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VON DER LEYEN INDOSSA L'ELMETTO, PER NON SCOMPARIRE

Sfidata dal protagonismo dei leader nazionali, Ursula affronta una (insolita) conferenza stampa a Bruxelles per i primi 100 giorni del nuovo mandato. Rivendica il nome Rearm Europe, convocherà per la prima volta il Collegio di sicurezza, cerca un ruolo nella crisi senza però avere la forza di sbilanciarsi sulle materie più calde: dagli eurobond al buy european, fino al rapporto con Trump, che non nomina ma resta “un alleato”. Martedì il regolamento sui rimpatri, "laddove c'è un rischio per la sicurezza saremo assertivi"

“Il nome Rearm Europe descrive cosa sta succedendo. Alla fine della guerra fredda eravamo al 4 per cento delle spese per la difesa, giustamente. C'è stata una riduzione degli investimenti per la difesa. Era il dividendo per la pace, ma poi si è andati oltre e, a causa di bilanci ristretti e crisi finanziarie, da uno o due decenni siamo entrati in una zona di sotto-investimenti per la difesa.

https://www.huffingtonpost.it/esteri/2025/03/09/news/ursula_indossa_lelmetto_per_non_scomparire-18628455/?ref=HHTP-BH-I18588827-P1-S1-T1

 

 

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Sfratto atlantico I missili del Cremlino si abbattono a Dobropillia, e uccidono 11 persone. 30 i feriti. «Situazione critica»: dei 1.300 km quadrati in mano ucraina all’inizio dell’operazione ne sono rimasti 400

Pompieri ucraini spengono il fuoco generato dagli attacchi russi a Dobropillia, nel Donetsk Pompieri ucraini spengono il fuoco generato dagli attacchi russi a Dobropillia, nel Donetsk – Ap

Quando è iniziata lo scorso agosto, nella repentina sorpresa di tutti e poi con un generale clamore, l’incursione ucraina dentro la regione russa di Kursk sembrava poter segnare una svolta nel conflitto. Oggi, rischia di assumere il valore opposto a quello che sperava Kiev allora: è da ventiquattr’ore, infatti, che si assommano testimonianze di un imminente accerchiamento da parte di Mosca. Anche la stampa ucraina riporta voci di militari che parlando di una «situazione critica», in cui gli avversari starebbero per chiudere definitivamente l’unica linea di rifornimento che alimenta l’avamposto stabilito dalle truppe di Kiev in territorio russo (che ha centro nella città di Sudzha, a est della regione ucraina di Sumy).

SI TRATTA, probabilmente, del culmine di una controffensiva che il Cremlino ha messo in campo poco dopo l’apertura della breccia aperta dall’Ucraina nel corso dell’estate passata e che ha ripreso forza durante l’ultimo mese. Dei circa 1.300 chilometri quadrati in mano ucraina all’inizio dell’operazione ne sono restati infatti soltanto 400, nonostante i russi si siano esposti a elevate perdite per riconquistare terreno. Verso gennaio, inoltre, le truppe di Mosca sono riuscite a mettere sotto tiro la strada che consentiva l’approvvigionamento di munizioni delle brigate avversarie, deteriorando sempre di più la capacità di queste ultime di difendersi.

Alle difficoltà ucraine nella regione di Kursk, si aggiunge poi un ennesimo attacco russo, stavolta particolarmente letale, che è arrivato dal cielo nella notte di ieri: presso la città di Dobropillia (a nord di Pokrovsk, uno dei punti del fronte nel Donbass) due missili balistici si sono abbattuti su edifici e automobili, causando 11 morti e oltre 30 feriti – riferiscono le autorità locali. È stato segnalato inoltre l’impiego del «doppio tocco», con attacchi consecutivi diretti allo stesso bersaglio per colpire personale medico e soccorritori in arrivo. In generale, negli ultimi tre giorni Il Cremlino sembra aver intensificato la propria iniziativa aerea: oltre ai droni, che costituiscono da tempo il grosso delle attrezzature impiegate in tal senso, in questo mese si è segnato il record di uso da parte di Mosca di arsenale missilistico dall’inizio dell’anno.

