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STRISCIA DI SANGUE. Gaza, il massacro di 29 civili alla scuola Al Awda di Abasan. Israele: abbiamo colpito militante di Hamas con munizioni precise

 10 luglio, sfollati palestinesi tra le macerie della scuola Al Awda di Abasan, distrutta da un raid missilistico israeliano - Abed Rahim Khatib/Ap

Gli sfollati della scuola Al Awda di Abassan due giorni fa pensavano di poter godere di un po’ di normalità e di dimenticare per qualche ora, grazie a una partitella di calcio, distruzioni e morti portate dall’offensiva militare israeliana. Un ennesimo attacco aereo ha trasformato questo raro momento di svago in una tragedia. Un missile ha colpito un accampamento di tende mentre gli sfollati si erano radunati per assistere a una partita organizzata da un gruppo di ragazzi davanti alla scuola. 29 persone, per lo più donne e bambini, sono rimaste uccise nell’attacco. Della strage ad Abasan, ad est di Khan Yunis, si era saputo già martedì ma solo ieri è giunta la conferma da parte del ministero della Sanità che l’attacco è avvenuto durante l’incontro di calcio, mentre la gente osservava i giovani che rincorrevano il pallone, i venditori ambulanti vendevano frullati e biscotti e la cucina popolare dell’accampamento distribuiva pasti a centinaia di persone. «Stavamo guardando la partita, tutto era normale – racconta al manifesto Sami Abu Omar, di Bani Suheila, non lontano da Abassan – il missile è caduto all’improvviso, non abbiamo sentito alcun rumore prima». Poi è stato il panico, accompagnato da grida di dolore e disperazione e dalla fuga in massa dei presenti. Testimoni hanno detto di aver visto corpi smembrati, anche di bambini. Le vittime appartengono in maggioranza alle famiglie Asfour e Abu Daqqa, che si erano rifugiate nella scuola al Awda non lontana dalle loro case distrutte dai bombardamenti.

I comandi israeliani hanno riconosciuto di aver aperto il fuoco ma sostengono che l’attacco ha colpito, con una «bomba di precisione», un combattente di Hamas che aveva preso parte all’attacco nel sud di Israele il 7 ottobre. Fino a ieri sera non hanno commentato la notizia del missile caduto durante la partita di calcio. All’ ospedale Nasser, decine di palestinesi hanno dato l’ultimo saluto ai propri cari morti. «Le scuole erano sovraffollate e le strade erano piene quando all’improvviso un missile ha distrutto tutto. Parti di corpi sono volati in aria, non so come descriverlo», ha detto un’agenzia di stampa Asmaa Qudeih, che ha perso alcuni parenti nell’attacco. L’attacco alla scuola Al Awda è solo l’ultimo di una serie di bombardamenti che hanno preso di mira almeno quattro istituti scolastici delle Nazioni Unite di recente. Israele li spiega come raid contro militanti di Hamas che, sostiene, si nasconderebbero nelle scuole, in particolare quelle dell’Unrwa dove migliaia di sfollati hanno trovato rifugio.

Proprio l’Unrwa resta un obiettivo di Israele che accusa l’agenzia dell’Onu per i profughi palestinesi di collusione con Hamas. Le sue pressioni, a inizio anno, avevano spinto gli Usa e una ventina di paesi occidentali a sospendere i finanziamenti all’Unrwa. Poi tutti hanno fatto marcia indietro, ma non Washington. Martedì notte decine di soldati israeliani delle unità speciali hanno preso parte ad un raid nel quartier generale dell’Unrwa a Gaza City alla caccia, ha detto il portavoce militare, di militanti di Hamas e Jihad che usavano i locali delle Nazioni unite «come base per condurre attacchi contro le truppe israeliane nella Striscia di Gaza centrale». Il portavoce ha detto che l’incursione è avvenuta dopo aver fatto allontanare i civili presenti nella zona. I soldati, ha aggiunto, hanno recuperato armi e munizioni nascoste da Hamas. La violazione della sede dell’Unrwa è stata accolta con scarso interesse dal resto del mondo a conferma dell’insidioso processo di normalizzazione dell’offensiva israeliana a Gaza da parte dei governi e dei media occidentali. «Un altro giorno. Un altro mese. Un’altra scuola colpita…Il palese disprezzo del diritto umanitario può diventare la nuova normalità», ha commentato il commissario generale dell’Unrwa, Philippe Lazzarini.

