Non c’è solo la relazione sul decreto sicurezza che ha fatto infuriare il governo. Dalla Cassazione arriva anche un altro parere che punta il dito sulla legge pensata per deportare i migranti in Albania. Diversi i profili di incostituzionalità. Ma il documento non è stato pubblicato
Migranti Oltre ai problemi con il diritto europeo, emergono possibili profili di incostituzionalità. Dopo quella sul decreto sicurezza, un'altra relazione del massimario mette in dubbio le leggi bandiera del governo Meloni
Migranti deportati al porto di Shengjin in Albania – Ap
C’è un’altra relazione dell’Ufficio massimario e ruolo della Cassazione che non piacerà al governo: riguarda il protocollo Italia-Albania. A differenza di quella sul decreto sicurezza, su cui ieri è continuata la polemica politica, è stata redatta dal servizio civile, non dal penale. È datata 18 giugno ma non è finita sulla pagina web della Corte. Si può però trovare su Italgiure, la banca dati di «norme, giurisprudenza e bibliografia» della Cassazione. In queste ore sta circolando tra i giuristi e il manifesto ha potuto visionarla. Non si tratta di un documento segreto, anzi si sarebbe potuto trovare sul sito degli ermellini, con i tre dello stesso tipo pubblicati nel 2025. Se non fosse stato deciso di tenerlo riservato.
Le 48 pagine tracciano una dettagliata anatomia giuridica di tutte le questioni che ruotano intorno ai centri di Shengjin e Gjader. Il punto di partenza è la legge di conversione del decreto che a fine marzo ha esteso l’uso delle strutture, inizialmente riservate ai richiedenti asilo mai entrati in Italia, ai migranti “irregolari” già presenti sul territorio nazionale. Ma lo studio affronta anche i nodi della stessa legge di ratifica del protocollo.
CHIARIAMOLO SUBITO: non si tratta di un provvedimento che vincola i giudici della Corte, ma di una raccolta dei principali pareri della dottrina, l’insieme di elaborazioni teoriche che gli studiosi del diritto esprimono sulle questioni legali. Di fronte a novità normative, soprattutto se di grande rilevanza come il decreto sicurezza o il protocollo con Tirana, l’ufficio del massimario le riunisce a favore dei consiglieri della Cassazione, affinché abbiano una mappa con cui orientarsi. In particolare sui punti critici, rispetto ai quali esistono interpretazioni contrastanti.
Le criticità relative al progetto Albania sono tante: la dottrina «ha espresso numerosi dubbi di compatibilità con la Costituzione e con il Diritto internazionale», si legge nel testo. La cosa interessante è che riguardano molte più questioni di quelle sollevate finora dai giudici, siano di Tribunale civile, Corte d’appello o Cassazione. Quest’ultima il 29 maggio scorso ha chiesto alla Corte di giustizia Ue di chiarire se il trasferimento dei migranti “irregolari” in un paese terzo sia compatibile con la direttiva rimpatri e, in caso di risposta affermativa, se la permanenza oltre Adriatico di chi chiede asilo a Gjader rispetti la direttiva procedure.
TRA IL PROTOCOLLO Albania e il diritto europeo c’è una relazione complicata, zeppa di contraddizioni e buchi neri: trattandosi di
Commenta (0 Commenti)Il decreto sicurezza è un mostro giuridico che il governo ha piantato nel codice penale. Lo dice anche la Cassazione che demolisce il provvedimento più rappresentativo del governo. E apre la strada all’intervento della Corte costituzionale. Ma la stretta repressiva è già in atto
Il report Caso «unico» nel suo genere per l’abuso della decretazione d’urgenza, il pacchetto Sicurezza del governo Meloni - trasferito tal quale dal ddl al decreto legge - è a rischio di incostituzionalità, nel metodo e nel merito. A sottoscriverlo, questa volta, è addirittura la Corte di Cassazione
Manifestazione contro il DDL Sicurezza a Roma – LaPresse
Caso «unico» nel suo genere per l’abuso della decretazione d’urgenza, il pacchetto Sicurezza del governo Meloni – trasferito tal quale dal ddl al decreto legge – è a rischio di incostituzionalità, nel metodo e nel merito. A sottoscriverlo, questa volta, è addirittura la Corte di Cassazione che dedica a questa specifica novità normativa – non proprio as usual – un apposito report. «La prassi parlamentare annovera due soli precedenti di trasposizione dei contenuti di un progetto di legge in discussione in Parlamento in un decreto-legge, a suo tempo in effetti censurati dalla dottrina costituzionalistica e, in ogni caso, nessuno dei due riguardava la materia penale», scrive il Servizio penale dell’Ufficio del Massimario e del ruolo della Corte Suprema nella relazione 33 pubblicata il 23 giugno 2025.
