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Opposizioni di sinistra per una volta insieme a Roma. La piazza non è grande ma è piena e chiede un «fronte popolare» contro la destra. Ci sono volute le botte in parlamento e l’attacco alla Costituzione. Ieri il primo sì al premierato, avanza l’autonomia differenziata

OPPOSIZIONI IN PIAZZA. Dobbiamo tenerci strette, noi opposizioni, grida Elly Schlein dal palco di piazza Santi Apostoli. «Basta divisioni», il suo appello alle tante forze che si sono ritrovate insieme per un pomeriggio, […]

Il fronte del No una promessa di alternativa La manifestazione in piazza Santi Apostoli - LaPresse

Dobbiamo tenerci strette, noi opposizioni, grida Elly Schlein dal palco di piazza Santi Apostoli. «Basta divisioni», il suo appello alle tante forze che si sono ritrovate insieme per un pomeriggio, con un campo larghissimo da Rifondazione e Santoro fino ai liberali di +Europa, per dire no al premierato e all’autonomia. Ma soprattutto un secco no ai rigurgiti (post?) fascisti della destra di governo.

Uno strano allineamento di pianeti ha riunito questo arcipelago che alle europee ha preso più voti delle destre, ma che è ben lontano dal darsi il profilo di una coalizione alternativa.
Per il momento si presenta come un fronte «in mobilitazione permanente», dice Schlein, che si prepara a diventare fronte referendario se il premierato completerà i prossimi tre passaggi parlamentari. Un fronte potenzialmente vincente di cui la leader Pd è una potenziale «federatrice», come predisse mesi fa Romano Prodi.

Un primato tra i progressisti che le viene riconosciuto nella scaletta del comizio, a lei tocca l’ultima parola e che, dopo il 24 % alle europee, nessuno osa più mettere in discussione. È lei che oggi ha la maggiore responsabilità di costruzione una coalizione da questa macedonia che si è vista in piazza Santi Apostoli, quella dell’Ulivo del 1996 e poi dell’Unione del 2006, da Mastella a Turigliatto, più o meno la stessa ampiezza di ieri pomeriggio e non andò a finire bene.

Ci voleva Giorgia Meloni, ci volevano le botte al deputato 5S Donno, reo di aver portato un tricolore al ministro Calderoli, con la premier che dal G7 accusa gli esponenti delle minoranze di essere dei «provocatori» per vedere dietro allo stesso palco Vincenzo De Luca e Paola Taverna, Maurizio Acerbo di Rifondazione e l’ex finiano Benedetto Della Vedova, Chiara Appendino e Bobo Craxi. Mentre sul palco parlava Alfonso Gianni dei comitati che nel 2016 dissero no alla riforma Renzi-Boschi, nel backstage c’erano molti pasdaran renziani, da

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APPELLO. I più importanti governanti europei hanno promosso una corsa dissennata a ulteriori riarmi e hanno parlato irresponsabilmente di un possibile conflitto tra l’Europa e la Russia che rischierebbe di deflagrare in un conflitto nucleare

 

Sono in atto due guerre che hanno provocato centina di migliaia di morti. I più importanti governanti europei hanno promosso una corsa dissennata a ulteriori riarmi e hanno parlato irresponsabilmente di un possibile conflitto tra l’Europa e la Russia che rischierebbe di deflagrare in una guerra nucleare.

Un freno a questa follia potrà forse provenire dalle recenti elezioni europee, dalle quali quei governanti sono usciti duramente sconfitti. Sul nostro pianeta esistono, d’altro canto, 13.133 testate atomiche, 50 delle quali sarebbero sufficienti a distruggere l’umanità. Un risveglio della ragione dovrebbe finalmente indurre l’Onu e l’Ue, nate entrambe sul valore della pace, ad assumere iniziative dirette a ottenere la cessazione immediata di tutti i conflitti e, insieme, un accordo per il totale disarmo nucleare. È questo l’Appello delle Città – promosso in tutto il mondo dalla ICAN e approvato da grandi città come Amsterdam, Barcellona, Berlino, Bologna, Ginevra, Helsinki, Hiroshima, Los Angeles, New York, Parigi, Roma, Torino, Toronto, Sydney e Washington – che chiede l’adesione al Trattato sulla proibizione delle armi nucleari, votato il 7 luglio 2017 da 122 membri dell’Onu, di tutti gli altri Stati, a partire dall’Italia.

Ma sono la produzione e il commercio di tutte le armi da fuoco che devono essere severamente proibite. Costituente Terra invita a condividere una tesi tanto elementare quanto fondamentale: il solo modo di garantire la pace, a parole da tutti auspicata, è la messa al bando globale e totale di tutte le armi tramite un patto che, come stabilisce l’art. 53 del nostro progetto di Costituzione della Terra, preveda e punisca come crimini la loro produzione, il loro commercio e la loro detenzione.

Solo la severa proibizione di tutte le armi può rendere impossibili le guerre, disarmare le formazioni terroristiche e le organizzazioni criminali e ridurre i 460.000 omicidi commessi ogni anno nel mondo per la maggior parte con armi da fuoco. Occorre a tal fine far crescere nel senso comune il riconoscimento della corresponsabilità morale, in ogni guerra e in ogni assassinio, dei produttori e dei venditori di armi. Giacché è da questi produttori di morte che sono armati eserciti, associazioni criminali, bande terroristiche e assassini.

