Centrosinistra Dopo la mozione annunciata dai 5 Stelle, arrivano quelle di Avs e Azione. Il Pd: «Valuteremo». Segnali d’intesa tra pentastellati e rossoverdi. In mezzo c’è anche il corteo del 5 aprile
Il riarmo potrebbe agitare le opposizioni. Dopo la scelta da parte del Movimento 5 Stelle di presentare una sua mozione sul tema, ieri sono state annunciate iniziative anche da Alleanza Verdi Sinistra e Azione. Non è difficile immaginare che il testo presentato da Carlo Calenda confligge con quelli pensati da pentastellati e rossoverdi, che hanno intenzione di ribadire le posizioni contro il piano von der Leyen.
La mozione presentata dal Movimento 5 Stelle chiede che il governo si impegni «a non proseguire nel sostegno del piano di riarmo europeo ‘ReArm Europe/Readiness 2030’». Piuttosto, si tratta di pensare piano di rilancio della spesa sanitaria, di sostegno alle filiere produttive e industriali, di incentivi all’occupazione, istruzione, investimenti green e beni pubblici europei, «per rendere l’economia dell’Unione più equa, competitiva, sicura e sostenibile». Avs manda segnali di approvazione: «Accogliamo positivamente la mozione del Movimento 5 Stelle sul piano di riarmo di Ursula von der Leyen. Anche noi come Avs depositeremo un nostro testo – dicono – Aumentare le spese nazionali in Europa di 800 miliardi per armamenti è una follia. Mentre l’Europa scivola nell’economia di guerra vogliamo che il Parlamento italiano, a partire dalle forze di maggioranza e dal governo Meloni, affronti in modo pubblico e trasparente questo passaggio».
In tutto ciò, si tratta di capire cosa farà il Partito democratico. «Abbiamo votato compatti la nostra risoluzione e quella è la posizione del Pd»spiega Peppe Provenzano, responsabile esteri dem. Ma, appunto, quella scelta venne dopo la rottura al parlamento europeo e fu frutto di una mediazione complessa nel partito. «Noi abbiamo la nostra posizione e voteremo quella» aggiunge Provenzano, anche per scacciare lo spettro della divisione sui documenti degli altri partiti. Che, assicura, verranno valutati caso per caso. Non è escluso pensare che qualcuno della minoranza voglia dare un segnale appoggiando la risoluzione dei calendiani. O che, dall’altra parte, i testi di Avs e M5S contengano elementi di attrazione per altri parlamentari. Saranno le conferenze dei capigruppo a decidere la tempistica, che rappresenta una variabile di cui tenere conto (di mezzo c’è la piazza chiamata da Conte per il 5 aprile, solo per dirne una).
Ieri, intanto, sono andati in scena a Montecitorio alcuni colloqui tra i leader da cui trapelano gli assetti tra le forze politiche. Nel cortile interno, durante la seduta sulla sfiducia a Carlo Nordio, si sono confrontati a lungo Elly Schlein, Angelo Bonelli, Nicola Fratoianni e Riccardo Magi. Avrebbero parlato anche della necessità di un salto di qualità, di fare apparire le forze di alternative alla destra più coese e portatrici di un disegno organico di governo. All’altro angolo del patio hanno discusso Paola Taverna, responsabile enti locali dei 5 Stelle e Igor Taruffi, che nella segreteria dem ha la delega all’organizzazione.
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Macron e Zelensky anticipano il vertice dei «volenterosi» di oggi a Parigi. Nessuna trattativa: «Mosca firmi la tregua senza condizioni». Per Francia, Germania e Uk l’unica via è quella delle armi. L’Italia dice no all’invio di truppe, ma vuole l’Ucraina nell’autodifesa Nato
La peggior difesa Nell’incontro di oggi la «coalizione dei volenterosi» discuterà dell’invio di un contingente di pace in Ucraina e di Difesa comune
Parigi, Emmanuel Macron riceve all’Eliseo Volodymyr Zelenskyy – foto Ap
I tamburi della guardia d’onore scandiscono il passo svelto di Zelensky che attraversa il cortile dell’Eliseo. Ad attenderlo, con il sorriso soddisfatto del padrone di casa, il presidente francese Macron che evita la stretta di mano istituzionale per cingere l’omologo ucraino in un abbraccio caloroso, da vecchio amico. Foto di rito, mano sul cuore per ringraziare la stampa e via alla preparazione della nuova riunione della «coalizione dei volenterosi» per Kiev.
IL PRIMO MONITO è per la Russia: «Mosca accetti la tregua di 30 giorni concordata a Riad senza precondizioni». E sarebbe già sufficiente per capire cosa dobbiamo aspettarci dall’incontro di oggi. Parigi tenta di accelerare per il progetto di un esercito comune europeo, che deve essere «credibile», e vuole che l’Ucraina sia il perno intorno al quale la nuova alleanza si cementi. Sulla stessa linea, segno evidente di un concerto pre-summit, Berlino e Londra.
