STRISCIA SOTTO ATTACCO. Gli attacchi concentrati al centro e al sud. Israele: distrutta la casa segreta di Sinwar. L'ultradestra fa saltare la riunione del gabinetto di guerra israeliano
Gaza. Sfollati in fuga dall'offensiva israeliana - Ap
Sono sempre loro, gli sfollati, le vittime principali dell’invasione israeliana di Gaza, dei bombardamenti e delle stragi. Uomini, donne e bambini innocenti sbattuti da un punto all’altro della Striscia alla ricerca di una salvezza che non è garantita. Anche ieri decine di migliaia di sfollati si sono avviati a piedi, i più fortunati su carretti, verso l’ovest e il sud di Gaza, per sfuggire alla nuova offensiva di carri armati israeliani e sotto raid aerei che hanno raso al suolo case seppellendo al loro interno famiglie intere. Come nel campo profughi di Nuseirat, dove sono stati uccisi 35 membri, tra cui alcuni bambini, delle famiglie Jabr, Saidem e Hour. Poche ore prima 11 palestinesi della famiglia Ammour erano morti sotto le bombe a Fakhari (Khan Yunis). A Rafah i giornalisti locali sulla scena di un attacco che ha distrutto un edificio, hanno raccontato di aver visto la testa di un bambino sepolto ma vivo sporgere dalle macerie. Un soccorritore gli ha protetto la testa con una mano, mentre altri tentavano di spaccare una lastra di cemento per liberarlo.
Israele sta chiudendo l’anno con nuovi assalti nella zona centrale e meridionale di Gaza, innescando nuovi esodi mentre dilagano fame e malattie tra i due milioni di abitanti di Gaza. La settimana scorsa aveva dato la disponibilità a far entrare dall’Egitto 200 camion di aiuti al giorno ma giovedì solo 76 sono riusciti ad attraversare il valico di Rafah. Nelle ultime 48 ore, i reparti corazzati si sono fatti strada a cannonate all’interno di Bureij con intensi combattimenti in corso con Hamas nella periferia orientale del campo profughi, così come a
Leggi tutto: Fuga e sudari, la quotidianità di Gaza - di Michele Giorgio, GERUSALEMME
Commenta (0 Commenti)ISRAELE. Trenta giorni di pena, rinnovabili. È il primo caso di refusenik dal 7 ottobre. Fuori dalla base di Tel Hashomer lancia il suo messaggio: «L’attacco criminale contro Gaza non riparerà il terribile massacro compiuto da Hamas. La violenza non risolverà la violenza»
L'obiettore di coscienza israeliano Tal Mitnick
Il video di Tal Mitnick di fronte alla base militare di Tel Hashomer, a poca distanza dalla Striscia di Gaza, è stato pubblicato martedì. Il 18enne spiega in pochi secondi perché sta per entrare in prigione, a scontare una pena di 30 giorni (rinnovabile): obiezione di coscienza, non intende vestire l’uniforme dell’esercito israeliano, d’obbligo nel paese (tre anni di leva per gli uomini, due per le donne). Dal 7 ottobre è l’unico obiettore di coscienza.
«Credo che il massacro non possa risolvere un massacro – dice – L’attacco criminale contro Gaza non riparerà il terribile massacro compiuto da Hamas. La violenza non risolverà la violenza. Ed è per questo che rifiuto».
A pubblicare il video è Mesarvot, rete di sostegno dei refusenik, gli obiettori di coscienza. Perché non è vero che in Israele tutti indossano l’uniforme, di modi per non farlo ce ne sono: se gli ultraortodossi sono esentati per motivi religiosi, tante e tanti giovani ricorrono a certificati medici che ne attestano l’impossibilità.
Pochissimi rifiutano per dichiarati motivi politici (è illegale in Israele seppure lo preveda il diritto internazionale) e che accettano non solo la cella ma una vita da pariah in una
Leggi tutto: L’obiezione di Mitnick: «Rifiuto l’uniforme israeliana» - di Chiara Cruciati
Commenta (0 Commenti)L’anno record del caldo si chiude senza inverno. Aria primaverile, poche precipitazioni in Italia e anche nel resto del mondo il Natale non è più bianco. Niente neve vuol dire siccità in estate, ma da noi si pensa agli sciatori sprecando acqua con l’innevamento artificiale di nove piste su dieci
IL RECORD DEL 2023. Ci stiamo adattando ai cambiamenti radicali con piccoli aggiustamenti nei nostri stili di vita individuali, ma senza davvero riflettere sulla crisi in atto. Le emissioni di gas serra continuano ad aumentare e gli impatti su un pianeta che bolle si intensificano, con effetti a catena che non fanno che aumentare la velocità del cambiamento
Pista per lo sci di fondo vicino a Bayrischzell, nell’alta Baviera - Ap
Nella memoria collettiva la fredda luce di Natale ha da sempre qualcosa di speciale. Non questa volta. Il Natale 2023 lo ricorderemo per le giornate miti, le margherite nei prati e una luce calda lontana dalla bianca atmosfera natalizia. Come per la scomparsa delle lucciole, il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Tra qualche anno, la fredda luce di Natale sarà, come è stato per le lucciole, solo più un «ricordo, abbastanza straziante, del passato: e un uomo anziano che abbia un tale ricordo, non può riconoscere nei nuovi giovani se stesso giovane, e dunque non può più avere i bei rimpianti di una volta»*.
