IL LIMITE IGNOTO. Appello alla mobilitazione pacifista il weekend del 21-23 ottobre
Manifestazione per la pace - Aleandro Biagianti
È tornata in Italia da Kiev già da qualche giorno la quarta carovana di StopTheWarNow, coalizione di reti e soggetti che dall’inizio del conflitto hanno promosso quattro viaggi in Ucraina per portare aiuti e solidarietà ma anche per far avanzare una logica pacifica e non violenta da opporre alla guerra.
ALFIO NICOTRA di Unponteper, organizzazione capofila col Movimento Nonviolento di questa ennesima spedizione nel centro del conflitto, ne traccia un bilancio: «L’obiettivo dell’ultima carovana era particolarmente difficile: se è accettato che si portino cibo e medicine lo è molto meno quando il discorso si fa sulla pace. In un Paese aggredito anche la società civile si sente coinvolta e sono rare le voci che cercano di uscire dalla logica della guerra. Ma c’è stata attenzione e ascolto nelle tante riunioni che abbiamo fatto con giovani, sindacati, organizzazioni». «Del resto – aggiunge Nicotra – queste carovane servono anche per parlare alla nostra opinione pubblica e ci hanno anche reso meno attaccabili: dove sono i pacifisti? Siamo lì, se serve anche sotto le bombe, nel cuore del conflitto con aiuti e messaggi di pace pur con tutte le difficoltà. Credo che quanto fa StopTheWarNow serva, anche se è difficile. Serve perché spinge nella direzione del negoziato che, ovviamente, va fatto col nemico. Le nostre attività sono il contraltare dell’assoluta mancanza di iniziativa del nostro e dei governi europei e del silenzio dell’Onu, la cui presenza in Ucraina proprio non si percepisce. Vediamo i tentativi della Turchia, un Paese che in Medio oriente fa la parte dell’aggressore, constatiamo l’imbarazzo della Cina che non ha mai riconosciuto l’annessione della Crimea. Ma la palla è nel nostro campo e deve tornare in quello dell’Onu come anche il papa continua a ricordarci».
Le iniziative non mancano per tentare di riavviare la strada di una scelta fuori dalla logica della guerra. E proprio a partire dall’appello del pontefice ci sarà ad Assisi un incontro nazionale intitolato “Con Papa Francesco, contro la guerra per costruire la pace”. L’incontro, organizzato dal Comitato promotore della Marcia PerugiAssisi, si tiene nella sala stampa del Sacro Convento di San Francesco, alle 10 di sabato prossimo.
PER IL WEEKEND tra il 21 e il 23 ottobre, la coalizione Europe for Peace, già attiva da febbraio e che ogni mese sta organizzando iniziative ed eventi per la pace, ha lanciato un appello per mobilitazioni diffuse su tutto il territorio nazionale. A Rete italiana Pace e Disarmo spiegano che si chiede «a tutte e a tutti di mobilitarsi per l’appuntamento del 21-23 per rilanciare le nostre richieste per un cessate il fuoco immediato e per l’organizzazione di una Conferenza internazionale di pace promossa dalle Nazioni Unite». Un appello già raccolto da associazioni, enti locali e reti come l’Associazione per il rinnovamento della sinistra o l’Anpi, che sottolinea come sia «assolutamente necessario che l’Onu svolga una effettiva funzione di depotenziamento del conflitto e che l’Ue e il nostro Paese battano finalmente un colpo in una direzione inequivocabile a favore del negoziato».
Commenta (0 Commenti)
CONGRESSO UILM. Sindacati all'attacco, imprese sulla difensiva: Stellantis e Bernabè contestano le normative europee
Il tavolo sull'auto al ministero dello Sviluppo - Foto LaPresse
Sono ben 280 mila i lavoratori del settore automotive «impattati» dalla transizione ecologica. I più a rischio sono quelli del settore componentistica: per fare un’auto elettrica servono infatti la metà dei componenti rispetto agli attuali e dunque la percentuale di impatto rispetto alle attuali mansioni dei 75 mila lavoratori del settore è stimata nel 70%. Per loro cambiare «profilo professionale» sarà indispensabile per continuare a lavorare. Il loro «ricollocamento» è una sfida sociale portentosa, così come l’«aggiornamento» (che dovrebbe bastare per il 24% dei lavoratori) e la «riqualificazione» che dovranno affrontare il 19% di loro. I dati del centro di ricerca di Està (Economia e sostenibilità) sono stati la base di partenza del dibattito nella seconda giornata del congresso della Uilm all’Ergife di Roma.
