Governo militare, un’enorme zona cuscinetto, l’intera popolazione di Gaza schiacciata e chiusa in una tendopoli a sud in attesa dell’«emigrazione». È questo il progetto a cui sta lavorando Israele. Senza Onu, senza ong e senza amministrazione palestinese
Piano di riserva Il progetto rivelato dal Financial Times: governo militare, niente Onu, aiuti distribuiti sulla base della tabella calorica minima. La riserva palestinese, senza amministrazione autonoma locale, partirà dalla tendopoli lungo la costa. È lì che i militari stanno già ordinando ai gazawi di dirigersi. Save the Children: in una settimana, dalla rottura della tregua, 270 bambini uccisi dai raid israeliani
Palestinesi in fuga da Rafah verso Khan Younis – Getty Images/Ali Jadallah
«Combattimento, vittoria e amministrazione». Il piano israeliano per l’occupazione della Striscia di Gaza non lascia spazio alla presenza internazionale: niente Onu, niente organizzazioni umanitarie, niente Hamas e niente Autorità nazionale palestinese.
L’esercito solamente, che occupa, amministra, riceve aiuti e li distribuisce secondo le proprie regole e i propri calcoli di fabbisogno alimentare. Gli altri possono dare soldi, se vogliono, per consentire la sopravvivenza di una popolazione palestinese che non avrà possibilità di lavorare, costruire, di spostarsi. Più di due milioni di persone chiuse e schiacciate in una riserva lungo la costa mediterranea, tra l’esercito e il mare.
A TEL AVIV tutto il resto, una gigantesca zona cuscinetto da colonizzare, nell’attesa che quel che resta dei palestinesi di Gaza decida di adeguarsi al piano di «evacuazione volontaria» infiocchettato da Israele o di morire in cattività. Per costruire la «Riviera del Medio Oriente» forse sarà necessario un po’ di tempo in più rispetto ai piani del presidente Donald Trump ma è questa la condotta storica con cui Israele modifica i fatti sul campo: esercito e amministrazione.
Un’inchiesta del Financial Times ha rivelato i passaggi essenziali del progetto di cui da diverso tempo affioravano indiscrezioni. I piani, elaborati dall’esercito sotto le direttive del nuovo capo di stato maggiore Eyal Zamir, non sono ancora stati approvati dal gabinetto di sicurezza. Il quotidiano israeliano Haaretz aveva già parlato della volontà di Zamir di istituire nell’enclave un governo militare, approfittando dell’appoggio di Washington.
Per attuare il suo proposito, Tel Aviv dovrà eliminare dalla Striscia qualsiasi presenza umanitaria internazionale mentre i suoi soldati, a colpi di carri armati, bombardamenti e ordini di evacuazione, spingeranno tutta la popolazione verso la costa. Probabilmente la riserva palestinese, in cui non sarà possibile organizzare un’amministrazione autonoma locale, partirà dalla zona in cui oggi si trova la cosiddetta «area umanitaria» di Al-Mawasi, una gigantesca tendopoli per gli sfollati lungo la costa, al confine con l’Egitto.
È lì che i militari stanno ordinando ai gazawi di dirigersi. Solo Tel Aviv controllerà gli aiuti umanitari, da cui la popolazione sarà totalmente dipendente, e ne consentirà l’accesso in base al numero di calorie che riterrà più opportuno, come in effetti già accadeva prima del 7 ottobre. Ora, però, l’esercito non governerebbe solo l’ingresso degli aiuti ma anche la loro distribuzione. Al massimo, dicono le fonti, sarebbe disposto a valutare il supporto di appaltatori privati.
L’unico modo per appropriarsi totalmente di una gestione che attualmente è garantita da Nazioni unite e ong, sarebbe obbligare tutto il personale umanitario internazionale ad abbandonare la Striscia, sospendendone i permessi d’ingresso e interrompendo qualsiasi forma di collaborazione. Dichiarando, quindi, di non essere più responsabile per la loro sicurezza.
Non che in questa guerra se ne sia preoccupato più di tanto, se si pensa alle uccisioni degli operatori umanitari, ma per la maggior parte si trattava di palestinesi e dopo gli attacchi al complesso Onu di Deir al-Balah, l’Onu ha effettivamente cominciato ad andar via. Il 30% del personale straniero, che è solo una parte minima dei 13mila dipendenti nell’enclave, sarà presto evacuato. Tel Aviv ha ammesso, inoltre, la responsabilità dell’attacco agli uffici della Croce rossa internazionale a Rafah, dichiarando che si è trattato di un «errore».
