COP28. Intervista a Brandon wu, protagonista delle Ong a Dubai
Brandon Wu è Director of policy and campaigns di Actionaid USA. Veterano delle Cop, la sua è stata una delle figure di riferimento per movimenti e ong durante la Conferenza sul clima di Dubai.
Con che umore si prepara a rincasare?
Sono deluso. Avevamo la grande opportunità di ottenere parole forti sia sull’abbandono dei combustibili fossili, sia sul supporto alle nazioni in sviluppo. Ma non abbiamo ottenuto niente di tutto ciò. Certo, è nato il fondo loss&damage. Ma dentro ci sono centinaia di milioni quando al mondo servirebbero centinaia di miliardi. Il linguaggio sui fossili è debole, con obiettivi lontani nel tempo e molte scappatoie. Bisogna capire che questi due problemi sono interconnessi. I paesi in via di sviluppo hanno bisogno di soldi per uscire dal fossile. Senza supporto, spesso, semplicemente non possono. Non solo a questo negoziato le nazioni sviluppate non hanno messo sul piatto il necessario: hanno anche diluito gli impegni sul tema. La finanza è la chiave di questa trattativa. Lo è sempre stata.
Chi sono i cattivi nella stanza?
Gli Stati Uniti. Sono primi per emissioni storiche, hanno la massima quota di contribuzione dovuta secondo principio di equità, e sono molto indietro. Washington non ha ancora raggiunto nemmeno l’obiettivo di 3 miliardi di dollari al Green Climate Fund che si era data nel 2014. Qui a Dubai hanno guidato la carica contro l’uso di un linguaggio che suggerisse l’obbligo da parte dei paesi ricchi di contribuire alla finanza climatica. Anche il Regno Unito è problematico. L’Unione Europea fa un
La Cop28 è ufficialmente chiusa ma l’accordo di compromesso sui combustibili fossili e i fondi per la transizione e l’adattamento nel Sud globale ancora non c’è. Sul più bello, mentre si tratta a oltranza, il ministro dell’ambiente per caso Pichetto Fratin lascia la conferenza sul clima
UNA BRUTTA ARIA. Sorpresi? Il circo è (quasi) finito. Si attendono miracoli in dirittura d’arrivo e chissà se domani tireremo un bel rantolo di sollievo. I commentatori favoleggiano mille e una notte di […]
La protesta degli attivisti a Dubai - Ansa
Sorpresi? Il circo è (quasi) finito. Si attendono miracoli in dirittura d’arrivo e chissà se domani tireremo un bel rantolo di sollievo. I commentatori favoleggiano mille e una notte di trattative febbrili per inserire la parolina magica e salvare almeno la faccia (phase out), noticina a margine di un documento finale che suonerà come una pasticciata dichiarazione di intenti. L’ennesima. Se questo è l’esito della Cop28, la fuoriuscita dai fossili resta una chimera. È un fatto, non è disfattismo catastrofista: il mondo, mentre la pubblicistica «green» promette un futuro rinnovabile, non ha mai consumato tanta energia fossile come nel 2023. E siamo a otto anni dagli accordi di Parigi.
Del resto la storia recente dei trattati internazionali sul clima è piuttosto desolante e qui ce la stiamo raccontando a Dubai, dove le petromonarchie giocano in casa. Davvero c’è qualcuno in buona fede che ha creduto fosse possibile qualcosa di diverso?
Siamo andati a casa di Dracula a chiedere di tamponare l’emorragia provocata da un sistema autodistruttivo e tossico che senza tanti giri di parole dovremmo tornare a chiamare “capitalismo”, e adesso ce ne torniamo a casa scornati soppesando le tonnellate di Co2 che ci separano dal punto di non ritorno e spacciando per buone le briciole di risarcimento riservate ai paesi in via di sviluppo per compensare la
Leggi tutto: Cop28 in cerca di una eco-pezza per salvare la faccia - di Luca Fazio
Commenta (0 Commenti)PIAZZA FONTANA: 1969 - 2023. La bomba di Milano aprì il decennio più nero della Repubblica: le responsabilità di neofascisti e pezzi di Stato sono ormai storia. Bettin e Dianese a caccia dei «gelidi mostri», Tobagi punta agli intrecci della politica
Per trovare una verità sepolta dai decenni bisogna mettersi a riguardare la storia minuto per minuto. È un lavoro che richiede pazienza e poi non è affatto detto che produca risultati tangibili, perché se è vero che in guerra la prima vittima è proprio la verità, dove una guerra non è mai stata dichiarata a morire subito è quasi sempre la memoria. E purtroppo l’esattezza delle risposte dipende sempre dalla domanda da cui si decide di partire. Per esempio: il decennio che corre tra la strage di piazza Fontana, avvenuta 54 anni fa esatti , e quella della stazione di Bologna è stato un decennio di guerra? Si dirà che sono successe tante cose, che non c’è stato solo il sangue, non c’è stata solo la violenza, non ci sono state solo le bombe, le trame e le congiure. C’è stato anche il coraggioso tentativo di trasformare l’Italia in un paese civile: lo statuto dei lavoratori, l’aborto, il divorzio, l’obiezione di coscienza, la chiusura dei manicomi.
