Accedi Registrati

Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *

STRAGE SUL LAVORO. Iniziativa della Uil a Roma. Bombardieri: il governo fa solo propaganda. L'11 aprile sciopero con la Cgil
 Il flash mob della Uil a piazza del Popolo a Roma con mille bare per ricordare i morti sul lavoro nel 2023 - Foto Ansa

Le bare sono di cartone, ma il colpo d’occhio è impressionante: piazza del Popolo a Roma coperta dalle 1.040 vittime sul lavoro del 2023. A quattro anni di distanza, ricordano quelle del Covid. Con la differenza che la striscia di sangue nei cantieri e nelle fabbriche va avanti ininterrottamente da decenni e non accenna ad arrestarsi.

La Uil ha così proseguito la sua campagna itinerante «Zero morti sul lavoro» partita l’anno scorso e che ha già fregiato Roma di un murale all’ex Fiera.

Se sui numeri l’Osservatorio di Bologna di Carlo Soricelli avrebbe qualcosa da ridire – da decenni contesta quelli dell’Inail che conteggia solo i lavoratori con contratto e per il 2023 sostiene che in realtà i morti siano in realtà 1.460, ben 420 in più – sulla sostanza non si discute.

«È UN BOLLETTINO DI GUERRA inaccettabile – attacca subito dal palco il segretario della Uil Pierpaolo Bombardiri – . Oggi vogliamo richiamare le coscienze di tutti, l’attenzione dell’opinione pubblica e dei media per un dramma che colpisce tante famiglie. Abbiamo bisogno di sensibilizzare le coscienze, di non dimenticare, di costringere la politica e il governo a fare cose subito». «Vogliamo richiamare l’attenzione di tutti su queste vite che abbiamo perso, vite di persone che andavano a lavorare, di chi cercava di portare lo stipendio a casa per mantenere una famiglia. Lo abbiamo fatto volutamente nella giornata della festa della papà, sono tanti papà e tante mamme che non sono tornati a casa perché andavano a lavorare. Dobbiamo considerare la perdita di una sola vita umana inaccettabile. Non possiamo perdere tempo nelle discussioni, nella propaganda», conclude accusando il governo Meloni.

«Non servono palliativi, non serve dirci che c’è un parziale accoglimento delle cose che abbiamo chiesto se poi tutto viene rinviato. Se la vita umana vale 20 punti noi non l’accettiamo. Bisogna fermare le aziende che non applicano le norme sulla sicurezza, inserire l’omicidio sul lavoro e spiegare che il profitto non vale la vita umana. La politica e il Governo non lo stanno facendo”.
Bombardieri ha letto alcuni nomi di quelle persone la cui vita è stata spezzata dal mancato rispetto delle regole sulla sicurezza; lo scrittore Stefano Massini ha letto un testo.

LA MOBILITAZIONE VA AVANTI e c’è una data prescelta: giovedì 11 aprile lo sciopero già preparato dagli edili della Fillea Cgil e Feneal Uil si allargherà a tutte le categorie, sebbene la decisione su quante ore di sciopero fare non è ancora stata presa.

«Abbiamo indetto insieme alla Cgil un percorso di mobilitazione in linea con le piattaforme che abbiamo presentato da tanto tempo sulla sicurezza sul lavoro», spiega ai giornalisti Bombardieri rilanciando l’appuntamento di venerdì 22 marzo alla Leopolda a Firenze dove si riuniranno tutti i delegati di Cgil e Uil. «Abbiamo la necessità di incontrarci con i nostri rappresentanti per la sicurezza e di rifare il punto, vedere rispetto alle piattaforme cos’è successo e rilanciare iniziative di mobilitazione e di sciopero. Non vogliamo arrenderci sulla sicurezza: ce lo chiedono i nostri lavoratori, le famiglie che hanno perso i propri cari», conclude il leader Uil

 
Commenta (0 Commenti)

POLITICA. Duello a distanza sul ddl Casellati. Ma i tempi delle riforme si allungano. La segretaria del Pd: «No netto, forte e motivato». La premier sposta le lancette al 2028

 La segretaria del Pd Elly Schlein durante la conferenza stampa sulla riforma costituzionale del premierato - foto LaPresse

Il Pd ha voluto solennizzare la propria contrarietà al ddl Casellati sul premierato, chiamando ad esprimersi la sua segretaria Elly Schlein, in una conferenza stampa in cui sono state studiate le parole per esprimere l’opposizione a questa riforma, parole che vanno esaminate perché possono dare indicazioni interessanti per il prosieguo del confronto. La contrarietà del Pd, ha detto la segretaria, è «netta, forte e motivata».

