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IL LEADER DEI DEM. "Si aprono opportunità triangolari che rendono molto meno semplice la vittoria della destra"

Letta: «Sulla Russia destra ambigua», l’obiettivo è Salvini

Era già tutto previsto, in questa campagna elettorale tanto cruciale quanto stanca? Quasi ma non del tutto. Il triangolo, per esempio non lo avevano considerato. Non lo aveva previsto nessuno e invece solo a quello pensano nello scorcio finale i partiti: il triangolo spaventa gli uni, fa sognare gli altri.

Letta lo dice apertamente anche se non proprio chiaramente: «La dinamica che è in corso in tanta parte del paese sta aprendo opportunità anche e forse innanzitutto a noi, opportunità triangolari che rendono molto meno semplice la vittoria della destra». Ermetismi a parte il senso può essere uno solo: non è più «ci siamo più solo noi e la destra», come declamato a iosa nei primi giorni di campagna elettorale, ma una sorta di involontario, fortuito però provvidenziale «marciare divisi per colpire uniti».

Insomma, capita che ci sia anche il M5S e che al sud galoppi. Se riuscisse a strappare al Senato 15 dei 31 seggi il trionfo di Giorgia Meloni rifluirebbe nel solito, rassicurante, «non ha vinto nessuno, il Paese è ingovernabile» e quello, si sa, per il Pd è l’habitat naturale, il più congeniale. Ma anche se il Movimento conquistasse solo i 9 collegi meridionali in cui è più forte la vittoria della destra sarebbe mutilata e non longeva.

La speranza del segretario Pd non è solo una chimera. La sensazione, corroborata dalle rilevazioni segrete che come sempre circolano ovunque, è che nelle ultime settimane Conte da Napoli in giù abbia preso la rincorsa, sia lanciatissimo. Il primo ad accorgersene era stato il governatore della Puglia Emiliano, che non aveva esitato a chiedere il voto utile anche ove non avesse premiato il Pd. Negli ultimi giorni lo ha seguito un esercito: giornalisti dotti ed edotti, a partire da Paolo Mieli, sino alle parole sibilline pronunciate ieri da Letta. Perché se è ovvio che tutti i rivali della destra si rallegrerebbero di arginare la piena senza guardare per il sottile è anche vero che per il Pd ci sarebbero motivi di lutto pari se non superiori a quelli di gioia.

Il triangolo funziona solo se a portare voti alla testa di serie sarà il Pd perché a contendere, sotto Napoli, c’è solo Conte. Ma senza illudersi che si possa verificare e uno scambio di favori nel resto d’Italia. I 5S sono troppo euforici per l’insperata resurrezione, e troppo furibondi con l’ex alleato, per mettersi a fare conti minuziosi. Per Letta il prezzo dello sgambetto triangolato alla sorella tricolore potrebbe essere il più doloroso di tutti: un sorpasso dei 5S che in finale di partita appare, se non probabile, neppure del tutto impossibile ma che diventerebbe quasi inevitabile se a sud gli elettori del Pd decidessero di rendersi utili a ogni costo.

In quel caso il terremoto non squasserebbe solo il Nazareno, rendendo probabilmente inevitabili le dimissioni immediate o quasi del segretario, ma obbligherebbe a ridisegnare tutte le mappe della politica italiana. In cambio però farebbe un passo da gigante le costruzione di quel clima da rigoverno istituzionale sul quale continuano a puntare i capibastone del Nazareno: il prezzo potrebbe valere la candela.

La partita che si gioca nell’ultimo scorcio è accompagnata da un altro sogno di sorpasso che, ove mai si realizzasse, avrebbe conseguenze quasi altrettanto esplosive: la sensazione generale, si saprà solo domenica se fondata, è che il Terzo polo cresca e la Lega decresca: se Calenda si avvicinasse in salita all’asticella del 10% e Salvini pure, però in discesa, potrebbe concludersi con l’impensabile realizzato e Calenda non nasconde che proprio questa sia la sua partita: incassare più voti della Lega.