Non si tratta di una proposta utopistica. Si tratta della sola, effettiva garanzia della pace e della sicurezza, sia collettiva che individuale, e dell’unica alternativa realistica a un futuro di catastrofi e di morte. I soli ostacoli sono quelli opposti dai giganteschi interessi delle industrie e del commercio delle armi e dai miserabili poteri politici ad essi asserviti o che di essi si servono a fini di potenza. L’abolizione delle armi produrrebbe il passaggio della società internazionale dallo stato di natura allo stato di diritto, una generale civilizzazione del costume e delle relazioni sociali e la crescita della maturità intellettuale e morale dell’intera umanità.

Il clima di pace che ne seguirebbe favorirebbe lo sviluppo di un processo di rifondazione costituzionale dell’Onu, in grado di far fronte a tutte le altre sfide globali – il riscaldamento climatico e le crescenti disuguaglianze – dalla risposta alle quali dipende il futuro del genere umano.

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RIFORME. Fu provocazione dell’aggredito e non aggressione squadrista. Così Meloni rilegge in chiave tipicamente fascista i gravissimi fatti della Camera. Bene la risposta democratica delle opposizioni in piazza oggi. Quanto accade […]

 Napoli, no all’autonomia differenziata a Piazza Plebiscito - foto da X

Fu provocazione dell’aggredito e non aggressione squadrista. Così Meloni rilegge in chiave tipicamente fascista i gravissimi fatti della Camera. Bene la risposta democratica delle opposizioni in piazza oggi. Quanto accade si spiega anche con i nervi scoperti nella maggioranza dopo lo scossone dato dalle urne europee, in specie per i dati del Sud e dei voti assoluti piuttosto che delle percentuali. Se ne traggono due corollari.

Il primo. No all’inseguimento delle riforme della destra, magari condividendone gli obiettivi e volendo solo temperarne errori o eccessi. È un atteggiamento subalterno e perdente di fronte a Giorgia Meloni, già lanciata in una compagna referendaria e/o elettorale. Riforme condivise sono una illusione. Gli obiettivi della destra sono saldati dallo scambio tra i partner della maggioranza.

Il secondo. Partendo dalle riforme vanno invece costruiti nuovi equilibri politici ed elettorali. Il primo terreno per iniziare la costruzione è inevitabilmente l’autonomia differenziata, che con l’approvazione definitiva del disegno di legge Calderoli passa alla fase di attuazione. La stessa costruzione potrà dare un decisivo contributo anche contro le riforme che seguiranno con tempi più lunghi (premierato, giustizia). I percorsi inevitabilmente si intrecciano, perché il reciproco ricatto tra gli inquilini di palazzo Chigi rimane sempre possibile.

Di quali strumenti disponiamo da subito per l’autonomia differenziata? Il primo è il ricorso in via principale di una o più regioni alla Consulta entro 60 giorni dalla pubblicazione della legge (articolo 127.2). Consente di rispondere all’avvio della fase attuativa dell’autonomia differenziata con un immediato contrasto. La Corte può anche sospendere in tutto o in parte l’atto impugnato.

Va segnalato, sul punto, che l’autonomia differenziata, passando da un regionalismo solidale a un semi-federalismo competitivo, apre a una conflittualità non tra regione e stato, ma tra regioni. Si può ad esempio ipotizzare che una regione voglia privilegiare i “propri” cittadini, o sottrarre ad altre regioni personale qualificato utile nell’economia del territorio, o magari investimenti praticando un dumping sulle regole ambientali.

LA REDAZIONE CONSIGLIA:

Le opposizioni unite in piazza: «No alla violenza della destra»

Beninteso, può accadere già ora. Da ultimo (sentenza numero 67/ 2024) la Corte costituzionale ha censurato una legge del Veneto che per l’accesso alla edilizia residenziale pubblica richiedeva alcuni anni di residenza in regione. Cosa cambia con l’autonomia differenziata? Che la situazione può manifestarsi su scala molto più ampia, mentre si indeboliscono gli strumenti correttivi.

Il punto è bene colto dal presidente della Calabria Occhiuto (Forza Italia) nell’intervista al Corriere della sera del 14 giugno, in cui attacca l’autonomia differenziata nel commercio con l’estero – materia subito devolvibile – come potenziale rischio per la competitività delle regioni del Sud. E basta pensare alle professioni – anch’esse devolvibili – per il possibile accaparramento del personale sanitario.

È uno scenario di competizione interregionale lesiva della «Repubblica una e indivisibile» (articolo 5) in quanto il vantaggio ad alcune regioni viene dal danno ad altre. Uno scenario che la (futura) legge Calderoli non impedisce. Ad esempio, perché le «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» (articolo 116.3) non si legano a una specificità di territorio dimostrata o dimostrabile. O perché con la devoluzione si riduce l’ambito dei principi fondamentali posti con legge dello stato (articolo 117.3). O perché si richiama l’astratta determinazione, e non la concreta erogazione, dei livelli essenziali delle prestazioni (articolo 117.2). O perché la valutazione collegiale in sede parlamentare e di conferenza può essere pretermessa o disattesa. O perché il regime transitorio privilegia alcune regioni. O perché manca una previa valutazione di impatto, come Occhiuto vorrebbe. Su questo, e altro ancora, si può fondare un ricorso in via principale.