Uno dei massimi esperti in materia di transizione ecologica, il professor Leonardo Becchetti di Roma Tor Vergata ha subito spiegato che «le stime sui costi occupazionali della transizione dipenderanno soprattutto dalle politiche pubbliche che la accompagnano: è l’intervento dei governi a determinarli».
«Su questa sfida epocale che mette paura ai lavoratori il sindacato vuole giocare all’attacco – ha esordito il segretario generale della Uilm Rocco Palombella – perché lo stop ai motori endotermici decisa dalla Ue e il passaggio all’elettrico è una tagliola ineluttabile e per questo proponiamo la riduzione di orario a parità di salario: così le aziende occuperebbero i lavoratori in esubero riducendo l’utilizzo degli ammortizzatori sociali – continua Palombella – . Questo circolo virtuoso determinerebbe un risparmio per lo Stato che con le risorse accumulate alleggerirebbe il costo del lavoro aggiuntivo per le aziende», sottolinea Palombella.
In difesa invece, nonostante i proclami, giocano le aziende. Se il presidente di Acciaierie d’Italia Franco Bernabè si è limitato a stucchevoli attacchi a Greta Thunberg considerando «ideologica» e «da Unione sovietica la normativa del Fit for 55 sulla riduzione di CO2», il responsabile italiano di Stellantis Davide Mele ha sostenuto che «il nostro piano che abbraccia l’elettrico in maniera completa e anticipa il target del 2035 al 2030 per essere tra i vincitori, di questa sfida epocale», ma ha però subito messo le mani avanti: «I costi di questa trasformazione tecnologica sono elevati, il 50% in più a parità di segmento, e per affrontare questa sfida vengono richiesti enormi investimenti», contestando poi la «legislazione euro 7 che obbliga le aziende in realtà già nel 2027 a far morire il motore endotermico».
L’Italia da questo punto di vista è il paese europeo più indietro. Solo dopo la storica protesta che ha messo assieme Federmeccanica e sindacati contro l’inerzia del ministro Giorgetti sul tema lo scorso febbraio, il governo Draghi ha stanziato 8 miliardi in 10 anni, tutti ancora sulla carta. «Negli anni abbiamo perso migliaia di posti di lavoro a partire da Gianetti ruote e Gkn: ora basta! Vogliamo discutere le nostre proposte con il futuro governo», conclude Palombella
Commenta (0 Commenti)
UCRAINA. L’iniziativa della rete Europe for peace
L'Appello per la mobilitazione
La manifestazione per la pace auspicata ieri sulle colonne dell’Avvenire da Giuseppe Conte potrebbe prendere corpo nel corso delle prossime settimane. La Rete Pace e Disarmo, intanto, ha indetto una serie di mobilitazioni contro la guerra diffuse in tutto il paese, dal 21 al 23 ottobre prossimi, nell’ambito delle iniziative promosse da Europe for Peace, cui aderiscono le principali reti per la pace in Italia con l’adesione di centinaia di organizzazioni.
La coalizione si dice «profondamente preoccupata per l’escalation militare che ha portato il conflitto armato alla soglia critica della guerra atomica», per questo invita a tornare in piazze «per chiedere percorsi concreti di pace in Ucraina e in tutti gli altri conflitti armati del mondo».