GIANFRANCO Bettin e Maurizio Dianese parlano di «verità d’insieme», forse l’unica possibile a distanza di tanto tempo dai fatti. La tigre e i gelidi mostri, da poco uscito per Feltrinelli, è un tentativo di portare un po’ di luce nelle tenebre della Repubblica: la tigre è il cambiamento che irrompe in società (e spaventa i reazionari) e il resto del titolo è un riferimento a Nietzsche, secondo il quale «Stato si chiama il più gelido dei mostri», perché in fondo il sangue delle stragi è per lo più nelle mani di uomini dello Stato, non pezzi deviati come si usa dire, ma funzionari, agenti, dirigenti, nomi noti e importanti, tendenzialmente stimati in società.
E il percorso arriva fino a oggi: la destra italiana appare distante dalle tendenze eversive del passato – anche se certi dettagli ricorrono: Meloni ha festeggiato la sua vittoria elettorale del 2022 all’hotel Parco dei Principi di Roma, dove nel 1965 andò in scena il battesimo della cosiddetta «destra rivoluzionaria» – e ha pure imparato bene a gestire la tigre, imponendo
Leggi tutto: Stragi senza giustizia, ma la verità esiste ed è tutta negli archivi - di Mario Di Vito
Commenta (0 Commenti)I funerali si svolgeranno Martedì 12 dicemcre, il corteo partirà alle 15 dalla camera morturaria verso il cimitero dell'Osservanza.
La cantante israeliana si rivolge alla comunità internazionale: “Credo in Israele accanto alla Palestina. Solo così possiamo avere speranza per il futuro”
“Credo in Israele accanto alla Palestina. Dal fiume al mare: due popoli liberi. Dal fiume al mare: pace per te e per me”. Sono parole profonde, commoventi, quelle pronunciate dalla cantante israeliana Noa, da anni impegnata sul fronte dei diritti umani, in occasione della “Marcia della pace e della fraternità” che si tiene domenica 10 dicembre ad Assisi.
“Dal 7 ottobre viviamo un incubo”, spiega l’artista: “I terroristi di Hamas, con il loro culto della morte, si sono infiltrati in Israele e hanno cominciato a stuprare, torturare, bruciare, massacrare, uccidere. Hanno compiuto brutali crimini contro l’umanità, hanno rapito 250 civili innocenti nei tunnel a Gaza, hanno lanciato bombe su civili innocenti, compresa la mia casa e la mia famiglia, che è stata tante volte nei rifugi”.
Israele è sotto attacco, dice Noa, lotta per la sua esistenza. “Ma mi sento sotto attacco – prosegue – anche dal mio governo. Come milioni di israeliani mi sento tradita da questo governo radicale, di coloni estremisti, di terroristi ebrei, di messianici pazzi, che ci faranno finire tutti all’inferno, sotto la guida di un uomo corrotto e orribile che si chiama Netanyahu”.
Noa, dunque, implora una soluzione diplomatica. “Come ha chiesto Biden, e apprezzo in questo senso la posizione degli Stati Uniti”, conclude l’artista: “Abbiamo bisogno dell’Europa, dei paesi arabi moderati, della Nato, abbiamo bisogno di chiunque possa venire a stabilizzare questa regione e iniziare immediatamente i negoziati per una soluzione di due Stati, Israele e Palestina, uno accanto all’altro. Solo così possiamo avere speranza per il futuro dei nostri figli”.
Commenta (0 Commenti)Palestinesi in fuga da una parte all’altra della Striscia verso un rifugio che non c’è. Il cibo è introvabile: il 90% della popolazione mangia meno di una volta al giorno. Dopo il veto Usa alla mozione voluta da Guterres, Israele insiste: non abbiamo limiti di tempo, durerà mesi
GIOCO AL MASSACRO. Un fermo immagine del video che mostra decine di palestinesi catturati a nord di Gaza
Un fermo immagine del video che mostra decine di palestinesi catturati a nord di Gaza
Il massacro, come uno show, deve continuare. È quello che dichiara di volere l’Amministrazione Biden che venerdì sera ha posto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu il veto ad una risoluzione disperata che chiedeva l’immediato cessate il fuoco a Gaza, proposta eccezionalmente dal segretario generale dell’Onu Guterres che ha fatto ricorso all’articolo 99, quello che denuncia «la minaccia al mantenimento della pace e alla sicurezza internazionale». Il voto dice lo smacco dell’isolamento subito stavolta dagli Stati uniti: sui 15 votanti del Consiglio di sicurezza, oltre la Russia e la Cina anche la Francia ha votato a favore e la Gran Bretagna si è astenuta. Netanyahu, che poggia le sue fortune e la leadership nel gabinetto di guerra che momentaneamente lo ha salvato dalle sue responsabilità per l’attacco di Hamas del 7 ottobre, ringrazia: finché potrà dimostrare con le stragi in corso, di avere vinto a Gaza.
Così la sua salvezza politica e il suo ruolo di potere saranno definitivi e poco importa della sorte degli ostaggi, come ha detto. Intanto attacca Guterres, lo minaccia e lo indica quasi come un affiliato ad Hamas. Ma la «colpa» di Guterres è solo quella avere detto la verità: «La popolazione di Gaza sta guardando l’abisso, la comunità internazionale deve porre fine al loro calvario» aggiungendo «la brutalità perpetrata da Hamas non potrà mai giustificare la punizione collettiva del popolo palestinese».
UNA VOCE ACCORATA la sua, il cui pregio oltre ad interpretare la drammaticità degli eventi senza doppi standard, richiama a ruolo l’autorità dell’Onu in questo buio planetario. Una autorità che il governo israeliano ha
Leggi tutto: La strage di civili a Gaza deve continuare - di Tommaso Di Francesco
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