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ROMA. 60 associazioni e 150 tra artisti e intellettuali promuovono un appello per l'abolizione dei due istituti

«Morire di pena», la campagna contro ergastolo e 41bis La presentazione della campagna

È stata presentata ieri nella capitale «Morire di pena», piattaforma nata due settimane fa a Napoli per sostenere l’abrogazione di 41 bis ed ergastolo. 60 associazioni e 150 tra artisti e intellettuali hanno firmato un appello per il superamento dei due istituti inserendosi nel dibattito sul carcere aperto dallo sciopero della fame del detenuto anarchico Alfredo Cospito. Primo obiettivo è sottrarlo alla china assunta negli ultimi dieci giorni quando alcune azioni anarchiche controproducenti, prevedibilmente utilizzate dal governo, e l’iniziativa forcaiola delle forze politiche di maggioranza (con sponde tra i 5S) hanno messo all’angolo chi critica il regime detentivo speciale.

Il filosofo del diritto Luigi Ferrajoli ha sottolineato «l’asimmetria tra l’inciviltà del crimine e la civiltà del diritto» che dovrebbe caratterizzare l’agire istituzionale, il cui primo obiettivo deve essere la tutela della vita umana. Al contrario, continua Ferrajoli, di quello che sta facendo l’esecutivo Meloni su Cospito e di quanto è avvenuto in Italia negli ultimi 30 anni. In questo lasso di tempo si è generato un paradosso: diminuiscono i reati ma aumentano detenuti e «sofferenza penale». Una spia, secondo il filosofo, dell’imbarbarimento del dibattito pubblico «che minaccia il futuro della democrazia». L’ex magistrata Laura Longo ha duramente criticato la deriva afflittiva del 41 bis che, soprattutto con le riforme del 2002 e 2009, si è espanso nel tempo e nelle tipologie di reati, snaturandone la funzione originale: interrompere i contatti tra detenuto e organizzazioni criminali esterne.

Tra gli interventi l’ex senatore Luigi Manconi, l’avvocata Caterina Calia, il giurista Franco Ippolito, la scrittrice Elena Stancanelli e l’attore Ascanio Celestini. «Morire di pena» è anche il tentativo di liberare il caso Cospito e il dibattito sul carcere dalla spirale dello scontro Stato-anarchici, che difficilmente potrà giovare alla vita dell’uno o all’efficacia dell’altro, attraverso la promozione di un fronte garantista. Necessario, seppur minoritario nel paese

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MEDITERRANEO. La cerimonia ad Adria (Rovigo) mentre veniva diffusa la notizia che venerdì scorso solo l'intervento della nave San Marco della marina ha sventato la cattura di quattro pescherecci siciliani

 La cerimonia ad Adria (Rovigo) - Ansa

Mentre ieri ad Adria il governo italiano celebrava la consegna a Tripoli di una nuova motovedetta le agenzie di stampa battevano la notizia del tentato sequestro di alcuni pescatori siciliani da parte dei libici. Il fatto è avvenuto venerdì scorso.

Andiamo con ordine. Nel cantiere navale in provincia di Rovigo il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha ricevuto l’omologa del Governo di unità nazionale libico Najila el Mangoush e il Commissario europeo per l’allargamento e la politica di vicinato, l’ungherese Olive’r Va’rhelyi. La cerimonia segue la visita di Meloni del 28 gennaio scorso in cui le autorità dei due paesi, oltre a siglare un accordo sul gas da 8 miliardi tra Eni e la libica Noc, hanno stretto un patto che prevede la consegna di cinque mezzi navali. Due motovedette classe Corrubbia, come quelle già in uso a Tripoli, e tre classe 300 di nuova costruzione. Mezzi specializzati per le attività di ricerca e soccorso che però nelle mani dei libici funzionano come strumento di cattura dei migranti in fuga, che una volta riportati a terra finiscono nei terribili centri di detenzione.