In 129 pagine mette a fuoco anche tutti i profili problematici e le manifeste criticità (qualcuna in più di quelle già molte volte segnalate) dell’«eterogeneo» contenuto dei 38 articoli del provvedimento governativo in vigore dal 12 aprile 2025. Pur dal carattere non vincolante, la relazione della Cassazione potrebbe costituire una solida base per eventuali ricorsi in Corte costituzionale.
CITANDO LE NUMEROSE associazioni di costituzionalisti, professori di diritto penale, magistrati (compresa l’Anm), giuspubblicisti (ad esempio, Articolo 21) e i tanti esperti auditi nelle commissioni parlamentari, nonché l’Osce e l’Alto commissario per i diritti umani dell’Onu, il Massimario riporta «severe perplessità anzitutto sulla (in)sussistenza dei presupposti giustificativi per il ricorso alla decretazione d’urgenza, tanto più che neppure il governo proponente si era mai avvalso della facoltà, prevista dall’art. 72 Cost. e dai regolamenti parlamentari, di chiedere l’esame con procedura d’urgenza di quel disegno di legge». «A ciò si aggiunge l’estrema disomogeneità dei contenuti», si legge nella relazione, che «avrebbe richiesto un esame ed un voto separato sulle singole questioni».
Mentre «la conversione in legge li riunisce “a bordo” di un unico articolo», in violazione della Costituzione (art. 72) laddove prevede l’analisi e il voto distinto per ciascun articolo. Il colpo di mano sul Parlamento potrà essere certificato, ricorda la Corta, in sede di «ricorso per conflitto di attribuzione da parte dei singoli parlamentari» (il primo è stato già proposto dal segretario di + Europa, Magi). Sul metodo, infine, la relazione ricorda che il decreto non è stato presentato alle Camere per la conversione in legge il giorno stesso, come invece obbliga l’art. 77 della Carta. Mancando dunque i presupposti costituzionali della decretazione d’urgenza, fa notare la Corte Suprema, si potrebbe determinare «l’invalidità della legge di conversione».
QUANTO AL MERITO, la Cassazione mette in guardia sul «rischio di colpire eccessivamente gruppi specifici, come minoranze etniche, migranti e rifugiati» e sulle potenziali «discriminazioni e violazioni di diritti umani». Dalla disamina si evince
Leggi tutto: La Cassazione boccia il decreto Sicurezza - di Eleonora Martini
Commenta (0 Commenti)Non dice nulla contro i dazi di Trump, accetta tutti gli impegni sul riarmo della Nato, rinvia ogni decisione sull’accordo con Israele. Il Consiglio europeo riesce solo a varare altre sanzioni alla Russia. Mentre si fa strada la linea Meloni contro i migranti. La deriva del continente è senza fine
Ue Un Consiglio europeo che non riesce a decidere praticamente nulla, piuttosto rimanda. Sulla difesa comune, si limita a registrare le decisioni prese all’Aja dal vertice Nato
Bruxelles, il tavolo del Consiglio europeo – Getty
Un Consiglio europeo che non riesce a decidere praticamente nulla, piuttosto rimanda. Sulla difesa comune, si limita a registrare le decisioni prese all’Aja dal vertice Nato. Sull’accordo di associazione Ue-Israele, rinvia ancora, dopo mesi di tira e molla, tra le proteste di chi come il premier socialista spagnolo Sánchez, denuncia un immobilismo sempre più imbarazzante, se non colpevole. L’unica parola chiara che il consesso dei leader riesce a pronunciare è quello sulla Russia, dando il via libera al 18esimo pacchetto di sanzioni con un accordo tra 26. E a margine del Consiglio, l’iniziativa guidata da Meloni, con i primi ministri di Danimarca e Paesi Bassi per una nuova stretta sui rimpatri, a cui si sono uniti altri undici paesi, compresa la Germania del cancelliere Merz.