Le forze israeliane hanno ulteriormente intensificato l’offensiva nel nord e nel centro di Gaza, in particolare nel capoluogo Gaza city. Morti e feriti anche ieri. Il bilancio di vittime dal 7 ottobre è di almeno 38.243 morti e 88.033 feriti. Resta tesa la situazione anche al confine tra Libano e Israele. Il leader di Hezbollah ieri ha ribadito che il cessate il fuoco al confine con il Libano, dipende dalla fine delle ostilità nella Striscia. «Se ci sarà un accordo di cessate il fuoco a Gaza, anche il nostro fronte cesserà (le ostilità) senza alcuna negoziazione», ha detto Hassan Nasrallah. La tregua ieri è tornata sui tavoli dei mediatori. A Doha è giunta la delegazione di Israele guidata dai vertici dei servizi segreti. Non è chiaro se abbia ricevuto dal governo l’incarico di arrivare all’accordo che vogliono, secondo un sondaggio, il 56% degli israeliani ebrei per riportare a casa i 120 ostaggi a Gaza

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LEGGE CALDEROLI. Il referendum sull’autonomia differenziata comincia a far paura alla Lega e più in generale al centrodestra, ancor prima che inizi l’effettiva raccolta delle firme. A tuonare contro la chiamata dell’elettorato […]

Bandiere tricolori sui banchi delle opposizioni contro l'autonomia

 

Il referendum sull’autonomia differenziata comincia a far paura alla Lega e più in generale al centrodestra, ancor prima che inizi l’effettiva raccolta delle firme. A tuonare contro la chiamata dell’elettorato ad esprimersi sul ddl Calderoli, sono stati i tre governatori del Carroccio, Luca Zaia, Attilio Fontana e Massimiliano Fedriga e questo mentre il consiglio regionale dell’Emilia Romagna votava la delibera per chiedere l’abrogazione della contestata legge Calderoli. E mentre il presidente forzista del Piemonte Alberto Cirio, sulle orme di Zaia, firmava la lettera con cui chiede al governo di aprire il tavolo sull’autonomia.

«Se andiamo al referendum – ha detto in modo surreale Zaia in una intervista ieri al Corriere della Sera – l’Italia che ne uscirà non sarà più la stessa. Sarà una guerra tra guelfi e ghibellini, o meglio di italiani contro italiani». Inevitabile la risposta di Maurizio Landini, che con la Cgil sta promuovendo la raccolta delle firme, o della governatrice della Sardegna, Alessandra Todde, che nei prossimi giorni promuoverà nel suo consiglio regionale la richiesta di referendum, o del capogruppo di Avs al Senato Peppe De Cristofaro: è la legge Calderoli a spaccare l’Italia – hanno detto tutti e tre – e non il referendum che la vuole abrogare. Analogamente a Zaia, anche Fedriga ha – come si suol dire – rigirato la frittata: con il referendum «credo che si stia andando verso uno scontro che ha un’estrema strumentalizzazione di un testo che non spacca l’Italia».

Dopo che lunedì scorso il consiglio regionale della Campania ha deliberato di chiedere il referendum, ieri è stata la volta dell’assemblea legislativa dell’Emilia Romagna. Anche a Bologna, come lunedì a Napoli, in favore della delibera ha votato il centrosinistra al completo (28 sì) mentre le destre hanno votato contro (13 i no). Ora si attendono identici atti dai consigli di Toscana, Puglia e Sardegna (quest’ultimo voterà il 17 luglio). Fontana ha espresso «delusione» per l’Emilia, dato che nel 2017 aveva chiesto, come Lombardia e Veneto, l’autonomia. Fontana non dice tuttavia che mentre le due regioni a guida leghista avevano chiesto la devoluzione di tutte le funzioni delle 23 materie indicate dall’articolo 116 della Costituzione, l’Emilia aveva chiesto solo una serie mirata di funzioni più legate alle specificità territoriali della regione.

La segretaria del Pd, Elly Schlein, parlando ieri pomeriggio ad un convegno organizzato dal gruppo dem del Senato su premierato e autonomia, ha esplicitato un ulteriore intento del referendum: «Siccome autonomia e premierato sono frutto di un cinico baratto, se ne fermiamo una le fermiamo tutte». Sottovoce si aggiunge un ulteriore intento: «Prepariamoci a votare per le politiche nel 2026 e non nel 2027» ha sussurrato Arturo Scotto. La raccolta delle firme, oltre alla richieste delle cinque regioni, serve a mobilitare l’opinione pubblica. Infatti il raggiungimento del quorum è un obbiettivo difficilissimo, anche per i 4,7 milioni di italiani residenti all’estero che sui referendum non votano mai. Si tratta di ripetere la mobilitazione che ci fu sui referendum sull’acqua pubblica.