«La consegna fa parte della strategia a lungo termine per contrastare i traffici illegali di esseri umani. Vogliamo che il Mediterraneo non sia più un cimitero di migranti», ha detto Tajani. Per Va’rhelyi: «Aiutiamo la Libia a proteggere i loro e i nostri confini». In disaccordo gli attivisti di Mediterranea, Adl Cobas, centri sociali del nord-est e cattolici veneti che hanno lanciato uova piene di vernice rossa, simbolo del sangue dei migranti, e mostrato le foto di persone torturate nei centri libici. «È una cerimonia dell’orrore. Il governo celebra la violazione sistematica della Convenzione di Ginevra consegnando in pompa magna una motovedetta per la deportazione nei lager libici», afferma Luca Casarini di Mediterranea. Gli fa eco David Oliver Yambio, leader dei Refugees in Libya riuscito ad arrivare in Europa, che ha vissuto sulla propria pelle l’orrore della detenzione: «L’Italia continua a violare i diritti umani in Libia e lungo le sue frontiere. È un fallimento dell’Ue e di tutta la comunità internazionale».

Sul fronte pesca, invece, è stata resa pubblica la notizia che venerdì scorso, 80 miglia a nord di Tripoli, una motovedetta libica ha tentato di sequestrare tre pescherecci di Mazara del Vallo (Pegaso, Giacomo Gancitano e Twenty Three) e il motopesca di Pozzallo Vincenzo Ruta. Episodio simile a quello del 2020 quando 18 pescatori rimasero sequestrati, ma nella Cirenaica di Haftar, per 108 giorni, L’esito diverso è dipeso solo dal pronto intervento della marina italiana, con la nave San Marco e il suo elicottero. «Mentre il nostro governo discute con le autorità libiche sulle problematiche che attanagliano il Mediterraneo, gli stessi libici tentano il sequestro», attacca Vito Gancitano, presidente del consiglio comunale di Mazara del Vallo. «Solo una settimana fa Meloni, Tajani e Piantedosi sono andati a Tripoli. Evidentemente non hanno toccato l’argomento pesca», afferma Giovanni Di Dia, segretario della Flai Cgil di Trapani

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ARCHIVIO STORICO DELLA FAI. Mollicone ha chiesto di verificarne il contenuto

 

Chi ha paura della biblioteca degli anarchici? Federico Mollicone, presidente della commissione Cultura della Camera in quota FdI, vede del marcio a Imola, dove ha sede l’Archivio Storico della Federazione Anarchica Italiana: «Arriva fino ai giorni nostri, con tutta la campagna a favore di Cospito, contro il 41 bis e contro lo Stato. Chiederò una verifica sui contenuti al ministro Piantedosi per valutare se ci sono testi inneggianti all’omicidio o al terrorismo», ha detto qualche giorno fa in tv.

Il gioco è ad accomunare la Federazione Anarchica Italiana (organizzazione ormai storica e nata nel 1945) alla Federazione Anarchica Informale, quella di cui Alfredo Cospito è accusato di far parte: l’equazione diventa così anarchico uguale terrorista, con tutto quello che ne consegue. Ovviamente un archivio storico ha il preciso compito di conservare più carte possibile a scopo di studio, cosa ben diversa dalla propaganda e dal dibattito politico. Spiegarlo può apparire superfluo, ma evidentemente siamo in un periodo in cui è necessario ribadire anche l’ovvio.

Che un esponente di Fratelli d’Italia sia spaventato da una biblioteca dovrebbe sorprendere solo fino a un certo punto, così come è chiaro che l’attacco all’Asfai sia solo l’ennesimo tassello della narrazione complottista in base alla quale il Pd starebbe offrendo copertura politica a una banda di criminali che vuole portare l’attacco dritto al cuore dello Stato. Già, perché l’archivio di Imola, dal 2010, è «bene di interesse storico» per la Sovrintendenza della Regione Emilia Romagna, da sempre governata dal centrosinistra.

Fa niente se parliamo di un archivio bibliotecario tra i più importanti d’Europa, con circa 8mila tra volumi e opuscoli, riviste italiane e straniere, raccolte complete delle principali testate libertarie del secondo dopoguerra, manifesti, bandiere storiche, film, documentari, registrazioni audio, materiale autografo di vario genere che coinvolge personaggi del calibro di Pietro Nenni, Sandro Pertini, Piero Calamandrei, Adriano Olivetti, Ignazio Silone, Amelia Rosselli, Enzo Tortora.

