ELEZIONI. Mentre il patto tra Letta e Calenda, che dà il tono a tutto lo schieramento, è di sostanza, basato, in sintesi, sull’agenda Draghi, quello tra Pd e SI-Verdi è un apparentamento tecnico, pagato a caro prezzo, soprattutto dal partito di Fratoianni, spaccato quasi a metà
L’intesa elettorale tra Pd e Sinistra italiana-Verdi non è un buon compromesso. Qualunque sia la percentuale strappata per i collegi uninominali, il problema è in primo luogo politico: mentre il patto tra Letta e Calenda, che dà il tono a tutto lo schieramento, è di sostanza, basato, in sintesi, sull’agenda Draghi, quello tra Pd e SI-Verdi è un apparentamento tecnico, pagato a caro prezzo, soprattutto dal partito di Fratoianni, spaccato quasi a metà.
Più in generale, gli attacchi quotidiani, anche ad personam, i diktat, l’arroganza con cui Calenda ha condotto le danze, ha cambiato il segno delle alleanze. Ha irriso le tematiche ambientaliste (che i Verdi di Bonelli hanno ingoiato come nulla fosse), ha relegato quelle sociali nel perimetro della solita sinistra estremista (rubando il mestiere a Berlusconi). Certo, il leader di Azione avrebbe volentieri espulso Bonelli e Fratoianni dall’alleanza e non c’è riuscito, tuttavia ha impedito che venisse firmato un testo con punti di programma. Sbilanciando così l’immagine dell’accordo.
Ma, come si dice, il difetto sta nel manico, che, in questo caso si chiama Pd. La scelta di tagliare fuori da qualsiasi incontro i 5Stelle, subito, già all’indomani della crisi di governo, ha azzoppato sul nascere la possibilità di creare un campo largo, un fronte democratico-costituzionale in grado almeno di giocare la partita contro la destra sul piano dei numeri. Al dunque, una strategia perdente per il paese, ribadita ancora ieri dal segretario del Pd («soddisfatti della scelta di Verdi-Sinistra italiana, ma il perimetro non cambia»).
A guidare l’intesa non è stato il bene generale, il senso di responsabilità, sempre rivendicato dal Nazareno, ma, al contrario, una visione corta, incentrata sull’interesse di un partito vocato a una collocazione centrista, in profonda sintonia con Azione e +Europa.
Questo esito indebolisce il fronte progressista, dà alimento all’astensione, approfondisce il solco tra i partiti e l’elettorato più giovane, ma in particolare spiana la strada all’avversario. E a sentire quel che offrono al paese Meloni, Berlusconi e Salvini (blocchi navali, flat tax, presidenzialismo e autonomia differenziata), la scelta del Pd è tanto più miope. E grave.
ELEZIONI. Anziché consegnarsi a Calenda, a Renzi, agli ex berlusconiani, bisognerebbe provare a recuperare almeno parte dell’astensione dovuta al disagio sociale
È almeno dalla campagna elettorale successiva alla prima legislatura dell’Ulivo che riceviamo appelli al voto utile.
Tra il 1996 e il 2001, l’alleanza di centrosinistra aveva aperto alla parificazione tra fascismo e antifascismo, introdotto la precarietà nei contratti di lavoro, ridotto la progressività fiscale, approvato una legislazione repressiva dell’immigrazione, trasformato il rapporto Stato-enti territoriali in senso federalista, realizzato un vasto programma di privatizzazioni, mosso guerra a uno Stato sovrano senza l’autorizzazione dell’Onu, gerarchizzato le scuole con l’autonomia scolastica, revisionato la Costituzione con un risicato voto di maggioranza.
Al di là delle effettive intenzioni dei suoi protagonisti, e al netto dei condizionamenti esterni, di fatto il governo dell’Ulivo aveva predisposto il terreno per una svolta a destra della politica italiana. Ciononostante, la comprensibile decisione di Rifondazione comunista di presentarsi da sola alle elezioni del 2001 fu vissuta come un tradimento dall’establishment politico-culturale di centrosinistra, che bersagliò il potenziale elettorato di Rifondazione con l’appello al voto utile contro il pericolo del ritorno di Berlusconi.
