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La telefonata tra il capo di stato americano e Vladimir Putin Interruzione degli attacchi russi sulle infrastrutture energetiche di Kiev. Quasi tre ore di colloquio telefonico per stabilire un percorso che porti al cessate il fuoco definitivo. In serata sciami di droni sulla capitale ucraina. Zelensky attende «ulteriori dettagli dagli Usa»

Flash-mob di protesta contro Trump e Putin, davanti all’ambasciata Usa di Kiev Flash-mob di protesta contro Trump e Putin, davanti all’ambasciata Usa di Kiev – Ansa

La tanto attesa telefonata tra Donald Trump e Vladimir Putin segna una prima vittoria per la Russia. Il Cremlino ha annunciato uno stop immediato agli attacchi sulle infrastrutture civili ed energetiche ucraine per i prossimi 30 giorni come primo passo di un percorso che dovrebbe portare a una tregua anche nel Mar Nero e, intanto, alla definizione di un piano per il cessate il fuoco totale. Tuttavia, poco dopo la fine dei colloqui, Kiev è stata colpita da un attacco di droni russi e diverse esplosioni sono risuonate nei cieli della capitale

I DUE PRESIDENTI hanno espresso sintonia e apprezzamento reciproco e le rispettive segreterie hanno parlato di «incontro molto positivo» e di ottime prospettive future. Putin si è spinto fino a usare l’hockey, di cui è giocatore e grande appassionato, come strumento di unione mediante l’organizzazione di incontri internazionali tra le squadre della Federazione russa e della Nhl nordamericana. La diplomazia dello sport, sul modello delle gare di ping-pong con la Cina negli anni ’70. Si è ovviamente parlato di affari, di investimenti, delle terre rare e degli idrocarburi, ma il punto intorno al quale si è articolata la lunga conversazione tra i due leader, secondo il portavoce del Cremlino durata quasi tre ore, è il percorso per «una pace definitiva».

Stupisce che dalle note della Casa bianca sia scomparso il piano di Gedda approvato dall’Ucraina, o meglio, che Kiev era stata costretta ad approvare. Né Trump né Putin hanno parlato della «tregua totale di 30 giorni» che tutti si aspettavano fosse discussa ieri.

INVECE, la tregua nei cieli, solo per quanto riguarda le infrastrutture civili ed energetiche (e malgrado il bombardamento quasi immediato della capitale ucraina) è stata presentata come un successo della diplomazia e un segno della volontà della Russia di arrivare a una fine del conflitto. Corre l’obbligo di ricordare che la proposta di Zelensky prima dell’incontro tra i suoi emissari e la delegazione degli Usa in Arabia saudita era proprio quella di un cessate il fuoco in aria, in mare e di uno scambio massiccio e continuativo di prigionieri. Ma il Segretario di stato Marco Rubio e il Consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz erano arrivati con una missione ben precisa: imporre agli ucraini un passo concreto verso la tregua. Questi ultimi sapevano di non poter opporsi, l’imperativo era ricucire con la Casa bianca dopo la catastrofica conferenza stampa di Washington. Del resto Trump l’ha anche ammesso ieri durante un’intervista: «Dovevamo fare in modo che l’Ucraina facesse la cosa giusta… avete avuto modo di dare un’occhiata a ciò che è successo nello Studio Ovale».

DUNQUE, quando il cessate il fuoco progressivo è stato proposto dall’Ucraina gli Usa hanno imposto un piano molto più ambizioso, ma ora che Putin ha accettato una proposta decisamente al ribasso invece esultano. Dal punto di vista logico è comprensibile, in molti si chiedevano per quale motivo Mosca avrebbe dovuto accettare una tregua ora che le sue truppe hanno quasi interamente riconquistato il Kursk e la situazione sul fronte est continua a essere appesa a un filo per i difensori. I generali russi useranno questi 30 giorni (ammesso che non ci siano cambiamenti nel frattempo) per togliere a Kiev anche gli ultimi brandelli di territorio russo occupato e per spingere ancora nel Donetsk, magari per sferrare una nuova offensiva verso Pokrovsk. Putin ha anche informato Trump che oggi si terrà uno scambio di prigionieri di guerra con l’Ucraina, 175 per parte, come primo passo verso l’inizio di un programma di restituzioni continuative.

