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L'ORA PIÙ BUIA. Oltre cento corpi in decomposizione seppelliti senza protezione. Human Rights Watch: «L’Aia indaghi Tel Aviv per crimini di guerra». Il ministro Smotrich: «L’unica soluzione è svuotare Gaza». Il collega Dichter: «Questa è la Nakba 2023»

Khan Yunis, donne palestinesi fuori dall’obitorio dell’ospedale Nasser foto Ap/Mohammed Talatene Khan Yunis, donne palestinesi fuori dall’obitorio dell’ospedale Nasser - Ap/Mohammed Talatene

Prima un caldo torrido, fuori stagione, ora le piogge. Gaza è passata in poche ore da un’estate prolungata, che ha inasprito le condizioni di vita di una popolazione senza elettricità e con scarsissima acqua, a un autunno violento che da ieri si è abbattuto con i temporali sui rifugi fatti di tende e tra le macerie e nei centri e le scuole delle Nazioni unite.

«L’INVERNO è un incubo – ha raccontato ad al Jazeera Fayeza Srour, sfollata a Khan Yunis – Prima pregavo perché arrivasse la pioggia. Oggi prego perché smetta. Quando la pioggia cade, noi affondiamo». Le strade in alcune zone si sono allagate rovinando tende, coperte e materassi poggiati a terra. Il sistema fognario di drenaggio non funziona più per la mancanza di carburante e ogni giorno si accumulano 400 tonnellate di rifiuti, «un rischio serio alla salute pubblica, per l’aumento di acqua contaminata e l’esplosione di malattie», ha detto ieri l’Onu.

Un esempio lo fa l’Organizzazione mondiale della sanità: 30mila casi di diarrea contro i 2mila che in media si registravano a Gaza nello stesso periodo. E poi varicella, scabbia, infezioni polmonari.

Ma la situazione peggiore rimane quella degli ospedali, da settimane campo di battaglia militare e politica. Sui propri account social l’esercito israeliano pubblica video di presunti tunnel di Hamas sotto l’ospedale Rantisi, accusando indirettamente l’Oms di sapere e tacere. I video sono stati oggetto di un’operazione di debunking da parte anche di giornalisti israeliani, che accusano la Difesa di una montatura per giustificare il fuoco aperto sugli ospedali.

In ogni caso, tunnel o meno, la presenza di civili, medici e pazienti impedirebbe comunque di prendere di mira un ospedale, secondo quanto dettato dal diritto internazionale. È su questa base – la mole sempre più impressionante di violazioni – che stanno avanzando le iniziative di diversi attori internazionali.

A PARTIRE dal rifiuto dell’assunto israeliano per cui gli ospedali possano essere considerati target legittimi nel caso di presenza di miliziani. Ieri Human Rights Watch ha chiesto

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PRECETTO LAQUALUNQUE. «Ridotto a 4 ore». Il ministro ammette: avrei precettato comunque. Cgil e Uil: decisione politica senza ragione, specie nelle ferrovie. Landini e Bombardieri, che ieri non sono andati all’incontro, oggi rilanceranno la mobilitazione

Matteo Salvini foto di Cecilia Fabiano /LaPresse Il ministro dei Trasporti e vicepremier Matteo Salvini - Cecilia Fabiano /LaPresse

«Avrei precettato anche se non ci fosse stata la pronuncia della commissione di Garanzia». Matteo Salvini lo ammette candidamente ai sindacalisti di Cgil e Uil nella veloce mezzora di incontro ieri sera al ministero. E conferma le motivazioni puramente politiche di una decisione che per la prima volta nella storia repubblicana limita uno sciopero generale.

L’esito era già scontato: la precettazione dei lavoratori dell’intero settore dei trasporti che invece delle otto ore previste, venerdì potranno scioperare solo dalle 9 alle 13 e per le restanti ore saranno in servizio e «non potranno godersi il weekend lungo» che Salvini e la destra sostengono facessero, dimenticando che gran parte di loro lavoreranno anche sabato e domenica perché il settore dei trasporti non prevede soste.

