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CRISI UCRAINA. Il presidente della Cei a un anno dall'inizio della guerra tra Russia e Ucraina: «Le realtà sovranazionali come l'Onu costituiscono vie per la democrazia e la pace»

Zuppi (Cei): cercare ogni via per la pace 

«Ad un anno dall’inizio della guerra» tra Russia e Ucraina, «non dimentichiamo che c’è una vittima e un occupante, non facciamo finta che sia tutto uguale, ma bisogna cercare disperatamente le vie della pace. Bisogna fare uno sforzo gigantesco, contemporaneo alla legittima difesa. Le realtà sovranazionali come l’Onu costituiscono vie per la democrazia e la pace».

Così il presidente della Cei, cardinale Matteo Maria Zuppi, è intervenuto a Bologna all’incontro della “Rete delle realtà cattoliche ed ecumeniche contro le armi atomiche nei conflitti”. «Se c’è il diritto ad una legittima difesa – ha osservato il capo dei vescovi italiani – va anche considerato legittimo il diritto alla difesa della pace, facciamo nostro l’appello di papa Francesco per non abituarci alla guerra»

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EDITORIA. La proprietà della famiglia Agnelli, dopo L’Espresso, tratta altri giornali locali. Ma anche Repubblica può essere liquidata

Sciopero a Gedi: «Tutte le testate a rischio vendita» 

Da quando a dicembre 2019 gli Agnelli si sono comprati Repubblica le cose vanno sempre peggio. Ieri i giornalisti dell’intero gruppo Gedi – oltre a Repubblica e La Stampa, le testate locali rimaste dalla già grossa sforbiciata all’ex impero Finegil di De Benedetti – erano in sciopero. Il secondo in meno di un anno: un ritmo che, sommato al tono allarmato dei comunicati dei lavoratori, ricorda la parabola che a l’Unità partì con la direzione De Gregorio e che portò alla chiusura del quotidiano fondato da Antonio Gramsci.

JOHN ELKANN COME EDITORE ha dimostrato capacità perfino peggiori di suo cugino Andrea Agnelli come presidente della Juventus, lasciata sul baratro della bancarotta e degli scandali giudiziari. Dalla scelta di nominare direttore di Repubblica Maurizio Molinari, uno che è di sinistra quanto Carlo Calenda e filoIsraele quanto Netanyahu – alle scelte editoriali, di management e di scelta degli acquirenti, come conferma quella di Danilo Iervolino, mister Pegaso e università online, per l’Espresso, per la quale il marzo scorso era stato proclamato il primo sciopero.

IL GRANDE RISCHIO ORA è che a essere venduta sia proprio Repubblica. «Il perimetro non esiste più, di fatto – sottolinea il Coordinamento dei comitati di redazione del Gruppo Gedi, dopo aver incontrato l’amministratore delegato Maurizio Scanavino.
Ai Cdr l’ad ha detto: «Dipende dall’offerta e dagli interlocutori», confermando che sono in corso contatti con gruppi interessati all’acquisizione delle storiche testate del Nordest – il Mattino di Padova, La Nuova di Venezia, la Tribuna di Treviso, il Corriere delle Alpi, Il Messaggero Veneto e Il Piccolo – a cui si aggiungerebbe la Gazzetta di Mantova.

LA REDAZIONE CONSIGLIA:

Welfare e reddito: l’universalismo diventa sciovinismo

«Ma il principio può essere esteso anche a La Stampa, la Repubblica, Il Secolo XIX, la Provincia Pavese, la Sentinella del Canavese, Huffington Post, le radio: non c’è più il «perimetro di riferimento aziendale» che lo stesso ad aveva delineato solo a dicembre. «Quello che è stato il più grande gruppo editoriale italiano e che dalla sera alla mattina ha già venduto in tre anni testate storiche come la Nuova Sardegna e Il Tirreno, le Gazzette, La Nuova Ferrara, L’Espresso e chiuso Micromega, si apre nuovamente al mercato».

