9 dicembre - FAENZA - CESSATE IL FUOCO ! PRESIDIO per la PACE -
SECONDO ATTO. Tra i 350 abitanti morti sotto le bombe negli ultimi due giorni c'è anche lo scrittore Refaat Al Areer: è un omicidio deliberato, dicono i palestinesi. Veto Usa all’Onu: no al cessate il fuoco
Sfollati palestinesi nelle tende del campo improvvisato nella zona di Muwasi - foto Ap/Fatima Shbair
Per Ramy Abdul, docente di diritto e presidente dell’Euro-Med Human Rights Monitor, il bombardamento che due giorni fa ha ucciso a Gaza il poeta e intellettuale Refaat Al Areer non è stato casuale ma deliberato. «L’altro ieri – ha scritto Abdul su X (Twitter) – Refaat ha ricevuto una telefonata dai servizi segreti israeliani che gli dicevano di averlo localizzarlo nella scuola dove si era rifugiato. Lo hanno informato che lo avrebbero ucciso. (Refaat) È uscito dalla scuola per non mettere in pericolo gli altri, alle ore 18 è stato bombardato l’appartamento di sua sorella in cui sono rimasti uccisi lui, la sorella e i suoi quattro figli».
A Gaza credono che nei passati due mesi bombe sganciate dai jet israeliani abbiano preso di mira alcune delle espressioni più brillanti della società civile palestinese. Alla morte era scampato per miracolo qualche settimana fa Raja Sourani, storico attivista dei diritti umani. Privo di vita invece è stato estratto dalle macerie, qualche giorno fa, Sufian Tayeh, presidente dell’Università islamica e scienziato con rapporti con atenei di tutto il mondo. Ora Refaat Al Areer.
POETA, romanziere, traduttore e professore di letteratura che ha
Commenta (0 Commenti)«Le condizioni disperate di Gaza sono ormai una minaccia alla sicurezza del mondo intero». Il segretario dell’Onu Guterres apre una procedura straordinaria, mai usata nel mandato, e chiede il cessate il fuoco. Ma Israele bombarda ancora e lo attacca: la minaccia è lui
Vita agra a Huwara, al crocevia per Tel Aviv e Gerusalemme, assediata dagli insediamenti
Soldati israeliani circondando Huwara - foto Ap/Ayman Nobani
Ghassan Salman ha riaperto ieri, dopo due mesi, il suo negozio di polli e uova all’angolo di un palazzo che affaccia sullo stradone principale di Huwara, a sud di Nablus, in Cisgiordania. «Questa non è la prima volta che i coloni israeliani assaltano e distruggono il mio negozio e quelli che vedete qui intorno», ci dice mentre sistema dei barattoli su di uno scaffale.
All’interno il figlio affetta petti di pollo e segue il colloquio senza aprire bocca. «Il 7 ottobre (quando Hamas ha attaccato il sud di Israele, ndr) – ci racconta – mi sono consultato con gli altri negozianti, abbiamo deciso di chiudere prima del solito e di andare a casa, per sicurezza. Non abbiamo fatto in tempo, poco dopo le 13 sono arrivati i coloni, a decine. Sono riuscito ad allontanarmi, ma hanno spaccato la vetrina del negozio con pietre e bastoni». I commercianti lì accanto confermano. «Erano decisi a vendicarsi contro di noi per quanto era avvenuto qualche ora prima. Nessuno li ha fermati, l’esercito ha lasciato fare», aggiunge il proprietario di una rosticceria.
MENTRE PARLIAMO, dall’altra parte della strada, una pattuglia di militari israeliani nota il capannello di persone. Si avvicinano, i commercianti si allarmano. «Basta, ognuno torni al suo negozio, allontanati anche tu, subito. Qui non si scherza» ci intima Ghassan Salman. In pochi attimi torna il silenzio in tutto il villaggio, i soldati si posizionano dietro barriere di cemento armato. Lo stradone è quasi vuoto, con poche auto che transitano dopo aver passato i controlli dell’esercito. Qualche chilometro più a nord c’è Nablus, la più importante delle città palestinesi nel nord della Cisgiordania, chiusa da due mesi e circondata da reparti militari israeliani.