PER ZELENSKY, che temeva come la peste una fuga in solitaria di Russia e Usa, l’esito della telefonata di ieri è una mezza catastrofe. La corrispondenza d’amorosi sensi tra Washington e Mosca è un pericolo enorme per Kiev, inoltre la guerra sul campo non va bene ed è velleitario attendersi miglioramenti per i difensori. Ma, ed è il dato che salva la valutazione finale, per ora non c’è nessuno sconvolgimento significativo se non una serie di dichiarazioni di intenti ed esiste sempre il rischio (che per Zelensky è un auspicio) che Putin nel prossimo mese indispettisca Trump in qualche modo e il tavolo salti. Per gli ucraini la contro-proposta russa è una dimostrazione che «i russi hanno bisogno di una guerra» e, per questo, c’è bisogno che «l’Ue sia al tavolo delle trattative». «Tutto ciò che riguarda la sicurezza europea deve essere deciso insieme all’Europa» ha scritto su X Zelensky. In ogni caso la tregua negli attacchi alle infrastrutture è valutata «positivamente».

TRUMP E PUTIN hanno parlato anche di Medioriente, e hanno «condiviso l’opinione che l’Iran non dovrebbe mai trovarsi nella posizione di poter distruggere Israele» riferendosi al programma nucleare di Teheran che Washington vuole fermare e per il quale ha chiesto aiuto al Cremlino nelle settimane scorse.

 

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Sparata militare La premier prova a rideclinare a modo suo il ReArm Europe (senza parlare di riarmo) e boccia la missione di peacekeeping. Nel suo primo discorso "trumpiano" la leader di Fdi mette in guardia da «reazioni emotive» sui dazi

Il governo quasi al completo in Senato (Salvini non c’è) per le comunicazioni della premier Il governo quasi al completo in Senato (Salvini non c’è) per le comunicazioni della premier – LaPresse

In parte era un copione già scritto, quasi imposto dalle circostanze. Al Senato, nelle comunicazioni in vista del Consiglio Ue che inizierà domani, la premier doveva tenere insieme una maggioranza che sul riarmo europeo la pensa all’opposto. Per quadrare il cerchio e farsi applaudire a scena aperta tanto da Fi quanto soprattutto dalla dissenziente Lega, compito perfettamente assolto, Meloni doveva per forza rideclinare a modo suo il ReArm Eu, addirittura cancellando la parola oscena, «riarmo». Ha proceduto di conseguenza: «Chiediamo di cambiare il nome del piano non per questioni semantiche ma perché è fuorviante. Difesa è molto più del semplice riempire gli arsenali. È cybersicurezza, è difesa dei confini». Dal momento che a minacciare i sacri confini sono gli immigrati i leghisti applaudono con sincero trasporto.

TUTTO SECONDO le previsioni anche nella seconda e altrettanto necessaria manovra di sganciamento, negare di aver già preso impegni sul Piano: «Intanto ci siamo opposti con fermezza all’ipotesi di rendere obbligatorio l’uso di una parte dei Fondi di coesione: non un euro sarà distolto dalla Coesione. Dei 150 miliardi di prestiti parleremo quando saranno chiari i dettagli». Quanto ai 650 miliardi di deficit ulteriore, cosa ben diversa da fondi italiani o europei a disposizione e che potrebbero quindi essere usati altrimenti, «l’Italia valuterà attentamente l’opportunità o meno di attivare gli strumenti previsti». Nulla di deciso insomma. Si valuterà e sia per Salvini sia soprattutto per il preoccupatissimo Giorgetti per ora è sufficiente.

Non un euro sarà distolto dai fondi di Coesione. Dei 150 miliardi di prestiti parleremo quando saranno chiari i dettagli e sul ricorso al deficit l’Italia valuterà attentamenteGiorgia Meloni

ALLA LEGA LA PREMIER fa un’altra concessione. Boccia senza appello la missione di peacekeeping che continuano a ipotizzare inglesi, francesi e una trentina di Paesi “volenterosi”: «È complessa, rischiosa e poco efficace». In ogni caso «l’invio di militari italiani non è mai stato all’ordine del giorno». Senza neppure un riferimento all’eventualità di partecipare invece a una missione Onu.