INTANTO, quindici membri della protezione civile e nove paramedici della Mazzaluna rossa risultano ancora scomparsi. Erano stati inviati a Rafah per
Leggi tutto: Gaza secondo Israele: tutta la popolazione chiusa ad al-Mawasi - di Eliana Riva
Commenta (0 Commenti)Il co-autore israeliano, Yuval Avraham, denuncia l'accaduto: 'È stato anche aggredito'
Hamdan Ballal, regista di No Other Land © ANSA/AFP
Decine di coloni arrivati questa sera nei pressi del villaggio di Susya, nella Cisgiordania meridionale, hanno lanciato pietre contro auto, case e residenti che hanno risposto.
Negli scontri è rimasto ferito ed è stato successivamente arrestato dagli uomioni dell'Idf Hamdan Ballal, il regista palestinese premio Oscar per il documentario 'No other land'.
Il co-regista israeliano, Yuval Avraham, ha scritto su X che Ballal è stato aggredito.
"Un gruppo di coloni ha attaccato la casa di Hamdan, che ha diretto il film insieme con me. Lo hanno picchiato sulla testa e su tutto il corpo. Mentre era ferito e sanguinante, i soldati sono entrati nell'ambulanza che aveva chiamato e lo hanno arrestato. Da allora non si hanno più notizie e non è chiaro se stia ricevendo cure mediche e che cosa gli stia succedendo".
Avraham ha postato un video che mostra un colono mascherato che avrebbe attaccato il villaggio di Ballal. "Hanno continuato ad attaccare pure gli attivisti americani, rompendo la loro auto con pietre", ha aggiunto il regista israeliano. Secondo un testimone oculare, quattro palestinesi sono stati feriti dal lancio di pietre, la maggior parte in modo lieve. La polizia ha dichiarato che tre palestinesi sono stati arrestati, in manette anche un minorenne israeliano successivamente rilasciato a causa delle ferite riportate dopo essere stato colpito da una pietra. Il 3 marzo scorso 'No other land", che racconta le demolizioni ad opera dell'Idf nel villaggio palestinese di Masafer Yatta, in Cisgiordania, ha vinto l'Oscar come miglior documentario. All'opera hanno preso parte due registi palestinesi, Ballal e Basel Adra, entrambi residenti di Masafar Yatta, e due registi israeliani, Yuval Abraham e Rachel Szor.
Sul palco a Los Angeles, due dei quattro registi del film, un israeliano e un palestinese, hanno chiesto diritti per i palestinesi e una soluzione negoziata al conflitto. Avraham, ha parlato della distruzione di Gaza ed anche degli ostaggi israeliani, brutalmente rapiti il 7 ottobre. "C'è un percorso diverso, una soluzione politica, senza supremazia etnica, con diritti nazionali per entrambi i nostri popoli", ha detto. Diversi giorni dopo il discorso di Avraham agli Oscar, la Campagna palestinese per il boicottaggio accademico e culturale di Israele (Pacbi) ha rilasciato una dichiarazione in cui condannava il documentario per aver violato le "linee guida anti-normalizzazione" del movimento. Di diverso parere invece il capo del consiglio comunale del villaggio palestinese di Susya che ha ringraziato l'appoggio degli attivisti, anche israeliani. Il documentario, nonostante l'Oscar, non ha ancora trovato un distributore in America.
Commenta (0 Commenti)Stati uniti Alexandria Ocasio-Cortez si unisce al tour contro gli oligarchi negli stati che hanno votato repubblicano
Il 21 febbraio, un mese dopo l’insediamento di Donald Trump, il senatore Bernie Sanders ha iniziato a battere gli stati repubblicani con una serie di comizi dal nome inequivocabile: Fighting Oligarchy Tour. Prima tappa a Omaha, Nebraska, seguita da Iowa City e gli stati del nord, richiamando ogni volta migliaia di persone in luoghi che pochi mesi prima avevano votato per Trump. Non solo le grandi città, ma anche cittadine di 9.000 anime di cui 3.000 sono accorse ad ascoltare Sanders.
SALTANDO gli stati democratici della costa ovest, lo scorso fine settimana Sanders ha messo in calendario 5 comizi in 3 giorni divisi fra Nevada, Arizona e Colorado, dove l’ha raggiunto Alexandria Ocasio-Cortez, e il duo composto da un senatore 83enne e una deputata 35enne, entrambi socialisti, ha richiamato folle come non se ne vedevano dalla campagna elettorale di Obama del 2008. Solo a Denver, in Colorado, dove si è tenuto il secondo comizio di sabato, sono arrivate 36.000 persone, più o meno quante ne sono arrivate per la convention democratica di agosto, tanto per fare un paragone.
