ENERGIA. Tensioni nella Ue, girandola di incontri in vista del vertice dei leader a Praga. Gentiloni e Breton evocano il "modello Sure"
Scholz e Macron alla Cancelleria a Berlino - Dpa/AP
Cresce il pressing sulla Germania perché accetti il price cap sul gas, e in attesa di sviluppi la presentazione del nuovo piano energetico della Commissione Ue, prevista per oggi, slitta a dopo il vertice informale dei leader europei che si terrà venerdì a Praga.
Al momento, infatti, si procede ancora in ordine sparso e la fuga in avanti della Germania, con la decisione di adottare un pacchetto da 200 miliardi contro il caro bollette nel paese, alimenta tensioni che si teme possano esplodere proprio a Praga.
La Commissione procede con estrema cautela e aspetta che siano gli Stati a avanzare proposte. Una prima bozza della dichiarazione finale del vertice di Praga invita la Commissione a «proporre soluzioni praticabili per ridurre i prezzi attraverso un price cap al gas».
Schierati per il tetto, 15 paesi con Italia e Francia in testa. Ma è appunto solo una bozza che potrebbe cambiare e non si esclude nemmeno che il consiglio informale di Praga termini senza dichiarazione finale.
Ieri a Lussemburgo si è riunito l’Eurogruppo, il vertice dei ministri delle Finanze dell’eurozona. E il tedesco Christian Lindner ha dovuto parare i colpi. «È essenziale che preserviamo le condizioni di equa concorrenza all’interno della Ue» o «si rischia una frammentazione», ha avvertito il ministro delle Finanze francese Bruno Le Maire.
Rispetto al pacchetto tedesco il commissario agli Affari economici Paolo Gentiloni ha affermato che «la reazione degli Stati membri è di per sé pienamente giustificata, allo stesso tempo dobbiamo preservare il nostro mercato unico evitando la frammentazione e rafforzando gli strumenti per la solidarietà. Non è tempo di dare colpe ai singoli ma il coordinamento delle politiche europee è più cruciale che mai». E per il vicepresidente Valdis Dombrovskis gli aiuti messi in campo da singoli paesi devono essere «temporanei e mirati».
Dal canto suo Lindner difende lo «scudo protettivo per le famiglie e le nostra economia» che coprirà «il 2023 e il 2024. Se guardiamo le dimensioni dell’economia tedesca e il volume dello scudo, questo è proporzionato».
Gentiloni e il commissario per il Mercato interno Thierry Breton hanno anche scritto una lettera pubblicata su alcuni giornali europei (in Italia il Corriere della sera) in cui affermano che lo scudo tedesco «solleva interrogativi. Come possono gli stati membri che non hanno gli stessi margini di bilancio sostenere le imprese e le famiglie?». Nella stessa lettera i due commissari propongono di ispirarsi a ’Sure’ (il programma di finanziamento delle casse integrazioni nazionali durante la pandemia) «per aiutare gli europei e gli ecosistemi industriali nell’attuale crisi».
Ieri sera il presidente francese Emmanuel Macron ha incontrato a Berlino il cancelliere Olaf Scholz sia per provare a sciogliere le resistenze sul price cap che per parlare dello scudo tedesco. E domani a Parigi la presidente della Commissione Ursula von der Leyen vedrà Macron. Tutte mosse per cercare di arrivare a Praga con posizioni più vicine possibili.
Commenta (0 Commenti)IL CASO. Il presidente di Confindustria Confindustria Carlo Bonomi boccia i tre progetti sulla Flat Tax delle destre che comporranno il governo Meloni e difende la legge Fornero che rischia di entrare pienamente in vigore all’inizio dell’anno prossimo. FdI, lega e Forza Italia in difficoltà
Carlo Bonomi (Confindustria) - Ansa
Confindustria ha bocciato i tre progetti sulla Flat Tax delle destre che comporranno il governo postfascista di Giorgia Meloni e ha difeso la legge Fornero che rischia di entrare pienamente in vigore all’inizio dell’anno prossimo a meno che il prossimo esecutivo trovi il modo di finanziare un modo per non allungare l’età pensionabile a una quota di lavoratori.
