Lula wins the second round of the Brazilian presidential election RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA/EPA
Il leader di sinistra, Luiz Inácio Lula da Silva (Pt) ha vinto il ballottaggio, ed é stato eletto presidente del Brasile per la terza volta.
Lula ha battuto l'attuale capo dello Stato, Jair Bolsonaro (Pl, destra), il primo presidente che ha fallito nel suo tentativo di rielezione.
Il Tribunale superiore elettorale ha ufficializzato la vittoria, col 98, 86% del totale delle sezioni scrutinate, Lula ha ottenuto il 50,83% dei voti (59.596.247), contro il 49,17% di Bolsonaro (57.675.427).
Scoppiano felicità e tristezza in tutto il Brasile al termine degli spogli per il ballottaggio delle presidenziali che ha dato la vittoria a Luiz Inacio Lula da Silva. Caroselli di auto e moto, grida dalle finestre
Leggi tutto: Brasile: Lula vince il ballottaggio. E' eletto presidente per la terza volta
Commenta (0 Commenti)CRISI UCRAINA. Attaccate le navi al porto di Sebastopoli, il Cremlino accusa Kiev e l’intelligence britannica. Zelensky controbatte: avete fatto da soli
Fumo nel porto di Sebastopoli dopo il presunto raid contro una nave russa
La Russia sospenderà l’accordo sul grano in seguito agli attacchi di ieri mattina alle navi della flotta del Mar Nero ancorate nella base di Sebastopoli, in Crimea.
Lo ha annunciato il ministero della Difesa russo accusando Kiev di aver lanciato nove droni alle prime luci dell’alba di sabato con l’obiettivo di colpire le forze navali di stanza nel capoluogo della penisola.
IN UN VIDEO diffuso online da alcuni canali russi si vede uno dei droni puntare verso la fregata «Makarov 11356» che, secondo alcune fonti dovrebbe essere la fregata inviata a sostituire la «Moskva» affondata da un attacco ucraino la scorsa primavera.
Stando a quanto dichiarato dal dicastero di Sergei Shoigu, i danni alle navi da guerra sarebbero «di lieve entità». Non sarebbe andata altrettanto bene a due dragamine, utilizzate (sempre secondo fonti russe) nella bonifica delle aree costiere.
«In relazione alle azioni delle forze armate ucraine, guidate da specialisti britannici, dirette, tra l’altro, contro le navi russe che assicurano il funzionamento del corridoio umanitario in questione (che non possono essere qualificate altrimenti che come un attacco terroristico), la parte russa non può garantire la sicurezza delle navi civili da carico secco che partecipano all’iniziativa del Mar Nero e ne sospende l’attuazione a partire da oggi per un periodo indefinito», si legge nella nota ufficiale.
Non solo Mosca accusa l’Ucraina, ma punta il dito apertamente contro l’intelligence britannica che da una base sul suolo ucraino avrebbe aiutato lo stato maggiore di Kiev a «organizzare l’attacco» oltre a essere responsabile dell’attacco al gasdotto Nordstream del mese scorso.
Né il ministro della Difesa di sua maestà, Ben Wallace, né il suo omologo ucraino, Oleksii Reznikov, hanno commentato le dichiarazioni del Cremlino. Dal lato ucraino si accusano le forze armate russe di aver causato le esplosioni maneggiando erroneamente qualche tipo di armamento.
A OGNI MODO, Mosca ha chiesto la convocazione d’urgenza di un consiglio di sicurezza dell’Onu. Il ministro degli esteri ucraino Dmytro Kuleba ha accusato la Russia di mettere in atto «hunger games» (giochi della fame) citando la serie tv tratta dai romanzi di Suzane Collins.
«Avevamo avvertito dei piani della Russia per distruggere l’accordo sul grano – ha scritto Kuleba su Twitter – Ora, con un falso pretesto, Mosca sta bloccando il corridoio del grano che garantisce la sicurezza alimentare a milioni di persone». Secondo il capo di gabinetto del presidente ucraino, Andriy Yermak, la sospensione degli accordi di Istanbul è un «ricatto primitivo».
Dal canto suo la Turchia, che aveva avuto il ruolo di mediatore nell’accordo, ospitando la firma ufficiale a Istanbul e il centro logistico per il controllo delle navi di grano in transito verso il Mediterraneo, ha fatto sapere di non aver ricevuto alcuna comunicazione ufficiale riguardo alla sospensione dell’accordo.
