Maysoon Majidi è innocente. Il tribunale di Crotone l’ha assolta: non è una «scafista» di migranti. È un’artista e un’attivista, in fuga dall’Iran e tenuta in carcere per dieci mesi. In un Paese come il nostro, dove i veri trafficanti tornano a casa con il volo di Stato
Maysoon ed Elmasry Tutti i governi mentono, ma solo alcuni riescono a farlo così spesso e così male come il nostro
«Gli atti sono arrivati di notte. E poi erano in inglese. E poi e poi avevano una data sbagliata». Con scuse sempre meno credibili, il governo prova a giustificare la liberazione del torturatore libico Elmasry. L’informativa di Nordio e Piantedosi in parlamento arriva tardi ed è solo una tappa del patetico oscillare tra tesi opposte. Cavilli e formalità sono la specialità del ministro della giustizia, per il quale la richiesta della Corte penale internazionale di processare Elmasry non stava in piedi (non lo aveva mai detto, ma adesso Nordio ci spiega che il suo silenzio andava interpretato così). Al contrario, per il ministro dell’interno le accuse della Corte dell’Aja all’aguzzino capo di Tripoli erano tanto serie e credibili da rendere necessaria la sua immediata espulsione. Con un aereo di Stato e avvertendo per tempo i libici in modo che organizzassero l’accoglienza.
Tutti i governi mentono, ma solo alcuni riescono a farlo così spesso e così male come il nostro. È chiaro da tempo che Elmasry è stato riaccompagnato in Libia non per ragioni giuridiche né di sicurezza ma per convenienza politica. Una convenienza che trova fondamento negli accordi firmati dall’Italia con le bande libiche al potere, quelle che con indosso le divise da ufficiali fanno soldi con il traffico di esseri umani e incassano nel frattempo i finanziamenti di Roma e Bruxelles. La responsabilità di quegli accordi non è solo della destra che li tiene in piedi, è soprattutto del centrosinistra di Gentiloni-Minniti che li ha inaugurati e di Conte-Lamorgese che li ha prorogati.
Una colpa originaria che è piombo nelle ali di Pd e 5 Stelle: più di tanto non possono librarsi sulle disgrazie e le figuracce di Meloni. La vicenda dimostra una volta di più quanto inutilmente il nostro paese si sia coperto gli occhi di fronte ai campi di tortura di Tripoli. È una sciagura etica ma anche pratica. Siamo ricattabili più di prima, visto che siamo costretti a riaccompagnare velocemente a casa con tante scuse un aguzzino come Elmasry. Il quale, con buona pace dei patrioti italiani, criminalmente persegue l’interesse personale suo, non quello della nazione di Meloni.
Evidenti le bugie, evidente anche la tentazione del governo italiano di far cadere l’ultimo velo e rivendicare la complicità con i doganieri di carne umana. Porta lì l’attacco alla Corte penale internazionale, che comincia con
Leggi tutto: Amichevoli, ma solo con i torturatori - di Andrea Fabozzi
Commenta (0 Commenti)Quindici giorni dopo aver liberato il boia libico Elmasry, oggi il governo si rassegna a informare il parlamento. Ma non parla Meloni che si nasconde dietro i ministri Piantedosi e Nordio. Pronti a dare ogni colpa alla Corte penale internazionale. E se serve a invocare il segreto di Stato
Melina Sul caos libico si ritorna a una settimana fa: Nordio e Piantedosi attesi alle Camere
I ministri Nordio e Piantedosi – Ansa
La strategia del governo sul caso Elmasry non è differente dal gioco dell’oca. Sempre che di strategia si possa parlare, dato che al momento i progetti del consigliori della premier, Fazzolari, potrebbero anche autorizzare a pensare che il governo non sappia che pesci prendere.
MELONI HA INFINE deciso di mandare i ministri alla Giustizia Nordio e agli Interni Piantedosi a riferire oggi in Parlamento sul rilascio dell’uomo accusato dalla Corte Penale Internazionale di crimini, violenze e torture sui migranti che tentano di lasciare la Libia. Esattamente come una settimana fa. Allora l’informativa era saltata perché, secondo il governo, l’iscrizione nel registro delle notizie di reato della premier, del sottosegretario Mantovano e dei due ministri rendeva inopportuna la comunicazione alla Camere. Ma questa motivazione, dopo soli 7 giorni non è evidentemente più valida, era solo una delle tante versioni date dall’esecutivo all’impronta. «Prendiamo atto che l’opposizione dura paga perché da che ci volevano mandare Ciriani, alla fine vengono Nordio e Piantedosi ma anche che è venuto meno la ragione per cui l’altra volta non si erano presentati, quindi la motivazione era tutta politica e Meloni continua a nascondersi dietro i suoi ministri», ragiona Riccardo Magi di PiùEuropa.
IERI, DURANTE le riunioni dei capigruppo di Camera e Senato, l’opposizione aveva chiesto più tempo per le repliche e la diretta televisiva dell’informativa dei ministri. Quest’ultima, accordata subito a Palazzo Madama, a Montecitorio è stata oggetto di polemica perchè inizialmente negata per l’opposizione della Lega e di Forza Italia. Ci è voluta una missiva dei partiti di minoranza per convincere il presidente Fontana a trasmettere i lavori della Camera in diretta e colmare la differenza tra i due lati del Parlamento. Tuttavia questo non ha placato il centro sinistra, che insiste nel chiedere che sia la presidente del Consiglio a ricostruire i fatti e spiegare i motivi che hanno determinato la decisione di rimpatriare il libico a bordo in un volo di Stato.