CARLO BONOMI, presidente dell’associazione degli industriali, ha illustrato ieri la sua posizione all’assemblea generale degli industriali della provincia di Varese e ha dato vita a una schermaglia con i leghisti, Forza Italia e Fratelli d’Italia e ha conquistato gli applausi del Pd. Confindustria – ha detto – non vuole «negare ai partiti di perseguire le promesse elettorali ma oggi energia e finanza pubblica sono due fronti emergenza che non possono ammettere follie. Sono in gioco migliaia di posti di lavoro, persone e famiglie». Il «programma del centrodestra sulla Flat Tax è ben preciso – ha risposto Giovanbattista Fazzolari (Fratelli d’Italia) – Noi prevediamo, così come faremo, una Flat Tax sul reddito incrementale e di portare a 100 mila la Flat Tax per gli autonomi dalle attuali 65 mila. Questo è quello che c’è scritto nel programma, non c’è scritto di più e sicuramente con la prima legge di bilancio non ci sarà di più».
«NON FARE LA FLAT TAX» e «tenersi la Fornero? No grazie», interviene Claudio Borghi della Lega. Prima ancora della partenza del prossimo Governo già «arrivano gli inviti a non fare quello per cui i cittadini ci hanno votato». Alessandro Cattaneo (Forza Italia) non vede una «bocciatura definitiva» alla flat tax. Vista la situazione del momento Bonomi pone delle «priorità in cui ci ritroviamo». Tre risposte diverse per tre ricette fiscali regressive diverse. È solo un saggio di quello che si vedrà in questa, o nella prossima legge finanziaria. Sempre che il governo Meloni ci arrivi. La Flat Tax è una «bandierina inapplicabile in questa fase di emergenza economica, e anche incostituzionale perché sovverte i principi di progressività fiscale». Non a caso è «applicata in pochi paesi, tra cui la Russia di Putin» sostiene il Pd.
PER BONOMI uno dei problemi di questo momento politico caotico, e drammatico, è l’incapacità di fare previsioni certe sulla recessione in arrivo. Di certo è stata messa nero su bianco dal governo Draghi che nell’aggiornamento del Documento di Economia e Finanza di mercoledì scorso ha previsto un crollo del Pil dall’attuale 3,4% allo 0,6% del prossimo. Meglio della Germania che sarebbe negativo, ma si tratta solo di una previsione destinata probabilmente a peggiorare. Standard&Poor’s ha appena tagliato la crescita attesa dell’Italia del 2023 al -0,1% e Fitch addirittura allo 0,7% in meno. «La verità – ha aggiunto Bonomi – è che nessuno oggi è in grado di fare previsioni realistiche dell’effetto sulla crescita che avranno i prezzi di cui non possiamo prefigurare gli andamenti perché seguono le decisioni scellerate dei russi». Nessun accenno a una politica che cerchi, disperatamente, una pace.
MANCA nell’orizzonte del presidente di Confindustria l’illusione di unitarietà attribuita, anche contro la realtà dei fatti politici, al governo guidato da Draghi. Un governo che è stato tutto tranne che unitario, come ha dimostrato la sua fine. Meloni dovrebbe evitare lo scostamento di bilancio chiesto dalla Lega e seguire il modello Draghi che ha impiegato 60 miliardi di «sostegno senza pregiudicare debito e deficit». Considerata la crisi che si annuncia è tutto da vedere se la pressione della Commissione Europea a fare «interventi mirati» e non prolungati – cioè la linea Draghi – sarà sufficiente per attenuare i costi da pagare. In questo quadro è chiaro che la Flat Tax prospettate dalle destre potrebbe fare pagare la crisi a chi già oggi non riesce ad affrontare i costi delle bollette. In fondo al tunnel c’è il disastro inglese: la premier Liz Truss prima ha annunciato un regalo da 45 miliardi per i ricchi, poi ha fatto marcia indietro.