I DAZI – IL PROBLEMA più pressante per l’Ue, guerra escluse – non sono neppure in agenda e dunque non finiscono nel testo scritto delle conclusioni. «Il presidente Costa ha voluto tenere il punto per cena, in modo che la discussione sia più libera», spiega un diplomatico. E sì che mancano pochi giorni al 9 luglio, data finale per trovare un accordo con Washington sui dazi. Dopo l’ipotesi, ventilata nei giorni scorsi di accettare un’imposizione del 10% per l’export Ue da parte degli Usa, il negoziato potrebbe complicarsi di nuovo. Complice l’opt-out di Madrid rispetto al 5% di Pil in spese militari e la minaccia di Trump di imporre dazi a parte proprio verso la Spagna. Dagli ambienti Ue informati della trattativa trapela una evidente preoccupazione, rispetto a una mossa che Washington sarebbe in diritto di decidere (mentre non varrebbe al contrario da un paese europeo verso beni e servizi Usa). L’indicazione di massima è che in questo caso si farebbe quadrato intorno alla Spagna. Ma le modalità e gli strumenti sono ancora tutti da decidere.
Il punto più divisivo del summit rimane l’atteggiamento dell’Europa verso Israele. Al suo arrivo a Bruxelles, il premier spagnolo Sánchez invoca la «sospensione immediata» dell’accordo di associazione Ue-Israele, dopo che
Commenta (0 Commenti)Socialista, musulmano, pro Lgbtq, per la Palestina: a sorpresa Zohran Mamdani straccia Cuomo alle primarie dem per la carica a sindaco di New York. La mobilitazione dal basso manda in crisi l’establishment progressista e lancia un segnale all’America di Trump
La Mela stregata Con il 43%, il 33enne straccia Cuomo con il solo appoggio della base e dei sanderisti. Nato in Uganda, musulmano, pro Lgbtq e pro Pal, parla di bus gratuiti, affitti congelati e tasse ai ricchi
Zohran Mamdani festeggia la vittoria alle primarie Dem a sindaco di New York – Ap/Heather Khalifa
Zohran Mamdani, il 33enne socialista democratico, che ha portato avanti una campagna elettorale promuovendo l’idea di rendere New York più accessibile, ha vinto le primarie democratiche per la carica di sindaco, battendo l’ex governatore Andrew Cuomo e altri nove candidati e causando un terremoto politico destinato a risuonare in tutto il Paese.
MAMDANI ha lanciato la sua campagna da politico locale, membro dell’Assemblea di Stato del Queens, lo scorso ottobre proponendo un’opzione di sinistra, concentrata sull’accessibilità economica e sull’equità per i lavoratori di New York. Con il 93% delle schede scrutinate, Mamdani ha ottenuto il 44% contro il 36% di Cuomo già al primo turno, assicurandosi una preferenza che probabilmente lo porterà alla carica di primo cittadino, assestando un colpo all’establishment del Partito democratico nazionale.
Nato in Uganda da genitori di origini indiane, musulmano, socialista, pro Lgbtq, pro diritti dei palestinesi e pesantemente critico verso Netanyahu: con questo tipo di profilo, se fosse per Trump, Mamdani non dovrebbe nemmeno essere negli Stati uniti, figuriamoci diventare primo cittadino della metropoli simbolo del paese. Eppure proprio con questo profilo, parlando di autobus gratuiti, affitti congelati, aumenti delle tasse per i ricchi e di costo dell’assistenza all’infanzia portato a zero e usando apertamente il termine «genocidio» per Gaza, Mamdani ha battuto un’istituzione come Cuomo. E lo ha fatto con piccole donazioni arrivate dalla base, contro le cifre stratosferiche dei super Pac che continuavano a piovere sull’ex governatore 67enne, dimessosi dopo molteplici accuse di molestie sessuali, ma che comunque godeva di un’enorme notorietà e di fondi che erano più del triplo di quelli del suo oscuro sfidante.