Mentre i democratici si tormentano per la perdita del voto della classe lavoratrice, e lo fanno prendendo parte a podcast e a trasmissioni tv, dove elaborano ad alta voce le strategie per recuperarlo, solo Sanders sembra aver capito cosa fare. Con la tecnica “capillare” che ha sempre impiegato – andare a parlare direttamente con le persone – , e discorsi che propongono lo stesso programma che sostiene da decenni: sanità universale, abbassamento dei prezzi dei farmaci da prescrizione, tasse per i ricchi, università statali gratuite, sindacati forti, aumento del salario minimo. Lo stesso programma abbracciato e replicato da Aoc.
Lo stesso contenuto proposto nel Fighting Oligarchy Tour. «Non permetteremo a te – ha detto Sanders dal palco di Tucson, Arizona, rivolgendosi direttamente a Trump – al tuo amico, il signor Musk, e agli altri miliardari di scatenare il caos tra le famiglie lavoratrici di questo Paese. No, non distruggerete la previdenza sociale. Non distruggerete Medicaid. Non distruggerete la Veterans Administration». Ocasio-Cortez è intervenuta per aggiungere: «Combattiamo per la nazione che meritiamo. Sapete chi sono i più grandi criminali di questo paese? I Ceo delle grandi aziende che ci derubano ogni singolo giorno».
DIFFICILMENTE si può accusare Sanders di adattare il proprio messaggio al momento storico in cui si trova è più corretto dire che ha saputo interpretare le crisi degli ultimi anni, dalla recessione a oggi. E, complice il silenzio del resto dei Dem, è più popolare che mai.
Il suo messaggio non è cambiato, ma ora colpisce più forte. Molti americani, anche fra quelli che hanno votato per Trump, stanno raggiungendo un punto di rottura: in difficoltà nell’arrivare a fine mese, si chiedono quanto potrebbero diventare ancora più dure le cose se dovesse arrivare una nuova recessione. Allo stesso tempo vedono il presidente sfidare la Costituzione e devastare parti del governo federale che sono sempre sembrate importanti e inamovibili, e temono che, prima o poi, verranno intaccati quel poco di sanità pubblica rappresentata da Medicaid, o le scuole pubbliche e la previdenza sociale, mentre se ne va anche la libertà di parola. «Non accetteremo che l’uomo più ricco del mondo scorrazzi per Washington – ha detto Sanders alla folla di 11.000 persone a Greeley , Colorado – tagliando indiscriminatamente e quasi distruggendo il dipartimento dell’Istruzione, tutto questo per poter dare quasi mille miliardi di dollari in sgravi fiscali all’un per cento di popolazione più ricca».
A LAS VEGAS, Nevada, Aoc non ha attaccato solo i miliardari e il Gop: «Non si tratta solo dei repubblicani. Abbiamo bisogno di un partito democratico che combatta più duramente per noi». Presentata da Sanders per nome, cosa che non aveva mai fatto prima, Ocasio-Cortez ha usato la sua esperienza come cameriera per spiegare le sue idee politiche alla folla: «Non credo nell’assistenza sanitaria, nel lavoro e nella dignità umana perché sono marxista, ci credo perché ero una cameriera. Perché ho lavorato doppi turni per pagare le bollette della luce, e perché nei miei giorni peggiori so cosa si prova a sentirsi abbandonati. E so che non dobbiamo vivere così».
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Rafah sotto assedio totale, per le strade è una mattanza. Bombe israeliane sugli ospedali e sulla Croce rossa, due giornalisti ammazzati, Onu costretta a ridurre le attività umanitarie. Arrestato il regista di “No other land”. I palestinesi uccisi a Gaza in 18 mesi superano i 50mila
Infinito presente Tra le vittime dal 7 ottobre, 18mila bambini. L’area di Tal al-Sultan sotto assedio totale, non si hanno più notizie di civili e soccorritori. In poche ore i raid israeliani uccidono due reporter palestinesi: uno colpito a casa, l’altro in auto. Bombardato l’ospedale Nasser per eliminare un funzionario di Hamas: fuori uso
Palestinesi senza vita all'ospedale Al-Ahli di Gaza City – Omar Ashtawy/Apa
La Striscia di Gaza è un cimitero che accoglie 50mila morti almeno. I numeri aggiornati sulle vittime dell’attacco israeliano dal 7 ottobre 2023 sono impossibili da concepire. Almeno 18mila bambini ammazzati, più di 113mila feriti. E i dati non tengono conto delle migliaia di dispersi. Eppure, la comunità internazionale assiste totalmente impotente agli attacchi israeliani.