Se queste sono le correnti profonde che agitano la politica italiana a un passo dalle urne, in superficie schiumano faccenduole come la guerra e una crisi economica che monta ogni giorno di più. A insaporire quella che altrimenti sarebbe una minestra riscaldata, fatta dell’accusa rivolta soprattutto da Letta non solo a Salvini ma anche a Meloni di essere oggettivamente una risorsa del Cremlino, ci si mette l’ambasciata russa, che pubblica un manifesto costellato di foto di eminenti politici italiani che fraternizzano con l’invasore, ovviamente anni o decenni prima del fattaccio.

Ci sono praticamente tutti, l’unica assente è proprio Giorgia la putiniana pentita. Il manifesto in sé non dice niente, ma il commento che lo accompagna è più sapido: «Ne abbiamo da ricordare». In effetti in questa pessima campagna elettorale di un pizzino simile si avvertiva la mancanza.

 

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INTERVISTA. Il segretario di Sinistra italiana: «Rischio nucleare, l’Europa fermi l’escalation Rivendico il no alle armi, sbagliato puntare a una vittoria militare. Ho lavorato per una coalizione con dentro M5S. Dopo il voto torneremo a parlarci. Se le destre non avranno la maggioranza potremmo governare insieme»

Fratoianni: "Non chiudo ad Azione ma per salvare la ... Nicola Fratoianni - Ansa

Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra italiana. Siamo davanti a una escalation pericolosa, a minacce nucleari.

Per noi è un rischio chiaro fin dall’inizio della guerra. E ora la situazione è sempre più inquietante e pericolosa, con Putin che indice referendum palesemente illegali e nomina esplicitamente l’arma nucleare. L’Europa di fronte a questo sembra attonita, come se il baratro fosse inevitabile. Il nostro no all’invio di armi italiane non è stato solo figlio di un pacifismo etico, ma dell’idea politica che questa guerra non si può risolvere con una vittoria militare di una parte, ma solo con una iniziativa diplomatica.

Finora la diplomazia non ha funzionato.

Cosa deve accadere ancora perché l’Europa lanci una forte iniziativa diplomatica rivolta alle grandi potenze, dagli Usa alla Cina? Si riparta dagli accordi di Minsk, si fermi subito l’escalation.

Evidentemente in Occidente si reputa che quello di Putin sia il bluff di un disperato.

Sarebbe un altro gigantesco errore. Se un leader è disperato e ha in mano l’arma atomica è ancora più pericoloso.

Il Pd continua in una linea totalmente atlantista. È difficile convivere nella stessa coalizione? Il suo voto contro l’allargamento della Nato a Svezia e Finlandia viene spesso usato dalle destre contro Letta.

Capisco le preoccupazioni di quei paesi, spaventati dal nazionalismo russo. Ma è indecente che nessuno ricordi che, per avere l’ok di Erdogan all’allargamento Nato, si è passati un’altra volta sui diritti del popolo curdo che ha combattuto l’Isis. Io rivendico tutte queste scelte. La coalizione col Pd si basa su punti precisi, come il no al presidenzialismo e all’autonomia differenziata, la lotta alla precarietà sul modello spagnolo, la conversione ecologica. E anche sulla possibilità di combattere insieme una pessima destra nei collegi uninominali. In questo caso anche essere contro è un obiettivo politico degnissimo.

Una coalizione che però è numericamente poco competitiva.

Ho lavorato, come è noto, per una coalizione più larga con dentro anche il M5S. E sono convinto che dopo il voto quella discussione debba ripartire.

Letta ripete sempre che non poteva allearsi con chi ha fatto cadere Draghi. Secondo lei era davvero così grave?

La caduta del governo in quel momento poteva essere evitate. C’è stata una certa dose di imperizia del M5S che ha spalancato la strada alle destre che hanno colto l’occasione al volo per correre alle urne. Io ritengo che una coalizione allargata al M5S fosse comunque percorribile. Non è andata così.

A inizio agosto ha rischiato di trovarsi come alleato anche Calenda. Alla luce della campagna di Azione, dal no al reddito di cittadinanza al nucleare, per voi sarebbe stato un calvario.