Non che quell’eventualità sia scomparsa, ma perché citarla ora tanto per irritare Salvini, peraltro assente da un’aula nella quale invece la squadra di governo era al gran completo? Persino sull’esercito comune la premier è conciliante. Neppure quello è «all’ordine del giorno»: casomai il modello Nato, eserciti nazionali integrati, anche perché, come aveva spiegato il giorno prima il ministro Crosetto, quella è l’unica strada percorribile a norma di trattato Nato.

Quello che non era prevedibile è la determinazione con la quale la premier ha piegato la barra verso la sponda americana dell’Atlantico. Senza mai dirlo apertamente, Meloni ha pronunciato ieri il suo primo discorso compiutamente “trumpiano”. Sui dazi mette in guardia da «reazioni emotive» che porterebbero alla rappresaglia, «dazi su dazi», col rischio di finire strangolati dalla spirale inflazione-tassi rialzati.

Giorgia Meloni foto Ansa
Giorgia Meloni foto Ansa

Sulla tentazione di prendere le distanze dalla nuova America di Donald è drastica e tassativa: «C’è chi mira a dividere l’Europa dagli Usa ma non è immaginabile pensare di garantire la sicurezza dividendo Europa e Usa. Chi pensa che l’Europa possa fare da sola o è ingenuo o è folle».

La premier va oltre. Sul Medio Oriente invoca il ripristino della tregua ma come condizioni necessarie per arrivarci cita solo «il rilascio degli ostaggi e la deposizione delle armi da parte di Hamas». Sull’Ucraina conferma che il suo partito e l’intera maggioranza non hanno mai avuto dubbi su quale parte prendere. Nega molto offesa di aver preso le distanze da Kiev. Rivendica il merito di aver sostenuto l’Ucraina quando c’era chi la dava per spacciata in pochi giorni.

Invece solo grazie alla resistenza eroica degli ucraini e al sostegno dell’occidente oggi si può trattare. Ma va benissimo che a trattare sia il sovrano della Casa Bianca: «Sosteniamo il suo sforzo per la pace». Senza una sillaba sulla necessità che anche l’Europa sieda a quel tavolo e neppure sui 40 miliardi di nuovi aiuti che l’Alta commissaria Kallas propone di stanziare per Kiev e che per il portafogli italiano sono troppi.

MELONI È ANCORA EUROPEA, sia chiaro, la sua non è la posizione di Orbán e neppure di Salvini. Però parla con accento sempre più vicino a quello americano.

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Israele rompe la tregua e lancia bombardamenti a tappeto su tutta Gaza già in macerie e senza cibo: 404 palestinesi uccisi, tra loro 150 bambini. Netanyahu: è solo l’inizio, durerà a lungo. La Casa bianca rivendica, l’Unione europea «deplora», nessuno interviene

Palestina Violenti bombardamenti su tutta la Striscia da nord a sud, senza preavviso. 150 bambini tra le vittime. Per Tel Aviv «è solo l’inizio». Colpite le case danneggiate dentro cui si riparavano intere famiglie, scuole-rifugio e tende per sfollati

Parenti e amici intorno ai cadaveri di alcuni dei palestinesi uccisi dai raid israeliani nella notte tra lunedì e martedì, all’ospedale Al-Ahli di Gaza City Parenti e amici intorno ai cadaveri di alcuni dei palestinesi uccisi dai raid israeliani nella notte tra lunedì e martedì, all’ospedale Al-Ahli di Gaza City – Abdel Kareem Hana /Ap

Gli aerei da guerra israeliani hanno bombardato Gaza da nord a sud. Jabaliya, Beit Hanoun, Gaza City, Nuseirat, Deir el-Balah, Khan Younis e Rafah. Anche l’area di al-Mawasi, designata zona umanitaria dalla stessa Tel Aviv. Sono state colpite scuole-rifugio, tende per sfollati, le case danneggiate dentro cui si riparavano intere famiglie. Momen Qoreiqeh, un sopravvissuto, ha raccontato ai giornalisti di Al Jazeera di essere riuscito a recuperare 26 cadaveri, tutti membri della sua famiglia, ammazzati insieme mentre dormivano.