Un secondo strumento è dato dal referendum abrogativo ex articolo 75, forse inammissibile e comunque più lento nei tempi, sul quale torneremo. Intanto diciamo con gli antichi che nomina sunt consequentia rerum. Meloni non può rinominare come provocazione l’aggressione squadrista, o come salute sessuale il diritto all’aborto. Ma sono problemi di Meloni, e non ci toccano. Le riforme della destra avranno un aborto spontaneo a opera del popolo sovrano, per la salus rei publicae

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 Memoria della deportazione dalla stazione di Milano con Liliana Segre Diretta video La senatrice a vita e la Comunità di Sant’Egidio al binario 21 - CorriereTV

«Nel premierato ci sono aspetti allarmanti: non posso e non voglio tacere», aveva detto un mese fa Liliana Segre rispetto alla riforma che il governo Meloni intende approvare al più presto. A quelle parole, oggi, fa seguito l'appello di oltre 180 costituzionalisti, i quali esprimono forte preoccupazione sui punti cardine di questa svolta, che «modifica i cardini della Carta». Qui di seguito pubblichiamo integralmente il testo del documento e di tutte le personalità che lo hanno sottoscritto.

«La nostra Costituzione è un testo che va maneggiato con cura ed è naturale che quest’attenzione debba essere massima da parte di tutti i cittadini nel momento in cui il disegno di cambiamento investa i suoi punti chiave.
Non è frequente che i costituzionalisti, i cultori professionali della Carta, prendano posizione collettivamente sottoscrivendo pubblici appelli. Molti di loro sono più favorevoli a prese di posizione individuali, magari nello spazio più protetto delle aule universitarie o in audizioni o convegni.
Ci sono però dei momenti nella vita di un Paese nei quali il progetto di cambiamento delle regole fondamentali assume un significato preoccupante.
Sono questi i tempi nei quali alcune personalità di altissimo valore morale pur non essendo “addette ai lavori”, sentono la necessità di uscire allo scoperto per denunciare possibili pericoli.
Questo è quanto è avvenuto il 14 maggio di quest’anno, quando la Senatrice a vita Liliana Segre ha chiesto la parola per intervenire nel dibattito sul Premierato che si stava svolgendo nell’Aula del Senato.
Ascoltando quelle parole pronunciate con tanta autorevolezza, molti costituzionalisti e studiosi di diritto pubblico, anche i meno avvezzi a sottoscrivere appelli, hanno deciso non di prendere una posizione autonoma ma di mettersi al fianco di Liliana Segre.
Tutti i timori esposti nell’accorato intervento della Senatrice Segre sono fondati. La creazione di un sistema ibrido, né parlamentare né presidenziale, mai sperimentato nelle altre democrazie, introdurrebbe contraddizioni insanabili nella nostra Costituzione. Una minoranza anche limitata, attraverso un premio, potrebbe assumere il controllo di tutte le nostre istituzioni, senza più contrappesi e controlli. Il Parlamento correrebbe il pericolo di non rappresentare più il Paese e di diventare una mera struttura di servizio del governo, distruggendo così la separazione dei poteri. Il Presidente della Repubblica sarebbe ridotto ad un ruolo notarile e rischierebbe di perdere la funzione di arbitro e garante.
Di fronte a tutto questo anche noi – come la Senatrice – non possiamo e non vogliamo tacere.
Facciamo appello a tutte le forze politiche affinché prevalga l’interesse generale, si ascoltino gli allarmi che autorevolmente sono stati lanciati e si prevengano i pericoli. Finché siamo in tempo».