CON LA SUA DECISIONE Salvini va molto oltre le indicazioni della Commissione di garanzia sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali che tanto aveva lodato lunedì. Le quattro ore a cui viene ridotta l’astensione dalle 9 alle 13 in tutti i settori non rispettano le normative già più restrittive in Europa. «Nel settore ferroviario è prevista una prima astensione di otto ore e non si capisce perché Salvini la dimezzi», attacca il segretario generale della Filt Cgil Stefano Malorgio che già a luglio aveva subito una precettazione da Salvini in uno sciopero nelle ferrovie. La sua categoria – tutti i trasporti – era stata fin troppo responsabile annullando in modo unilaterale lo sciopero nel settore aereo «preso atto della mancata comunicazione da parte di Enac (l’ente che controlla i voli, ndr) dei voli e dei servizi minimi da garantire, in assenza della quale si configurerebbero rischi per i lavoratori scioperanti». Allo stesso modo anche nei Vigili del fuoco Cgil e Uil – altro settore sui cui la Commissione aveva sollevato problemi – avevano ridotto la protesta a sole quattro ore.

Neanche questo è bastato a Salvini che pochi minuti dopo la fine dell’incontro con Cgil e Uil aveva tuonato: «Vogliamo tutelare i milioni di italiani – ha spiegato il ministro e vicepremier leghista – che tutti i giorni hanno bisogno di viaggiare: vogliamo trovare un equilibrio tra diritto allo sciopero e diritto al lavoro e alla mobilità».

Maurizio Landini

È un esplicito attacco al diritto di sciopero che mette in discussione la democrazia Meloni era venuta da noi a dire che rispettava il conflitto, ora lo nega

Cgil e Uil avevano già annunciato che sarebbero andati avanti contro le richieste della Commissione – mettendo già in conto di decine di migliaia di euro di multe – mentre la precettazione è nei confronti dei lavoratori e dunque Cgil e Uil non chiederanno loro di sfidare la decisione di Salvini che porterebbe a sanzioni disciplinari nei confronti dei loro iscritti.

LO SCIOPERO GENERALE nelle regioni del Centro di venerdì – prima delle cinque giornate di mobilitazione contro la legge di Bilancio di Cgil e Uil – è comunque confermata e c’è da giurare che la forzatura di Salvini porterà a una partecipazione maggiore dei lavoratori di tutti i settori.

Maurizio Landini e Pierpaolo Bombardieri ieri sera non hanno volontariamente risposto alla convocazione di Salvini, lasciando ai segretari confederali Maria Grazia Gabrielli e Emanuele Ronzoni (già intervenuti alla Commissione di garanzia) la partecipazione all’incontro.

Oggi terranno una conferenza stampa per spiegare le loro ragioni. Ieri sera però Landini è andato in televisione e ha risposto a Salvini. La precettazione «è un atto politico gravissimo. Non c’è alcuna ragione oggettiva né di urgenza che motiva questo intervento ed è un esplicito attacco al diritto di sciopero, che non è un diritto del sindacato ma delle singole persone che lavorano. Confermiamo che lo sciopero ci sarà». E «mettere in discussione questo diritto significa mettere in discussione la democrazia».

Landini ha chiamato in causa direttamente Giorgia Meloni: «Siamo di fronte ad un silenzio assordante, e da questo punto di vista vorrei sapere se la posizione di Salvini è quella del governo, questo non l’ho ancora capito».

MELONI «DOVREBBE svolgere questa funzione» di fermare la precettazione: «Queste forzature mettono in discussione il diritto delle persone. Siccome la Meloni è venuta al nostro congresso per dire che lei è cresciuta nel conflitto e che non avrebbe mai messo in discussione il diritto alla contestazione, oggi invece lo fa», è la stoccata di Landini

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Tank israeliani all’assalto degli ospedali di Gaza, pieni di feriti e di migliaia di rifugiati: «Diamo la caccia a Sinwar, mente degli attacchi di Hamas». Il capo dell’Al Shifa: «Non è qui, controllate». La “pausa umanitaria” non funziona, 50 uccisi nel raid su una scuola

GAZA. Scappano via migliaia di sfollati. Si temono incursioni di unità speciali alla caccia di basi di Hamas. Oltre 11mila i palestinesi uccisi

Merkava israeliani a pochi metri dagli ospedali Shifa e Rantisi Soldati israeliani a Gaza - Ap