«NETTA» SIGNIFICA che una mediazione sull’elezione diretta, non è possibile, concetto ribadito dal capogruppo in Commissione Affari costituzionali Andrea Giorgis, sia nella conferenza stampa che durante la seduta della Commissione; qui sono stati, tra l’altro, esaminati – e bocciati – gli emendamenti che proponevano l’alternativa all’elezione diretta, il modello tedesco. La contrarietà «forte» si traduce in una opposizione dura, a livello parlamentare, che in pratica significa un ostruzionismo senza sconti, in Commissione, ribadito anche ieri, nonostante una nuova richiesta in senso diverso da parte del presidente della Commissione Affari costituzionali, Alberto Balboni. Infine c’è l’aggettivo «motivata» per definire la contrarietà del Pd al ddl ed è quello a cui i senatori dem tengono di più ma che li fa anche arrabbiare di più. Infatti Giorgis e il presidente del gruppo Francesco Boccia si sono lamentati del fatto che alle argomentazioni contro l’elezione diretta e a favore di modelli alternativi, i senatori della maggioranza hanno risposto con il silenzio.

L’elezione diretta, ha affermato Schlein, «è una riforma furba, perché con essa Meloni dice ai cittadini “decidi tu” ma in realtà essa è un “decido io per cinque anni”». In particolare il fatto che «il parlamento sia eletto a trascinamento del premier eletto, mette nelle disposizioni del premier lo stesso parlamento e anche il presidente della repubblica, visto che il premier lo potrebbe eleggere da solo con la propria maggioranza». Insomma nessun peso e contrappeso come invece il semipresidenzialismo alla francese prevede, separando l’elezione del presidente della Repubblica da quelle del parlamento.

In effetti anche ieri, questa obiezione ripetuta in Commissione da Giorgis e da Dario Parrini, non ha ricevuto contro-argomentazioni da parte dei senatori della maggioranza.

MA LA CONTRARIETÀ «motivata» ha anche un altro scopo, illustrato da Schlein, quello di coinvolgere in questa opposizione anche i settori della società. Vuol dire che ci si appresta a una battaglia referendaria. Di referendum ha parlato – ancora una volta – anche Giorgia Meloni, che ieri mattina ha difeso la riforma: «Decideranno i cittadini» ha detto. Ma su questo passaggio la cosa più interessante è la data che la premier ha indicato per il futuro referendum: il 2028, vale a dire oltre la fine di questa legislatura, la cui scadenza naturale è infatti il settembre 2027. Questo rimette in discussione il cammino delle riforme che ci si era immaginato, non solo il premierato ma anche l’Autonomia differenziata. Si pensava, infatti che oltre ad un primo sì in Commissione al premierato prima delle europee, Meloni puntasse anche all’approvazione da parte dell’Aula del Senato entro la pausa estiva di agosto, e l’approvazione definitiva (con la doppia lettura conforme delle due Camere) nel 2025, con referendum nel 2026.

A QUESTO PUNTO non appaiono tattica le parole del presidente della Commissione Balboni che sia ieri che giovedì scorso aveva assicurato che la maggioranza non aveva l’obiettivo di portare il testo in Aula prima delle elezioni europee. Ma a questo punto occorre capire i motivi del rallentamento, che porta a una analoga frenata anche dell’Autonomia differenziata. Le due riforme, infatti, nei patti Fdi-Lega, devono procedere parallelamente: simul stabunt, simul cadent

Commenta (0 Commenti)

VERSO IL CONSIGLIO UE. La premier in Senato strapazza Salvini (assente in aula) senza smentirlo apertamente: «Voto farsa nei territori occupati». Il riarmo è la stella polare, a farne le spese saranno il welfare e il Green Deal

Comunicazioni in senato della premier Giorgia Meloni sul prossimo Consiglio europeo Comunicazioni in senato della premier Giorgia Meloni sul prossimo Consiglio europeo - LaPresse

Il modello della premier è sempre uguale: diplomatica e ragionevole nella relazione informativa iniziale, rissosa e irridente nella replica. Nell’informativa al Senato in vista del prossimo Consiglio europeo non si smentisce.