Da allora lo schema ha continuato a ripetersi, provocando ogni volta l’ulteriore slittamento a destra del quadro politico generale. Il culmine della stagione renziana è stato da ultimo superato con l’agenda Draghi, le cui politiche anti-sociali, anti-ambientali, anti-parlamentari e pro-guerra sembrano l’esito della negazione, a miope beneficio dei dominanti, delle emergenze che minacciano il nostro futuro: le crescenti disuguaglianze, la devastazione ecologica, la crisi democratica, l’olocausto nucleare.
Peraltro, le politiche di destra realizzate dal (sedicente) centrosinistra sempre hanno preparato il terreno alla successiva vittoria politica della destra. Meglio: di una destra ogni volta un po’ più a destra di quella precedente. A Berlusconi è succeduto Salvini; a Salvini Giorgia Meloni. A chi toccherà tra cinque anni?
Leggi tutto: A chi è utile il voto utile? Alla destra di Letta - Francesco Pallante
Commenta (0 Commenti)APPELLO. E' indispensabile ed urgente dare vita ad una coalizione d’emergenza senza preclusioni per nessuno. La diversità verrà misurata nel proporzionale, dove ciascun soggetto politico si presenterà con il proprio programma specifico, e senza dubbio in questa sede torneranno centrali le grandi questioni
Non avere cambiato la legge elettorale in tempo prima delle elezioni politiche del prossimo 25 settembre obbliga tutti a fare i conti con quella in vigore.
In ogni situazione i soggetti politici debbono fare i conti con la situazione reale, altrimenti si è destinati a gravi insuccessi.
In questa tornata elettorale, a causa della ritrovata compattezza delle forze di destra e della scomposizione dell’aggregato politico e sociale realizzato dai 5 Stelle nel 2018, massimo è il rischio che nel maggioritario il centro-destra possa fare cappotto assicurandosi gran parte dei 147 seggi della Camera e dei 74 del Senato.
L’esperienza delle elezioni in Sicilia del 2001 dove il centrosinistra perse per 61 a 0 ci insegna che è sempre possibile che un solo soggetto conquisti il 100% dei seggi nel maggioritario.
Gli effetti negativi di questa pessima legge elettorale, per di più, sono esaltati dal taglio di un terzo dei parlamentari, visto che in due anni non sono state approvate le modifiche della Costituzione ritenute indispensabili per arginare la compressione del pluralismo nella elezione del Senato.
Il 25 settembre ci sarà un voto unico per il maggioritario e per la circoscrizione proporzionale con liste bloccate. Se all’unico candidato della destra, si contrapporranno più candidati di altre forze politiche, l’esito sarà scontato.
A farne le spese sarebbe la Costituzione perché
Leggi tutto: «Una coalizione d’emergenza» per la Costituzione *** un appello da firmare
Commenta (0 Commenti) Enrico Letta e Carlo Calenda dopo l'accordo elettorale - LaPresse
Il grande trionfatore della giornata si chiama Carlo Calenda. Ha ottenuto quello che voleva: chi può essere incluso e chi espulso nei collegi uninominali, ovvero Sinistra italiana, verdi e Di Maio (ma il ministro degli esteri sarà imbarcato nel listino del Pd).
L’uomo del veto porta a casa il cospicuo bottino del 30 per cento delle candidature, e per uno che viene pesato sulla fiducia non c’è male.
Non solo. Calenda ha vinto sul piano dell’immagine, particolarmente rilevante in una campagna elettorale breve e supermediatica. Presente su tutte le prime pagine dei giornali e in tv nei programmi di ogni ordine e grado, è diventato l’uomo-bandiera di una trattativa che alla fine ha spostato l’asse politico verso le sue parole d’ordine diventando agli occhi dell’opinione pubblica, il baricentro dell’accordo con Letta.
Il Pd, stringendo con Azione, +Europa, Impegno civico-centro democratico di Di Maio e Tabacci, il patto programmatico incardinato sulla cosiddetta Agenda-Draghi, ha connotato la sua identità sterzando a destra.
Una scelta politica perseguita con una tenacia degna di miglior causa, rafforzata dalla determinazione con cui è stata sbattuta la porta in faccia a Conte e ai 5Stelle.