«La logica del vantaggio economico – affermano ancora i Cdr – si è rapidamente sostituita a quella dell’interesse per i territori e l’informazione, per la quale tutte le giornaliste e i giornalisti hanno lavorato in questi anni. In un libero mercato la proprietà ha certamente facoltà di vendere – pur assumendosi la responsabilità di disperdere l’eredità di un gruppo editoriale che ha fatto la storia dell’informazione in Italia – ma avendo ben chiaro che l’informazione libera e il pluralismo sono un bene sensibile essenziale alla democrazia. Serve massima trasparenza su chi ne avrà la futura proprietà e garanzie sul rispetto dei diritti di lavoro dei dipendenti», conclude il comunicato.

LA SOLIDARIETÀ DI TUTTE le forze politiche e del sottosegretario all’Editoria Alberto Barachini, pronto a incontrare i giornalisti, non cambia la sostanza: gli Agnelli stanno rovinando la storia del giornalismo italiano

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CONGRESSI CGIL. All'assise della sua Fiom, un discorso inedito: «Serve un nuovo modello sociale, come dice il papa, la sinistra non l’ha mai perseguito, serve essere veramente confederali, le categorie categorie vanno superate»

 Maurizio Landini parla al congresso della Fiom di Padova

Torna a casa, Maurizio Landini. Dal congresso della sua Fiom a Padova, il segretario generale della Cgil tiene un discorso a cuore aperto, molto più dei tanti tenuti nei vari congressi di categoria in corso in queste settimane.

Un Landini visibilmente teso e preoccupato per «una crisi della democrazia mai vissuta dalla nostra generazione» propone ai suoi metalmeccanici «di cambiare noi per primi, con più confederalità», «di aver coraggio e osare». Allargando «la marcia della dignità» con associazioni e movimenti lanciata giovedì da Michele De Palma , Landini difende la scelta di allearsi con papa Francesco – «come noi vuole cambiare il modello di sviluppo» – e i cattolici per mettere in discussione «il fordismo e il capitalismo», come «non ha mai fatto la sinistra con socialismo, comunismo e socialdemocrazia, e per questo è in crisi». E Giorgia Meloni che «sfrutta la crisi della democrazia» per «cambiare la costituzione», avendo «i numeri per farlo».

La disamina della situazione è cruda e mette in discussione lo stesso sindacato: «Domenica a Roma in alcuni municipi ha votato il 27%. Chi è che si astiene? Sono soprattutto le persone che stanno peggio, quelle che vogliamo rappresentate. Quelle stesse persone pensano che non serve a nulla scioperare». Dunque per Landini «la crisi della democrazia riguarda anche noi».

La risposta passa per una sola strada: «Noi abbiamo bisogno più di prima di praticare la democrazia: mettere nelle condizioni le persone di poter partecipare e decidere come

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Vietato anche alle PA acquistare crediti da Superbonus e altri bonus edilizi. Le deroghe e le novità per la responsabilità dei cessionari. Il testo del dl.

 

Stop alla cessione del credito e allo sconto in fattura per il Superbonus e tutte le altre detrazioni fiscali per l’edilizia già da oggi, 17 febbraio 2023, con qualche eccezione per i progetti già avviati, e divieto per le pubbliche amministrazioni di acquisire i crediti fiscali, come tante Regioni avevano iniziato a fare per ridare liquidità alle imprese.

Con un inaspettato decreto legge adottato nel Consiglio dei ministri di ieri, già pubblicato in Gazzetta e dunque in vigore da oggi, il Governo entra a gamba tesa sui bonus edilizi, in un intervento che si preannuncia molto impopolare, motivato dalla tutela dei conti pubblici, mentre nello stesso provvedimento tenta di facilitare la circolazione dei crediti già ceduti, intervenendo sulla questione della responsabilità del cessionario.

Il decreto, battezzato Misure urgenti in materia di cessione dei crediti di cui all’articolo 121 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77. (testo in basso), ha come oggetto, sottolinea il comunicato di Palazzo Chigi, “non il bonus, bensì la cessione del relativo credito, che ha potenzialità negative sull’incremento del debito pubblico”.