A livello globale, il 2023 è l’anno più caldo mai registrato. La dettagliatissima analisi sullo stato dei ghiacciai italiani, da poco pubblicata, ci dice che praticamente il 100% dei ghiacciai è in fase di ritiro e la stagione 2022 è stata tra le peggiori mai osservate. Se è vero che in passato, in pieno inverno, si sono osservati eventi simili, è altrettanto vero che questo Natale di “caldo anomalo” si va a sommare a una serie ormai lunghissima di fasi caratterizzate da temperature superiori alle medie. Come sempre, non è l’evento in sé ad essere importante, ma la frequenza e l’intensità con la quale si presenta. Tutto ciò non impedisce di spendere risorse pubbliche per l’innevamento artificiale o, in alcuni casi, anche per nuovi impianti di risalita. Come in un film anni ’80 che si ripete in un eterno presente, non usciamo dalla febbre da cine-panettone.
Ci stiamo adattando ai cambiamenti radicali con piccoli aggiustamenti nei nostri stili di vita individuali, con meno cappotti e più magliette, ma senza davvero riflettere sulla crisi in
Leggi tutto: La scomparsa della luce di Natale - di Filippo Barbera
Commenta (0 Commenti)Nemmeno il Natale ferma l’offensiva israeliana, rinvigorita dalla farsa della risoluzione Onu che promette aiuti sufficienti solo a un palestinese su dieci. Guterres: «Mai tanta fame come a Gaza». Betlemme cancella la festa e Netanyahu insiste: andiamo avanti
BETLEMME. Nella città della Natività circondata dall'esercito israeliano sono state annullate tutte le celebrazioni natalizie in solidarietà con Gaza sotto attacco. Previsti solo i riti religiosi
Un presepe in macerie alla Chiesa della Natività di Betlemme - foto Ap
Dal 7 ottobre Betlemme è una città prigioniera, anche in questi giorni di Natale. Per entrarvi si è costretti a passare, e non è facile, il posto di blocco dell’esercito israeliano nei pressi del villaggio di Khader, a sud di Betlemme. Si resta in coda per un bel po’, anche un’ora all’uscita. Non c’è altro modo di arrivare in auto nella città. Tutti gli altri posti di blocco sono sigillati dal giorno dell’attacco di Hamas nel sud di Israele. Per ragioni di sicurezza, afferma Israele. Per i palestinesi invece è una punizione collettiva che stanno subendo città e villaggi della Cisgiordania. Da Khader si va verso il campo profughi di Dheisheh, quindi si passa per il sobborgo di Doha, poi all’incrocio grande di Beit Jala finalmente si svolta verso Betlemme. Giunti in città si capisce subito quanto forte sia il dolore dei palestinesi per i 20mila morti di Gaza e per l’offensiva israeliana che dura da quasi 80 giorni. E che i paesi occidentali, o gran parte di essi, lasciano continuare sebbene a pagare il conto più alto in vite umane, distruzioni e sofferenze siano i civili, a cominciare da donne e bambini.
Di solito a dicembre la piazza della Mangiatoia, davanti alla Chiesa della Natività, ospita un enorme albero di Natale, gli addobbi decorano e arricchiscono negozi, locali, hotel e ristoranti. E un nutrito programma di concerti, cortei e spettacoli natalizi anticipano e seguono l’ingresso a Betlemme del Patriarca latino (cattolico) che a mezzanotte notte officia la tradizionale messa di Natale. Riti e celebrazioni che si ripetono giorni dopo per il Natale degli Ortodossi. Manca poche ore al Natale e le strade e i cortili di Betlemme sono in gran parte vuoti. Le Chiese di tutta la Palestina hanno annunciato la cancellazione delle festività in un’espressione di unità con Gaza, limitando le attività di questo periodo alle preghiere. «Quest’anno non ci sono festeggiamenti, ma solo riti religiosi ed è giusto così, perché come si fa a gioire del Natale mentre dentro di noi crescono tristezza e amarezza per l’uccisione di tanti innocenti a Gaza, di così tanti bambini», ci spiega Nabil Giacaman, proprietario di un noto negozio di souvenir nella piazza della Mangiatoia e membro di una delle famiglie cristiane più importanti di Betlemme. Davanti al suo negozio, nella piazza, passano poche persone, in buona parte poliziotti dell’Autorità Nazionale.