I carri Merkava sono lì, a poche decine di metri dagli ospedali Shifa e Rantisi e altre strutture sanitarie. Dall’alto i cecchini israeliani, nascosti in appartamenti ed edifici danneggiati e abbandonati, tengono sotto tiro tutta la zona. L’avanzata verso lo Shifa è conclusa. Lì, sostiene Israele, nel seminterrato dell’ospedale, il più grande e meglio attrezzato di Gaza, si nasconderebbe il quartier generale di Hamas e, forse, anche Yahya Sinwar, il capo del movimento islamico nella Striscia. A nulla sono servite le ripetute smentite del direttore dell’ospedale, il dottor Mohammed Abu Silmiyeh.

«Chiediamo che sia inviata qui allo Shifa una commissione di esperti per verificare, con ispezioni approfondite, queste affermazioni israeliane», ha proposto nei giorni scorsi. Niente da fare. I mezzi corazzati sono lì, e tra poche ore o pochi giorni potrebbero scattare incursioni di unità speciali israeliane nel complesso ospedaliero, dove sono ricoverati 5mila pazienti. Ieri mattina c’è già stato un attacco aereo nel cortile dello Shifa che ha fatto un morto e diversi feriti. La paura si è trasformata in panico sotto i tendoni montati a protezione delle decine di migliaia di sfollati che nell’ultimo mese hanno trovato dentro e intorno allo Shifa una protezione dei bombardamenti. Adesso molti scappano via, non sanno dove andare ma si allontanano.

«Cari colleghi, la situazione allo Shifa ora è estremamente pericolosa. Vorremmo andarcene, ma non possiamo! Vi preghiamo di fare tutto il possibile attraverso il vostro governo o la Croce Rossa per organizzare un corridoio sicuro», ha scritto ieri un gruppo di medici dello Shifa ai colleghi del Pcrf, una ong internazionale che per l’assistenza medica specializzata ai bambini palestinesi ammalati. Nessuno però è in grado di aiutarli, ormai sono

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MIGRANTI. L’accordo è stato difeso ieri da Giorgia Meloni nel consueto intervento sui social

 Proteste in Albania contro l’accordo con l’Italia 

L’accordo sui migranti tra Italia e Albania potrebbe finire alla Corte costituzionale del paese delle Aquile. A paventare il ricorso è stata ieri il leader dell’opposizione a Edi Rama, il presidente del Partito democratico Lulzim Basha che oltre a voler verificare l’esistenza d possibili profili incostituzionali contesta il mancato coinvolgimento del parlamento.

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L’accordo è stato difeso ieri da Giorgia Meloni nel consueto intervento sui social. «L’accordo con l’Albania – ha spiegato – è di grande respiro europeo e può diventare un modello di collaborazione tra paesi europei ed extraeuropei». Va detto che anche l’intesa con la Tunisia – i cui risultati sono a dir poco dubbi – è stata presentata come un «modello» da esportare in altri Paesi africani. La premier ha poi respinto l’accusa d chi ha parlato di una deportazione di migranti in Albania. «Non può esserlo verso una nazione che si candida tra le altre a entrare in Unione europea». Infine ha confermato che delle strutture che dovrebbero essere realizzate in Albania, una è un centro dove verrebbero accolti i migranti al momento dello sbarco, mentre la seconda è un Cpr, un centro per i rimpatri con tempi di detenzione che possono arrivare fino a 18 mesi.

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Di migranti e di Albania ha parlato ieri da Malaga, dove si trovava per il congresso del Pse, anche Elly Schlein. La segretaria del Pd è tornata a chiedere una missione navale europea di ricerca e soccorso nel Mediterraneo e ribadito la sua opposizione «all’esternalizzazione delle frontiere». Una posizione condivisa però dalla vicepresidente dell’Europarlamento, membro del Spd, ed ex ministra della Giustizia tedesca Katarina Barley, anche a Malaga per il congresso, per la quale esternalizzare le frontiere «non è sempre sbagliato». «Quello che stimo ipotizzando in Germania – ha spiegato Barley – è di creare delle possibilità per le persone che vogliono scappare dai loro Paesi di chiedere asilo senza prima arrivare in Europa». Più volte, però, l’Ue ha spiegato che le richieste di asilo si possono presentare solo negli Stati membri. «Ciò significa – ha però spiegato l’ex ministra – che le persone danno tutti i loro risparmi ai criminali solo per arrivare e chiedere asilo per poi magari essere rifiutati: questo sistema può essere migliorato»