Lo stop a cessione e sconto in fattura

Da oggi, data di entrata in vigore del decreto (con alcune deroghe per le operazioni già in corso, che vedremo sotto), non è più possibile per i soggetti che effettuano le spese incentivate con i bonus edilizi optare per lo sconto in fattura né per la cessione del credito d’imposta, mentre resta la possibilità di fruire direttamente della detrazione, ovviamente per chi ha un’adeguata capienza fiscale.

Stop dunque a cessione e sconto in fattura per la generalità dei lavori incentivati con Superbonus, Bonus Casa, Sisma Bonus, Bonus Facciate e con tutte le altre detrazioni citate al comma 2 dell’art 121 del dl 34/2020, come quelle per fotovoltaico, colonnine, barriere architettoniche.

Inoltre, intervenendo sul dl 63 del 2013, si abroga la possibilità di cessione del credito anche per detrazioni non citate dall’art. 121 del dl 34/2020: quelle per riqualificazione energetica e ristrutturazione importante di primo livello (prestazione energetica) per le parti comuni dei condomini, con un importo dei lavori pari o superiore a 200.000 euro e quelle per spese per riduzione del rischio sismico sulle parti comuni dei condomini o nei comuni nelle zone a rischio sismico 1, 2 e 3, mediante demolizione e ricostruzione di interi edifici, eseguiti da imprese di costruzione o ristrutturazione immobiliare, che provvedano alla successiva alienazione dell’immobile.

Nel decreto non c’è invece il divieto, che in un primo momento si era ventilato, di cedere altri crediti fiscali come quelli sull’energia per le imprese.

Le deroghe

Come detto, il decreto contiene alcune deroghe per i progetti già avviati, per le cui spese si potrà continuare a cedere il credito o usufruire dello sconto in fattura.

Per gli interventi incentivati con il Superbonus, lo stop immediato non vale se ad oggi 17 febbraio (cioè all’entrata in vigore del decreto):

  • per gli edifici diversi dai condomini sia stata presentata la comunicazione di inizio lavori asseverata, cioè la Cila;
  • per i condomini risulti adottata la delibera assembleare che ha approvato l’esecuzione dei lavori e presentata la Cila;
  • per gli interventi comportanti la demolizione e la ricostruzione degli edifici risulti presentata l’istanza per l’acquisizione del titolo abilitativo.

Per gli altri bonus edilizi la deroga vale invece se, sempre ad oggi, data di entrata in vigore del decreto:

  • risulti presentata la richiesta del titolo abilitativo, ove necessario;
  • per gli interventi per i quali non è prevista la presentazione di un titolo abilitativo, siano già iniziati i lavori;
  • per le detrazioni sull’acquisto di immobili antisismici o energeticamente efficienti, risulti regolarmente registrato il contratto preliminare o stipulato il contratto definitivo di compravendita.

Stop agli acquisti della PA e regole sulla responsabilità del cessionario

Come detto, il decreto vieta espressamente a tutte le pubbliche amministrazioni di acquistare crediti d’imposta relativi agli incentivi fiscali citati nell’articolo 121 del dl 34/2020: una scure sulla strada che alcune Province, Regioni ed enti locali stavano percorrendo per dare un po’ di ossigeno alle tante imprese a corto di liquidità, per i troppi crediti non monetizzabili accumulati.

Infine, il testo chiarisce il regime della responsabilità solidale di chi acquista crediti, cosa che invece dovrebbe facilitare la circolazione dei titoli ancora sul mercato.

Con le nuove norme, ferme restando le ipotesi di dolo, si esclude il concorso nella violazione, e quindi la responsabilità in solido, sia per il fornitore che fa lo sconto in fattura che per chi acquista il credito, se si è in possesso della documentazione utile a dimostrare l’effettività delle opere realizzate: titoli edilizi, notifica alla Asl, prove foto e video dell’esecuzione dei lavori, visure catastali, visti, asseverazioni.

L’esclusione opera anche per i correntisti che acquistano i crediti da una banca, facendosi rilasciare un’attestazione di possesso di tutta la documentazione.