Qui di seguito le firme (in ordine di adesione) dei costituzionalisti che hanno sottoscritto l'appello:
1. Enzo Cheli (vice Presidente della Corte costituzionale)
2. Ugo de Siervo (Presidente della Corte costituzionale)
3. Gaetano Silvestri (Presidente della Corte costituzionale)
4. Gustavo Zagrebelsky (Presidente della Corte costituzionale)
5. Maria Agostina Cabiddu (Prof. di Ist. di Diritto pubblico - Politecnico di Milano)
6. Vittorio Angiolini (Prof. di Diritto costituzionale - Università degli Studi di Milano)
7. Roberto Zaccaria (Prof. di Diritto costituzionale Università di Firenze)
8. Federico Sorrentino (Prof. di Diritto costituzionale - Università “La Sapienza”)
9. Sergio Bartole (Prof. di Diritto costituzionale - Università di Trieste)
10. Mario Dogliani (Prof. di Diritto costituzionale - Università di Torino)
11. Franco Bassanini (Prof. di diritto costituzionale - Università "La Sapienza")
12. Roberta Calvano (Prof. Diritto costituzionale Unitelma Sapienza)
13. Antonio D’Atena (Prof. di diritto costituzionale - Univ. di Roma "Tor vergata")
14. Mauro Volpi (Prof. di Diritto costituzionale - Università di Perugia)
15. Roberto Romboli (Prof. di Diritto costituzionale - Università di Pisa)
16. Paolo Caretti (Prof. di Diritto costituzionale - Università di Firenze)
17. Antonio Ruggeri (Prof. di Diritto costituzionale - Università di Messina)
18. Paolo Ridola (Prof. di Diritto costituzionale - Università "La Sapienza")
19. Camilla Buzzacchi (Prof. Istituzioni Diritto pubblico – Università Milano Bicocca)
20. Gian Candido de Martin (Prof. di Istituzioni di diritto pubblico - LUISS Guido Carli)
21. Maurizio Pedrazza Gorlero (Prof. di Diritto costituzionale – Università di Verona)
22. Maria Cristina Grisolia (Prof. di Diritto costituzionale – Università di Firenze)
23. Massimo Villone (Prof. di Diritto costituzionale – Università Federico II)
24. Francesco Pallante (Prof. di Diritto costituzionale – Università di Torino)
25. Fulco Lanchester (Prof. di Diritto costituzionale e comparato – La Sapienza)
26. Alfonso di Giovine (Prof. di Diritto costituzionale it. e comp. – Università di Torino)
27. Stefano Grassi ((Prof. di Diritto costituzionale – Università di Firenze)
28. Enrico Grosso (Prof. di Diritto costituzionale – Università di Torino)
29. Enzo Balboni (Prof. Istituzioni diritto pubblico Università cattolica di Milano)
30. Gianmario Demuro (Prof. di Diritto costituzionale – Università di Cagliari)
31. Emanuele Rossi (Prof. di Diritto costituzionale – Università Sant’Anna di Pisa)
32. Omar Chessa (Prof. di Diritto costituzionale – Università di Sassari)
33. Barbara Pezzini Prof. di Diritto costituzionale – Università di Bergamo)
34. Agatino Cariola (Prof. di Diritto costituzionale – Università di Catania)
35. Giuditta Brunelli (Prof. di Diritto costituzionale – Università di Ferrara)
36. Saulle Panizza (Prof. di Diritto costituzionale – Università di Pisa)
37. Matteo Cosulich (Prof. di Diritto costituzionale – Università di Trento)
38. Andrea Pugiotto (Prof. di Diritto costituzionale – Università di Ferrara)
39. Giovanna De Minico (Prof. di Diritto costituzionale – Università Federico II)
40. Gaetano Azzariti (Prof. di Diritto costituzionale – Università "La Sapienza")
41. Cesare Pinelli (Prof. di Diritto costituzionale – Università "La Sapienza")
42. Saverio Regasto (Prof. di Diritto costituzionale – Università di Brescia)
43. Gianni Serges (Prof. di Diritto costituzionale – Università Roma3)
44. Roberto Bin (Prof. di Diritto Costituzionale - Università di Ferrara)
45. Monica Bonini (Prof. di Diritto costituzionale – Università Milano Bicocca)
46. Massimo Carli (Prof. di istituzioni di diritto pubblico – Università di Firenze)
47. Claudio de Fiores (Prof. di Diritto costituzionale – Università della Campania)
48. Pietro Ciarlo (Prof. di Diritto costituzionale – Università di Cagliari)
49. Ilenia Massa Pinto (Prof. di Diritto costituzionale – Università di Torino)
50. Paolo Giangaspero (Prof. di Diritto costituzionale – Università di Trieste)
51. Alessandra Algostino (Prof. di Diritto costituzionale – Università di Torino)
52. Chiara Tripodina (Prof. di Diritto costituzionale – Università Piemonte Orientale)
53. Paolo Carnevale (Prof. di Diritto costituzionale – Università Roma3)
54. Nicola Grasso (Prof. di Diritto costituzionale - Università del Salento)
55. Marina Calamo Specchia (Prof. di Diritto costituzionale – Università di Bari)
56. Augusto Cerri (Prof. di Diritto costituzionale - Università "La Sapienza")
57. Andrea Cardone (Prof. di Diritto costituzionale – Università di Firenze)
58. Anna Mastromarino (Prof. di Diritto pubblico comparato – Università di Torino)
59. Donatella Loprieno (Prof. di Ist. di Diritto pubblico – Università della Calabria)
60. Francesco Bilancia (Prof. di Ist. di Diritto pubblico – Università "La Sapienza")
61. Giovanni Di Cosimo (Prof. di Diritto costituzionale – Università di Macerata)
62. Margherita Raveraira (Prof. di Istituzioni di Diritto pubblico – Università di Perugia)
63. Laura Ronchetti (Prof. di Diritto costituzionale - Università del Molise)