Europe for Peace sottolinea come «l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha riportato la guerra nel cuore dell’Europa ed ha già fatto
Leggi tutto: Per la pace in piazza in tutta Italia dal 21 al 23 ottobre
Commenta (0 Commenti)FUORI DI TEST. Bloomberg smentisce le rivelazioni del Times: l’arsenale tattico russo è chiuso nei depositi. Zelensky ratifica il veto al dialogo con Putin. Mosca libera ed espelle il direttore della centrale di di Zaporizhzhia
Il lancio di un missile balistico Yars filmato dal servizio stampa del ministero della Difesa russo durante un’esercitazione - Ap
Il giorno in cui la possibilità di una soluzione diplomatica al conflitto in Ucraina si allontana (sembra) definitivamente, il mondo trema per le armi nucleari russe e l’esercito di Kiev sfonda nel sud. Le notizie si susseguono con la stessa frenesia degli ultimi giorni di febbraio, quando sembrava che le truppe di Mosca stessero per entrare a Kiev da un momento all’altro. Oggi, al contrario, sembra che le forze armate ucraine stiano sconfiggendo il nemico su ogni fronte, si parla di «collasso della linea di Kherson» e «imminente» ingresso nel Lugansk occupato. Ma il piano militare non è l’unico a essere ricco di avvenimenti.
IERI MATTINA aveva iniziato il presidente Zelensky firmando un decreto attuativo che ratifica la decisione del Consiglio di sicurezza e difesa nazionale dell’Ucraina rispetto all’impossibilità di trattare con Putin. A tal proposito il ministro degli Esteri tedesco, Annalena Baerbock, aveva dichiarato poco prima in un’intervista: «Ora non c’è alcuna possibilità che i negoziati mettano fine alla guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina». Baerbok ha spiegato che «la sua proposta (di Putin, ndr) suonava più o meno così: ‘Deruberemo il vostro Paese, schiavizzeremo i vostri cittadini e poi potrete firmare la pace’; ma ciò è esattamente l’opposto della parola: è terrore e mancanza di libertà». Inoltre, con un altro decreto Zelensky ha dichiarato «nullo» il riconoscimento da parte del Cremlino dei quattro territori ucraini come «indipendenti». Non è d’accordo la Corea del Nord che ieri, per prima, ha riconosciuto le nuove annessioni alla Federazione russa.
Ha fatto parlare di sé anche il leader bielorusso Alexander Lukashenko, principale alleato di Putin. «Siamo coinvolti, non lo nascondiamo – ha dichiarato per la prima volta – ma non uccidiamo nessuno. Non mandiamo le nostre truppe da nessuna parte, non violiamo i nostri obblighi».
DALL’ALTRO LATO DELL’OCEANO gli Stati uniti a breve dovrebbero approvare un ulteriore pacchetto di aiuti per l’Ucraina. Si parla di 625 milioni di dollari, nei quali rientrerebbero altri quattro Himars, munizioni, mine e veicoli antimine. La misura si aggiunge al precedente stanziamento da 1,1 miliardi che invece contiene 18 Himars, da consegnare negli anni a venire. Di soldi ha parlato anche il Fondo monetario internazionale che si è detto possibilista, in virtù delle garanzie offerte dagli alleati, rispetto alla richiesta dell’Ucraina di ricevere 1,3 miliardi di dollari di ulteriori finanziamenti d’emergenza.
Sul campo si registra l’avanzata ucraina verso Kherson lungo la sponda occidentale del Dnipro. In quella che Reuters ha definito «la più grande conquista nel sud dall’inizio della guerra», le forze ucraine sono riuscite a penetrare in territorio occupato per oltre 30 km liberando almeno cinque insediamenti.
UN BOMBARDAMENTO UCRAINO avrebbe ancora danneggiato il ponte Antonovsky, complicando la situazione dei circa 20mila soldati russi che si troverebbero in questa zona. In serata anche i russi hanno ammesso l’arretramento. Va sottolineato, tuttavia, che non si tratta della disfatta definitiva: stando alle informazioni in nostro possesso i militari di Mosca si starebbero ritirando con tutte le armi al seguito e senza subire perdite sostanziali.
L’OBIETTIVO DEGLI UCRAINI è tagliare ogni via di fuga attraverso il fiume Dnipro e, al momento, sembra ci siano molto vicini. Per questo gli sviluppi delle prossime ore saranno decisivi. Anche nell’est gli ucraini starebbero proseguendo verso Kreminna ma da ieri il capo delle operazioni russe nella zona non sarà più Alexander Zhuravlev, aspramente criticato per le sconfitte recenti, ma il tenente generale Roman Berdnikov, nominato direttamente da Putin.