Intanto le altre due riforme costituzionali, il premierato e la separazione delle carriere, camminano al piccolo trotto in commissione Affari costituzionali della Camera. Ieri pomeriggio la commissione ha deciso di esaminare a settimane alterne le due riforme: la prossima inizieranno le 72 audizioni sul premierato, nella successiva (dal 22 luglio) quelle sulla giustizia

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«Non ha vinto nessuno». Con una lettera ai francesi Macron chiama a raccolta il centro e sbarra la strada al Nuovo fronte popolare: solo «l’insieme delle forze repubblicane» ha la maggioranza per formare il governo. Mélenchon: «Non riconosce il risultato del voto»

BISOGNA SAPER VINCERE. In una lettera ai francesi il presidente chiede la formazione di un esecutivo composto «dall’insieme delle forze repubblicane»

«Non ha vinto nessuno». Macron prende tempo e prova a fermare Nfp 

Ci sono voluti tre giorni, ma alla fine Emmanuel Macron si è deciso a dire la sua. «Nessuno ha vinto» le elezioni legislative, ha scritto il presidente della Repubblica in una «lettera ai francesi» pubblicata dalla stampa regionale ieri, 96 ore dopo la vittoria del Nuovo Fronte Popolare, che ha conquistato la maggioranza relativa dei seggi.

Un’evidenza di fronte alla quale l’inquilino dell’Eliseo ribatte che «solo l’insieme delle forze repubblicane» sono in grado di rivendicare una maggioranza assoluta. Per questa ragione, Macron invita «l’insieme» dell’arco repubblicano a «costruire una maggioranza solida». Poi, il presidente deciderà «la nomina del primo ministro, cosa che presuppone di lasciare un po’ di tempo alle forze politiche per costruire dei compromessi». Intanto secondo Politico Macron si preparerebbe ad accettare le dimissioni del primo ministro Gabriel Attal il 17 luglio prossimo. Dure le prime reazioni alla proposta del presidente. E se i socialisti lo invitano a scegliere il nuovo premier nel Nuovo fronte popolare, Jean-Luc Mélenchon usa toni più duri: «Un caso unico nel mondo democratico: il presidente si rifiuta di riconoscere il risultato delle urne, è il ritorno del veto del Re sul suffragio universale», ha scritto su X il leader di Lfi, mentre Marine Le Pen in serata ha parlato di «circo indegno».

LA FORMULA ricorda quanto detto poche ore prima dal ministro degli Interni Gérald Darmanin, intervenuto in mattinata su Europe1, la radio del gruppo di media ultra-conservatori del magnate Vincent Bolloré. Bisogna «prendere un po’ di tempo per evitare il dramma del Fronte Popolare», ha detto Darmanin, dando il tono della strategia della macronie per evitare che

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UE. Garcia Pérez (S&D): «Nessun assegno in bianco». Il Ppe spinge per imbarcare la destra di Meloni

 Ursula von der Leyen - Geert Vanden Wijngaert/ Ap

È lastricata di tanti incontri la strada di Ursula von der Leyen verso la rielezione. Oggi vedrà i liberali di Renew e i Greens, che della maggioranza in linea di principio non fanno parte. Ieri i popolari del Ppe e i socialisti, pilastri dell’alleanza.

Nessun incontro con il raggruppamento dei Patrioti per l’Europa, lanciato da Viktor Orbán lunedì, che si è imposto come terzo gruppo all’Eurocamera e di cui fanno parte il Rassemblement national di Le Pen e la Lega di Salvini.

La data cerchiata in rosso è il 18 luglio, quando l’assemblea di Strasburgo si riunirà per eleggere la presidente indicata dai capi di Stato e di governo nel Consiglio europeo di fine giugno. La maggioranza c’è sulla carta (400 voti a fronte della soglia di 361), ma deve fare i conti con il voto segreto e con i franchi tiratori (il presidente del gruppo Ppe Weber hai chiesto ai suoi 188 eurodeputati di essere presenti al 100%).