Resta peraltro fermo – si specifica – che il solo mancato possesso della documentazione non costituisce causa di responsabilità solidale per dolo o colpa grave del cessionario, il quale può fornire con ogni mezzo prova della propria diligenza o non gravità della negligenza.

Il seguente documento è riservato:

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CONGRESSI CGIL. Prima giornata dell'assise Fiom. Il segretario: Bonomi vorrebbe salari bassi per tutti, serve il sindacato dell’industria

De Palma: «Una marcia della dignità per cambiare il paese» Il segretario della Fiom Cgil Michele De Palma

Ci sono ancora luoghi nei quali appena si nomina l’Anpi, parte spontanea “Bella ciao” cantata a squarciagola da mille persone. Succede al congresso della Fiom, aperto ieri pomeriggio alla Fiera di Padova dalla coraggiosa relazione del segretario Michele De Palma che lancia «una marcia della dignità con Fim e Uilm, associazioni e movimenti per costruire un’idea diversa del paese, da Sud e Nord attraverso città, luoghi di lavoro, scuole, piazze contro un governo che vuole dividerci».

SUL SOLCO TRACCIATO da Maurizio Landini usando più volte l’espressione «le persone che per vivere devono lavorare», in quasi due ore di discorso, De Palma non fa sconti a nessuno, in primis al sindacato. Parte dalle radici antifasciste dell’organizzazione che, come da slogan congressuale «da 121 anni produciamo futuro», per rivendicare «una storia plurale» e «combattere una destra al governo che mina gli equilibri costituzionali, vuole disarticolare e dividere con l’autonomia differenziata e presidenzialismo e in economia unisce corporativismo e nazionalismo».

A Fim e Uilm dico: mai più contratti separati. Su Fca e Stellantis la verità è che non abbiamo né il lavoro né gli stipendi tedeschi. Nel sindacato servono più giovani, donne e migranti

L’ATTACCO PIÙ DURO è per il presidente di Confindustria Carlo Bonomi: «Dice che i salari nell’industria non sono bassi. È vero ma solo perché quelli degli insegnanti sono inaccettabili e noi non abbiamo nessuna intenzione di partecipare a una gara al ribasso». La richiesta «a Confindustria di ritirare la firma dal contratto pirata sottoscritto con l’Ugl sugli artigiani metalmeccanici» (500 mila lavoratori), è il preludio a una richiesta salariale per il rinnovo del contratto dell’industria del 2024 che vada «oltre l’andamento dell’inflazione, superando l’Ipca», l’indice dei prezzi senza la componente energetica: «a giugno sarà erogato l’ultimo aumento di 80 euro, significativo frutto dell’ultimo contratto ma già divorato dall’inflazione». In più «riduzione di orario e più ore di formazione e più sicurezza e salute contro il numero impressionante di morti sul lavoro».

DOPO AVER ACCUSATO la sedicente sinistra di aver costruito «un manifesto contro il lavoro con il Jobs act, al governo Meloni De Palma imputa «l’assenza totale sulla transizione industriale» e di «trasparenza: «È accettabile che l’accordo tra Arcelor Mittal e stato è secretato?», si chiede polemico. Parte dalla situazione dell’ex Ilva per affermare che «il punto non è sostituire un amministratore delegato con un boiardo di stato, ma ragionare sugli investimenti necessari a una transizione che non metta in opposizione ambiente e lavoro». «Servono fabbriche verdi a dimensione umana, non per strappare un millesimo di secondo sulla linea, vanificato da un cargo bloccato per giorni a Suez», attacca.

LE TROPPE CRISI INDUSTRIALI irrisolte – Whirlpool, Gkn – sono il sintomo di come trattare con le multinazionali è impossibile a livello nazionale – «negoziamo con manager con zero autonomia» – e che serve un «sindacato europeo che diventi un soggetto contrattuale».