Gli avvenimenti di ieri giungono dopo le dichiarazioni del segretario generale Onu, Antonio Guterres, che aveva esortato Kiev e Mosca a rinnovare l’accordo per le esportazioni del grano e l’Occidente a rimuovere gli ostacoli alle esportazioni di fertilizzanti russi.
POCO DOPO il portavoce del Segretario, Stephane Dujarric, aveva chiarito: «È fondamentale che tutte le parti si astengano da qualsiasi azione che possa mettere a rischio l’Iniziativa del Mar Nero per i cereali, che è uno sforzo umanitario fondamentale che sta chiaramente avendo un impatto positivo sull’accesso al cibo per milioni di persone». Neanche 24 ore dopo, un sabato di fuoco ha reso reali tutti i timori espressi dalla presidenza dell’Onu.
È altrettanto singolare che il ministro dell’Agricoltura russo Dmitry Patrushev non ha perso tempo e ha subito dichiarato, come riporta il canale statale Russia 24, che il suo Paese è pronto a «sostituire completamente il grano ucraino e a provvedere a forniture a prezzi accessibili per tutti i Paesi interessati».
Patrushev si è addirittura spinto a dichiarare che la Russia, con l’aiuto della Turchia, è pronta a «fornire gratuitamente fino a 500mila tonnellate di grano ai Paesi più poveri nei prossimi quattro mesi».
***
Kherson svuotata
«La cosiddetta evacuazione degli invasori dal territorio temporaneamente occupato della regione di Kherson, comprese le istituzioni mediche, continua», ha dichiarato lo stato maggiore delle forze armate ucraine. Secondo il presidente Zelensky, i russi «stanno smantellando l’intero sistema sanitario». Sarebbe il segno tangibile che a breve le forze occupanti potrebbero spostarsi sulla riva est del fiume Dnipro. Inoltre, secondo fonti non confermate, i filo-russi di Kherson avrebbero concesso ai residenti 48 ore prima di procedere a evacuazioni coatte.
Commenta (0 Commenti)VERSO IL CONGRESSO DI MARZO. Assemblea a Roma organizzata da Brando Benifei
Mentre Letta racconta ai socialisti svizzeri che «per noi comincia una traversata nel deserto, che spero sia la più corta possibile grazie alla nostra azione di opposizione», a Roma alcune centinaia di under 35 del Pd riscoprono la «rottamazione», invitando tutto il gruppo dirigente, e non solo Letta, a lasciare la prima fila.
«Servono un’identità chiara e un rinnovamento radicale del gruppo dirigente che non ha più credibilità», ha detto il capogruppo all’europarlamento Brando Benifei, 36 anni, organizzatore dell’evento «Coraggio Pd». «Non è che questo sia giusto, ma è un fatto. C’è una classe dirigente screditata che si ripropone incessantemente e che dopo 10 anni di governo pretende ancora di dettare l’agenda della discussione. Se non c’è un cambiamento, il congresso costituente rischia di essere una farsa».
«L’immagine che abbiamo qui oggi è molto differente da quella della direzione nazionale: capelli bianchi e quasi tutti uomini», dice Caterina Cerroni, segretaria dei giovani dem, candidata ma non eletta alla Camera. «Il gruppo parlamentare è per la maggior parte fatto dagli stessi che hanno votato il Rosatellum e il Jobs Act», attacca Cerroni. Non è l’unica.
«Si può dire che è stato vergognoso non saper rispondere a Meloni in due giorni di dibattito in Parlamento e che come fa l’opposizione Serracchiani ci stringe il cuore?», rincara Tommaso Bori, del Pd Umbria, che invita la truppa a «prendersi questo partito». Jacopo Scandella, consigliere regionale in Lombardia: «Come può guidare l’opposizione a Meloni chi è stato al governo negli ultimi 10 anni e qualsiasi cosa dici, ti ribattono: “Perché non lo hai fatto quando eri al governo?”».
Le critiche sono tante, riguardano la comunicazione del Pd ma soprattutto la sostanza, le scelte fatte in questi anni, soprattutto sui temi del lavoro. Ma anche la selezione delle classi dirigenti: «Basta col partito dei leccaculo, dei burocrati», ringhia Lorenzo Pacini di Milano. E Massimo Iovane, 22 anni, di Venezia: «Io non lascio il presidio della sinistra a chi ha fatto i dl Sicurezza, al trasformista Conte. È degradante».