«MASSACRI DI CIVILI», li ha definiti Medici senza frontiere (Msf), che ha contato decine di morti e feriti nelle cliniche che gestisce. Nell’ospedale Nasser di Khan Younis l’unità di terapia intensiva pediatrica si era già riempita ieri mattina. Il direttore dell’Al-Shifa ha dichiarato che ogni minuto un ferito muore a causa della mancanza di risorse mediche. Medicine, attrezzature, personale: le strutture sanitarie dove vengono portati i feriti sono le stesse ridotte al collasso da quindici mesi di bombardamenti, dall’assedio dei militari israeliani, dal nuovo blocco di carburante e di aiuti. Due mesi di cessate il fuoco non sono certo bastati a recuperare la piena funzionalità.

GLI ABITANTI si sono ritrovati, ancora una volta, a organizzare preghiere funebri negli obitori improvvisati, i feriti sono stati adagiati sui pavimenti delle strutture ospedaliere, spesso senza la possibilità di essere assistiti. L’Unicef ha espresso enorme preoccupazione per la vita dei bambini, più di un milione nella Striscia, che stanno «sopportando il peso di questa guerra». Human Rights Watch ha affermato che Israele sta violando il diritto internazionale e ha chiesto ai Paesi occidentali di bloccare l’afflusso di armi verso Tel Aviv.

Insieme alle bombe sono ricominciati anche gli ordini di sfollamento forzato. Con le modalità che agenzie internazionali e organizzazioni umanitarie avevano già delineato in passato: comandi poco chiari, a volte contraddittori sulle zone sicure verso cui dirigersi.

Tutta la città di Beit Hanoun, nel nord di Gaza, è sotto ordine di

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Israele attacca Hamas, crolla la tregua a Gaza: raid aerei su tutta la Striscia. «Oltre 330 morti»

https://www.ilmattino.it/primopiano/esteri/israele_attacca_hamas_crolla_tregua_gaza_morti_ultime_notizie-8722600.html

 

Famiglie ostaggi a Netanyahu: fermi uccisione nostri cari

 Il Families Forum, la più grande associazione di familiari di ostaggi in Israele, ha chiesto al primo ministro Benjamin Netanyahu di «smettere di uccidere» i loro cari, dopo i raid lanciati nella notte dall'Idf su Gaza. «Le famiglie degli ostaggi chiedono un incontro questa mattina con il primo ministro, il ministro della Difesa e il capo della squadra negoziale, durante il quale verranno chieste garanzie su come gli ostaggi saranno protetti dalla pressione militare e come ci si aspetta che vengano riportati indietro», afferma l'associazione in un comunicato stampa, prima di concludere: «Smettete di ucciderli (...) adesso!».

Hamas: contatti con mediatori per stop aggressione Israele

 Un funzionario di Hamas ha affermato che il movimento «sta lavorando con i mediatori per frenare l'aggressione di Israele».

Gaza: l'Idf ordina evacuazione zone confinanti con Israele

L'esercito israeliano (Idf) ha ordinato l'evacuazione dei residenti della Striscia di Gaza che si trovano nelle zone confinanti con Israele. 

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Rearm Europe Oggi e domani i voti in Parlamento: tensioni sulla risoluzione Pd. La leader: «La linea é quella uscita dalla direzione». M5S e Avs nettamente contrari al piano di von der Leyen. Possibili voti incrociati con la sinistra Pd. I riformisti tentati dallo strappo. Decaro frena: «Elly autorevole, non serve il congresso»

Schlein pronta alla conta: «No al piano di riarmo» Elly Schlein – Ansa

«Nessun arretramento sulla linea del no al piano von der Leyen sul riarmo». Dopo una giornata di contatti frenetici tra le anime del partito, i dem arrivano al voto di oggi in Senato (domani alla Camera) sulle comunicazioni della premier Meloni in vista del consiglio Ue del 20 e 21 marzo mettendo nel conto ulteriori divisioni.