Commenta (0 Commenti)
ELEZIONI. L'analisi dell'Istituto Cattaneo è un giochino perché fa una somma che non ha senso politico. Ma serve a dimostrare che nella distribuzione del voto Pd, M5S e Azione hanno elettorati complementari
È poco più che una curiosità, chiarisce l’Istituto Cattaneo nel presentare la sua ultima analisi del voto: sommare i consensi di centrosinistra, M5S e Azione-Italia Viva non ha politicamente senso perché nessuno dei tre partiti o coalizioni avrebbe raccolto gli stessi voti se avessero corso insieme (molto probabilmente ne avrebbero presi tutti meno, ma chi può dirlo…). Però il calcolo lo hanno fatto lo stesso e il risultato è che in due (diverse) combinazioni su tre, se la «non destra» si fosse unita, la destra avrebbe perso le elezioni. Il calcolo vale per i collegi uninominali ma, per come funziona la legge elettorale, il consenso si può trasferire anche alla parte proporzionale. E quindi Centrosinistra, M5S e Azione insieme avrebbero vinto in 92 collegi uninominali alla camera e in 48 al senato (divisi hanno vinto invece in 23 collegi alla camera e in 12 al senato). Avrebbero così, sempre in teoria, una maggioranza nettissima in parlamento. Anche se non è detto – per continuare il giochino – che saprebbero cosa farsene.
Anche la sola alleanza di Centrosinistra e M5S sarebbe arrivata in testa, con un margine più ridotto (73 seggi uninominali alla camera contro 71 e 40 al senato contro 32). Niente da fare invece per la coalizione teorica di Centrosinistra e Azione (quella, in realtà, che ha più rischiato di avverarsi) perché avrebbe perso comunque, più o meno come ha perso tutta la «non destra» correndo divisa.
L’analisi – il giochino – è però interessante perché rende evidente che, leggiamo, «dalla distribuzione del voto risulta che le tre principali forze di opposizione (Pd, M5S, Azione) hanno elettori complementari. La mappa del voto al Pd è quasi perfettamente speculare a quella del M5S, il primo meglio radicato nel Nord-Ovest, nel centro delle grandi città e nella (ex) zona rossa, il secondo al Sud, il Sicilia e nelle periferie disagiate dei grandi centri urbani. Azione ha maggiori consensi nel Nord-Est». Forse, più che a difficili alleanze politiche nazionali, bisognava recuperare l’estro berlusconiano che con coalizioni diverse, e persino opposte, in collegi diversi, vinse le elezioni del ’94
Commenta (0 Commenti)
CITTA' DEL VATICANO - La decisione, rarissima, di dedicare l’intero Angelus all’Ucraina. La denuncia, netta, della guerra come “follia”, “errore”, “orrore”.
L’elenco dettagliato dei luoghi – Bucha, Irpin, Mariupol, Izium, Zaporizhzhia – dove l’esercito russo ha fatto strage. E infine, per la prima volta dall’inizio dell’invasione, l’appello diretto (una “supplica”) a Vladimir Putin affinché “anche per amore del suo popolo”, fermi la “spirale di violenza e di morte”, accompagnato da un appello parallelo indirizzato a Vladimir Zelensky perché apra a “serie proposte di pace” che, precisa, devono però far salva la “sovranità e integrità territoriale”.
Dinanzi alla minaccia di un’escalation nucleare, Papa Francesco interviene con un monito severo indirizzato verso Mosca, per arrivare subito al cessate-il-fuoco e, quanto prima, facendo ricorso “a tutti gli strumenti diplomatici, anche quelli finora eventualmente non utilizzati”, alla pace.
“L’andamento della guerra in Ucraina è diventato talmente grave, devastante e minaccioso, da suscitare grande preoccupazione. Per questo oggi vorrei dedicarvi l’intera riflessione prima dell’Angelus. Infatti, questa terribile e inconcepibile ferita dell’umanità, anziché rimarginarsi, continua a sanguinare sempre di più, rischiando di allargarsi”, ha scandito Jorge Mario Bergoglio.