Di fronte, sull’edificio del Centro turistico, sventolano
Leggi tutto: Non c’è Natale in Palestina: «Siamo tutti sotto attacco» - di Michele Giorgio, BETLEMME
Commenta (0 Commenti)Sei giorni di rinvii per approvare una risoluzione che non prevede cessate il fuoco: è il topolino partorito dalla montagna Onu nel giorno in cui le inchieste di Cnn e New York Times accusano Israele di aver sganciato sulle zone «sicure» di Gaza bombe da 900 kg, per 1.600 volte
NIENTE CESSATE IL FUOCO. Il segretario generale Guterres: «Non era il testo auspicato. Il cessate il fuoco è l’unico vero mezzo per porre fine alle sofferenze. La risoluzione di oggi può aprire quella strada»
Un camion di aiuti umanitari entra a Gaza dal valico di Rafah - foto Ap/Abed Rahim Khatib
Erano le 12.07 di New York quando un’alzata di mano ha messo agli atti dell’Onu una storica risoluzione del Consiglio di Sicurezza. La mozione chiede «urgenti ed estese pause e corridoi umanitari in tutta la Striscia di Gaza, tali da permettere il pieno, rapido, sicuro e libero accesso umanitario» alle popolazioni civili.
La risoluzione chiede anche di «creare le condizioni per una cessazione sostenibile delle ostilità». L’appello alla «creazione di condizioni» piuttosto che alla cessazione delle ostilità è il sofisma che ha reso storico il voto di ieri.
SI TRATTA della prima volta dal 1972 che gli Stati uniti non pongono il veto a una mozione che critica l’operato del proprio alleato. La mozione è rivolta a tutte le parti in causa ma, dato che è sottinteso, come ha specificato il segretario generale Guterres, che la causa principale e diretta della catastrofica crisi umanitaria sono le operazioni di guerra e, ha aggiunto il delegato cinese Zhang Jun, «la punizione collettiva della popolazione civile», la richiesta può essere letta come appello diretto a Israele.
Per oltre cinquant’anni un rappresentante di Washington si è assicurato che ogni appello alla pace, alla moderazione o alla protezione dei civili, ogni richiamo al rispetto delle norme internazionali e umanitarie, fallisse la ratifica Onu col pretesto di un’inaccettabile parzialità.
Con questa logica gli Usa si sono opposti a mozioni contro gli insediamenti legali nei territori occupati, per la protezione dei civili nella repressione delle intifada, per il rispetto degli accordi su Gerusalemme est, in generale contro le violenze indiscriminate contro la popolazione palestinese e per il rispetto degli accordi multilaterali regolarmente ignorati da Israele.
In ogni occasione un ambasciatore americano all’Onu ha posto il veto che assicurava il fallimento delle risoluzioni in questione, spesso sostenute da centinaia di nazioni contro due. Tecnicamente, il record è ancora intatto: nemmeno ieri gli Stati uniti hanno votato a favore, limitandosi a un’astensione (assieme alla Russia).
Nel convoluto gioco diplomatico del Palazzo di Vetro, quella posizione ha però di fatto permesso la
Commenta (0 Commenti)Il giorno dopo aver subito il ritorno del rigore nel nuovo patto di stabilità, il governo riscopre il sovranismo per vendicarsi dell’Europa. Meloni e Salvini nascondono la sconfitta a Bruxelles facendo bocciare il Mes dalla camera. La maggioranza (come l’opposizione) si spacca, ma se ne riparlerà. Dopo le europee
Appena pochi anni fa Giorgia Meloni e gli altri «sovranisti» del suo governo ancora sbandieravano l’incondizionato abbandono dell’euro come ricetta salvifica per l’economia italiana. Oggi si trovano con le ginocchia sui ceci a firmare il nuovo patto di stabilità, una cambiale all’Europa liberista persino più insidiosa delle precedenti.
L’approvata riforma del patto sarà una tenaglia, per l’Italia e per gli altri paesi relativamente deboli dell’Unione.
In primo luogo, la proposta di sostituire le rigide regole numeriche sui conti pubblici con degli «standard» più flessibili, timidamente caldeggiata dalla Commissione, è stata sdegnosamente cestinata dal governo tedesco.
Inoltre, il nuovo patto trascura che, come riconosciuto dalle stesse autorità europee, la crisi dell’eurozona esplose per uno squilibrio non dei conti pubblici ma dei conti esteri. Squilibrio alimentato da una Germania che a colpi di ribassi del costo del lavoro inondava di esportazioni gli altri paesi.
E ancora, nemmeno un cenno è stato dedicato a un fatto ormai riconosciuto da molti ex cardinali dell’ortodossia oggi redenti: si possono imporre anche le regole più draconiane ai paesi membri, ma in ultima istanza la sostenibilità del debito dipende dalle decisioni della Bce sui tassi d’interesse.
In sostanza il nuovo accordo insiste su un duplice obiettivo, di schiacciare sia il debito pubblico che la spesa pubblica. Viene così dimenticata la lezione della grande crisi del 2008, che si propagò dall’economia americana al mondo intero a causa di un problema di spesa e di debito eccessivi da parte del settore privato, non certo del pubblico.
Lungi dal garantire la sostenibilità dei bilanci ed evitare future crisi, anche il nuovo sistema di regole sembra dunque «stupido», come Romano Prodi osò definire il patto quando era presidente della Commissione Ue.
In realtà questo famigerato aggettivo è sempre stato un po’ fuorviante. Una razionalità capitalistica queste regole ce l’hanno ed è oggi persino più evidente che in passato: si tratta di
Leggi tutto: Il diversivo e la cambiale ai posteri - di Emiliano Brancaccio
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