Man mano che il giovane socialista usciva dall’ombra, il sostegno economico per Cuomo aumentava, incluso quello dell’ex sindaco miliardario Bloomberg. Mamdani ha potuto contare solo sugli endorsement di Bernie Sanders e di Alexandra Ocasio-Cortez; Cuomo su tutti gli altri, a partire da quello dei coniugi Clinton.
È SIMBOLICO che Mamdani sia diventato cittadino americano nel 2018, l’anno della vittoria a sorpresa di Aoc che come lui vinse a New York contro un gigante dell’establishment, dando al partito un moto propulsivo i cui effetti si continuano a sentire. Come lei, Mamdani rappresenta un quartiere popolare, lei il Bronx e lui il
Leggi tutto: Un socialista per New York. Le primarie dem a Mamdani - di Marina Catucci
Commenta (0 Commenti)Senza cibo da mesi, i palestinesi sono spinti dalla fame nella trappola omicida degli aiuti distribuiti dalla Ghf. Ad attenderli esecuzioni di massa. Un reportage di +972 racconta come ha fatto Israele in 30 giorni ad ammazzare 500 gazawi in fila per la farina
Pane e piombo Le voci dei palestinesi di Gaza sopravvissuti al sistema omicida di distribuzione alimentare. Costretti dal blocco degli aiuti, sfidano le esecuzioni di massa: 500 uccisi in meno di un mese, 3mila feriti. «Sono stato colpito mentre fuggivo, un cecchino mi ha preso alla schiena. Sono vivo ma altri no. Sono tornati nelle sacche per cadaveri», racconta Mohammad Al-Basyouni
Due feriti dai cecchini a Jabaliya – EPA
L’11 giugno, prima dell’alba, Hatem Shaldan, 19 anni, e suo fratello Hamza, 23, sono andati ad aspettare i camion degli aiuti vicino al corridoio di Netzarim, nella Striscia di Gaza centrale. Speravano di tornare con un sacco di farina bianca per la loro famiglia di cinque persone. Hamza è tornato con il corpo del fratello minore avvolto in un sudario bianco. La famiglia Shaldan ha vissuto praticamente senza cibo per quasi due mesi a causa del blocco imposto da Israele, stipata in un’aula trasformata in rifugio nella parte orientale di Gaza City. La loro casa, un tempo vicina, è stata completamente distrutta da un attacco aereo israeliano nel gennaio 2024.
Verso l’1.30 del mattino, i due fratelli si sono uniti a decine di palestinesi affamati in Al-Rashid Street, lungo la costa, dopo aver sentito che dei camion che trasportavano farina sarebbero entrati nella Striscia. Due ore dopo, hanno sentito le grida «I camion stanno arrivando!», seguite immediatamente dal suono dei bombardamenti dell’artiglieria israeliana. «Non ci importava dei bombardamenti – racconta Hamza a +972 Magazine – Abbiamo solo corso verso le luci dei camion». Nel caos della folla, i fratelli si sono separati. Hamza è riuscito a prendere un sacco da 25 kg di farina. Quando è tornato al punto d’incontro concordato, Hatem non c’era.
«Ho continuato a chiamare il suo telefono, senza ottenere risposta – racconta Hamza – Il mio cuore batteva forte. Ho iniziato a vedere corpi morti. Mi rifiutavo di credere che mio fratello potesse essere tra loro». Alcune ore dopo la scomparsa di Hatem, Hamza ha ricevuto una telefonata da un amico: nei gruppi Whatsapp locali era apparsa la foto di un corpo non identificato, scattata all’ospedale Martiri di Al-Aqsa di Deir Al-Balah, nel centro di Gaza. Hamza ha mandato un cugino – un autista di tuk-tuk – a controllare. «Mezz’ora dopo ha richiamato, con la voce tremante. Mi ha detto che era Hatem».