Commenta (0 Commenti)SORPRESA A METÀ. Il presidente uscente recupera terreno rispetto ai sondaggi e il suo è il primo partito al Congresso. L'ex leader del Pt: "Vittoria rimandata"
Militanti del Pt scrutano preoccupati i risultati parziali a Rio de Janeiro - Ap
Si deciderà al secondo turno la partita per le presidenziali brasiliane, il prossimo 30 ottobre. Il risultato uscito dalle urne del 2 ottobre assegna al candidato del Partito dei lavoratori (Pt) Luiz Inácio Lula da Silva il 48,43% dei consensi. Il presidente uscente Jair Bolsonaro si ferma al 43,2%, ma smentisce i sondaggi che lo davano fino a 14 punti in ritardo rispetto al suo avversario.
Nelle fase parziali dello spoglio – era il debuto ufficiale per il nuovo sistema elettorale elettronico – Bolsonaro ha assaporato anche il colpaccio, poi il vantaggio inizialmente accumulato è svanito con l’afflusso dei dati dalle roccaforti nordestine del Pt.
Decisivo per mandare la partita ai supplementari risulterà il 3,04% a cui si è fermato Ciro Gomes, candidato del Partido Democrático Trabalhista (centro-sinistra), ex ministro di Lula che ha deciso di non entrare nel “campo largo” a sostegno del leader Pt.
L’altro “terzo incomodo” di queste elezioni, la candidata del Movimento Democrático Brasileiro (centro-destra) Marcia Tebet, ha ottenuto il 4,16%.
A caldo Lula ha annunciato che la campagna ricomincia da subito con “più viaggi, più manifestazioni, più dibattiti. Dovremo parlare di più con le persone – ha detto – per convincere la società brasiliana su ciò che stiamo proponendo. La lotta continua fino alla vittoria finale, che è solo rimandata”.
Altro verdetto emesso dalle elezioni di ieri – si votava anche per rinnovare Camera, un terzo dei senatori e i governatori degli Stati federali – è la maggioranza relativa su cui potrà contare al Congresso il Partito liberal di Bolsonaro. Che inoltre si afferma nettamente nello Stato di Rio de Janeiro, dove viene riconfermato governatore Claudio Castro e l’ex calciatore Romario ottiene un nuovo mandato da senatore.
Nello Stato di San Paolo sarà invece ballottaggio tra il canditato del Pt Fernando Haddad— sconfitto da Bolsonaro alle precedenti presidenziali – e quello del partito Republicanos (centrodestra) Tarcisio das Freitas.
Il Pt si consola imponendo i suoi candidati in 4 stati – Amazonas, Amapá, Tocantins e Minas Gerais – che nel 2018 erano stati conquistati da Bolsonaro.
Commenta (0 Commenti)
IL LIMITE IGNOTO. Vladimir Putin: usando l’arma atomica gli Stati uniti hanno creato «un precedente»
Mosca, Putin festeggia al Cremlino con i quattro leader delle regioni ucraine annesse alla Russia: Denis Pushilin, Leonid Pasechnik, Vladimir Saldo, Evgeny Balitsky - Getty Images
Per firmare i decreti con cui Lugansk, Donetsk, Zaporizhzhia e Kherson entreranno dopo il voto della Duma a far parte della Russia, Vladimir Putin ha convocato la sua élite nella sala di San Giorgio al Palazzo del Cremlino, la stessa in cui nel 2014 aveva deciso l’annessione di altre due province ucraine, la Crimea e Sebastopoli. Allora pareva di percepire una specie di euforia fra ministri, deputati, manager di stato, ufficiali dell’esercito ed esponenti religiosi. Ma ieri gli sguardi erano cupi. Molti avranno inteso che l’operazione speciale lanciata alla fine di febbraio per denazificare l’Ucraina, come il capo aveva detto nel suo messaggio alla nazione, nei fatti è terminata qui.