Commenta (0 Commenti)Washington frena i finanziamenti all’Ucraina. I repubblicani in campagna elettorale stoppano Biden, Zelensky perde di vista i miliardi per pagare soldati e famiglie. All’ultimo momento sceglie di non parlare al Congresso Usa e i suoi dicono: rischiamo di perdere la guerra
CRISI UCRAINA. Il Congresso a maggioranza repubblicana rifiuta di rifinanziare l’Ucraina, l’Ungheria di Orbán si oppone all’ingresso nell’Unione Zelensky nella sede Nato di Bruxelles - foto Ap
A volte pesa più una parola non detta che mille discorsi. Forse è a questa massima che si è ispirato il presidente ucraino Zelensky quando all’ultimo momento ha deciso di non partecipare alla riunione con il Congresso statunitense prevista per ieri. Anche se solo in via telematica, il capo di stato si sarebbe trovato di fronte a una platea molto diversa da quella che un anno fa gli aveva tributato una standing ovation interminabile.
L’annuncio palese dei deputati repubblicani di voler bloccare la votazione per il rinnovo degli aiuti economici all’Ucraina ha scatenato un caso che stavolta non è solo mediatico. «Se gli aiuti attualmente in discussione al Congresso verranno ritardati, non dico respinti, è impossibile continuare la liberazione dei territori occupati e questo creerà un grande rischio di perdere la guerra» ha detto ieri Andriy Yermak, il capo di gabinetto del presidente ucraino. Non da Kiev, non in collegamento video, ma da Washington, dove una delegazione ucraina composta dallo stesso Yermak, dal ministro della Difesa Umerov e il presidente del parlamento Stefanchuk si trova attualmente. Una missione delicatissima, coincisa con la decisione della compagine repubblicana al Congresso Usa di aprire la crisi politica sull’Ucraina.
«È UNA FOLLIA» ha replicato il presidente Biden, «il mancato sostegno all’Ucraina è contro gli interessi degli Stati uniti». Secondo gli analisti politici
Leggi tutto: Ue e Usa, Kiev sempre più sola - di Sabato Angieri
Commenta (0 Commenti)BOLOGNA. «La pace dev’essere sempre possibile ed è sempre possibile». Questo il messaggio che martedì 5 dicembre Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, ha lanciato dal capoluogo emiliano […]
Matteo Zuppi durante una sua visita a Mosca nel giugno 2023 - Epa /Ansa
«La pace dev’essere sempre possibile ed è sempre possibile». Questo il messaggio che martedì 5 dicembre Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, ha lanciato dal capoluogo emiliano durante la fiaccolata interreligiosa.
Oltre mille persone hanno sfilato da piazza San Francesco a piazza Santo Stefano, insieme ai due compagni di viaggio che Zuppi ha voluto con sé: il presidente dell’Unione delle Comunità Islamiche in Italia Yassine Lafram e il presidente della Comunità ebraica di Bologna Daniele De Paz.
Ad aprire il corteo lo slogan «Pace, Salam, Shalom» tra centinaia di fiaccole e bandiere arcobaleno. «Questa sera Bologna può produrre un effetto che ci auguriamo possa avere un’eco importante», aveva detto De Paz prima della marcia. «Esiste un’ampia parte dell’opinione pubblica maggioritaria, che ritiene che ci sia speranza per una vera pace e questo non può che passare dal riconoscimento dei diritti del popolo palestinese», il messaggio di Lafram
Commenta (0 Commenti)Lo ha stabilito il Gup di Roma. Prima udienza il 20 febbraio 2024, a otto anni dall’omicidio
Dopo esattamente 8 anni, il 20 febbraio 2024 inizierà davanti alla prima sezione della Corte d’Assise di Roma il processo ai quattro ufficiali dei servizi segreti egiziani accusati dalla giustizia italiana di aver sequestrato, torturato e ucciso Giulio Regeni tra il gennaio e il febbraio del 2016 al Cairo. Nel procedimento la Presidenza del consiglio dei ministri si costituirà parte civile e, in caso di condanna, chiederà un risarcimento di 2 milioni di euro. Per la madre del ricercatore friulano, Paola Deffendi, finalmente «è una bella giornata».