IN UNA SCIOCCANTE dichiarazione rilasciata dal portavoce delle Nazioni unite, l’agenzia ha fatto sapere che ridurrà il numero del personale e le operazioni nella Striscia. La decisione arriva in seguito all’uccisione di cinque membri dello staff Onu da parte di Israele dall’inizio del nuovo attacco, una settimana fa.
«Il segretario generale Antonio Guterres ha preso la difficile decisione di ridurre la presenza dell’organizzazione a Gaza – si legge nel comunicato – nonostante i bisogni umanitari aumentino e la nostra preoccupazione per la protezione dei civili si intensifichi».
È una dichiarazione di resa dinanzi ai crimini di Tel Aviv, i cui attacchi ottengono il doppio risultato (sperato se non dichiarato) di limitare la fastidiosa presenza internazionale e liberarsi di testimoni scomodi. La notizia del ridimensionamento arriva proprio quando l’Unrwa, l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, fa sapere che altre 124mila persone sono state sfollate a Gaza negli ultimi giorni.
IERI ANCHE l’edificio della Croce rossa internazionale a Rafah è stato colpito da una bomba. Un video mostra il fumo e la polvere che si alzano dopo l’impatto, avvolgendo la bandiera dell’ente umanitario. Il comitato internazionale ha comunicato che l’ufficio era stato «chiaramente contrassegnato e notificato a tutte le parti». Lo stato ebraico ha attaccato ancora un ospedale, il Nasser di Khan Younis. Domenica sera i militari hanno colpito il reparto di chirurgia con l’intento di uccidere Ismail Barhoum.
Membro di spicco del comitato politico di Hamas, Barhoum era ritenuto da Israele il «nuovo primo ministro» del movimento. Nel bombardamento ha perso la vita un ragazzo di 17 anni che avrebbe dovuto lasciare ieri l’ospedale. Nei mesi scorsi la struttura era stata ripetutamente attaccata. Un anno fa, ad aprile, dopo il ritiro dei soldati, nei pressi dell’ospedale venne scoperta una fossa comune con più di trecento cadaveri.
Le persone che sono riuscite a uscire dalla zona di Tal al-Sultan, a Rafah, hanno raccontato con orrore l’avanzata dei carri armati e l’assedio dei militari. L’esercito ha ordinato di abbandonare l’area e dirigersi a piedi verso al-Mawasi, la tendopoli per sfollati in cui continua orribilmente a crescere il numero di profughi. Ma non tutti sono riusciti ad andar via. In migliaia sono rimasti intrappolati, circondati e sotto i bombardamenti.
Non si hanno notizie della loro sorte da ieri, quando le comunicazioni sono state interrotte in tutto il quartiere. Si sa solo che centinaia di famiglie sono bloccate, senza assistenza medica, cibo, né acqua. Alle squadre di emergenza non è permesso raggiungere la zona e i feriti muoiono dissanguati, colpiti nel mucchio dall’artiglieria israeliana che spara a chiunque si muova. Una vera e propria mattanza che avviene al buio: l’intera area è assediata dalle truppe israeliane.
SI SONO PERSE le tracce dei paramedici della Mezzaluna rossa palestinese e degli operatori della protezione civile che sono stati inviati in soccorso. Le organizzazioni hanno dichiarato di non avere più contatti e che Israele si rifiuta di dare informazioni nonostante fosse stato avvisato dell’arrivo dei soccorsi.
Gli aiuti umanitari sono bloccati da inizio mese e manca ormai ogni sorta di bene essenziale, dalla farina al carburante fino alle medicine. Ciò che si può comprare ha raggiunto prezzi esorbitanti e le agenzie umanitarie sono costrette a chiudere i punti di distribuzione cibo. L’acqua scarseggia oppure è contaminata, i malati non possono più curarsi.
Le operazioni di recupero dei corpi sotto le macerie, che erano cominciate durante il cessate il fuoco, si sono nuovamente interrotte. Le ambulanze funzionanti sono poche e spesso non hanno la possibilità di raggiungere i feriti, che muoiono per le strade, con i cadaveri che diventano cibo per cani randagi.
Ieri, a poche ore di distanza, sono stati uccisi due giornalisti. Mohammad Mansour, del canale Palestine Today, è stato colpito mentre si
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