64. Angelo Schillaci (Prof. di diritto pubblico comparato -– Università “La Sapienza”)
65. Fabio Longo (Prof. di Diritto pubblico comparato - Università di Torino)
66. Anna Alberti (Professore di Ist. di Diritto Pubblico - Università degli studi di Sassari)
67. Angela Cossiri (Prof. di Diritto costituzionale - Università di Macerata)
68. Roberto Pinardi (Prof. di Ist. di diritto pubblico – Università di Modena e Reggio Emilia)
69. Antonio Riviezzo (Prof. di Diritto costituzionale - Università di Siena)
70. Paola Marsocci (Prof. di diritto costituzionale – Università “La Sapienza”)
71. Giovanni Moschella (Prof. di Istituzioni di diritto pubblico – Università di Messina)
72. Antonio Cantaro (Prof. di Diritto costituzionale - Università di Urbino)
73. Giovanni Bianco (Prof. di diritto costituzionale - Università di Sassari)
74. Alessandro Torre (Prof. di Diritto Costituzionale - Università degli Studi di Bari)
75. Tania Groppi (Prof. di Diritto Costituzionale - Università di Siena)
76. Giulio Enea Vigevani (Prof. di Diritto Costituzionale - Università di Milano Bicocca)
77. Giuditta Matucci (Prof. di Diritto Costituzionale - Università di Pavia)
78. Ugo Adamo (Prof. di Istituzioni di diritto pubblico – Università della Calabria)
79. Prof. Quirino Camerlengo (prof. di Diritto costituzionale - Università di Milano Bicocca)
80. Marco Benvenuti (Prof. di Istituzioni di diritto pubblico - Università "La Sapienza")
81. Maria Romana Allegri (Prof. di Ist. di diritto pubblico - Università "La Sapienza")
82. Carla Negri (Prof. di diritto costituzionale - Università di Palermo)
83. Roberto Toniatti (Prof. di diritto costituzionale - Università di Trento)
84. Raffaele Manfrellotti (Prof. di Istituzioni di diritto pubblico - Università Federico II)
85. Gianluca Famiglietti (Prof. di Diritto costituzionale - Università di Pisa)
86. Valeria Piergigli (Prof. di Diritto pubblico comparato - Università di Siena)
87. Antonio Gusmai (Prof. di Istituzioni di diritto pubblico - Università di Bari)
88. Mario Perini (Prof. di Diritto costituzionale - Università di Siena)
89. Simone Scagliarini (Prof. di Ist. di diritto pubblico - Università di. Modena e Reggio Emilia)
90. Laura Lorello (Prof. di Diritto Costituzionale - Università di Palermo)
91. Luciana De Grazia (Prof. di Diritto pubblico comparato - Università di Palermo)
92. Marco Galdi (Professore di Diritto Pubblico - Università di Salerno)
93. Caterina Severino (Professore di Diritto Pubblico comparato - Università di Aix-en-Provence)
94. Alessandra Valastro (Prof. di istituzioni di diritto pubblico – Università di Perugia)
95. Valeria Marcenò (Prof. di Diritto costituzionale - Università di Torino)
96. Cristina Bertolino (Prof. di Istituzioni di diritto pubblico - Università di Torino)
97. Anna Maria Lecis Cocco Ortu (prof. di Diritto pubblico - Sciences Po Bordeaux)
98. Andrea Guazzarotti (Prof. di Istituzioni di diritto pubblico - Università di Ferrara)
99. Gavina Lavagna (Prof. di Istituzioni di diritto pubblico - Università "La Sapienza")
100. Claudio Panzera (Prof. di Diritto costituzionale - Università di Reggio Calabria)
101. Lorenzo Spadacini (Prof. di Diritto costituzionale – Università di Brescia)
102. Fabrizia Covino (Prof. di Istituzioni di diritto pubblico - Università "La Sapienza")
103. Elisabetta Palici di Suni (Prof. di Diritto pubblico comparato - Università di Torino)
104. Giovanni D'Alessandro (Prof. di Diritto pubblico – Università "Niccolò Cusano")
105. Giuseppe Verde (Prof. di Diritto costituzionale – Università di Palermo)
106. Paolo Bianchi (Prof. di Diritto pubblico comparato - Università di Camerino)
107. Roberto Scarciglia (Prof. di Diritto pubblico comparato - Università di Trieste)
108. Andrea Pierini (Prof. di Diritto pubblico comparato – Università di Perugia)
109. Ines Ciolli (Prof. di diritto costituzionale – Università “La Sapienza”)
110. Paolo Zuddas (Prof. di Istituzioni di diritto pubblico - Università dell'Insubria)
111. Carlo Bottari (Prof. di Istituzioni di diritto pubblico - Università di Bologna)
112. Fabrizio Politi (Prof. di Diritto costituzionale – Università dell’Aquila)
113. Massimo Siclari (Prof. di Diritto costituzionale – Università Roma3)
114. Paolo Veronesi (Prof. di Diritto costituzionale – Università di Ferrara)
115. Michela Manetti (Prof. di Diritto costituzionale – Università di Siena)
116. Eva Lehner (Prof. di Diritto costituzionale – Università di Siena)
117. Stefania Parisi (Prof. di Diritto costituzionale – Università Federico II)
118. Davide Servetti (Prof. di Diritto costituzionale – Università Piemonte orientale)
119. Elisa Tira (Prof. Istituzioni di diritto pubblico - Università telematica eCampus)
120. Federico Losurdo (Prof. Istituzioni di diritto pubblico - Università di Urbino)
121. Angela Musumeci (Prof. di Diritto costituzionale – Università di Teramo)
122. Gianluca Bellomo (Prof. di Istituzioni di Diritto Pubblico - Università di Pescara)
123. Cosimo Pietro Guarini (Prof. di Istituzioni di Diritto Pubblico – Università di Bari)
124. Elisabetta Frontoni (Prof. di Diritto costituzionale - Università degli Studi Roma Tre)
125. Antonio D’Andrea (Prof. di Diritto costituzionale – Università di Brescia)