Le tempistiche difficilmente sono casuali: non solo Kiev è sempre più abbandonata dalla Casa bianca a livello diplomatico, dentro un groviglio di detti e contraddetti retorici a opera di Trump e dei suoi, ma soprattutto iniziano a mancare le risorse di intelligence fornite dagli Usa. Un articolo pubblicato sul Time riporta il panico crescente nelle fila ucraine per la montante carenza di informazioni che venivano garantite dall’ormai ex-alleato: «Come risultato di questa “pausa” – dice un ufficiale in condizione di anonimato – ci sono centinaia di morti in più. Ma il più grande problema è il morale». Anche la Maxar Technologies, azienda con sede in Colorado che condivideva con l’Ucraina immagini satellitari attraverso un programma del Pentagono, ha confermato la sospensione degli aiuti.

Panico nelle fila ucraine per la carenza di informazioni garantite dall’ ex-alleato Usa: «Centinaia di morti in più. Ma il più grande problema è il morale»

IL CREMLINO ringrazia e colpisce. Kiev mantiene le posizioni nel Donbass, in qualche località anche riprendendo l’iniziativa. Ma, appunto, in queste ore quasi tutta l’attenzione è puntata su Kursk: il significato dell’incursione ucraina era soprattutto strategico e, anzi, più propriamente diplomatico. Da una parte si cercava di dirottare forze russe da altri territori e alleggerire la pressione sul fronte, dall’altra – come è stato ripetutamente affermato, anche nei giorni scorsi, da parte delle autorità di Kiev – l’obiettivo era quello di entrare in possesso di territori nemici da poter «scambiare» in un’eventuale trattativa.

ANCORA, SONO probabilmente importanti le tempistiche: Putin sente (o magari sa, imbeccato dai colloqui avuti con funzionari statunitensi) di avere l’inerzia dalla sua e prova a dare la spallata definitiva a Kursk, togliendo all’avversario una delle poche leve che potrebbe giocarsi se si dovessero aprire dei negoziati (le famose “carte” evocate da Trump durante il surriscaldato colloquio con Zelensky nello studio ovale a favore di telecamere). A maggior ragione se, a stretto giro, potrebbe materializzarsi un’occasione in cui Kiev verrà spinta (o si deciderà) a fare concessioni.

Zelensky mantiene toni rassicuranti: Ci sono «proposte realistiche» per una pace rapida

LUNEDÌ PROSSIMO, infatti, una delegazione ucraina composta da Andriy Yermak, Andriy Sybiha, Rustem Umerov e Pavlo Palisa (ministri e figure di primo piano) è attesa in Arabia Saudita per un incontro con le controparti statunitensi. Nonostante la giornata di attacchi feroci da parte russa e la crisi di Kursk, il presidente Zelensky sui social continua a mantenere toni rassicuranti e, anzi, assicura che ci sono sul tavolo «proposte realistiche» per una pace rapida. Come rapidi, e imprevisti, sono gli ultimi sviluppi sul campo.

 

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Contro la corsa al riarmo, per la scuola, il lavoro, i diritti rifiutando il ruolo di vittime. La marea transfemminista non arretra e si rivede con un grande corteo a Roma e in tante altre città. Il ddl sul femminicidio? «L’ergastolo non ci restituisce le sorelle uccise»

8 marzo 2025 20 mila persone a Roma per lo sciopero tranfemminista di Non una di meno. «Ergastolo inutile, non ci ridà le sorelle ammazzate». Cori contro Trump, Milei, la presidente Ue Ursula von der Leyen e Roccella. Le militanti: «Rifiutiamo il ruolo di vittime. Su scuola, diritti e precariato Meloni fa passi indietro»

Lo sciopero transfemminista organizzato per l'8 marzo a Roma foto Andrea Sabbadini Lo sciopero transfemminista organizzato per l'8 marzo a Roma – Andrea Sabbadini

Quando il corteo transfemminista capitolino, aperto dallo striscione «Lotto, boicotto, sciopero» incrocia via Labicana il colpo d’occhio è notevole e lo sfondo, il Colosseo, come ogni anno, suggestivo. Ci sono più di ventimila persone che sfilano tra le bandiere della pace, quelle della Palestina e del Kurdistan, in mezzo a quelle fucsia di Non Una di Meno che ha organizzato la giornata di lotta in tutta Italia.