Nonostante tutti i sondaggi, tutte le previsioni dimostrino che senza i pentastellati contro la destra si perde.
Non è difficile capire le ragioni dell’irritazione della sinistra-ambientalista dello schieramento.
Leggi tutto: L’ascesa trionfale di Calenda - di Norma Rangeri
Commenta (0 Commenti)Quel giorno, alle 10 e 25, nella sala d'aspetto di seconda classe della stazione di Bologna, affollata di turisti e di persone in partenza o di ritorno dalle vacanze, un ordigno a tempo, contenuto in una valigia abbandonata, viene fatto esplodere causando il crollo dell'ala ovest dell'edificio. È il più grave atto terroristico avvenuto in Italia nel secondo dopoguerra: nell'attentato rimarranno uccise 85 persone, oltre 200 saranno i feriti
Agosto. Il mese delle ferie e del tutto chiuso. Il mese del ritorno dei migranti italiani verso le loro radici. Il mese delle stragi. Quella del treno Italicus del 4 agosto 1974, della stazione di Bologna del 2 agosto 1980. Alle 10 e 25 di quella calda e terribile giornata, nella sala d’aspetto di seconda classe della stazione di Bologna affollata di turisti e di persone in partenza o di ritorno dalle vacanze, un ordigno a tempo contenuto in una valigia abbandonata viene fatto esplodere causando il crollo dell’ala ovest dell’edificio.
Lo scoppio, violentissimo, provoca il crollo delle strutture sovrastanti le sale d’aspetto di prima e seconda classe dove si trovavano gli uffici dell’azienda di ristorazione Cigar e di circa 30 metri di pensilina investendo anche il treno Ancona-Chiasso, in sosta al primo binario.
È il più grave atto terroristico avvenuto in Italia nel secondo dopoguerra: nell’attentato rimarranno uccise 85 persone, oltre 200 saranno i feriti. La più piccola tra le vittime è Angela Fresu, aveva tre anni e veniva da Montespertoli, sulle colline attorno a Firenze; il più anziano è Antonio Montanari, aveva 86 anni e aspettava l’autobus sul marciapiedi davanti alla stazione.
Leggi tutto: Bologna, 2 agosto 1980: la strage - di Ilaria Romeo
VERSO IL VOTO. Siamo di fronte a una svolta storica nella vita repubblicana. Il 25 settembre le destre italiane, fascistoidi e reazionarie, grazie a una nefasta legge elettorale che non consente il voto […]
Italia Porta, un’opera di Luciano Fabro
Siamo di fronte a una svolta storica nella vita repubblicana. Il 25 settembre le destre italiane, fascistoidi e reazionarie, grazie a una nefasta legge elettorale che non consente il voto disgiunto, potrebbero vincere le elezioni e mettere sotto ipoteca la nostra democrazia costituzionale.
Dopo la tragedia della pandemia, dopo la criminale invasione russa dell’Ucraina, dopo l’aumento drammatico della povertà, dopo gli allarmi inascoltati per l’ambiente, ecco un’altra emergenza, la più importante di tutte: quella democratica.
Un’emergenza che chiama tutte le persone antifasciste, progressiste e di sinistra ad assumersi le proprie responsabilità.
Dovremmo vivere sotto un governo nero di cui farebbero le spese milioni di persone senza lavoro e senza futuro; i diritti civili sarebbero via via ridotti; i programmi scolastici rivisti in ossequio alla trinità dio-patria e famiglia; gli immigrati per ottenere la cittadinanza costretti a imparare a memoria (è nel programma leghista) i nomi e le date delle sagre padane; l’autonomia differenziata messa tra i primi provvedimenti operativi con la sanità e i servizi sociali ridotti al rango di beneficenza per i poveri; il reddito di cittadinanza cancellato perché chi non trova lavoro vuol dire che non lo merita.
Che tutto questo accadrà se vinceranno le destre mi sembra inconfutabile.
E che, secondo ogni sondaggio, le destre vinceranno a mani basse mi pare altrettanto scontato.
Una simile prospettiva potrebbe già essere sufficiente per convincersi del fatto che
Leggi tutto: È IN GIOCO LA NOSTRA DEMOCRAZIA - di Norma Rangeri
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