«Non dobbiamo lasciarci ingannare dal presidente russo – ha dichiarato la ministra degli esteri tedesca Annalena Baerbock – Non può esistere un dialogo in cui il cessate il fuoco è costantemente legato a concessioni e nuove richieste, Mosca accetti un’interruzione delle ostilità completa senza condizioni aggiuntive e a ponga fine ai suoi brutali attacchi contro la popolazione ucraina». Ancora più aggressivo il premier britannico Starmer, per il quale qualsiasi accordo di pace in Ucraina deve prevedere che «la Russia sia chiamata a rispondere per le riprovevoli azioni» commesse durante i tre anni di conflitto. Non c’è dunque da illudersi sui temi che saranno oggi sul tavolo. La troika franco-britannica-tedesca vuole che tutti i presenti sposino la linea dell’intransigenza e che si risolvano ad armarsi contro il nemico comune in quanto, come ha spiegato Macron, «non verranno dettate condizioni sulla pace definitiva perché ne va della sicurezza dell’Ucraina e dell’Europa». L’Eliseo ritiene che oggi arriveranno a Parigi i rappresentanti di 31 Paesi tra UE e Nato e l’idea è quella di impegnare effettivamente i partecipanti al «perseguimento e al rafforzamento del sostegno militare e finanziario all’Ucraina».
«SIAMO al lavoro per ridisegnare la sicurezza in Europa» ha sentenziato Zelensky, che
Commenta (0 Commenti)Ieri sera, il Consiglio Comunale di Faenza ha approvato all'unanimità la delibera che sancisce il via libera al Progetto di Fattibilità Tecnico-Economica per le opere di regimazione idraulica.- Il progetto prevede la realizzazione di un'area di regimazione idraulica a protezione del quartiere Borgo dalle esondazioni del torrente Marzeno tra via San Martino e via Cimatti.
L'intervento, del costo di 7 milioni di euro, riguarda l'area a destra del fiume Lamone, nei pressi di via Cimatti, ed è finalizzato a ridurre il rischio di esondazione del torrente Marzeno, dopo le alluvioni del 2023 e 2024. Il progetto, elaborato dallo studio Enser grazie al lavoro dei tecnici dell'Unione e dell'Università di Bologna, prevede diverse opere:
* la costruzione di un nuovo argine parallelo a via Cimatti,
* il rinforzo dell'argine esistente del fiume Lamone,
* la realizzazione di una pista a monte del nuovo argine,
* un sistema di drenaggio delle acque e un punto di raccolta finale delle acque stesse. Quest'ultimo sistema verrà dotato di un pozzetto verticale con sistema di pompe, che garantirà lo svuotamento controllato dell'area in caso di allagamenti.
Il volume massimo contenibile sarà di 398.000 metri cubi.
Non è stato facile, ma ce l'abbiamo fatta.
- Nel pieno dell'emergenza alluvionale abbiamo scelto di agire subito, senza attendere, anche sostituendoci ad altri enti per superare l'immobilismo e la burocrazia. Abbiamo rimesso al centro il tema della riduzione del rischio idrogeologico, adottando scelte coraggiose e anticipando fondi senza la certezza del rimborso.
Questa 'disobbedienza civile' non ha mai significato eludere la legalità, ma assumersi responsabilità che altri evitavano.
È stato possibile grazie all'enorme impegno di tutta la giunta, in particolare del Vicesindaco Andrea Fabbri che ha coordinato gran parte del lavoro, e del personale dell'Unione, che ringrazio di cuore per il lavoro instancabile, spesso sotto pressione.
Il risultato, nato da un'idea condivisa con i comitati e presentata alla struttura commissariale più di un anno fa, è oggi concreto: un progetto strategico per il torrente Marzeno, l'unico esecutivo in grado di ridurre il rischio di allagamenti in via Cimatti. Siamo consapevoli dell'importanza di quest'opera, ma allo stesso tempo sappiamo che si tratta solo di un primo passo rispetto alla complessità del rischio idraulico.
Se da un lato c'è l'orgoglio di essere riusciti a compiere questo primo passo in tempi brevi, dall'altro cresce la frustrazione per le opere che gli enti superiori devono ancora realizzare e che chiederemo con ancora più determinazione e caparbietà.
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Una commessa da oltre 250mila euro per centinaia di componenti di metallo, “impacchettati” in un carico da 14 tonnellate. Destinazione: Israele. Sulla carta figuravano come “manovelle, lamiere, bracci, cilindri”. Pezzi prodotti in piena regola in Italia, ma che una volta assemblati sarebbero serviti a fabbricare armamenti.