Si sentono cori contro il presidente degli Stati Uniti («Più trans, meno Trump» è stato uno degli slogan più ripetuti), contro quello argentino Javier Milei e contro la presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyer. E non è un caso: la piattaforma di ieri chiamava allo sciopero contro le guerre in corso e chiedeva il disarmo.

La guerra è una questione patriarcale: la fanno i governi autoritari e nazionalisti per il loro profitto ma la pagano i lavoratori e le lavoratrici Le attiviste di Nudm

SUL CAMION che apre il corteo (che, come lo scorso 25 novembre, ospita una frase di Gisele Pelicot, «la vergogna deve cambiare lato») attiviste palestinesi e italiane intervengono contro il genocidio a Gaza. «La guerra costa: la fanno i governi autoritari e nazionalisti per il loro profitto ma la pagano i lavoratori e le lavoratrici», urlano le trasfemministe in piazza. Di fatto è la prima manifestazione con una posizione netta per la pace e contro l’escalation militare convocata da mesi, se si esclude la Marcia per la Pace della Perugia-Assisi. Tanto è vero che oltre 250 donne e femministe hanno diffuso nei giorni scorsi un appello per boicottare la piazza «per l’Europa» del 15 marzo e a partecipare invece a quella dell’otto. «Siamo stanche di guerra, di quelle neocoloniali in Africa, di quella fra Russia e Ucraina, della violenza genocida di Israele sul popolo palestinese – si legge nel testo – siamo indignate per le complicità del nostro governo, della Ue e degli Usa e per gli 800 miliardi destinati al ReArm Europe che verranno sottratti alla sanità, alla scuola, ai servizi sociali».

GLI INTERVENTI dal camion parlano di «recessione culturale delle destre che puniscono e reprimono», affrontano il ddl sicurezza e il decreto Caivano imposto alle periferie come quella romana del Quarticciolo: «Ai problemi non si può rispondere con la polizia, le pratiche dei movimenti di quartiere vanno salvaguardate», spiegano le manifestanti.

Ogni tanto il camion si silenzia per le azioni «il minuto di rumore» con i mazzi di chiavi, alternativo a quello di silenzio imposto nelle scuole dal

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Il limite ignoto Il presidente Usa si rimangia le minacce - «sanzioni su larga scala» - di poche ore prima

Trump: «Putin ha tutte le carte in mano». Meglio trattare con lui Donald Trump nello Studio ovale – Ap

È durata poco l’illusione che Donald Trump potesse avere intenzioni anche solo remotamente minacciose nei confronti di Vladimir Putin. «Mi fido di lui», ha dichiarato durante la conferenza stampa indetta ieri a sorpresa nello Studio ovale, convocata principalmente per accreditarsi i nuovi 151.000 posti di lavoro annunciati nella mattinata americana dal Bureau of Labor Statistics.
È Putin, ha detto Trump, ad avere «tutte le carte in mano» nel contesto della guerra, quindi è naturalmente l’aggressore in una posizione di forza quello a cui guarda l’attuale presidente degli Stati uniti: «Per quanto riguarda il raggiungimento di un accordo finale, potrebbe essere molto più semplice trattare con la Russia, perché sono loro ad avere tutte le carte in mano».

POCHE ORE PRIMA Trump aveva destato qualche sorpresa con un post sulla sua piattaforma Truth Social, in cui affermava di stare pensando a sanzioni contro Mosca: «Sulla base del fatto che in questo momento la Russia sta assolutamente “martellando” l’Ucraina sul campo, sto fortemente considerando sanzioni bancarie, sanzioni e dazi su vasta scala contro la Russia finché un accordo finale sulla pace non verrà raggiunto. Alla Russia e all’Ucraina, mettetevi al tavolo in questo momento, prima che sia troppo tardi. Grazie!!».