Nella replica la premier se la prende soprattutto con Giuseppe Conte. Distribuisce sganassoni un po’ su tutto ma in particolare sul chiedere la trattativa con la Russia senza dire su cosa trattare. Salvo il consiglio a Zelensky di smettere la divisa per adottare abiti civili, ovvio per chi «confondeva il governo con la pochette». Non è solo teatro. È una strada per dire forte e chiaro quel che la premier pensa: «Chiedere di trattare lasciando alla Russia i territori che ha occupato significa chiedere la resa e chi dice che le armi inviate sono state inutili dimentica che Putin pensava a una guerra lampo invece combatte da due anni e l’idea di occupare Kiev è ormai fuori dai radar».

In un caso però la premier se la prende anche con il Pd, rispondendo a chi aveva bersagliato le divisioni nella maggioranza: «Noi abbiamo sempre votato tutti allo stesso modo. I problemi ce li avete voi e non parlo dei 5S ma del Pd che sull’invio delle armi si è astenuto».

Sono passati due anni dall’inizio della guerra. Gli obiettivi sbandierati allora sono stati mancati. Quanto sia difficile oggi la situazione dell’Ucraina si incarica di illustrarlo nel drammatico dettaglio Calenda, di ritorno da Kiev. Eppure per il governo italiano sembra non sia cambiato niente. Avanti senza alternative alla guerra sino all’ultimo ucraino. Meloni lo dice, in tono meno comiziante, anche nella relazione iniziale. Non tanto perché ribadisce il pieno sostegno a Kiev o difende l’accordo di «cooperazione a 360 gradi con l’Ucraina». Quello era scontato. Ma perché non esita a chiedersi «come si può trattare con la Russia, che non ha mai rispettato nessun impegno?».

Armi e guerra, dunque, però non soldati: «Non siamo favorevoli alla proposta di invio di truppe europee, foriera di una escalation pericolosa, da evitarsi a ogni costo». Parole sante, ribadite in commissione con altrettanta drasticità dai ministri Tajani e Crosetto.

Ma se la guerra mondiale va evitata, e per fortuna, trattare con Putin non si può, quale sia la terza via resta un mistero. In tutta evidenza non lo sa neppure la presidente. In compenso è magistrale nello strapazzare Salvini (assente in aula) senza smentirlo apertamente. Definisce le elezioni «farsa» ma parla di quelle in Ucraina, nelle zone occupate, su quelle in Russia glissa oppure, di nuovo, attacca in modo obliquo ricordando «il sacrificio per la libertà» di Navalny che «non sarà dimenticato». Per amore o per forza la maggioranza deve essere coesa.

Su Gaza la posizione a prima vista è più equilibrata. Il legame con Israele, come ripete anche Tajani, è fuori discussione. «Non possiamo dimenticare che a iniziare la guerra è stata Hamas e lo ribadisco perché la reticenza tradisce un antisemitismo dilagante», dice Meloni.

Subito dopo però critica la «reazione sproporzionata», si dichiara esplicitamente ostile all’attacco contro Rafah, si felicita per il ricambio al vertice dell’Anp. Sottolinea la necessità dell’unica soluzione possibile, due popoli due Stati. Ma di cessate il fuoco non se ne parla proprio e soprattutto per ora non si parla nemmeno di riprendere gli aiuti economici all’Unrwa. Tajani al momento esclude: «Aspettiamo la fine dell’inchiesta, poi decideremo».

Su due punti strategici la premier è sin troppo chiara. Il riarmo è la stella polare: «La Nato deve avere due colonne di pari peso, gli Usa e la Ue. La libertà ha un costo. La sovranità ha un costo».