Ma non è andata così, anche grazie alla nostra iniziativa. E Calenda ha perso prima l’agenda, poi il candidato premier, e alla fine anche la bussola. La sua campagna è scivolata sempre più a destra, su molti temi. Ora puntiamo a superarlo nelle urne.

Il M5S starebbe rubando voti di sinistra al Pd. In questa competizione perché un elettore incerto dovrebbe scegliere voi?

Noi abbiamo un’agenda sociale, pacifista e ambientalista da tempi non sospetti. E l’abbiamo anche praticata nei fatti. Siamo stati davanti a ogni fabbrica in crisi, abbiamo difeso gli spazi di conflitto dei movimenti, da quelli degli studenti a quelli per la casa. Quando durante il Conte 1 si volevano chiudere i porti siamo andati fisicamente in mezzo al mare con la nave Mediterranea per salvare vite. Gli scienziati del clima, il forum sulle diseguaglianze e le associazioni lgbtqi+ hanno detto che, su ognuno di questi temi, il nostro è il programma più avanzato. Sulla nostra proposta di abolire i jet privati siamo stati irrisi, ma l’idea è chiara: di fronte alla crisi occorre ripartire da giustizia ed equità.

Cosa proponete contro il caro bollette?

Questa mattina siamo stati davanti alla sede dell’Eni per chiedere che i 50 miliardi di extraprofitti dei colossi energetici siano interamente restituiti ai cittadini, perché l’Italia rischia di schiantarsi, le imprese di chiudere, le famiglie di non riuscire a pagare. Proponiamo anche che gli stipendi siano adeguati all’inflazione, con la reintroduzione di un meccanismo simile alla scala mobile. Abbiamo proposto una legge sul clima che vincoli ogni decisione pubblica all’obiettivo prioritario di fermare il cambiamento. A cominciare dall’investimento sulle rinnovabili e dallo stop al consumo di suolo.

Il M5S è una forza progressista o cangiante a seconda delle stagioni?

Hanno vissuto tante stagioni diverse. Noi abbiamo condiviso solo quella del Conte 2 e lo rifaremmo. Non sono preoccupato se Conte fa proposte di sinistra come la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario. Anzi, sono contento. Se c’è affollamento a sinistra va benissimo, non mi interessa una gara a chi è arrivato prima. Fare politica vuol dire allargare il consenso sulle battaglie in cui credi. M5S ha votato a favore dell’aumento delle spese militari, ora hanno cambiato idea, ma per questo non li giudico abusivi. Mai più nemici a sinistra. Il voto a noi è anche una indicazione per costruire dopo il voto un campo alternativo alle destre. E uno spazio politico che possa essere un punto di riferimento per tante energie diffuse della sinistra e dell’ecologismo.

Se la destra non avesse una maggioranza, cosa dovrebbe fare il centrosinistra?

Se ci fossero le condizioni per una maggioranza alternativa Salvini e Meloni bisognerebbe aprire una discussione molto seria con tutte le forze disponibili. Del resto anche la composizione del Conte 2 era molto variegata.

E se nascesse un nuovo governo simil-Draghi?

Noi resteremmo fuori.

Anche di fronte a una emergenza economica?

Nessuno vuole sottrarsi alle responsabilità. Ma si può fare dal Parlamento, che deve ritrovare centralità, senza sedersi in un governo accanto a Salvini.

Vede un rischio autoritario?

La democrazia è un oggetto delicato, non è mai conquistata fino in fondo. E se le diseguaglianze diventano troppo profonde il rischio autoritario è dietro l’angolo. Noi siamo un voto utile perché vogliamo combattere le ingiustizie sociali, ma anche perché difenderemo in ogni modo i diritti fondamentali: dalla Costituzione alla legge 194 che Meloni vuole smantellare.

Lei non usa spesso il tema delle radici neofasciste di Fdi.

È molto semplice: se ti candidi a governare una repubblica nata dalla Resistenza devi definirti antifascista. Non puoi cavartela semplicemente dicendo di non essere fascista.

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VOTO. Roberto Fico, presidente della Camera: il Pd ha scelto di rompere. Conte è in crescita perché si esprime chiaramente sui contenuti.