Durante la conferenza allo Studio ovale, il «martellamento» dell’Ucraina si è tramutato precisamente nel motivo per cui è più ragionevole trattare con la Russia. Non solo: «Chiunque» nella posizione di Putin, considerate le dinamiche sul campo, bombarderebbe l’Ucraina. Ma solo perché «vuole che (la guerra, ndr) finisca». «Credo davvero che stia facendo quello che farebbe chiunque altro. Penso voglia che la situazione si fermi e venga risolta».

Oltretutto, ragiona il presidente degli Stati uniti, i rapporti attuali con Mosca sono ottimi: «Credo che stiamo andando molto bene con la Russia, ma al momento stanno bombardando a morte l’Ucraina». Kiev, dichiara il tycoon, gli dà molte meno soddisfazioni: «l’Ucraina… Lo sto trovando più difficile, francamente, trattare con l’Ucraina. E – ribadisce per l’ennesima volta il concetto – loro non hanno le carte». Pesa anche l’ostinato rifiuto a firmare l’accordo voluto dagli Stati uniti per depredare l’Ucraina delle sue terre rare e risorse naturali: «Dovrebbero entrare in azione e lavorare in direzione di un accordo di pace».

ALL’ESPLICITA domanda postagli da un giornalista, se cioè ritiene che la Russia si stia approfittando degli Stati uniti, il presidente ha risposto di no. Ed è anche intervenuto sulla decisione di congelare tutti gli aiuti economici e militari, e di sospendere la condivisione di intelligence statunitense con Kiev. Per ripristinare gli aiuti all’Ucraina «devo poter sapere che vogliono accordarsi». Se si rifiutano «ne usciremo» (leggasi, li abbandoneremo, ndr) – ma per un fine nobile: «Lo sto facendo per fermare la morte».
Non altrettanto, ritiene il presidente, l’Europa: «Nell’ultima settimana ho guardato ciò che l’Europa sta facendo. Questa cosa potrebbe finire nella terza guerra mondiale se non la risolviamo». Ma ha anche suggerito al Vecchio continente di aumentare i suoi aiuti all’Ucraina, dal momento in cui lui evidentemente non ha alcuna intenzione di farlo.

IL CONSIGLIERE per la sicurezza nazionale Mike Waltz è intervenuto per dire che lui e il segretario di Stato Marco Rubio vogliono «riprendere i negoziati» e per questo incontreranno, la prossima settimana, «una delegazione ucraina» in Arabia saudita. Sul summit si è espresso sul social network X anche il ministro degli Esteri ucraino Andrii Sybiha, raccontando la sua chiamata «costruttiva» con Rubio. «L’Ucraina – ha scritto – vuole che la guerra finisca, e la leadership statunitense è fondamentale per ottenere una pace duratura. Abbiamo anche discusso delle strade per promuovere la nostra cooperazione bilaterale».

 

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15 marzo La proposta di Repubblica, nella sua vaghezza, ha generato discussioni laceranti in diversi territori e praticamente in ogni ambito politico-culturale

Manifestazione per la pace

Uno dice: cosa vuoi che ci sia di più unitario, ecumenico, di largo respiro di un bell’invito a ritrovarsi in piazza genericamente in nome della difesa della nostra bella Europa. E invece l’appello di Michele Serra, formulato in via preliminare sul Post e poi rilanciato, definito e sposato dal giornale-partito Repubblica proprio nei giorni in cui si preparava a uscire la riforma grafica del quotidiano, per la sinistra si è rivelato particolarmente divisivo. Quasi devastante.

Da quel che abbiamo raccolto in questi pochi giorni, la proposta ha spaccato organizzazioni, fatto litigare costituende coalizioni, rianimato scontri nel principale partito dell’opposizione, scatenato discussioni laceranti nel sindacato e tra i movimenti cattolici, aperto fratture nei territori. Una potenza distruttiva impressionante anche per chi, come accade da queste parti, non fa dell’unità a tutti i costi un valore assoluto.

Quell’evento minaccia di scavare un solco tra chi si oppone a Trump e Meloni. Da una parte si dirà che a piazza del Popolo ci stavano i guerrafondai che hanno sostenuto l’Ue armata. Dall’altra quelli che hanno scelto di non esserci, o peggio ancora di manifestare altrove e con altri slogan, verranno definiti disertori o magari putinisti. Sappiamo che solo in pochi casi è vero che tra chi sventolerà la bandiera blu con le stelle gialle ci sarà anche chi si è fatto prendere dal clima bellico. E che raramente tra chi guarda con sospetto alla piazza di Serra ci sono quelli che si sono fatti abbindolare dalla propaganda campista e rossobruna (in base alla quale chiunque avversi «l’Occidente collettivo», persino Putin e Trump, è da considerare un alleato).