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ROMA. Oggi a piazza del Popolo la manifestazione nazionale del Partito democratico. Ci saranno anche delegazioni di 5 Stelle e Alleanza Verdi Sinistra

La piazza di Schlein: «Con noi l’alternativa» Elly Schlein - Ansa

L’appuntamento lanciato dal Partito democratico è per oggi alle 14 in piazza del Popolo a Roma. Lo striscione sul palco reciterà: «Per un futuro più giusto. L’alternativa c’è», ad indicare che il Pd si propone di radunare tutti quelli che si oppongono a questo governo, proprio nei giorni della legge di bilancio e dell’atterraggio in parlamento di autonomia differenziata e riforma costituzionale del premierato. «In un momento storico attraversato da guerre e da una crisi economica che colpisce soprattutto i più deboli – spiega la coordinatrice della Segreteria Marta Bonafoni – è fondamentale ribadire che un’alternativa alle politiche delle destre è possibile e doverosa. E passa attraverso la costruzione di risposte condivise e di un impegno per la pace, capace di coniugare giustizia sociale e climatica». Ecco, la pace: dal Pd ribadiscono la richiesta che vengono liberati gli ostaggi a Gaza e che al tempo stesso si fermino i bombardamenti di Israele per un cessate il «fuoco umanitario». Da qui l’invito, già espresso, a non portare bandiere di una delle parti in causa.

Ieri Elly Schlein era al congresso del Pse a Malaga. La leader lavora perché la convention che annunci il candidato di punta dei Socialisti e democratici per la commissione Ue si tenga proprio a Roma. In Spagna ha sostenuto le ragioni di discontinuità: non ripetendo «gli errori del passati sull’austerità» e sui migranti invocando una «missione di ricerca e soccorso in mare» e rigettando «l’esternalizzazione delle frontiere». «In Italia vediamo in faccia la destra, dobbiamo alzarci e combattere per la giustizia sociale, la solidarietà europea» ha detto Schlein.

«Le persone che si alterneranno sul palco saranno la voce del mondo del lavoro, della sanità pubblica, dell’associazionismo, della cultura e del nostro no all’autonomia differenziata – fanno sapere dal Nazareno – Diritti sociali e civili staranno insieme nell’alternanza delle voci. Si parlerà di clima e prenderà la parola anche chi è stato colpito dalle alluvioni in questi mesi. Si darà voce alla battaglia degli studenti e delle studentesse per il diritto allo studio e alle lotte per la salute mentale». A dare il segno di un partito unito prima di Schlein , interverrà il presidente del partito Stefano Bonaccini.

Sono annunciate delegazioni di Alleanza Verdi Sinistra, col segretario di Si Nicola Fratoianni e il co-portavoce verde Angelo Bonelli, e del M5S, con Giuseppe Conte

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LA SPAGNA RIBOLLE. Siglata l’intesa con Puigdemont, ora il leader socialista ha i numeri per formare il nuovo governo. Mentre la destra soffia sul fuoco . Al centro del patto l’amnistia per i condannati dopo i referendum del 2014 e 2017

Spain's Prime Minister Pedro Sanchez delivers a speech during an end-of-year press conference at La Moncloa Palace in Madrid, on December 29, 2021.

E accordo fu. Dopo più di quattro mesi di faticosi negoziati, i socialisti e il partito indipendentista catalano hanno finalmente trovato il modo di siglare un patto politico. Quattro pagine firmate ieri a Bruxelles in cui però manca il testo della proposta di legge sull’amnistia. Lo presenteranno i partiti al Congresso lunedì – il governo si è affrettato ad assicurare al commissario europeo che chiedeva lumi in proposito, che la legge dell’amnistia non è cosa del governo ma solo del parlamento. Ma c’è già la data dell’investitura: la sessione si terrà mercoledì e giovedì prossimo.