«Noi con la Lega? È il passato che non può tornare» Roberto Fico a Bagnoli - Ansa

Roberto Fico nei suoi ultimi giorni da presidente della Camera partecipa alla campagna elettorale da non candidato, avendo esaurito i due mandati previsti dalle regole del Movimento 5 Stelle. «Sto incontrando un paese in cui i divari sociali ancora esistono – racconta – Un paese che chiede alla politica di assumersi le proprie responsabilità. Ma vedo anche un paese che sa esprimere talenti e creatività straordinari, che vuole sentirsi una comunità e che ripone fiducia nelle istituzioni. Ho girato tanto dalla Campania al Piemonte, Sardegna, Toscana. Sta alla politica non deludere le aspettative e impegnarsi per costruire sempre orizzonti positivi».

La spaventa questa destra?
No, perché so che le nostre istituzioni e i nostri valori repubblicani sono saldi. Ma la considero pericolosa per il paese, perché non credo che le misure che intendono adottare siano ciò di cui l’Italia ha bisogno. Penso per esempio che sarebbe rischioso eliminare il reddito di cittadinanza e così far venir meno un supporto concreto per chi è in difficoltà.

È il ritorno del berlusconismo in altre forme?
Sicuramente ci sono eredità del berlusconismo ma negli ultimi anni si sono affermati anche fenomeni nuovi.

Ad esempio si teme per il diritto all’aborto.
C’è poca chiarezza su quello che ha in testa la destra sull’aborto, ci sono suoi esponenti che parlano di cambiare questa legge che è stata una garanzia storica per le donne e i loro diritti. Sento parlare di ‘diritto a non abortire’, che è una contraddizione in termini. Invece dobbiamo garantire pienamente alle donne il diritto all’aborto: le strutture ospedaliere pubbliche e laiche devono farlo, purtroppo oggi spesso non succede.

C’è il rischio che Meloni si saldi agli spagnoli di Vox e faccia asse con la destra europea.
Il modello di società che propone Orban per me è assolutamente negativo. È un modello che mette in discussione i diritti civili, innanzitutto. E poi un modello sovranista che non ragiona in termini di solidarietà all’interno dell’Europa. Ma l’Europa ha bisogno di condividere il proprio percorso: di un debito comune e di un approvvigionamento comune dell’energia. Condivisione per affrontare insieme, e quindi meglio, le sfide epocali che abbiamo di fronte. Nessun paese può far da solo in questo quadro. Anche quando parliamo di migrazioni serve solidarietà europea, non muri e fili spinati.

A proposito, lei all’epoca del Conte I manifestò nelle forme che poteva un certo travaglio per i decreti sicurezza.
Sì, in tempi non sospetti ho detto che ritenevo quei provvedimenti un errore. E ora dico che il M5S è pienamente alternativo alla destra, quello è un passato che non può più tornare. Ora siamo saldamente ancorati a valori progressisti, che poi sono quelli delle nostre origini: i beni comuni, i diritti sociali, l’ambiente.

Avete abbandonato la piattaforma Rousseau e alcune prospettive che mettevano in discussione la democrazia rappresentativa. Quella appena conclusa è la legislatura che ha segnato la costituzionalizzazione del M5S?
Non sono d’accordo. Siamo sempre stati all’interno di principi e valori della nostra Costituzione. Rispetto alla democrazia diretta, ho sempre pensato fosse uno strumento prezioso ma complementare alla democrazia rappresentativa, non alternativa. E continuo a credere nella centralità dei referendum, come strumento più alto della volontà popolare.

Col Pd è stato divorzio consensuale?
Dopo la caduta del governo Draghi hanno fatto scelte affrettate e confuse. Hanno rotto i ponti con il M5S e contemporaneamente inseguito un campo largo con tutti dentro. Noi siamo andati avanti per la nostra strada con coerenza, presentando ai cittadini un programma progressista, chiaro nei contenuti e nella visione di paese. Una scelta che credo stia trovando il favore delle persone.