Tutte queste sconfitte in così poco tempo fanno temere una reazione spropositata da parte russa. Ieri il Times britannico aveva allarmato il mondo parlando di convogli speciali della «divisione nucleare segreta» russa in arrivo al confine con l’Ucraina. Qualche ora dopo, tuttavia, Bloomberg ha smentito spiegando che «le armi nucleari tattiche russe sono chiuse in una dozzina di depositi e ci vorrebbe tempo per trasportarle ai vettori».
INTANTO, IL CANALE TV Russia 24 ha finalmente informato sulla sorte di Igor Murashov, l’ex-direttore generale della centrale di Zaporizhzhia che era stato arrestato nei giorni scorsi. Murashov è stato liberato ma successivamente espulso dal territorio controllato dai russi
Commenta (0 Commenti)CRISI ENERGETICA. Germania e Olanda frenano sull’idea di Gentiloni e Breton di recuperare il «modello Sure». In attesa delle proposte della Commissione venerdì al Consiglio informale di Praga
I commissari europei Paolo Gentiloni (Economia) e Thierry Breton (Mercato interno) - Epa
Giornate di forti tensioni tra i paesi Ue, mentre sono attese per il Consiglio informale di Praga di venerdì (che segue la prima riunione della Commissione politica europea tra i 27 e 17 paesi vicini) le proposte della Commissione per far fronte alla crisi energetica causata dalla guerra in Ucraina. Quindici paesi chiedono un tetto al prezzo del gas (tra cui Francia, Italia, Spagna e Polonia).
La Germania è nel mirino, a causa del piano di 200 miliardi per venire in aiuto alle imprese messe in difficoltà dall’impennata dei prezzi del gas, mentre al tempo stesso Berlino (con l’Olanda) frena sull’ipotesi di un nuovo piano di rilancio comune, sul modello del Recovery di 750 miliardi lanciato per uscire dalla crisi del Covid. Come allora, all’inizio della pandemia, la Germania è accusata di muoversi da sola. Mentre ora, a maggior ragione, Berlino dovrebbe giocare la carta della solidarietà, visto che ha una responsabilità particolare nella crisi dell’energia, a causa dell’eccessiva dipendenza dal gas russo, che fa aumentare i prezzi e ha dato a Gazprom un enorme potere in Europa.
In un testo comune, i commissari Thierry Breton (Mercato interno) e Paolo Gentiloni (Economia) chiedono più unione, con strumenti comuni a livello Ue: «Di fronte alla sfida c’è una sola risposta possibile: quella di un’Europa della solidarietà». Breton spiega: «Mentre la Germania può permettersi di prendere a prestito 200 miliardi sui mercati finanziari, altri stati membri non possono, dobbiamo riflettere urgentemente su come offrire agli stati che non hanno l’ampiezza di manovra fiscale la possibilità di sostenere la loro industria e il business».
GENTILONI AVVERTE sul rischio di «frammentazione» della Ue. Il ministro delle Finanze francese, Bruno Le Maire, non attacca la Germania ma parla di «possibilità a livello nazionale di fare debito ma con l’aiuto e la garanzia di tutti gli stati membri, che significa poter accedere a prestiti a un prezzo inferiore». L’idea è di riprendere il “modello Sure”, che nel 2020 (crisi Covid) ha permesso di salvare in Europa 31 milioni di posti di lavoro e impedito il fallimento di 2,1 milione di aziende (la Commissione, che ha una notazione AAA, ha preso a prestito 100 miliardi poi ri-prestati ai paesi membri per programmi di sostegno a breve).
Il ministro delle Finanze tedesco, Christian Lindner, non è d’accordo: «Nuove proposte basate sul programma Sure non sono giustificate» sostiene, perché siamo di fronte a uno shock di offerta e non a uno shock di domanda, «una crisi molto diversa da quella del Covid». Stessa reazione da parte della ministra olandese, Sigrid Kaag: «Non credo che sia necessario che per ogni situazione che dobbiamo affrontare si debba definire un nuovo strumento, dobbiamo utilizzare quello che abbiamo, incanalare cosa abbiamo e investire nel modo giusto». Per il vice-presidente della Commissione, Valdis Dombrovskis, un falco, «la questione richiede ulteriori discussioni».