DAI SOCIALISTI von der Leyen non avrà un «assegno in bianco», scandisce la capogruppo Iratxe Garcia Pérez. Priorità per S&D sono «un commissario alla Casa, il Green Deal e l’economia sociale, i diritti dei lavoratori, l’eguaglianza di genere». E nessun accordo con l’estrema destra.

Quanto al Ppe, raggruppamento più numeroso a Strasburgo, il principale problema di von der Leyen e di Weber riguarda le alleanze: la gran parte del popolari, compresa Forza Italia, si oppone alla possibilità di imbarcare i Verdi europei, che potrebbero però portare in dote 54 voti.

Gli ecologisti, guidati dall’olandese Bas Eickhout e dalla tedesca Terry Reintke, sono orientati ad aggiungere i loro voti anche senza un accordo formale, con l’idea di condizionare la prossima Commissione sulle materie a loro più care, come Green deal e diritti.

Oggi si capirà se la disponibilità diventerà concreta e come verrà trovata una quadra per non irritare le componenti Ppe più ostili agli ambientalisti.

DA GIORNI POI GLI ITALIANI del Ppe, con Fi e Tajani, premono verso un allargamento della maggioranza verso FdI, che con 24 eurodeputati rappresenta la prima delegazione Ecr in termini numerici. La freddezza del partito di Meloni verso il gruppo dei Patrioti è evidente.

La distanza da Orbán e dalla sua traiettoria politica di rottura, soprattutto sul tema Ucraina, già vista plasticamente nell’incontro bilaterale di fine giugno a Palazzo Chigi, si è ulteriormente accentuata. La mancata vittoria della destra lepenista in Francia, che ha fatto tirare un sospiro di sollievo ai vertici Ue, rappresenta anche una spinta al dialogo con il centro di Ecr.

Sandro Gozi (Renew)

La premier Meloni ha fatto un grave errore, confondendo il suo ruolo di leader di partito con quello istituzionale di presidente del Consiglio

Per questo, gli occhi di tutti a Bruxelles sono puntati verso l’incontro chiarificatore tra von der Leyen ed Ecr. «Meloni ha fatto un grave errore, confondendo il suo ruolo di leader di partito con quello istituzionale di presidente del Consiglio», dice al manifesto Sandro Gozi, eurodeputato di Renew, che ieri ha accolto il parlamentare irlandese Ciaran Mullooly, salendo così a 77 membri, ovvero giusto un seggio sotto Ecr.

Parte della maggioranza Ursula bis, i liberali incontrano oggi von der Leyen. «La prima delle nostre priorità è quella dello Stato di diritto», afferma ancora Gozi riferendosi al pericolo rappresentato dall’attivismo del premier ungherese, che nei primi giorni della presidenza di turno del Consiglio Ue si è recato in visita, oltre che a Kiev, a Mosca e poi a Pechino.

Oggi, nella riunione dei diplomatici, circa venti paesi capeggiati dalla Polonia intendono mettere sotto accusa Budapest per le «iniziative di pace» non concordate con i partner.

RIGUARDO ALLA DIREZIONE che l’allargamento della maggioranza dovrebbe prendere per garantire la rielezione di von der Leyen, il macroniano Gozi chiarisce: «Nessun problema ad accogliere i Verdi, che si sono dimostratici affidabili e pragmatici. Ma diciamo no ad un accordo strutturale verso Ecr». Una posizione, la sua, condivisa dai socialisti, ma che conferma quanto sia complicata la soluzione del rebus riconferma per la presidente della Commissione.

INFINE, L’ESTREMA DESTRA è prossima al lancio di un nuovo gruppo: L’Europa delle nazioni sovrane. L’annuncio dai cechi di Svoboda a Prímá demokracie. Il gruppo ospiterà l’AfD (che era stato espulso da Id), l’ultradestra polacca di Konfederacja, gli spagnoli di Sé Acabó La Fiesta, i bulgari di Revival e Sos Romania. E forse l’eurodeputata francese Sarah Knafo, compagna di Eric Zemmour

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È iniziato a Washington il summit della Nato «globale», con al centro la guerra che l’Ucraina non deve perdere, le tensioni in aumento nell’Indo-Pacifico e la corsa al riarmo degli alleati. Ma occhi puntati sulle condizioni di Joe Biden, comandante in capo mai così in bilico
VERTICE A WASHINGTON.
 Zelensky invitato speciale, a caccia di F16. Per il presidente Usa quasi un test attitudinale. Spagna e Italia osservate speciale, tra i Paesi Ue sono le sole a non spendere il 2% del Pil in armamenti

 Washington, Joe Biden nella Cross Hall della Casa Bianca - Jacquelyn Martin/Ap

Si è aperta ieri a Washington la riunione dei rappresentanti dei membri della Nato che durerà fino all’11 luglio. Il summit ha una forte valenza simbolica, in quanto commemora i 75 anni dell’Alleanza atlantica, e si tiene in un momento molto delicato per gli equilibri geopolitici globali.