Il M5S fin dalle origini si batte contro i cambi di casacca. Tuttavia, negli ultimi cinque anni avete visto dimezzati i gruppi parlamentari e indicato un ministro alla transizione ecologica rivelatosi incompatibile con le vostre istanze.
Credo sia innanzitutto un problema di cultura politica. Quello che si può fare è introdurre degli elementi di deterrenza nei regolamenti parlamentari, purtroppo alla Camera questa riforma non è passata perché non c’era il consenso necessario. È stata un’occasione persa, senza dubbio.

La sua storia personale affonda le radici anche nel movimento per l’acqua pubblica. A quel proposito dalle colonne del nostro giornale ribadì di voler lavorare per una legge a tutela del bene comune.
È una battaglia che continuiamo a portare avanti, è nel nostro programma. In questa legislatura ci abbiamo provato ma ci siamo scontrati prima con la Lega e poi con il centrosinistra. In entrambi i casi non si è trovato un accordo. Ma continueremo a combattere per fare questi passi in avanti necessari.

Eletto presidente della Camera si impegnò a restituire centralità al Parlamento. Com’è andata la legislatura da questo punto di vista?
Il Parlamento è stato centrale sempre. Il paese ha attraversato una delle fasi più difficili dal dopoguerra in poi con la pandemia. E le Camere sono state un faro per la comunità è hanno svolto un ruolo cruciale. Tutti provvedimenti chiave sono stati autorizzati dalle Camere. E le dico pure che siamo stati gli unici in Europa a rimanere sempre operativi. Di questo vado orgoglioso.

Per raggiungere Montecitorio, all’inizio della sua carica, prese simbolicamente un autobus di linea. Qual è la prima cosa che farà nel primo giorno da ex presidente?
(Sorride) Una bella camminata!

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LE REAZIONI ALLE MINACCE DI PUTIN. La guerra non scalda la campagna elettorale. Conte: «Vogliamo una escalation militare senza più limiti e confini? Io non sono assolutamente d’accordo. Chiedere più armi significa accettare l’escalation». Meloni: «Le sanzioni funzionano»

Letta: «Sulla Russia destra ambigua», l’obiettivo è Salvini Enrico Letta ieri a Milano - LaPresse

 

È la regola poco aurea di questa campagna elettorale quella di parlare il meno possibile della realtà, cioè della guerra e della crisi che dalla guerra deriva, adoperandola tutt’al più come riserva inesauribile di slogan faciloni e pietraia da saccheggiare per scagliare sassi in faccia agli avversari. Nulla di stupefacente dunque se i discorsi di Putin e di Biden di ieri trovano riflesso molto minore dell’ugola di Laura Pausini o di quattro fischi al comizio di Sorella Giorgia.

Letta, per esempio, è «molto preoccupato»: in equa misura per l’escalation militare e per «le ambiguità della destra italiana sul tema della Russia». Tanto ambigua la leader di FdI per la verità non sembra: «Putin tradisce una grande debolezza che chiama tutti alla compattezza perché uno in quelle condizioni può aprire scenari di ogni genere. Quello che la comunità internazionale ha messo in campo sta funzionando a partire dalle sanzioni». Il severo Letta non avrebbe saputo dirlo meglio ma è anche vero che quando parla di guerra Meloni valuta l’effetto che le sue parole avranno oltre confine, a Washington e Bruxelles, mica in Italia.

MA SI SA CHE QUANDO il segretario del Pd parla di «destra ambigua» sulle sanzioni pensa a Salvini non a Meloni. E il leghista qualche soddisfazione gliela dà perché è vero che ribadisce la promessa di «proseguire nella difesa della libertà del popolo ucraino» però vorrebbe anche cercare, «d’intesa con gli alleati europei», una pace «che non umili nessuno». Nel clima forsennato da guerra e quinta colonna, già questo suona più che sospetto.

SI ALLARGA DI PIÙ CONTE. Sente di avere di nuovo il vento in poppa, sa che almeno a breve non dovrà rendere conto con i fatti e dagli scranni del governo, delle sue parole. Si concede qualche libertà in più dell’imbarazzato Salvini: «Vogliamo una escalation militare senza più limiti e confini? Accettiamo questo rischio? Io non sono assolutamente d’accordo». E ancora: «Chiedere più armi significa accettare l’escalation».

