal leghista. Impiega metà della sua dichiarazione di voto per magnificare la manovra, l’altra metà per elencare tutto quel che non è stato fatto e che la Lega si aspetta per l’anno che verrà, dall’avvio del federalismo fiscale ai Lep, da una «maggiore attenzione» per le
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