Saranno costi salati. A pagarli saranno il Welfare e il Green Deal. Con piena soddisfazione del governo: Meloni, fingendo di parlare di agricoltura, si scaglia contro l’«ideologia green», come la definisce sprezzante la Lega, contro una transizione ecologica che sacrifica la produzione. Basta con le «ideologie da salotto», copyright Carroccio. La parola torna alle armi

 

Commenta (0 Commenti)

Domani Consiglio europeo, il primo con Putin super-zar. E il presidente Michel lo annuncia così: «Prepariamo la guerra». L’Europa cade in un elmetto, ogni paese si prepara: in Polonia fondi per i bunker, in Germania soldati nelle scuole, in Danimarca leva per le donne…

CRISI UCRAINA. Domani Consiglio europeo, il primo con Putin incoronato super-zar. E il presidente Michel scrive: «Mosca ci minaccia, saremo i prossimi»

Kharkiv (Ucraina, vicino al confine russo), un ragazzino gioca su un monumento militare dell’era sovietica foto Ap Kharkiv (Ucraina, vicino al confine russo), un ragazzino gioca su un monumento militare ell’erasovietica - foto Ap

L’aggressione russa dell’Ucraina ha cambiato l’Ue, che «doveva adattarsi e doveva farlo rapidamente». A due anni dall’inizio del conflitto è chiaro che «la Russia non si fermerà all’Ucraina» e che Mosca rappresenta una «seria minaccia militare» per l’Europa e per il mondo. Così «se la risposta dell’Ue non sarà adeguata e non forniamo a Kiev il sostegno sufficiente per fermare la Russia, saremo noi i prossimi».
È una vera chiamata alle armi l’editoriale che il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha pubblicato ieri su varie testate europee (La Stampa in Italia, con il suggestivo titolo “Se vogliamo la pace prepariamo la guerra”). E fa rumore proprio perché i leader dei 27 si riuniranno giovedì e venerdì al Consiglio europeo. Sarà il primo consiglio di guerra dopo la consacrazione di Vladimir Putin zar di tutte le Russie, territori ucraini compresi.

L’EX PRIMO MINISTRO belga invita anche l’Europa ad assumersi la responsabilità della propria difesa, «passando alla modalità di economia di guerra». Tutto questo farà bene non solo a Kiev e alla democrazia europea, ma creerà «posti di lavoro e crescita in tutta l’Ue».

LA REDAZIONE CONSIGLIA:

«Tutto verrà deciso in estate». L’Ue sbatte sulla crisi ucraina

L’invito di Michel per un’Ue che spenda di più in armamenti arriva all’indomani di un Consiglio dei ministri degli esteri che ha stanziato

Commenta (0 Commenti)

I naufraghi sono originari del Bangladesh, dell’Egitto e dell’Eritrea

Sono 71 le persone a bordo della Life Support, la nave soccorso di Emergency attesa a Porto Corsini giovedì prossimo 21 marzo, alla banchina del Terminal Crociere.

volontari lifesupport emergency

I naufraghi erano partiti dalla città libica di Tajura, a una dozzina di chilometri da Tripoli, la sera di venerdì 15 marzo. I naufraghi, di età compresa tra i 18 e i 43 anni, sono originari del Bangladesh (61), dell’Egitto (1) e dell’Eritrea (9), paesi colpiti da instabilità politica ed economica e povertà. Tra loro ci sono una donna e tre minori, di cui due non accompagnati.

 

“70 uomini e 1 donna, di cui 3 minori sono stati salvati, nella serata del 16 marzo, dopo aver navigato per 24 ore su un’imbarcazione di legno con motore non funzionante, pericolosamente sbilanciata da un lato –  ha spiegato Domenico Pugliese, comandante della Life Support di Emergency -. La barca era a circa 30 miglia da noi, nella zona SAR maltese, ma a causa dell’oscurità ( il salvataggio è avvenuto di notte) ci sono volute circa tre ore per localizzarla e raggiungerla”.

“Non appena abbiamo avvistato l’imbarcazione abbiamo subito messo in acqua il gommone con il team di soccorritori, abbiamo stabilizzato con i giubbotti salvagente, e messo in sicurezza i naufraghi” ha raccontato Jonathan Naní La Terra, SAR Team Leader.

“Ora ci stiamo prendendo cura di loro dal punto di vista sanitario – ha commentato Paola Tagliabue, dottoressa a bordo della Life Support -. Al momento non ci sono urgenze mediche; abbiamo già individuato dei casi di disidratazione e persone con lesioni cutanee”

“Ci dirigiamo verso Ravenna, il porto assegnato. Un porto molto lontano che obbliga persone già provate a trascorrere altri giorni in mare, anziché essere sbarcate il prima possibile” prosegue Naní La Terra.