ATTENZIONE PERÒ: la postazione secondaria che il nodo centrale del presente, la guerra, occupa nel cicaleccio di una delle peggiori campagne elettorali della nostra storia non deriva solo, e forse non tanto, da reticenza e incapacità di andare oltre il livello bassino assai della propaganda. C’è anche se non soprattutto la consapevolezza che accomuna tutti di avere su questo fronte pochissima voce in capitolo. La voce di Roma, senza Draghi che almeno vantava un peso personale notevole, inciderà pochissimo.

LE COSE STANNO diversamente sul fronte della crisi economica, perché lì il prossimo governo dovrà muoversi e farlo in fretta se vorrà evitare il rischio di una catastrofe sociale. Le misure del nuovo decreto aiuteranno ma, come i 4 decreti di sostegno precedenti, solo in parte e solo per poco mentre la crisi è destinata a prolungarsi e peggiorare. L’intemerata di Putin, per esempio, non ha avuto ricadute sul prezzo del gas: al contrario è sceso sino a 189 euro a megawattora invece di aumentare. In compenso si è impennato, raggiungendo il picco da due mesi, quello del grano.

A INCROCIARE LE SPADE, per l’ennesima volta, sono i due principali leader della destra. «Servono 30 miliardi subito per non doverne tirare fuori 100 a natale. Non so perché gli altri dicano no allo scostamento di bilancio», torna alla carica Salvini. Tra quei no, che poi non sono così corali dato che sia Conte che Calenda sarebbero del tutto favorevoli, è stentoreo proprio quello dell’alleata tricolore: «Lo scostamento è un pozzo senza fondo che regaliamo alla speculazione».

In effetti, se non si limitasse al comizio, Salvini dovrebbe partire dalla richiesta di fare debito, che in sé non è affatto una bestemmia, per dispiegare un piano concreto e solido per fronteggiare la crisi che si prospetta e per la quale non basterebbero neppure i 30 miliardi invocati. D’altra parte, se non fosse preoccupata solo dal rassicurare gli occhiuti contabili di Bruxelles sulla sua totale affidabilità anche sul fronte dei conti pubblici, la possibile futura premier corroborerebbe il suo no allo scostamento con proposte alternative degne di menzione. Ma non è cosa da campagna elettorale all’italiana. Se ne riparla a urne chiuse.

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LEGGE ELETTORALE. C'è un modulo pronto che si può scaricare e stampare. Gli elettori possono presentare un reclamo contro il sistema di voto che non lascia liberi di scegliere. Presidente e segretario devono raccogliere le loro proteste che arriveranno alle giunte parlamentari. E, spera l'avvocato Besostri, alla Corte costituzionale

Rosatellum incostituzionale. Si può dire anche al seggio Seggio elettorale - Biagianti

Non vi piace la legge elettorale? Pensate che il Rosatellum sia persino incostituzionale? Adesso siete in discreta compagnia, visto che più di un partito – anche tra quelli che questa legge hanno voluto, votato e imposto con la fiducia – ultimamente la trova pessima. Ma forse non sapete che c’è la possibilità di reclamare formalmente contro il Rosatellum, nel momento in cui si va al seggio a votare. Come fare lo spiega – naturalmente – Felice Besostri, avvocato già due volte vittorioso davanti ai giudici delle leggi contro i sistemi elettorali incostituzionali, Porcellum e Italicum.