Ai cugini di Fim Cisl e Uilm, De Palma chiede «mai più accordi separati». E mentre in Stellantis si va verso il terzo contratto aziendale (Ccls) senza la Fiom, rivendica il ritorno nelle fabbriche ex Fiat: «A distanza di anni serve dirsi la verità: la maggior parte dei lavoratori è in Cig e i salari non sono tedeschi (come aveva promesso Marchionne, ndr), se 5 mila se ne sono andati negli ultimi 2 anni e se è in crisi tutta la componentistica, allora vuol dire che bisogna cambiare», sottolineando la richiesta di Palombella (Uilm) di «cambiare pagina e a Stellantis di tornare al contratto nazionale Confindustria».

MA È AL TEMA INTERNO della Cgil che De Palma riserva le innovazioni maggiori. In primis con l’annuncio del primo «passo del sindacato dell’industria»: «l’assemblea con i chimici della Filctem (che stanno tenendo il loro congresso a Torino) di una assemblea unitaria a Roma il 27 febbraio per riflettere assieme su rappresentanza, contrattazione e politiche industriali».
Per quanto riguarda «la Fiom del futuro», «il rischio di sentirci, in nome della storia, i primi della classe» va combattuto: «o siamo in grado di cambiare o è a rischio l’esistenza stessa». Dunque «più giovani, più donne e più migranti fra delegati, distacchi e segretari, rischiando incertezza ma avendo la certezza di una prospettiva futura»

 

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DAL FRONTE. Siamo due reporter freelance che dal 2014 seguono il conflitto in Ucraina. Il 6 febbraio, ovvero ormai dieci giorni fa, mentre eravamo di ritorno dal fronte di Bakhmut, dove abbiamo […]

Giornalisti italiani bloccati e «censurati» dalle autorità ucraine Andrea Sceresini e Alfredo Bosco

Siamo due reporter freelance che dal 2014 seguono il conflitto in Ucraina.

Il 6 febbraio, ovvero ormai dieci giorni fa, mentre eravamo di ritorno dal fronte di Bakhmut, dove abbiamo realizzato un reportage per Rai3, il ministero della Difesa ucraino ci ha notificato la sospensione degli accrediti giornalistici.

«Da dieci giorni aspettiamo un interrogatorio del Sbu, i Servizi di Kyiv e ci è stato tolto l’accredito. E circola la voce, pericolosa in piena guerra, che saremmo “collaboratori del nemico”»

La sospensione degli accrediti – che ci erano stati regolarmente rilasciati nel marzo 2022 – comporta l’impossibilità di muoversi liberamente nel Paese, specie nelle zone vicino al fronte, e il rischio concreto di essere arrestati al primo posto di blocco. Di fatto, questo provvedimento ci ha messo nella totale impossibilità di lavorare e ha posto seriamente a rischio la nostra incolumità.

Nessuno ci ha comunicato le ragioni del provvedimento (entrambi siamo accorsi in Ucraina il 24 febbraio 2022 per raccontare le conseguenze dell’invasione russa, Bosco è stato probabilmente il reporter italiano che ha trascorso più tempo in Ucraina dal 24 febbraio, Sceresini ha da poco realizzato un reportage undercover in Siberia per raccontare il malcontento della popolazione russa e le molte diserzioni che si stanno verificando – il documentario è andato in onda in prima serata su Rai2 ed è visibile qui:

 https://youtu.be/M6SmgXaxPgY

Da un anno i nostri servizi dall’Ucraina vengono pubblicati da Rai, LA7, Mediaset, il manifesto, la tv tedesca Rtl, l’Espressoil Fatto Quotidianole Figaro Magazinela Croix, eccetera).

Tuttavia, le voci che si sono sparse tra i fixer ucraini che lavorano nel Donbass – e di cui abbiamo prova scritta – ci indicano come «collaboratori del nemico» – un’accusa che in zona di guerra può avere conseguenze molto serie.

L’unica notizia ufficiale che ci è giunta, nonostante i molti solleciti effettuati anche tramite la nostra ambasciata, riguarda un ipotetico «interrogatorio» al quale dovremmo sottoporci, e che dovrebbe essere eseguito dagli uomini dell’Sbu, il

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