SCHLEIN, DOPO I 10 VOTI favorevoli a Strasburgo della settimana scorsa (11 gli astenuti) ha deciso di tirare dritto per la sua strada. E così la risoluzione che oggi il Pd presenterà a palazzo Madama, a quanto si apprende, non conterrà passi indietro. «Non c’è da fare nessuna sintesi, la linea è quella uscita dalla direzione ed è un secco no al riarmo dei singoli stati europei», spiega un esponente dell’area Schlein. Il lavoro di mediazione delle ultime ore è stato più politico che di merito.

«Cerchiamo la massima unità possibile», spiega un altro esponente vicino alla segretaria. Mettendo nel conto che, in Parlamento, ci possano essere dei voti in dissenso rispetto alla linea ufficiale. Anche se i numeri di Camera e Senato non fanno pensare a un pareggio tra favorevoli e contrari alla linea Schlein, ma ad una netta maggioranza a favore della segretaria. Che ha dato mandato ai capigruppo Boccia e Braga, e al responsabile esteri Peppe Provenzano, di mettere giù un testo non ambiguo, poco democristiano, in cui il no al piano di riarmo da 800 miliardi della commissione Ue sia piuttosto esplicito.

STAMATTINA IL TESTO SARÀ sottoposto alla riunione congiunta di deputati e senatori, prima che Meloni prenda la parola a palazzo Madama alle 14.30. In quella sede si capirà quanto sarà ampia l’area del dissenso. «Il Pd vuole un’Europa federale e un sistema di difesa comune, ma dice no al piano di riarmo degli Stati nazionali», ha chiarito Francesco Boccia ieri sera ai tg. Secondo Schlein il mandato ricevuto dalla direzione di fine febbraio è molto chiaro: la sua relazione fu votata all’unanimità, ma molti della minoranza non presero parte al voto.

OLTRE AI DUE CAPIGRUPPO e a Provenzano, ieri pomeriggio il testo è stato esaminato da una squadra che comprende anche Alessandro Alfieri (coordinatore della minoranza riformista), Enzo Amendola e Stefano Graziano. La discussione si è incagliata ed è stata interrotta proprio sul giudizio sul piano di riarmo: la prima formulazione sulla necessità di una «modifica radicale» sarebbe stata attenuata su richiesta della minoranza, senza però cambiare il senso della risoluzione che chiede di cambiare il progetto di riarmo nazionale in direzione di una difesa e di una politica estera comuni dell’Ue.

Un piccolo segnale di apertura che però non cambia le carte in tavola: Schlein, a differenza del grosso della minoranza a partire da Paolo Gentiloni e Pina Picierno, vuole che il no al piano di riarmo sia chiaro. Ed è disposta a sfidare i riformisti fino alla conta in aula. Che non ci sarà oggi al Senato, visto che sarà messa al voto solo la risoluzione della maggioranza di centrodestra su cui tutti i dem dovrebbero votare no.

Ma che arriverò domani alla Camera. Dove si voteranno tutte le mozioni, comprese quelle del M5S, di Avs, e dei centristi. E i dem si potrebbero spaccare anche su quelle delle altre opposizioni, con l’ala sinistra disponibile a votare parte di quelle di contiani e rossoverdi e la destra interna più sensibile alle ragioni di Calenda (che ripresenterà la risoluzione approvata giorni fa a Strasburgo) e Renzi.

IL TESTO DEL M5S È MOLTO netto, chiede al governo di «sostituire integralmente il piano di riarmo europeo» con investimenti su sanità, istruzione, welfare e occupazione. E di «interrompere immediatamente la fornitura di materiali d’armamento» a Kiev. Più vicine le posizioni tra Pd e Avs. «Ribadiremo con forza la nostra contrarietà al riarmo nazionale», spiega il capogruppo in Senato pepe De Cristofaro. «La proposta von der Leyen è profondamente sbagliata e pericolosa: spendere 800 miliardi di euro in nuove armi significa uccidere l’Europa così come è stata pensata dai padri fondatori». Tutti e tre i partiti di opposizione dicono all’utilizzo dei fondi di coesione Ue per il riarmo.