Che la conquista di queste quattro regioni fra il Donbass e le coste del Mar Nero rappresenta l’esito finale di uno sforzo andato avanti sette mesi. Che d’ora in avanti sarà necessario combattere per un obiettivo ben diverso, per difendere i nuovi confini che Putin e i suoi più stretti consiglieri hanno stabilito. Questo comporta una serie notevole di rischi. Anche perché lungo il fronte la presenza della Nato è sempre più evidente, e il segretario generale dell’Alleanza atlantica, Jens Stoltenberg, ha confermato proprio ieri da Bruxelles il sostegno all’Ucraina nella «riconquista dei suoi territori».
«VOGLIO CHE MI SENTANO a Kiev e in tutto l’occidente», ha detto Putin nel discorso durato quaranta minuti e trasmesso alla tv pubblica: «I cittadini di Lugansk, di Donetsk, di Zaporizhzhia e Kherson hanno deciso. Saranno con noi per sempre». Il riferimento è al referendum farsa che il suo governo ha organizzato la scorsa settimana per legittimare l’annessione venuta dopo una terribile campagna militare il cui risultato è, peraltro, ancora incerto. Questo nuovo confine lungo un migliaio di chilometri Putin ha promesso di difenderlo «con ogni mezzo disponibile». Già nei giorni scorsi Putin aveva parlato in modo esplicito della possibilità di usare ogni risorsa del suo arsenale in caso di minacce alla sicurezza della Russia. Ieri si è rivolto agli Stati uniti, gli unici ad avere usato per due volte l’arma atomica, creando, così ha detto, «un precedente».
PROPRIO GLI STATI UNITI e gli altri paesi di quello che Putin chiama «occidente collettivo» sono stati a lungo al centro dell’intervento. Sinora Putin aveva criticato, usando toni alle volte aspri, la dottrina liberale e neoliberale. Ieri si è spinto ben oltre. «La repressione della libertà sta assumendo le sembianze di una religione al contrario, di un vero satanismo», le parole usate davanti alla sua cerchia, prima di paragonare la teoria del gender a una «negazione dell’umanità».
Di fronte all’occidente «coloniale», che «vuole depredare il mondo con i diktat del dollaro e con la rendita della sua egemonia», che «ha sempre cercato di indebolirci, ma è riuscito a mettere le mani sulle nostre ricchezze soltanto alla fine del Ventesimo Secolo», Putin cerca da tempo di costruire un nuovo modello politico, i cui contorni sono, però, vaghi e per alcuni versi logori. «L’Unione sovietica non c’è più e non tornerà, ma la Russia esisterà per sempre. Loro non ne hanno bisogno. Noi, sì».
Una «grande Russia storica», come l’ha definita ieri, riprendendo le discutibili tesi elaborate da pensatori di second’ordine come Iurii Krupnov, che negli anni Novanta invocava il ritorno alla madrepatria delle terre perdute con la fine dell’Impero, una nazione in grado di accogliere e di proteggere «quelli che vogliono tornare alla patria», la cui dottrina sarebbe nei testi del poeta Ivan Iliyn, citato nel bel mezzo del discorso: «Amo la Russia, il suo spirito è il mio spirito, la sua sorte è la mia sorte, le sue sofferenze sono il mio dolore, la sua fioritura è la mia gioia: alle nostre spalle c’è la Russia». Non è chiaro come questo possa aiutare Putin nella crisi militare che l’esercito affronta in Ucraina e in quella politica che cresce alle periferie del suo stesso potere.
AL «REGIME di Kiev» Putin ha chiesto di «cessare immediatamente tutte le azioni militari» e di «fare ritorno al tavolo dei negoziati». Le condizioni per trattare sono sempre più pesanti. Ora, per il capo del Cremlino, prevedono che l’occidente consideri russe le quattro regioni che la Duma integrerà fra qualche giorno, oltre alla Crimea. Né il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, né il capo della Casa Bianca, Joe Biden, né, tantomeno, i governi europei sono disposti ad accettare. A piedi del palazzo presidenziale, sulla Piazza Rossa, si sono radunate alcune migliaia di persone. Putin è salito sul palco in serata. Di fronte aveva decine di bandiere al vento. Ha detto che la Russia vincerà. Ma la guerra è ancora tutta da combattere, e là fuori non c’è più aria di festa
Commenta (0 Commenti)