Le Maire qualche giorno fa ha firmato un testo con il ministro tedesco dell’Economia, Robert Habeck, per «un sostegno finanziario sostanziale e efficace aperto a tutte le imprese colpite dal rialzo dei prezzi», per impedire che si diffonda in Europa, con effetto-domino, una crisi di lungo termine, con chiusure di fabbriche, smantellamenti di produzioni e disoccupazione.
LA CRISI DELL’ENERGIA, infatti, non minaccia solo eventuali black out quest’inverno (il commissario alle crisi, Janez Lenarcic, parla di «possibilità» di black out, ma rassicura: se riguarderà pochi paesi agiremo come di fronte a un disastro mentre se toccherà più stati ricorreremo alle riserve strategiche). L’inflazione energetica sta intaccando la produzione. La Germania è tra i paesi più colpiti, c’è già stata una diminuzione del 5% della produzione di acciaio, dell’8% nella chimica, del 70% nei fertilizzanti.
Oltre a questi settori, sono minacciati dalla crisi vetro, componentistica auto e aeronautica, alluminio, cemento, ceramica. La Ue, che è la prima potenza commerciale mondiale, ha ormai una bilancia in passivo: è passata da un attivo di 121 miliardi nei primi sei mesi del 2021 a un rosso di 177 miliardi nello stesso periodo di quest’anno. Le delocalizzazioni minacciano: in Asia e negli Usa il costo dell’energia è cinque volte inferiore alla Ue.
Commenta (0 Commenti)LA PROTESTA. Sit-in di Usb e Potere al popolo in 15 città, si fa strada la campagna «Noi non paghiamo»: «Bloccare gli aumenti o auto-riduzioni». Extraprofitti: «Dietro le aziende che non pagano i 40 miliardi c’è lo Stato, il comune o una partecipata». «La crisi sociale è frutto di una speculazione che nasce, prima della guerra, per le scelte fallimentari del governo che non ha messo in sicurezza le famiglie e ha aumentato le spese militari»
Un falò delle bollette stratosferiche ha percorso ieri l’Italia. In occasione dell’International Action Day chiamato dalla Federazione Sindacale Mondiale, da Cagliari a Bologna, da Torino a Roma, in quindici città ha preso corpo la mobilitazione dell’Unione Sindacale di Base (Usb) insieme a Potere al popolo contro i rincari del 60% dell’energia elettrica e dell’80% del gas; contro le multinazionali italiane che hanno guadagnato 40 miliardi di euro di extraprofitti dalla crisi amplificata dalla guerra russa-ucraina; per il blocco dei prezzi al consumatore. Usb ha depositato ieri alla Procura di Roma una denuncia contro «le società che commerciano gas, energia elettrica e prodotti petroliferi ai danni della collettività». dietro quelle aziende che non vogliono pagare quella ridicola tassa sugli extra-profitti imposta da Draghi, c’è sempre lo Stato o il comune o un’azienda partecipata. Siamo di fronte ad uno Stato usuraio» sostiene Pierpaolo Leonardi (Usb).
LA CAMPAGNA «Noi non paghiamo», ispirata al modello britannico «Don’t Pay Uk», si sta facendo strada anche in Italia e punta a raccogliere un milione di firme sul proprio sito (www.nonpaghiamo.it) entro il prossimo 30 novembre. Fino a ieri sera avevano aderito 8.726 persone. «Man mano che avremo visibilità e ci diffonderemo nei territori – sostengono gli attivisti – la crescita sarà esponenziale». «Questa situazione non parte da oggi – aggiungono – è frutto di una speculazione che nasce, prima dello scoppio della guerra, per le scelte fallimentari del governo che invece di mettere in sicurezza le famiglie ha aumentato le spese militari. La crisi devono pagarla i veri responsabili: le banche, i mercati e le compagnie del fossile che non fanno nulla per una transizione energetica». «Se il prossimo governo non avrà messo in atto garanzie per far fronte all’aumento dei prezzi dell’energia, inizieremo con l’autoriduzione o il non pagamento delle bollette».