126. Andrea Deffenu (Prof. di Istituzioni di Diritto pubblico - Università di Cagliari)
127. Antonio Saitta (Prof. di Diritto costituzionale - Università di Messina)
128. Francesco Marone (Prof. di Diritto costituzionale - Università Suor Orsola Benincasa)
129. Luigi D’Andrea (Prof. di Diritto costituzionale - Università di Messina)
130. Francesca Biondi (Prof. di Diritto costituzionale - Università di Milano)
131. Pietro Milazzo (Prof. di Istituzioni di Diritto Pubblico – Università di Pisa)
132. Roberto Cherchi (Prof. di Diritto costituzionale – -Università di Cagliari)
133. Antonio Iannuzzi (Prof. di Ist. di Diritto Pubblico- Università degli Studi Roma Tre)
134. Riccardo Guastini (Prof. Filosofia del diritto – Università di Genova)
135. Luigi Condorelli (Prof. di Diritto internazionale – Università di Firenze)
136. Enzo Varano (Prof Diritto Comparato, Università di Firenze)
137. Auretta Benedetti (Prof. di Diritto amministrativo – Università Milano Bicocca)
138. Francesca Angelini (Prof. di Diritto pubblico – Università "La Sapienza")
139. Stefania Baroncelli (Prof. di Diritto pubblico – Università di Bolzano)
140. Armando Spataro (magistrato)
141. Barbara Marchetti (Prof. di Diritto amministrativo - Università degli Studi di Trento)
142. Michelangela Scalabrino (Prof. di Diritto internazionale – Università cattolica del S. Cuore)
143. Lorenzo Chieffi (Prof. di Diritto costituzionale – Università della Campania Luigi Vanvitelli)
144. Raffaella Niro (Prof. Istituzioni di diritto pubblico - Università di Macerata)
145. Alessia-Ottavia Cozzi (Prof. Istituzioni di diritto pubblico - Università degli studi di Udine
146. Alessandra Di Martino (Prof. di Diritto pubblico comparato - Università “La Sapienza”)
147. Marco Cuniberti (Prof. di Diritto costituzionale – Università di Milano)
148. Andrea Lollo (Prof. Diritto costituzionale – Università di Catanzaro)
149. Ferdinando Pinto (Prof. di Diritto amministrativo – Università Federico II)
150. Giuseppa Sorrenti (Prof. di Diritto costituzionale – Università di Messina)
151. Paolo Scarlatti (Prof. di Diritto costituzionale - Università Roma Tre)
152. Andrea Gratteri (Prof. di Diritto costituzionale – Università di Pavia)
153. Stefano Agosta (Prof. di Diritto costituzionale – Università di Messina)
154. Giovanni Guiglia (Prof. di Diritto costituzionale - Università di Verona)
155. Giacomo D’Amico (Prof. di Diritto costituzionale - Università di Messina)
156. Claudio Rossano (Prof. di Diritto pubblico - Università “La Sapienza”)
157. Veronica Federico (Prof. di Diritto pubblico comparato - Università di Firenze)
158. Giusto Puccini (Prof. di istituzioni di Diritto pubblico - Università di Firenze)
159. Benedetta Liberali (Prof. di Diritto costituzionale – Università Statale di Milano)
160. Giancarlo Antonio Ferro (Prof. di diritto costituzionale - Università di Catania)
161. Michele Della Morte (Prof. di diritto costituzionale - Università del Molise)
162. Elena Malfatti (Prof. di Diritto costituzionale – Università di Pisa)
163. Adriana Apostoli (Prof. di Diritto costituzionale – Università di Brescia)
164. Antonio Ignazio Arena (Prof. di Diritto costituzionale – Università di Messina)
165. Maurizio Malo (Prof. di Istituzioni di diritto pubblico – Università di Padova)
166. Arianna Carminati (Prof. di Istituzioni di diritto pubblico – Università di Brescia)
167. Nadia Maccabiani (Prof. di Istituzioni di diritto pubblico – Università di Brescia)
168. Emma Imparato (Prof. di Istituzioni di diritto pubblico – Università l’Orientale di Napoli)
169. Nicola Pignatelli (Prof. di Istituzioni di Diritto Pubblico - Università di Bari)
170. Anna Marzanati (Prof. di Diritto Pubblico - Università di Milano – Bicocca)
171. Antonio Mastropaolo (Prof. di Istituzioni di diritto pubblico - Università della Valle d’Aosta)
172. Paola Torretta (Prof. di Diritto Costituzionale - Università di Parma) 173. Carlo Casonato (Prof. di diritto costituzionale comparato - Università di Trento)
174. Daniele Chinni (Prof. di Istituzioni di diritto pubblico - Università degli Studi Roma Tre)
175. Federico Girelli (Prof. di Diritto Costituzionale - Università Niccolò Cusano)
176. Luigi Ventura (Prof. di Diritto Costituzionale - Università di Catanzaro)
177. Rossana Caridà (Prof. di Istituzioni di diritto pubblico - Università di Catanzaro)
178. Elena Bindi (Prof. di Istituzioni di diritto comparato - Università di Siena)
179. Carlo Amirante (Prof. di Diritto costituzionale – Università Federico II)
180. Guido Rivosecchi (Prof. di Diritto costituzionale – Università di Padova)
181. Andrea Pertici (Prof. di Diritto costituzionale – Università di Pisa)
182. Francesco Dal Canto (Prof. di Diritto costituzionale – Università di Pisa)
183. Enrico Cuccodoro (Prof. di Diritto costituzionale – Università del Salento)
184. Astrid Zei (Prof. di diritto costituzionale italiano e comparato - Università “La Sapienza”)
Sottoscrivono l’appello:
L’associazione "Passione Civile con Valerio Onida" (Coord. Scientifico prof. Antonio D’Andrea)
Associazione studentesca Politeia (di Palermo – Laura Ronchetti)