Nell’accordo, in realtà, la novità è soprattutto nel linguaggio e nella formula utilizzata: una sorta di «siamo d’accordo di non essere d’accordo», ma «ci proviamo lo stesso». Sembra poco, ma in realtà è un cambiamento a 180 gradi del quadro politico.
In questo, sia Pedro Sánchez, sia Carles Puigdemont hanno dimostrato di essere all’altezza del momento politico. Assediati da una destra ormai golpista, i due politici, assieme agli indipendentisti di sinistra di Esquerra e agli altri partiti che sommeranno i propri voti per fare di nuovo presidente Sánchez, sono stati capaci di trovare una formula che garantirà la poltrona al leader socialista, e, ancora più importante, mette le basi per chiudere la crisi politica che in Catalogna si trascina ormai da anni, da molto prima del 2017.

L’ASPETTO più interessante dell’accordo è che i due partiti sono arrivati a trovare l’intesa sulla ricostruzione dei “fatti”, dei quali poi ciascuno fa una lettura diversa – e anche questo viene specificato nelle quattro pagine. I fatti: il tribunale costituzionale nel 2010 ha cancellato parti sostanziali dello statuto catalano votato nel 2006 da parlamento catalano, parlamento spagnolo e da un referendum. E quindi, ricostruisce l’accordo, la Catalogna è «l’unica comunità con uno statuto non votato dai suoi cittadini». Sembra un’ovvietà, ma finora c’era discrepanza anche su questa lettura. Per questo, continua l’accordo, è scoppiata una crisi politica in Catalogna, gli indipendentisti hanno ottenuto diverse volte maggioranze parlamentari, si sono celebrati due referendum – il primo proprio un 9 novembre (la data di ieri non era casuale) del 2014, e il secondo, un referendum per l’indipendenza, il 1 ottobre 2017. Psoe e Junts per Catalunya si dicono d’accordo anche sul «tentativo del governo (guidato allora dal Pp di Mariano Rajoy, ndr) di impedire il referendum, dando luogo a reazioni che colpirono tutti, dentro e fuori le nostre frontiere». Le famose manganellate ai votanti inermi che tanto era costato ai socialisti condannare. «Purtroppo, i governi di allora non favorirono il negoziato politico», aggiungono.

NON SI PARLA esplicitamente di persecuzione giudiziaria, ma fra le righe si capisce quando si fa riferimento alle molte persone condannate per i fatti del 2014 e 2017, che saranno i futuri beneficiari dell’amnistia. Ed è anche qui che arriva il manifesto programmatico: «Nonostante le discrepanze strutturali che esistono, date le distanze fra i nostri progetti nazionali, siamo pronti ad aprire una nuova tappa nella quale, a partire dal rispetto e il riconoscimento dell’altro, si cerchi una soluzione politica e negoziata del conflitto». Un conflitto che finora il Psoe non aveva voluto riconoscere in questi termini.

JUNTS SPECIFICA di voler raccoglie il mandato politico dei referendum e della dichiarazione di indipendenza, mentre il Psoe li respinge, così come ogni dichiarazione di indipendenza unilaterale. Ma nonostante questo, collaboreranno.
Ma, a parte la narrazione, quali sono i frutti concreti dell’accordo? Da un lato, senza dubbio l’amnistia, che includerà anche i poliziotti dal manganello facile, così come i pompieri che gli si paravano contro. Una concessione di peso, certo, ma – al contrario di quanto sbraita la destra – non c’è molto altro.

Dall’altra, anche se non si dice esplicitamente, per Junts, la rinuncia all’unilateralità. Proprio ieri, nel parlamento catalano Junts e Esquerra si sono astenuti su una mozione della Cup (indipendentisti anticapitalisti) proprio a favore dell’unilateralità: impensabile fino a non molto tempo fa. Si limiteranno a “proporre”, ma non imporre, un referendum consultivo secondo l’articolo 92 della costituzione, che deve essere proposto dal governo e votato dal parlamento.

L’ALTRO ASPETTO è che, davanti all’esigenza catalana di gestire il 100% delle imposte (come nei Paesi baschi), i socialisti si impegnano vagamente a «puntare a misure che garantiscano l’autonomia finanziaria» della Catalogna.
È previsto inoltre un «mediatore internazionale» che verificherà il compimento dell’accordo, così come di quello con Esquerra, proprio come chiedevano i catalani, ma ancora non ci sono dettagli su chi sarà e come sarà questo controllo

 

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