La Federazione Anarchica Italiana negli ultimi giorni ha valutato l’ipotesi di rispondere a Mollicone, ma poi ha (comprensibilmente) deciso di lasciar perdere per evitare di immischiarsi nel dibattito delle ultime settimane, infiammato dal caso Cospito e capace di partorire perle di rara assurdità come l’inesistente saldatura tra anarchici e mafiosi sotto l’egida di un gruppo di parlamentari del Pd capeggiati da Andrea Orlando (è la tesi gridata la settimana scorsa alla Camera dall’onorevole Donzelli).

Dall’area anarchica, comunque, in difesa dell’Asfai è arrivato un comunicato del Centro Studi Giuseppe Pinelli, che bolla la polemica come una «marea di livorose imbecillità» e aggiunge che «si confonde il lavoro culturale degli archivi con la propaganda politica. Se gli archivi non potessero preservare tutti i documenti esistenti in merito a un movimento politico, o riferiti a un certo periodo storico, che tipo di storia si finirebbe a fare? Forse lo sappiamo: come emerso da alcune parti del discorso inaugurale del nuovo governo, appare evidente la passione per cancellare o riscrivere le pagine di storia italiana non gradite».

Mollicone però non si dà per vinto e, anzi, si dice stupito dallo scalpore destato dalla «semplice» richiesta di inviare gli ispettori all’Asfai. Lo stesso scalpore che aveva destato l’uscita che gli regalò un altro quarto d’ora di celebrità, quando vide Peppa Pig e chiese l’intervento della Rai perché un personaggio ha due mamme.

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Oltre 3mila le vittime del sisma che ieri ha devastato il confine tra Turchia e Siria, ma il numero dei morti è destinato a crescere. Colpita la zona dove da anni sopravvivono decine di migliaia di profughi siriani. Le responsabilità del governo sul dilagare dell’edilizia senza regole e sugli allarmi inascoltati

TERREMOTO. Speculazione edilizia e urbanizzazione sfrenata in un’area a fortissimo rischio sismico. Parla Huseyin Alan, presidente dell’ordine degli Ingegneri geologici turchi

La Turchia, nelle prime ore del 6 febbraio, è stata colpita da uno dei terremoti più grandi della sua storia, con una potenza pari a 7.7 della scala Richter. Sono state colpite dieci città e centinaia di villaggi nel sud est del Paese. Nelle ore successive un secondo terremoto ha colpito la stessa zona, stavolta secondo i sismografi la potenza era di 7.4.
L’epicentro del terremoto sarebbe la città di Maras, e i principali centri colpiti in modo pesante sono Antep, Urfa, Diyarbakir, Adana, Hatay, Kilis e Adiyaman. Si tratta di una zona popolata da circa tre milioni di persone e si trova al confine siriano e iracheno. Infatti anche dall’altra parte del confine, sul territorio siriano, ci sono numerose vittime: poche ore dopo i terremoti i morti erano già più di 1.500.

In un comunicato stampa, il Sindacato dei Lavoratori dell’Impiego Pubblico (Kesk), a proposito delle cause di questo bilancio tragico sottolinea come sia molto diffusa in tutto il Paese la cultura della speculazione edilizia insieme a una sfrenata urbanizzazione, frutto di un rapido abbandono delle

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IL LIMITE IGNOTO. Von der Leyen annuncia il decimo pacchetto di risoluzioni anti Cremlino, e aiuti all’Ucraina per oltre mezzo miliardo di euro. Scambio di prigionieri con la mediazione degli Emirati: 63 russi per 116 ucraini

I  leader europei a Kiev: Nuove sanzioni contro Mosca. Ma basta armi Prigionieri di guerra ucraini in posa dopo essere stati liberati in seguito a uno scambio con i russi - Ansa

La visita dei vertici dell’Unione europea a Kiev non è stata la solita passerella mediatica. Intanto perché erano presenti tutti i leader, da Charles Michel a Ursula Von der Leyen, insiema a una nutrita delegazione. In secondo luogo perché si è annunciato un nuovo pacchetto di aiuti da quasi mezzo miliardo di euro oltre a nuove sanzioni a Mosca in un momento in cui sul campo le forze russe hanno ricominciato ad attaccare con insistenza. Secondo Von der Leyen, che ha da poco annunciato il via libera ai massimali di prezzo sui derivati del petrolio russo, il decimo pacchetto di sanzioni entrerà in vigore prima del 24 febbraio.