Tra le righe l’ipotesi di lanciare una candidatura under 40, magari proprio Benifei. In sala anche Marco Meloni, braccio destro di Letta: «Una prima positiva prova del fatto che il percorso costituente del nuovo Pd potrà fruire della partecipazione attiva di una comunità viva e orgogliosa, che ha le idee, l’energia e la voglia di cambiare». Lodi anche dal sindaco di Pesaro Matteo Ricci.
Commenta (0 Commenti)DEM IN CRISI. Primarie il 12 marzo, prima un nuovo manifesto. Orlando: in gioco la sopravvivenza. Bonaccini: no a discussioni filosofiche sulla sinistra, sì ai rigassificatori
Enrico Letta alla direzione Pd - Ansa
«Un grande partito, basta che non si parli di politica». La direzione del Pd di ieri riporta alla mente una mitica copertina di Cuore del febbraio 1991, che celebrava così la nascita del Pds. Dalla data del congresso all’identità del partito, dall’autonomia differenziata al rapporto col M5S, in oltre quattro ore di discussione le distanze tra i vari dirigenti sono apparse enormi. E per la prima volta dal 2007 si è avuta la netta sensazione che anche i big comincino a dubitare dell’utilità di un partito nato 15 anni afa, prima della lunga serie di crisi che hanno travolto l’occidente.
ALLA FINE, A FATICA, la direzione ha votato la proposta di mediazione di Letta, che prevede un bizantino percorso che condurrà alle primarie per il nuovo leader il 12 marzo. Passando per un nuovo manifesto dei valori che sarà scritto aprendo anche ai non iscritti che vogliano contribuire e coordinato da una commissione «di alto profilo». E partendo da una assemblea a metà novembre che darà il via al processo.
«Una sintesi equilibrata», spiega Letta, che ha confermato di voler essere« arbitro» del congresso ma che resterà «guida dell’opposizione» da qui a marzo. Ma che ha scontentato sia chi voleva una costituente più approfondita (Zanda, Orlano e Provenzano), sia Matteo Orfini e la corrente di Guerini che spingevano per fare più in fretta, avendo già deciso di sostenere Stefano Bonaccini per la leadership.
Il governatore emiliano ha invitato a «non restare sospesi al fermo immagine del 25 settembre» e non attardarsi in una «discussione filosofica sul senso della sinistra e della vita» mentre Meloni governa e i «lavoratori non stanno nei convegni». «L’identità non si definisce fuori dalla battaglia quotidiana», ha detto Bonaccini, ricordando che «il futuro del Pd non è scontato» e auspicando che i candidati alle prossime regionali siano «scelti da un nuovo gruppo dirigente».
ANCHE ORLANDO PARLA di «sopravvivenza» del Pd. E in effetti tutti i contendenti paiono d’accordo sulla doppia opa ostile – Calenda da destra e Conte da sinistra- che rischia di dissanguare il partito facendogli fare la fine dei socialisti francesi. Dubbi diffusi anche sul fatto che il percorso possa essere attrattivo per il popolo del centrosinistra. Tradotto: c’è il rischio che non venga nessuno. «Fuori da questa sala della fase costituente nessuno sembra essersi accorto», avverte la prodiana Sandra Zampa. «Per favore sorridiamo, se siamo così depressi non viene nessuno», sprona Matteo Ricci, uno dei possibili candidati.
Zingaretti invita a immergersi nelle piazze, nel conflitto sociale, per dimostrare che «l’alternativa siamo noi», Orfini chiede di interrompere il «rapporto tossico» col M5S, Boccia invece rimpiange quel campo largo che ha portato a vincere quasi tutte le amministrative e le regionali degli ultimi due anni. «Ben 4 segretari eletti con le primarie si sono dovuti dimettere, il problema è il partito», avverte Luigi Zanda. «Aveva ragione Macaluso, manca una chiara identità politica, se non troviamo un nerbo scegliere un nuovo leader sarà insufficiente».