 

 

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I SETTE GRANDI. Se serviva una conferma, l’ultimo G7 l’ha data: il capitalismo è in piena mutazione e la metamorfosi è così violenta da mettere in discussione persino i dogmi assoluti del diritto […]

I membri del G7 in Puglia I membri del G7 in Puglia - Ap

Se serviva una conferma, l’ultimo G7 l’ha data: il capitalismo è in piena mutazione e la metamorfosi è così violenta da mettere in discussione persino i dogmi assoluti del diritto proprietario.

Prendiamo il diritto alla libertà dei commerci. Da Biden a Meloni, i leader del G7 lo menzionano ormai con malcelato fastidio, come fosse un idolo vetusto indegno di venerazione. Gli stessi leader si entusiasmano, al contrario, nell’annunciare nuove misure protezionistiche contro la Cina e contro altri paesi non allineati agli interessi occidentali.

I sette grandi giustificano le restrizioni commerciali lamentando il sostegno della Cina alla Russia guerrafondaia. In realtà, i dati indicano che il protezionismo occidentale è iniziato ben prima dell’invasione russa dell’Ucraina.

Soprattutto a opera degli Stati Uniti, che tra il 2010 e il 2022 hanno introdotto ben 7.790 nuovi vincoli agli scambi internazionali. Ma anche l’Europa, pur riluttante, ha alzato da tempo barriere contro l’oriente. La tesi cara ai sette grandi, del protezionismo come mera conseguenza della guerra, è dunque smentita dai fatti. Le barriere commerciali, piuttosto, sono state premessa dei conflitti.

I grandi del G7 mettono sotto il tallone anche un altro vecchio dogma proprietario: il valore indiscusso del dollaro come moneta di scambio internazionale.

La Cina, i paesi arabi produttori di energia e in parte anche la Russia, hanno accumulato ingenti quantità di dollari grazie a decenni di esportazioni. Stando alla dottrina, questi paesi avrebbero ora il diritto di utilizzare a piacimento gli ammassi di moneta verde che posseggono, magari anche per acquisire aziende occidentali.

Il problema è che il protezionismo americano ed europeo glielo impedisce: le barriere commerciali e finanziarie bloccano gli acquisti.

La conseguenza è che i proprietari orientali si trovano ora con pile di dollari che non possono utilizzare come vorrebbero. Naturale, quindi, che perdano interesse verso la valuta americana. Se ci pensiamo bene, la causa prima della cosiddetta «de-dollarizzazione» è proprio il protezionismo di marca statunitense.

Ma non è finita qui. Al vertice pugliese i leader del G7 sono arrivati a sfregiare persino il massimo comandamento del capitale: il diritto di proprietà privata garantito a livello internazionale. I sette grandi hanno stabilito che il nuovo stanziamento di 50 miliardi per l’Ucraina sarà coperto da prestiti garantiti da un esproprio di profitti russi.

Si tratta di proventi sui famigerati 300 miliardi depositati in occidente da società russe e congelati dopo l’inizio della guerra. Su questo delicatissimo tema l’occidente capitalistico si è spaccato più volte.

Da Wall Street a Francoforte, i brokers occidentali avvisano che la violazione delle proprietà russe ha attivato un campanello d’allarme tra i capitalisti di mezzo mondo, che temendo ritorsioni anche nei loro confronti potrebbero abbandonare ogni prospettiva d’investimento in occidente. Il rischio è concreto, eppure alla fine si è deciso comunque di varcare la soglia proibita. Anche la proprietà privata subisce così un declassamento: da indiscusso diritto individuale a concessione del sovrano.

Questa colossale mutazione capitalista non sembra incontrare ostacoli di sorta.

L’Ue appare sempre più assuefatta alla violazione degli antichi diritti proprietari. Le stesse destre reazionarie in ascesa la assecondano ormai senza indugio. Né si intravede un demiurgo americano in grado di contrastare la tendenza. Trump vorrebbe fare concessioni ai russi di tipo territoriale ma rimarca l’intenzione di proseguire con le barriere commerciali e finanziarie verso la Cina e verso gli altri paesi non allineati a Washington. Chi pensa che una sua vittoria elettorale possa invertire il corso degli eventi è un illuso.

Una vecchia tesi di Marx suggerisce che il mutamento capitalistico stravolge di continuo la storia umana con una violenza che non risparmia nessuno, talvolta nemmeno gli stessi capitalisti.

La profanazione dei «sacri diritti di proprietà» sancita dal G7 è solo una prova fra le tante. È l’annuncio di una nuova epoca di accumulazione originaria, in cui le dolcezze dei liberi commerci lasciano il posto alla ferocia delle reciproche usurpazioni

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L'ANALISI. In Puglia i G7 fingono che rispetto alle conclusioni di Hiroshima non sia cambiato granché. Conviene a tutti, ma soprattutto conviene a Giorgia Meloni

Diritti, i grandi nascosti sotto la bandiera di Meloni Partecipanti al corteo del Pride di Roma del 2023 foto LaPresse

Cortesie per gli ospiti: location mozzafiato, chef stellati e Italian style. Cortesie per la padrona di casa: sull’Italian style generazione Giorgia – madre e cristiana – chiudiamo un occhio o tutti e due.