“Al momento le condizioni meteo non sono favorevoli e i naufraghi stanno soffrendo di mal di mare. Ci vorranno 4 giorni di navigazione prima di arrivare al porto di Ravenna – hanno dichiarato ieri pomeriggio dalla nave della Ong -. L’assegnazione di un porto così lontano significa farci navigare a lungo, perdendo del tempo inutilmente, e impedendoci di intervenire, portando soccorso, in caso di altre emergenze in mare”.

Nel pomeriggio di oggi, 18 marzo, il Prefetto di Ravenna Castrese De Rosa ha convocato d’intesa con il Sindaco De Pascale una prima riunione di coordinamento con tutti gli Enti coinvolti (Croce Rossa Italiana, Servizi sociali del Comune,  Ausl, Operatori sanitari ,118, Forze dell’Ordine, Capitaneria di Porto, Vigili del Fuoco, Polizia Locale e Caritas)  per definire i dettagli operativi relativi allo sbarco e all’accoglienza

Commenta (0 Commenti)

PRESTO IN VISITA DA MACRON. Il cardinale rivendica le parole del papa sul «coraggio di negoziare». E critica sull'autonomia differenziata il governo italiano

Zuppi: «Ma l’Europa  non ripudia la guerra?» Matteo Zuppi - Ap

«Non possiamo rassegnarci a un aumento incontrollato delle armi, né tanto meno alla guerra come via per la pace». Il cardinale presidente della Cei Matteo Zuppi, aprendo ieri pomeriggio a Roma il Consiglio episcopale permanente, ha messo al centro del suo intervento il tema della pace, «priorità» assoluta visti «i conflitti di cui l’umanità si sta rendendo protagonista in questo primo quarto di secolo».

In particolare è la guerra in Ucraina a cui guarda il capo dei vescovi italiani, che ha ripreso – e difeso – le dichiarazioni di papa Francesco alla Radiotelevisione della Svizzera italiana della scorsa settimana («Occorre avere il coraggio di negoziare»), criticate da Nato, Usa, Europa e Kiev per il sentore di resa che secondo loro emanavano. «Le parole del papa sono tutt’altro che ingenuità», ha spiegato Zuppi, ribadendo la necessità di trovare una via pacifica per la «composizione dei conflitti», «facendo trionfare il diritto e il senso di responsabilità sovranazionale».

La storia, ha aggiunto, «esige di trovare un quadro nuovo, un paradigma differente, coinvolgendo la comunità internazionale per trovare insieme alle parti in causa una pace giusta e sicura». «Possiamo ancora accettare che solo la guerra sia la soluzione dei conflitti? Ripudiarla non significa arrestarne la progressione o dobbiamo aspettare l’irreparabile per capire e scegliere?», ha chiesto il presidente della Cei, che nelle prossime settimane volerà a Parigi per incontrare il presidente francese Macron – principale sponsor dell’invio di truppe a sostegno dell’Ucraina – dopo essere stato già a Kiev, Mosca, Washington e Pechino per conto di papa Francesco.

«L’Italia ripudia la guerra, l’Europa no?», ha concluso Zuppi (e «quale Europa in un mondo in guerra?» è il tema di un incontro promosso a Roma domani alle 18 da Pax Christi e Movimento dei Focolari con l’ex direttore di Avvenire Marco Tarquinio).

Il presidente della Cei ha parlato anche in termini non proprio amichevoli del governo italiano. A proposito di fine vita, ha invitato a utilizzare «senza alcuna discrezionalità» le cure palliative («disciplinate da una buona legge ma ancora disattesa») e ad applicare pienamente la norma «sulle disposizioni anticipate di trattamento», il cosiddetto testamento biologico. Sull’autonomia differenziata, poi, la bocciatura è netta, prefigurando anche un impegno diretto della Cei contro la legge voluta soprattutto dalla Lega. «Suscita preoccupazione la tenuta del sistema Paese, in particolare di quelle aree che ormai da tempo fanno i conti con la crisi economica e sociale, con lo spopolamento e con la carenza di servizi – ha detto Zuppi -. Non venga meno un quadro istituzionale che possa favorire uno sviluppo unitario, secondo i principi di solidarietà, sussidiarietà e coesione sociale. Su questo versante, la nostra attenzione è stata costante e resterà vigile»

 

Commenta (0 Commenti)