Il processo ai quattro agenti della National Security Agency cairota (il generale Tariq Sabir, i colonnelli Athar Kamal e Uhsam Helmi e il maggiore Magdi Ibrahim Abdel Sharif), accusati di sequestro di persona pluriaggravato, lesioni aggravate e concorso in omicidio aggravato, è stato disposto ieri dal Gup di Roma su richiesta del procuratore aggiunto Sergio Colaiocco. Processo che si è reso possibile dopo la sentenza della Corte costituzionale del 27 settembre scorso che ha dichiarato illegittimo l’art. 420-bis comma 3 del codice di procedura penale perché sarebbe incostituzionale non avviare un procedimento giudiziario contro persone accusate di atti di tortura (anche se l’introduzione del reato nel nostro codice è del 2017, dunque non applicabile al caso) «quando, a causa della mancata assistenza dello Stato di appartenenza dell’imputato, è impossibile avere la prova che quest’ultimo, pur consapevole del procedimento, sia stato messo a conoscenza della pendenza del processo».
«L’assenza degli imputati non ridurrà il processo ad un simulacro – ha assicurato il pm romano Colaiocco – Poter ricostruire pubblicamente in un dibattimento penale i fatti e le singole responsabilità corrisponde ad un obbligo costituzionale e sovranazionale. Un obbligo che la Procura di Roma con orgoglio ha sin dall’inizio delle indagini cercato di adempiere con piena convinzione».
Malgrado tutti i tentativi delle autorità egiziane di fermare la giustizia italiana e dopo anni di depistaggi anche sanguinosi, ormai è evidente, tra l’altro, che gli 007 egiziani sono a conoscenza della pendenza del processo. «Anche in virtù – come ha riferito l’avvocata della famiglia Regeni, Alessandra Ballerini – del recente incontro tra il ministro Antonio Tajani e Al-Sisi, durante il quale il ministro degli Esteri ha informato il presidente egiziano che si procederà in Italia contro i quattro imputati»
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"Non esistealcuna scienza, né alcun scenario, che affermi che l'eliminazione graduale dei combustibili fossili sia ciò che ci porterà a il riscaldamento globale a 1,5°”.
“Mi mostri lei la "roadmap" per un'eliminazione graduale dei combustibili fossili che consenta uno sviluppo socioeconomico sostenibile, a meno che lei non voglia riportare il mondo nelle caverne”
Sembra di leggere le parole di un negazionista climatico durante un dibattito sulla transizione energetica. Parole di qualcuno che, nonostante l’unanime consenso globale della quasi totalità della comunità scientifica di riferimento, continua a sostenere che i combustibili fossili non sono la causa del cambiamento climatico.
Invece, sono le parole del Presidente della COP28, Sultan Ahmed Al Jaber, amministratore delegato della principale compagnia emiratina di gas e petrolio ADNOC. Dichiarazioni che pongono seri dubbi rispetto alle reali volontà della presidenza e sulle ambizioni della COP28 verso un percorso di abbandono delle fonti fossili.
Non sono ancora arrivate reazioni di alto livello a queste parole.
Oggi il presidente Al Jaber ha convocato una conferenza stampa straordinaria nella quale ha affermato che lui crede e rispetta la scienza. Vedremo nei prossimi giorni che conseguenze avranno queste dichiarazioni.
Facciamo un passo indietro.
La COP, che per la complessa terminologia delle Nazioni Unite significa Conferenza delle Parti della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), si svolge quest’anno, dal 30 novembre al 12 dicembre a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti. Siamo alla ventottesima edizione, e le Parti, i Paesi, sono 198.
Molte aspettative, ma altrettante perplessità, hanno preceduto l’avvio della COP28. Soprattutto perché parlare di riduzione di emissioni in uno dei principali paesi produttori di fonti fossili solleva interrogativi legittimi sul ruolo dell’industria del petrolio e del gas nella transizione energetica. Il grande elefante nella stanza.
La COP28 è però la prima occasione ufficiale per misurare gli sforzi che i paesi hanno intrapreso per contrastare il cambiamento climatico e sostenere le sue
Leggi tutto: Cop28, il primo bilancio tra speranze e negazionismi - di Andrea Ghianda
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