L’arretramento su aborto e diritti Lgbtq+ viene alla fine fatto passare dai Grandi riuniti in Puglia con nonchalance nonostante le iniziali resistenze Usa e il plateale «rammarico» di Macron. Facciamo finta che nulla cambi rispetto al testo firmato l’anno scorso a Hiroshima: conviene a tutti, ognuno con i suoi guai domestici. Conviene soprattutto alla premier italiana, che riesce a non ammainare la sua bandiera. Una vecchia storia, sempre uguale a se stessa.

L’11 SETTEMBRE 2023 il sito della presidenza del consiglio comunicava che «in occasione della sua visita nello Stato del Qatar» la premier Giorgia Meloni aveva incontrato l’emiro Tamim Bin Hamad Al Thani per «rinsaldare le eccellenti relazioni bilaterali e il rapporto personale». E che nel corso del colloquio ci si era soffermati «sulle importanti opportunità di collaborazione per le nostre imprese».

Era la stessa Giorgia Meloni che poco più di due anni prima, luglio 2021 – ma certo, non aveva ancora fatto il suo ingresso trionfale a palazzo Chigi – accusava: «Nel governo Draghi c’è una grande contraddizione e ipocrisia sui temi della lotta all’omofobia. Presenterò un atto in parlamento in cui chiederò al governo di fermare ogni forma di accordo commerciale con i Paesi in cui l’omosessualità è un reato, come il Qatar. A me le ipocrisie danno molto fastidio».

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Delle contraddizioni nelle quali inciampano i leader politici quando passano dai banchi dell’opposizione agli scranni del governo sono piene le cronache. Dell’ipocrisia invece l’attuale presidente del consiglio è una recordwoman. Nascondersi dietro il benaltrismo è una specialità sua e dei suoi ministri («e allora i Khmer rossi?…»).

Il governo Draghi nel giugno 2021 aveva aggiunto la sua firma a una dichiarazione di 13 Paesi europei contro la legge ungherese anti-Lgbtq+, quella per vietare la cosiddetta «propaganda omosessuale» nelle scuole, nella pubblicità, nei programmi tv rivolti ai minori. Di qui la reazione di Meloni: e allora il Qatar? E allora Peppa Pig?, aveva prontamente abbracciato la dottrina Orbán il Fratello Mollicone durante la campagna elettorale per le politiche (in una puntata del popolarissimo cartone animato compariva un orsetto polare con due mamme).

INUTILE DIRE CHE il governo Meloni (come Polonia, Romania, Bulgaria, Cipro, Croazia, Estonia, Lettonia, Lituania, Repubblica Ceca e Slovacchia) non ha appoggiato il ricorso successivamente presentato dalla Commissione Ue contro la legge ungherese. Una legge che Ursula von der Leyen aveva definito «vergognosa» perché «praticamente l’omosessualità viene posta a livello della pornografia» e «non serve alla protezione dei bambini, è un pretesto per discriminare».

Sulle tematiche Lgbtq+ il governo Meloni si è distinto in più occasioni in Europa e in Italia: alla crociata contro la mamma disegnata in Peppa Pig corrisponde quella contro i figli in carne ossa di coppie omogenitoriali, è guerra alla carriera alias nelle scuole e ai farmaci per gli adolescenti transgender. L’educazione sessuale e affettiva resta tabù.

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Nel maggio scorso, l’Italia è stata tra i paesi europei (non esattamente i più illuminati sul tema) che si sono rifiutati di approvare la dichiarazione sull’avanzamento dei diritti umani per le persone Lgbtiq+ predisposta dalla presidenza di turno belga del Consiglio Ue presentata in occasione della giornata internazionale contro omofobia, transfobia e bifobia. Un figurone. La stessa splendida prova l’Italia la fornisce da Borgo Egnazia alla vigilia del Pride di oggi a Roma. I Fratelli di Giorgia l’altro giorno erano assai preoccupati perché le botte in parlamento rischiavano di danneggiare la fulgida immagine del Paese di fronte ai grandi del mondo. Peccato che i picchiatori della destra in parlamento non facciano altro che rispecchiare l’arretratezza culturale, sociale e politica che esprime la compagine guidata dalla prima donna premier del Paese.

L’ITALIA NON HA FIRMATO la dichiarazione europea sui diritti Lgbtq+ per lo stesso motivo per cui ha deciso di annacquare il documento finale del G7 pugliese rispetto a quello di Hiroshima. Nel testo dello scorso anno compariva (come nell’affossato ddl Zan) la bestia nera di Meloni&co, «l’identità di genere», alla base di quella fantomatica «ideologia gender» inventata dalle destre reazionarie dell’orbe terracqueo per giustificare le pulsioni omotransfobiche e rassicurare la base e l’elettorato più retrivi e nostalgici (non solo vecchi arnesi, come dimostra l’inchiesta di Fanpage). E dal documento del G7 pugliese scompaiono anche la parola «aborto» e il riferimento al ruolo dell’istruzione.

Ovviamente per la premier sono tutte fake news. Nessun arretramento rispetto all’aborto (e i prolife nei consultori?), nessuna esitazione sui diritti Lgbtq. Giorgia Meloni non è mica una Vannacci qualunque… Tanto basta, evidentemente, anche alla presidente uscente della Commissione Ue, che a un passo dal secondo mandato alla guida dell’Unione non sembra preoccupata dalla tendenza orbaniana di quella che resta una sua importante interlocutrice.

Contraddizioni? Ipocrisia? Improvviso allarme per l’avanzata della «teoria gender»? O paura di non agguantare il bis per colpa di Peppa Pig?

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