È pronto infatti un modello di reclamo con diversi argomenti prestampati per cui l’elettore può segnalare la sua protesta contro il Rosatellum: le liste bloccate che non consentono la scelta, il divieto di voto disgiunto, il fatto che alcune liste siano state discriminate avendo dovuto raccogliere le firme. C’è anche uno spazio bianco per aggiungere altri motivi, volendo. Quando si va a votare – in teoria anche quando si va al seggio ma non si vuole votare segnalando la propria astensione (è un po’ più difficile) – l’elettore può consegnare al presidente il modulo riempito con i propri dati e firmato. Il presidente o il segretario saranno indubbiamente un po’ sorpresi ma devono accoglierlo per una precisa disposizione di legge. L’articolo 74 del testo unico delle leggi per l’elezione della camera dei deputati dice infatti che «nel verbale deve farsi menzione di tutti i reclami presentati, delle proteste fatte, dei voti contestati». Questi reclami arriveranno alle giunte parlamentari per le elezioni, dice infatti ancora la stessa legge all’articolo 87 che la camera «pronuncia giudizio definitivo sulle contestazioni, le proteste e, in generale, su tutti i reclami presentati agli Uffici delle singole sezioni elettorali». Quello che è previsto per la camera vale anche per il senato e il tentativo è quello di convincere le giunte a non convalidare l’elezione di uno o più candidati e sollevare la questione davanti alla Corte costituzionale.

C’è anche un precedente, del 2009. Allora furono alcuni elettori di Roma a presentare un reclamo simile contro il Porcellum e i reclami arrivarono alla giunta della camera, che però decise di respingerli perché non riguardavano voti espressi (gli elettori avevano restituito le schede senza deporle nelle urne) e decise di non sollevare i quesiti di costituzionalità davanti alla Corte costituzionale. Il Porcellum arrivò ugualmente, com’è noto, davanti ai giudici della Consulta, ma quattro anni dopo e fu bocciato. Ci arrivò passando dal tribunale ordinario e poi dalla Cassazione.

Dopo le elezioni Besostri tenterà anche questa vecchia strada, con nuovi ricorsi contro questa legge elettorale che è diventata all’improvviso impopolare. Anzi, ci ha già tentato assieme ad altri avvocati in almeno sei tribunali, finora invano. Ma intanto spera nell’aiuto di qualche elettore nei seggi, i moduli si trovano qui.

 

 

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SINDACATO ED ELEZIONI. Assemblea nazionale dei Delegati a Bologna. Il «decalogo» di richieste rivolte ai partiti su redditi, precarietà e pensioni «sia discusso nelle assemblee». Landini: né a Renzi né a Berlusconi abbiamo permesso di cambiare la costituzione

«Ascoltate il lavoro»: la Cgil si mobilita già per il dopo voto Maurizio Landini chiude l'Assemblea nazionale dei delegati Cgil a Bologna - Foto Cgil di Marco Merlini

A dieci giorni dal voto la Cgil si prepara già per il post elezioni. Tenutosi scientemente lontano dalla campagna elettorale, Maurizio Landini ribadisce la linea di «autonomia» dai partiti chiedendo a gran voce: «Ascoltate il lavoro».

L’assemblea nazionale riunisce a Bologna 5 mila delegati sotto la tensostruttura della neonata piazza Lucio Dalla. Lo spaccato che esce dai racconti dei lavoratori è di un paese in cui la pandemia ha fatto in gran parte arretrare i diritti e peggiorare le condizioni quotidiane delle «persone che per vivere hanno bisogno di lavorare».

Dal tempo pieno negato nelle scuole del sud al decennale dramma tra salute e lavoro dell’ex Ilva di Taranto, dai precari che si scoprono partite Iva senza diritti e solo doveri al lento inabissamento tramite spezzatino del colosso Tim, dai pensionati impauriti dall’inflazione che chiedono aiuto agli autisti alle prese con l’escalation di aggressioni (venerdì sciopero nazionale di 8 ore sul tema dopo quello sui treni), il quadro che viene fuori dalle due ore di palco riservato ai delegati è a tinte sempre più fosche.

Landini – pressato dall’interno da chi chiedeva un impegno più preciso contro il pericolo della destra – sceglie di mettere subito in chiaro la scelta presa già a luglio: fermare il congresso per non farsi tirare per la giacchetta in campagna elettorale preparando già la mobilitazione di ottobre «per presentare le nostre richieste a qualsiasi governo ci sarà».

CITANDO IL PADRE «PARTIGIANO che quando qualcuno nel giorno delle elezioni aveva qualche titubanza

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