Al porto di Ravenna se ne sono accorti poco prima che quei container, passati fino a quel momento inosservati, prendessero il mare alla volta del Medio Oriente, dove ad attenderli c’era il committente. Basta “googlare” il nome per capire quale sia il core business della Imi System ltd: armi.
E’ stato sequestrato tutto. Perché - scontato dirlo - per certe esportazioni sono necessarie speciali autorizzazioni. E ora a rischiare è il legale rappresentante dell’azienda fornitrice. Si tratta di un 57enne di Lecco, amministratore unico di una società che si occupa di stampaggio a caldo e fucinatura di metalli.
E’ indagato per avere violato la legge che regolamenta il commercio e - in questo caso - l’esportazione di materiale bellico.
L’articolo integrale sul Corriere Romagna, in edicola oppure acquistabile online nell’edicola digitale
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Il caso La denuncia della Cgil e del Caaf ha fatto cambiare idea al ministero dell'Economia che ha ammesso l'esistenza di un pasticcio sulle tasse dei lavoratori dipendenti e dei pensionati. Le nuove aliquote dell'Irpef saranno applicate anche per gli acconti. Senza una modifica si rischia di pagare fino a 260 euro in più per somme non dovute
Il ministro dell'economia Giancarlo Giorgetti – LaPresse
Marcia indietro del governo dopo che la Cgil e il Caaf hanno denunciato un altro pasticcio sull’Irpef con il quale lo Stato avrebbe preso più del dovuto dai redditi dei lavoratori dipendenti che hanno i salari più bassi d’Europa, fermi al 2008 come ha mostrato l’Ilo.
È accaduto ieri quando Alberto Gusmeroli, responsabile Fisco della Lega, e il ministero dell’Economia guidato dal collega di partito Giancarlo Giorgetti, hanno annunciato un intervento, quantificato in 250 milioni di euro, che rimedierà a uno dei problemi creati dalla riforma fiscale a tappe che il governo Meloni sta cercando faticosamente di impostare.
Il segretario confederale della Cgil Christian Ferrari e la presidentessa del Consorzio nazionale Caaf della Cgil Monica Inviglia hanno dimostrato che i contribuenti sarebbero stati chiamati a pagare da 75 euro a 260 euro in più nella prossima dichiarazione dei redditi. I contribuenti che pagano l’Irpef – ma non quelli che hanno una rendita da capitale o che affittano un immobile – avrebbero dovuto versare gli acconti 2025 e 2026 in base agli scaglioni e alle aliquote precedenti l’ultima riforma, cioè 23%, 25%, 35% e 43%, Queste aliquote non sono più in vigore, perché ridotte da quattro a tre. Parliamo di redditi compresi tra i 15 mila e i 28 mila euro.
Il ministero dell’Economia ha spiegato ieri che intendeva «sterilizzare» gli effetti delle modifiche all’Irpef solo in relazioni agli acconti dovuti da chi ha un reddito ulteriori rispetto a chi ha una ritenuta d’acconto. L’intenzione non era di intervenire sulla maggioranza dei lavoratori dipendenti e dei pensionati che, in mancanza dei altri redditi, non sono tenuti alla presentazione della dichiarazione dei redditi. L’intervento riparatore sarà realizzato nei tempi opportuni al fine di evitare «aggravi». «Siamo soddisfatti per avere difeso le persone che rappresentiamo – hanno risposto Ferrari e Inviglia che hanno scritto a Giorgetti chiedendo di abrogare la norma – Se alle parole seguiranno i fatti, i salari e le pensioni di milioni di cittadini già colpiti dall’inflazione, non subiranno ulteriori riduzioni».
Diverse sono le interpretazioni dell’episodio. Da un lato, c’è Gusmeroli che ha parlato di un «refuso determinato dal mancato coordinamento tra vecchie e nuove norme». Di questi tempi non è facile ammettere un errore. Dall’altro lato, nella ricostruzione di Ferrari e da Inviglia, il governo è sembrato volere fare cassa con anticipi non dovuti.
Il problema è anche più generale e riguarda l’uso politico dell’Irpef. Su questa tassa è basato il taglio del cuneo fiscale. La misura-faro del governo Meloni è finanziata in gran parte con l’extragettito Irpef da 17 miliardi versato dai dipendenti e pensionati. Più volte la Cgil ha denunciato una «partita di giro»: da un lato, si tagliano le tasse; dall’altro lato, si usano i soldi degli stessi lavoratori che dovrebbero beneficiare degli effetti del taglio. Inoltre, a parere della Cgil, il passaggio dalla decontribuzione alla fiscalizzazione sul quale è stato organizzato da quest’anno il taglio del cuneo fiscale penalizza i redditi tra gli 8.500 e i 9 mila l’anno lordi con una perdita fino a 1200 euro all’anno. E la detrazione fissa per i redditi fino a 32 mila euro e quella variabile fino ai 40 mila penalizza chi ha meno.
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