Al centro dei dibattiti ci sarà ovviamente l’Ucraina, con Zelensky come invitato speciale, ma sono molti i dossier aperti. Dall’aumento delle spese militari dei Paesi dell’Ue, che secondo gli impegni dovrebbero superare almeno la soglia del 2%, a Taiwan, passando per l’Africa, su cui il governo italiano vorrebbe portare il focus, e il Medioriente.

Nel centro stampa del vertice Nato in corso a Washington
Nel centro stampa del vertice Nato in corso a Washington, foto Ap

I RIFLETTORI SARANNO PUNTATI costantemente su Joe Biden che non potrà permettersi nessun

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I QUESITI. Rappresentanza, autonomia differenziata, lavoro: partiti e associazioni alle prese con la difficile soglia delle 500 mila firme. In Fi il ddl Calderoli divide il governatore della Calabria Occhiuto dal vicepremier Tajani
L’opposizione al governo passa sempre dai referendum

Il 2025 potrebbe essere l’anno dei referendum. Oltre a quelli della Cgil contro il Jobs Act e per il lavoro dignitoso e a quello sull’autonomia differenziata, depositato il 5 luglio scorso, gli italiani potrebbero recarsi alle urne anche per esprimersi sulla rappresentanza. Il comitato referendario Io voglio scegliere, composto dall’ex ministra Elisabetta Trenta, dall’ex parlamentare Giorgio Benvenuto, da Sergio Bagnasco, dal giurista Enzo Palumbo e Raffaele Bonanni, già segretario generale Cisl, ha depositato il 23 aprile scorso in Cassazione 5 quesiti per abrogare alcune parti del Rosatellum.

In particolare il voto congiunto obbligatorio che consente di eleggere direttamente i candidati nei collegi uninominali che, quindi, non sarebbero più imposti dalle segreterie di partito; la soglia di sbarramento; il vantaggio dei partiti già presenti in parlamento che non devono raccogliere le firme per le liste; le pluricandidature. La raccolta delle firme per questi quesiti, ispirati alle battaglie dell’avvocato Felice Besostri che aveva combattuto il Porcellum, è già partita. Rimane, come negli altri casi, l’incognita del raggiungimento delle 500 mila firme necessarie entro settembre. Intanto, per quanto riguarda l’autonomia differenziata, la Campania ha fatto da apripista al percorso referendario delle cinque Regioni guidate dal centro sinistra. Il Consiglio regionale campano ieri ha approvato, con il concorso del Movimento 5 Stelle (fuori giunta) e persino di un consigliere di Azione che a livello nazionale boccia l’operazione, la richiesta di indizione, sul cui testo dovrebbero convergere anche Emilia-Romagna, Sardegna, Puglia e Toscana.

Mentre per il governo rimane l’incognita Forza Italia. Il segretario Tajani si sta destreggiando tra il suo ruolo di vicepremier e la perplessità dei suoi sul ddl Calderoli. Perplessità che diventano opposizioni manifeste, come nel caso della Calabria. Il governatore Roberto Occhiuto, intervenendo ieri al consiglio nazionale del suo partito, è stato meno ambiguo rispetto alle settimane precedenti. «Il mio auspicio – ha detto Occhiuto – è che FI non voti, in Consiglio dei ministri e in Parlamento, alcuna intesa con singole regioni se prima non saranno interamente finanziati i Lep e se non ci sarà la certezza che determinate intese non possano produrre danni al Sud».

Occhiuto avrebbe anche manifestato insofferenza per «modi e tempi» dell’approvazione della legge sulle autonomie e incalzato il suo partito a mettere al centro «il superamento delle differenze territoriali, archiviando definitivamente la spesa storica a favore dei fabbisogni standard». La mossa di Tajani di creare un osservatorio potrebbe rivelarsi inutile a placare parte del partito.

 
 
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