LO SI È VISTO ANCHE IERI, con le discussioni sul Jobs Act, con Bonaccini che rivendicava i rigassificatori al via in Emilia e Toscana e Orlando a ricordare che le posizioni liberiste di Meloni, a partire dal ruolo dello Stato nel ridurre le diseguaglianze, trovano eco anche tra i dem. «Sulla redistribuzione siamo divisi», ha detto l’ex ministro del Lavoro, proponendo di tassare non solo gli extraprofitti sull’energia, ma anche nella farmaceutica, nella logistica e nel digitale. E invitando a mettere mano non solo al manifesto dei valori, ma anche alla «forma di un partito nato in epoca di bipartitismo e vocazione maggioritaria. Altrimenti invece di una costituente facciamo solo un restyling». Alla fine Orlando non vota la road map di Letta, così Paola De Micheli, Orfini e la sua area: 16 gli astenuti e un contrario.
LETTA PROVA A MOTIVARE la truppa, annuncia tre week-end di mobilitazione sulle controproposte alla legge di Bilancio, vede un «enorme spazio politico per l’ opposizione», su temi come lavoro, ambiente, imprese, rapporti con l’Ue, incalza Meloni su Covid e tetto al contante, definito «una sorta di liberi tutti». Tra chi interviene c’è chi, come Walter Verini lo invita a restare alla guida del partito («Un segretario lo abbiamo e sei tu»), consapevole forse che Letta ad oggi è l’unico che riesce ancora a tenere insieme tribù in lotta tra loro.
Lui affonda contro Renzi «stampella della maggioranza», accoglie gli inviti a rispondere «colpo su colpo» alle altre opposizioni, e a Conte manda a dire: «Chi fa il cavaliere solitario sappia che il governo si mette in difficoltà solo se le opposizioni sono unite». E spiega ai potenziali compagni di viaggio nel congresso: «La nostra promessa di partecipazione alla costruzione del nuovo Pd è sincera, chi verrà non sarà solo spettatore». Di qui l’idea di potersi iscrivere fino «all’ultimo momento», e cioè fino alla fine di febbraio per poter votare i due candidati che arriveranno alle primarie di marzo.
Scettici gli under 40 guidati dall’europarlamentare Brando Benifei, che oggi a Roma si riuniscono nell’assemblea «Coraggio Pd» e chiedono un netto «ricambio generazionale ai vertici». Critico Orfini: «Non possiamo pensare di ripetere nel congresso l’esperienza delle agorà, non ha funzionato». Il 22 gennaio nuova riunione dell’assemblea nazionale per approvare il manifesto dei valori. I candidati leader avranno tempo fino al 28 gennaio per palesarsi.
Commenta (0 Commenti)MANIFESTAZIONE. Nel centenario della Marcia su Roma in centinaia al corteo indetto dall’Anpi. La sfilata si è mossa dietro allo striscione con scritto «Mai più fascismi» e tra le bandiere tricolori con la stella rossa al centro.
Duemila persone in corteo a Predappio per ricordare la liberazione della città nel 1944. Ma anche diverse centinaia di nostalgici in fila al cimitero per visitare la cripta di Benito Mussolini. Nella cittadina romagnola che al duce diede i natali, il centenario della marcia su Roma ha due facce, come (quasi) sempre: da un lato chi custodisce la memoria dell’antifascismo, dall’altro chi ha nostalgia del regime. Due anime che – per fortuna – sono destinate a non incontrarsi mai e che ieri sono state tenute distanti dalle forze dell’ordine, il cui dispiegamento è stato notevole.
AL CORTEO ORGANIZZATO dall’Anpi con la partecipazione dei sindacati e di diversi esponenti delle istituzioni (dal Comune di Bologna alla Regione, passando per il deputato del Pd Andrea De Maria. Assente il municipio locale, che non ha nemmeno concesso il suo patrocinio), la sfilata si è mossa dietro allo striscione con scritto «Mai più fascismi» e tra le bandiere tricolori con la stella rossa al centro. «Cento anni dopo il 28 ottobre della marcia su Roma, festeggiamo la liberazione di Predappio una seconda volta – dice Miro Gori, presidente della sezione dell’Anpi di Forlì-Cesena -. Ricordiamo il 1944 per la cacciata di Mussolini dalla sua città natale. Una liberazione simbolicamente fortissima». Nella folla c’è anche Nara Lotti, 94 anni, staffetta partigiana dell’ottava brigata Garibaldi, che insieme a un reggimento di polacchi liberò la città. «Bisogna stare attenti – ammonisce -, questi sono tempi duri e non si può smettere di lottare. Io ho l’età che ho e ancora lo faccio».