Hamza è svenuto. Quando si è ripreso, la gente gli stava versando acqua sul viso. Si è precipitato all’ospedale, dove un uomo ferito dallo stesso colpo di artiglieria gli ha spiegato cosa era successo: Hatem e altre 15 persone avevano cercato di nascondersi tra l’erba alta quando i carri armati israeliani hanno aperto il fuoco. «Hatem è stato colpito da schegge nelle gambe – ha detto l’uomo – Ha sanguinato per ore. I cani li hanno accerchiati. Alla fine, quando sono arrivati altri camion di aiuti, la gente ha aiutato a spostare i corpi su uno di essi».
In totale 25 palestinesi sono stati uccisi quella mattina
Commenta (0 Commenti)La tv, la base dei pasdaran, l’Università. Gli Usa dichiarano di aver annullato la minaccia atomica iraniana, ma Israele scatena «il più grande attacco su Teheran». La bomba non è più neanche una scusa. Gli ayatollah rispondono con missili sul Qatar e non fanno danni
Iran Il giorno dopo i mega ordigni di Trump sulla preda ufficiale, i siti nucleari, Israele spara su università, tv nazionale e prigione di Evin
I vertici militari iraniani nel quartier generale di Zolfaghar – AP
Come ghiaccio sotto il sole, i fatti si dissolvono rapidamente in un vortice di menzogne ed esagerazioni, alimentando uno dei conflitti più esposti e mediaticamente manipolati, in cui la megalomania del presidente americano non riesce a limitarsi al ruolo di semplice mediatore. Ieri l’Iran ha preso di mira la base aerea di Al Udeid, senza causare vittime, in ritorsione all’attacco americano avvenuto all’alba di domenica contro i siti nucleari iraniani di Fordow, Isfahan e Natanz. Al Udeid, circa 30 chilometri a sud-ovest di Doha, è una delle basi militari statunitensi più strategiche del Medio Oriente. Può ospitare fino a 10mila militari e funge da quartier generale avanzato del Comando Centrale Usa (Centcom).
Inizialmente si pensava che la base aerea statunitense di Ain al-Asad, in Iraq, potesse essere l’obiettivo dei missili iraniani: aveva attivato il proprio sistema di difesa aerea per timore di un possibile attacco.
IN UN COMUNICATO ufficiale, il Consiglio Supremo iraniano ha confermato l’attacco e ha sottolineato che il numero di missili lanciati corrisponde a quello delle bombe utilizzate dagli Stati uniti. Il bersaglio scelto, si precisa, era distante da aree civili e residenziali, al fine di evitare danni collaterali sul territorio qatarino. Teheran ribadisce che l’azione non rappresenta alcuna minaccia per il Qatar, definito «paese amico e fratello», e riafferma la volontà di mantenere relazioni positive con Doha.
Non è ancora chiaro se l’attacco sia stato concordato o tacitamente tollerato dalle autorità qatarine e americane, come sostengono alcuni osservatori. Prima dell’attacco di ieri sera, si ipotizzava che l’Iran potesse ricorrere a un blocco selettivo dello Stretto di Hormuz, snodo strategico per il traffico petrolifero mondiale. Il parlamento iraniano ha già approvato misure in tal senso, con l’intento di colpire l’Occidente senza compromettere i rapporti con gli alleati asiatici, come la Cina.
CIÒ È AVVENUTO dopo che Trump aveva rivendicato la distruzione dei siti nucleari iraniani come una vittoria, aprendo un nuovo capitolo in Medio Oriente dal futuro imprevedibile. Per la prima volta, dopo l’inizio del suo secondo mandato, una dimostrazione di forza da parte di Trump sembrava aver prodotto un risultato concreto, per quanto incerto e controverso. Paradossalmente, però, va in direzione opposta rispetto alle promesse fatte da Trump in campagna elettorale. Restano ancora l’incertezza e i dubbi sull’effettivo stato del programma nucleare iraniano, mentre gli appelli alla de-escalation svaniscono sotto il fragore di bombe e missili, alimentando i timori di un allargamento del conflitto.
«Ci aspettavamo che gli americani ci attaccassero. Il coinvolgimento del Centcom era un segreto di Pulcinella. Ma il comportamento ingannevole dell’amministrazione americana dimostra che
Leggi tutto: Mai tante bombe su Teheran - di Francesca Luci
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