NEL CORSO delle manifestazioni sono emerse testimonianze di cittadini e lavoratori che lamentano di avere ricevuto bollette da 220 euro che incidono drammaticamente su stipendi da 1100. Ci sono anche testimonianze che sostengono di avere ricevuto bollette fino a 400 euro, in presenza di salari che non superano 1500 euro. A Bologna, durante un sit-in davanti alla sede della multi-utility Hera sono state bruciate simbolicamente le fotocopie di alcune bollette del gas tra i 700 e gli 800 euro. A Milano è stata mandata in fumo una bolletta simbolica da un metro e mezzo davanti all’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (Arera) perché, secondo i manifestanti, «avvisa dei futuri aumenti, ma non garantisce l’equità dei prezzi».
IL PROBLEMA non è solo il prezzo del gas, drogato dalla andamento speculativo della borsa di Amsterdam «Ttf». L’aumento dei beni energetici è anche la conseguenza della fiammata inflazionistica. A Cagliari, ad esempio, è stato raccontato che il prezzo dei soli beni alimentari in Sardegna è cresciuto dell’11,2%. In un anno l’acquisto del cibo comporterà un aumento di 780 euro. Un dato convergente con una stima dell’Istat secondo la quale il totale dei costi per il riscaldamento, dell’acqua e dell’energia aumenterà del 26% nei prossimi mesi. A questo andranno aggiunti l’affitto e le altre spese essenziali. «Serve una soglia, per tutte le famiglie, sotto la quale non si paghi l’energia elettrica, perché si tratta di un bene di prima necessità e non ne se ne può fare a meno – hanno detto gli attivisti in piazza – Oltre la soglia si dovrebbe poi pagare un prezzo controllato. Oggi non ci sono controlli e, complice la guerra in Ucraina, si sta speculando. Noi non riusciamo più ad andare avanti». La critica di Usb si è concentrata anche sul ruolo di Cassa Depositi e Prestiti, «azionista di maggioranza di Eni, una delle tante società che hanno goduto di extraprofitti». Con il nuovo governo Meloni «non si vede all’orizzonte un cambio di rotta sulla fiducia illimitata nelle virtù taumaturgiche del mercato e della finanza» osserva il sindacato. «Non siamo più disposti a pagare il conto delle crisi capitaliste e delle guerre imperialiste, che oggi ci troviamo in bolletta e nei bilanci familiari a fine mese» ha commentato Marta Collot (Potere al popolo).
QUELLO VISTO ieri in 15 città è uno dei volti della crisi sociale descritta anche nella ricerca «Un paese da ricucire» del Censis-Confcooperative. In Italia la povertà colpisce 3 milioni di famiglie, 10 milioni di persone; la povertà «assoluta» riguarda invece 5 milioni e mezzo di persone. Sono quattro milioni i lavoratori poveri che guadagnano meno di mille euro al mese, sei milioni di pensionati non superano 12 mila euro all’anno. La crisi può mettere in ginocchio 300 mila imprese mettendo in gravi difficoltà 3 milioni di lavoratori. «In questa situazione – sostiene Giovanni Paglia (Alleanza Verdi-Sinistra) bisogna bloccare i distacchi delle utenze, imporre un tetto massimo al costo di gas e elettricità e restituire gli extraprofitti» che il governo Draghi non è riuscito ad ottenere.
HA FATTO molto parlare negli ultimi giorni il caso della chiusura di alcune strutture della catena Caroli Hotels tra Gallipoli e Santa Maria di Leuca per una bolletta dell’elettricità di circa 500 mila euro. «Nonostante gli ottimi risultati della stagione turistica i problemi gestionali ricadono sui lavoratori e le loro 300 famiglie» ha sostenuto la Filcams Cgil Puglia. Nella provincia di Lecce si teme l’esplosione di «una bomba sociale provocata dai licenziamenti in vista dell’inverno».
Commenta (0 Commenti)