Si dirà: questo è lo spirito del tempo, siamo tutti arruolati alla guerra culturale, la polarizzazione è la cifra del nostro tempo. Anche questa è una verità parziale: chi chiamato in piazza la gente doveva porsi anche il problema di fornire basi razionali e solide alla manifestazione invece di lasciarla per settimane in pasto al dibattito pubblico impazzito e ai posizionamenti politicisti in tempi di confusione, crisi dei corpi intermedi ed eventi che si succedono a una velocità feroce.

Lo ha detto una donna, insegnante, che si è rivolta a questo giornale per avere lumi su ciò succede il 15 marzo: «Gli uomini e le donne che credono ancora che stare insieme in piazza serva a cambiare qualcosa non sono carne da cannone mediatica». Meritano cura e rispetto.

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L’Europa si ritrova compatta nella corsa al riarmo e al vertice straordinario di Bruxelles i 27 danno l’ok, con qualche distinguo, al piano von der Leyen. Italia contraria all’uso dei fondi di coesione e all’invio di truppe in Ucraina. Sul sostegno a Kiev lo strappo di Orbán

Riarmo Via libera dal Consiglio straordinario al piano di Ursula tutto incentrato su difesa e Ucraina. Ma sugli aiuti a Zelensky Orbán si sfila

I due cancellieri tedeschi, l'uscente e l'entrante, Olaf Scholz, e Friedrich Merz, Fabrizio Bensch/Pool Photo via AP) Il cancelliere uscente Scholz con l’entrante Merz – Ap/Fabrizio Bensch

Una bandierina russa, di quelle tipo festoni che si appendono ai compleanni o ai ricevimenti, spunta dall’alto del reparto verdure della mensa del Consiglio.

CHI SE NE ACCORGE sgrana gli occhi o sorride. Chiunque l’abbia esposta, non potrebbe aver fatto un gesto più beffardo, nel giorno in cui l’Ue si stringe in modo solenne intorno all’Ucraina e promette di continuare a sostenerla a ogni costo «nella sua lotta esistenziale per la sovranità l’integrità territoriale», come dice Ursula von der Leyen.

È anche un piccolo incidente in un summit che si svolge per colmare il vuoto europeo tra la minaccia russa e la rottura transatlantica di Trump. Arrivato a Bruxelles, il presidente ucraino Zelensky ringrazia tutti i leader europei «per il forte sostegno dall’inizio della guerra», come dice all’entrata di un Consiglio straordinario tutto dedicato alla difesa europea e all’Ucraina.

Dall’altra parte della piazza in cui i leader dei Ventisette insieme ai vertici europei decidono come mettere a terra il piano di riarmo targato Ursula, la facciata del palazzo che ospita il servizio diplomatico è tappezzato dall’opera di un artista ucraino, con la scritta «How many times?» (quante volte?). Declinata come: quante volte ho dovuto contare sulle mie forze? «È importante che gli ucraini non siano lasciati soli», dichiara poi il presidente Zelensky, uscendo da un’ora e mezzo di colloquio con i leader, soddisfatto per lo sforzo bellico di Bruxelles.

PROPRIO SUGLI AIUTI all’Ucraina rimane il veto dell’Ungheria, e l’Europa si ritrova ad approvare quella parte del documento senza Budapest. Tutti d’accordo, invece, Orbán compreso, nella parte riguardante la difesa, che recepisce le proposte del piano di riarmo lanciata da von der Leyen alla vigilia del summit.

«Il Consiglio – si legge nelle conclusioni – sottolinea la necessità di continuare ad aumentare in modo sostanziale la spesa per la sicurezza e la difesa dell’Europa» e accoglie con favore le proposte della Commissione «per agevolare una spesa significativa per la difesa a livello nazionale in tutti gli Stati membri».

Si tratta di

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