NON LONTANO DAL CORTEO, passati i negozi di souvenir fascisti sbarrati «per evitare incidenti», la fila per entrare nella cripta che custodisce le spoglie del duce è lunga. C’è gente da mezza Europa, ma i giornalisti non sono i benvenuti e il servizio d’ordine, quando ne pizzica uno, con modi fermi ma gentili lo invita ad allontanarsi. In centro, la famiglia Mussolini ha inaugurato una mostra, «Cento anni di rivoluzione e controrivoluzioni», mettendo a disposizione dei curiosi la paccottiglia di casa: fotografie, abiti, elementi d’arredo di scarso valore e dubbio gusto. Domenica arriveranno gli «Arditi d’Italia» di Ravenna per una loro manifestazione: prevista anche qui visita alla cripta e saluto di una delle pronipoti del duce.
A ROMA, INTANTO, ieri è andata in scena con successo la Retromarcia su Roma all’anfiteatro Alessandrino, una passeggiata «al contrario» sui luoghi delle camicie nere con storici, attori e musicisti, mentre nella notte c’è stata la consueta guerra degli striscioni. Vicino al Colosseo avevano esordito gli antifascisti con una foto di Mussolini appesa al contrario e la scritta «Sappiamo com’è andata a finire», poi sono arrivati i nostalgici con i loro lenzuoli celebrativi dei cento anni dal primo atto della sedicente rivoluzione fascista. Il resto delle marcette si è sviluppato in giro per la città tra imponenti cordoni di polizia.
NEL RESTO D’ITALIA, da segnalare a Pezzana (Vercelli), il sit in di Radicali, +Europa e Associazione Adelaide Aglietta che hanno protestato per la mancata revoca della cittadinanza a Mussolini, mentre purtroppo non si contano le scritte e i cartelloni celebrativi appesi dai gruppi neofascisti sui muri delle città. Il ministro delle Cultura Gennaro Sangiuliano ha scelto di vivere il centenario andando a far visita alla casa di Benedetto Croce a Napoli. «Sono qui perché Croce fu il promotore del manifesto degli intellettuali non fascisti – ha detto il ministro ai cronisti -, ma fu anche un profondo anticomunista e polemizzò con Togliatti».
NEL GIORNO IN CUI SI ricorda l’esordio di quella che poi sarebbe presto diventata una tragedia nazionale, oltre a non dire che Croce cominciò a opporsi al regime di Mussolini solo a tre anni di distanza dalla marcia su Roma e che dopo la guerra comunque aveva sviluppato la paurosa tendenza a minimizzare gli orrori del ventennio precedente, Sangiuliano ha deciso di buttare in mezzo Palmiro Togliatti, cioè uno di quelli che il fascismo l’hanno subito, combattuto, sconfitto e poi hanno fatto di questo paese una democrazia. La sortita napoletana del ministro, tra gli altri, ha raccolto un plauso favorevole via social anche da parte di Carlo Calenda.
Commenta (0 Commenti)
POLICRISI. Il dato choc dell’Istat: prezzi mai così alti dal 1984. E la politica della Bce contribuisce alla recessione. Governo Meloni bloccato: tre quarti delle risorse che saranno stanziate dalla prossima finanziaria serviranno a contrastare il caro-vita e caro-energia. Fracassi (Cgil): "Ora servono misure percepibili, oltre i 200 o i 150 euro una tantum. Non è il momento di condoni o innalzare il tetto del contante". Nel frattempo il prezzo della farina è aumentato del 37% da settembre 2021. La pasta +26% in un anno. Il caffè: + 7%, così anche il latte Uht e la passata di pomodoro
Le stime Istat sull’inflazione di ottobre sono uno choc: la crisi del Covid, quella provocata dalla guerra russa in Ucraina, le speculazioni di Stati e mercati sui beni energetici e la politica tragicamente inefficace della Banca Centrale Europea (Bce) che aumenta i tassi di interesse sul modello della Fed americana hanno spinto i prezzi a un livello mai visto dal 1984: quasi il 12% ( l’11,9%) o il 13% a seconda dell’indice. E la recessione, già annunciata dal Fondo Monetario Internazionale (Fmi) è ormai
Leggi tutto: L’inflazione sfiora il 12%, bruciate le tredicesime - di Roberto Ciccarelli
Commenta (0 Commenti)