SUL FRONTE PD, L’ESITO del voto in Parlamento sarà dirimente per capire se ci sarà una accelerazione dello scontro interno, fino a un congresso anticipato o a un referendum tra gli iscritti sulla politica estera. Ieri Picierno, dalla pagine del Foglio ha bombardato il Nazareno: «Arrivano decisioni dall’alto senza che ci si confronti: l’uomo solo, anzi la donna sola al comando non è un modello che va bene al Pd». Per poi correggere il tiro in serata e spiegare che «nel Pd continuiamo a lavorare per l’unità, il mio impegno è assolutamente teso nella direzione di comporre posizioni complementari. E’ la fatica che abbiamo sempre fatto nella costruzione del Pd».

Antonio Decaro, europarlamentare e in pole position per la corsa a governatore della Puglia, più volte evocato in questi giorni come candidato anti-Schlein al prossimo congresso, getta acqua sul fuoco: «C’è una segretaria autorevole ed è pienamente titolata a terminare il suo mandato. Né l’Italia né il Pd in questo momento hanno bisogno di un nostro congresso: dobbiamo lavorare, uniti, per costruire un progetto di governo credibile e alternativo alle destre».

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«Parleremo di terreni e centrali elettriche, vedo ottime possibilità di porre fine alla guerra…». Trump punta tutto sulla telefonata prevista per oggi con Putin, quasi un colloquio d’affari privato per spartirsi il bottino, che taglia fuori l’Ucraina e irride il riarmo dell’Europa

Non riattaccare Sul tavolo, dicono fonti anonime, il riconoscimento della Crimea «russa». Con o senza Onu

Putin al telefono nell’ufficio di San Pietroburgo foto Ap/Alexander Kazakov Putin al telefono nell’ufficio di San Pietroburgo – foto Ap/Alexander Kazakov

Dopo la mezzanotte di lunedì, ora di Washington, è arrivata la notizia: dall’Air Force One che lo riportava da Mar-a-Lago alla Casa bianca, Donald Trump ha annunciato di voler parlare al telefono con Putin e che lo avrebbe fatto nella mattinata di oggi, martedì.

In un’intervista alla Cbs Steve Witkoff, inviato della Casa bianca per il Medio Oriente, aveva già annunciato la telefonata entro la settimana: stavolta, ha detto Witkoff, il confronto tra i due potrebbe segnare una svolta reale per la guerra in Ucraina, visto che «le distanze tra le due parti si sono ridotte» e ci possono essere «progressi reali» nelle trattative.

LA TELEFONATA DI OGGI è la prima conversazione nota tra i due leader da quando Putin ha esposto le sue condizioni per un cessate il fuoco e Kiev ha accettato di aderire a una tregua di un mese, accordo sostenuto dagli Usa a patto che la Russia faccia lo stesso. Trump ha detto di aspettarsi di discutere con Putin di questioni territoriali e del destino delle centrali elettriche ucraine.

Secondo fonti anonime riprese da Semafor, l’amministrazione Trump starebbe valutando il riconoscimento della Crimea come russa nel tentativo di mettere fine alla guerra, o per lo meno la possibilità per gli Stati uniti di premere sull’Onu affinché riconosca la Crimea come territorio russo. «Vogliamo vedere se possiamo porre fine a quella guerra – ha detto Trump – Forse possiamo. Forse non possiamo, ma penso che abbiamo ottime possibilità». Quando gli è stato chiesto quali concessioni avrebbe fatto la Russia, Trump ha risposto che si sono svolte conversazioni su una «divisione» dei beni: «Parleremo di terreni. Parleremo di centrali elettriche. Penso che molto di ciò sia già stato discusso a lungo da entrambe le parti, Ucraina e Russia».

MENTRE SCRIVIAMO non è ancora chiaro quali garanzie di sicurezza riceverà l’Ucraina per proteggersi da futuri attacchi russi, o se Trump otterrà delle concessioni significative da parte di Putin, ma il morale alla Casa bianca è alto.

IL SEGRETARIO di stato Marco Rubio ha definito «promettente» sia la telefonata di oggi che il recente incontro tra Witkoff e il presidente russo. Intervenendo sulla

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