E POI C’È IL VALORE simbolico. I capi delle istituzioni europee erano portatori di un messaggio abbastanza chiaro per il Cremlino: a un anno dall’invasione siamo ancora al fianco dell’Ucraina. Ma si intravede anche un leggero fastidio per l’insistenza ucraina sulle nuove forniture, soprattutto ora che la maggioranza dei paesi sta organizzando l’invio dei carri armati. Kiev sembra non accontentarsi mai di quanto l’Occidente gli accordi. Il che è interpretato da molti come un segno della delicata fase in cui sta entrando la guerra. Bakhmut, che continua a essere bombardata e assaltata da distaccamenti russi, ne è diventata un po’ il simbolo. È la «fortezza ucraina», come l’ha definita il presidente Zelensky stesso che ha anche sottolineato che i suoi uomini non la abbandoneranno. Ma i russi premono e le informazioni sugli ingenti spostamenti di personale verso le regioni occupate e separatiste non lasciano di certo indifferente lo Stato maggiore di Kiev. Secondo uno dei consiglieri dell’ex sindaco ucraino di Mariupol, ad esempio, nella città sul Mar d’Azov sarebbero arrivati tra i 10 e i 15mila soldati russi, portando a 30 mila il numero totale delle truppe occupanti. Stando a un’informativa del governo britannico Mosca avrebbe intrapreso una serie di azioni per «integrare il territorio appena occupato in una posizione strategica a lungo termine».

SULLA VISITA della delegazione Ue in Ucraina il sempre minaccioso ex-presidente russo Medvedev ha fatto sapere che «non ci poniamo limiti, l’Ucraina brucerà se continuerà l’invio di armi da parte dei Paesi occidentali». A proposito di “limiti”, Medvedev ha chiarito che anche le armi nucleari saranno considerate uno strumento legittimo se Kiev attaccherà il suolo russo. Meno impulsiva, ma non meno perentoria, è stata la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova. «L’evento tenutosi il 3 febbraio a Kiev ha confermato ancora una volta che per indebolire la Russia e servire le aspirazioni egemoniche degli Usa e della Nato, l’Ue continua a sostenere sconsideratamente il regime neonazista di Kiev».

DAL CANTO SUO il consigliere presidenziale ucraino Mikhaylo Podolyak ha invece esortato la comunità internazionale a ignorare Medvedev e a continuare a sostenere il suo Paese in quanto «la legge internazionale parla chiaro. L’Ucraina può liberare i suoi territori utilizzando qualsiasi strumento».
Nonostante la distanza tra i due belligeranti, ieri si è anche tenuto un nuovo scambio di prigionieri. Grazie alla mediazione degli Emirati arabi, Kiev ha ottenuto la restituzione di 116 soldati ucraini in cambio di 63 russi. Il governo di Zelensky ha accusato Mosca di torture sui propri militari che avrebbero perso degli arti per congelamento.

SULLE TORTURE si è espresso anche il procuratore generale della Germania, Peter Frank, secondo il quale il suo ufficio è in possesso di prove evidenti sui crimini di guerra russi, in particolare rispetto ai massacri di Bucha e agli attacchi contro le infrastrutture civili ucraine

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Dopo giorni di silenzio sull’offensiva di Donzelli e Delmastro contro il Pd, la premier scrive una lettera al Corriere e chiede a tutti di abbassare i toni, a partire da Fdi. Ma in realtà rilancia le accuse dei fedelissimi e li blinda: «Non ci sono i presupposti per le dimissioni». I dem: «Riattizza il fuoco». Cortei per Cospito, a Roma tre fermati

Dalla premier rimbrotto a Delmastro e Donzelli per i toni. Poi rilancia le accuse ai dem

La premier è stata di parola. Aveva promesso da Berlino che avrebbe fatto sapere ieri cosa pensa del caso Delmastro-Donzelli: nella mattinata scrive al Corriere della sera, procede come un trattore. Non che sia sguaiata come i due incontinenti guardiaspalle. Al contrario pesa parole e toni. Paga il dovuto obolo all’autocritica: «I toni si sono alzati troppo e invito tutti, a partire dagli esponenti di FdI, a riportarli al livello di un confronto franco ma rispettoso». Non ci si faccia ingannare dalla peraltro delicatissima rampogna. Ai suoi pupilli Giorgia Meloni non offre solo piena copertura. Riprende e rilancia tutte le loro argomentazioni.

Giorgia Meloni:

Trovo paradossale che non si possa chiedere conto ai partiti della sinistra delle loro scelte, quando all’origine delle polemiche si colloca la visita a Cospito

Di dimissioni non se ne parla proprio: «Non ritengo vi siano in alcun modo i presupposti». L’assoluzione da parte del guardasigilli Carlo Nordio sta lì proprio per essere citata e Meloni provvede. L’accusa mossa dallo scalmanato Donzelli in aula era «sicuramente eccessiva». Si sa come sono i ragazzi e chi è senza peccato scagli la prima pietra. Ma non potrà certo essere chi proprio contro di lei ha adoperato parole tanto forti come «mandante morale delle morti in mare».

LA DIFESA DEI DUE Fratelli era prevedibile, prefigurata dal silenzio dei giorni scorsi. La premier però non si ferma qui, si scaglia come loro contro il Pd. Le sembra «paradossale» che non si possa «chiedere conto ai partiti della sinistra delle loro scelte». Sul banco degli accusati ci sono loro perché all’origine del fattaccio «si colloca oggettivamente la visita a Cospito di una qualificata rappresentanza del Pd» proprio quando «il detenuto intensificava gli sforzi di comunicazione con l’esterno». E c’è di peggio: «Ben sapendo quanto alla mafia convenga mettere in discussione il 41 bis», pur messi al corrente dal solerte Donzelli «dei rapporti tra Cospito e i boss», autorevolissimi dirigenti del Nazareno «hanno continuato a chiedere la revoca dell’istituto per Cospito» fingendo di ignorare «le implicazioni che tale scelta avrebbe avuto nella lotta alla criminalità organizzata».

LA LETTERA DI MELONI è esplicita e volutamente chiara. La presidente non vuole correggere neppure una virgola. Conferma, ribadisce, rincara. Quelle di Donzelli non sono state parole dal sen fuggite. Sono una precisa strategia studiata per sottrarsi a ogni possibile critica per la scelta di mettere Cospito in pericolo di vita senza alcun motivo e per rovesciare le parti mettendo all’indice il Pd con l’accusa di favorire, se non per dolo almeno per superficialità, la mafia. Nonché di minare il santissimo articolo 41 bis. Non a caso ieri il capogruppo di FdI Foti ha presentato una mozione che impegna il governo a negare la sospensione del 41 bis a Cospito. Basterà mezzo voto in dissenso da parte della sinistra per ritrovarsi incollata addosso l’etichetta di amici dei mafiosi.

È UNA MANOVRA che sta riuscendo in pieno. Il Pd, dopo aver martellato per giorni chiedendo alla premier di esprimersi, replica, dopo troppe ore, con un comunicato che sembra battagliero ed è invece tutto sulla difensiva. Letta e le capogruppo Malpezzi e Serracchiani partono lancia in resta: «Una lettera che riattizza il fuoco invece di spegnerlo. Parole di un capo partito che difende i suoi oltre l’indifendibile e per farlo rilancia polemiche strumentali e livorose». Il resto del comunicato però il Pd lo spende per smentire le accuse della ex missina. Il Pd che «ha nel suo dna la difesa della libertà, della democrazia» etc. I «tanti caduti del campo, vittime della nostra intransigenza nei confronti del terrorismo». La «fermezza che teniamo oggi verso tentativi di sovvertimento dell’ordine costituito che non ci vedono e non ci vedranno mai ambigui». Da ogni riga, da ogni virgola trapela la paura che le calunnie di FdI facciano presa e il Pd passi, se non per amico dei mafiosi, almeno per non abbastanza intransigente.

È PRECISAMENTE il terreno su cui la premier e i suoi scherani, fuori di testa solo in apparenza, volevano portare il Pd, e dove i 5S già troneggiano. Un territorio nel quale chiedere di sospendere il 41 bis, senza alcun pericolo per le istituzioni, per un detenuto che rischia la vita diventa complicità con Cosa Nostra. Il sentiero lungo il quale il Pd insegue da sempre trafelato la destra. Con esiti puntualmente disastrosi

 

 

 

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