«MELONI SCAPPA ANCORA, che vengano Nordio e Piantedosi è il minimo sindacale», dicono Pd, Avs, Iv e PiùEuropa all’unisono mentre il ministro per i rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, è costretto a tentare di metterci una pezza. Anzi un paio. «Non c’era nessuna volontà dilatoria, serviva solo una
Leggi tutto: Il gioco dell’oca della premier che manda avanti i ministri - di Luciana Cimino
Commenta (0 Commenti)Trump congela per un mese i dazi al Messico (in cambio di 10mila soldati anti-migranti), tratta con Canada e Cina ma ora minaccia il Sudafrica, chiude la grande Agenzia di aiuti umanitari. Balbetta l’Ue, prossimo bersaglio. La guerra commerciale mondiale è partita
Libero mercante Il prezzo: 10mila soldati schierati al confine e rapporto ogni mese. La guerra commerciale «più stupida della storia» è già iniziata
Il presidente Trump firma un ordine esecutino – foto Ap
Il comitato editoriale del Wall Street Journal l’ha ripetutamente definita «la guerra commerciale più stupida della storia», affermando che la ragione sostenuta dal tycoon per sferrare questo attacco economico non ha alcun senso, e che il mondo dell’autarchia «non è il mondo in cui viviamo, o quello in cui dovremmo voler vivere, come il signor Trump potrebbe presto scoprire».
Con il Wall Street Journal americano è d’accordo anche il Financial Times britannico: la guerra commerciale è «assurda» e «dannosa per l’economia e il potere diplomatico degli Stati Uniti»). Sono i due giornali del grande capitale mondiale, proprietà Dow Jones e Nikkei, rispettivamente. Larry Summers, segretario al Tesoro dell’era Clinton, ha definito i dazi «uno shock dell’offerta autoinflitto. Significa meno offerta perché stiamo tassando i fornitori esteri, e questo porterà a prezzi più alti e quantità più basse»,
E LE CRITICHE sono arrivate anche dall’ex leader repubblicano del Senato, Mitch McConnell, un uomo che incarna il partito repubblicano, che pur non amandolo ha sostenuto Trump in ogni minuto della sua prima presidenza, e che è disposto a qualsiasi cosa pur di sostenere il Gop. Nonostante queste premesse di lealtà, McConnell, durante un’intervista alla Cbs, ha dichiarato che i dazi del 25% a Canada e Messico «aumenteranno il costo di tutto» e ha chiesto per quale ragione il tycoon «vuole entrare in conflitto con i suoi alleati?».
A questo flusso di dichiarazioni ha fatto seguito la prova tangibile dei mercati, che hanno chiuso e riaperto sempre in flessione, in preda ai timori che i dazi possano dare inizio a una guerra commerciale mondiale. Anche il nuovo pupillo di The Donald, Bitcoin, è sceso del 3,5% in 24 ore.
Alla fine, forse grazie anche grazie a questi segnali, Trump ha congelato per un mese la sua minaccia dei dazi nei confronti del Messico. Su Truth Social il tycoon ha scritto che
Commenta (0 Commenti)Nella foto: Una manifestante sventola la bandiera messicana a Los Angeles durante una protesta contro i decreti anti-immigrazione via Ap
Oggi un Lunedì Rosso dedicato alla comunicazione.
Tra innovazione e spregiudicatezza, la coppia Trump-Musk sta portando il rapporto tra media e politica verso derive totalizzanti quanto rischiose.
Ma anche localmente il laboratorio comunicativo delle nuove destre offre spunti di riflessione: con video messaggi e post su X il presidente del consiglio Meloni ha spostato l’attenzione dal caso Elmasry verso una presunta battaglia tra governo e magistratura.
Si attende invece dopo un lungo silenzio un messaggio dal carcere da Abdullah Öcalan, leader della rivoluzione democratica della Siria del nord, esperienza oggi in bilico, tra le incursioni belliche di Ankara e le incognite del nuovo potere centrale di Al Jolani.
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Approda a Bari la motovedetta con a bordo altri 43 migranti costretti a inutili peripezie. Meloni cerca di uscire con ogni mezzo dal labirinto, perché ha giurato che i centri «funzioneranno». Altrimenti sarà colpa dei giudici. Avanti con forzature, fake news e propaganda
Finché la barca va Doveva essere una normale direzione nazionale, si è trasformata nella nascita del «Grande Partito della Nazione»
Doveva essere una normale direzione nazionale, si è trasformata nella nascita del «Grande Partito della Nazione». Almeno stando ai toni quasi messianici utilizzati, in scia alla moda trumpiana. Nel centro congressi a pochi passi da Piazza di Spagna, a Roma, affittato da Fratelli d’Italia, si riuniscono deputati e senatori meloniani, più la pattuglia dei ministri. Ci sono quello alla Difesa e fondatore del partito, Guido Crosetto, la titolare del Lavoro Elvira Calderone, il neo ministro delle Politiche Ue Tommaso Foti, quello allo Sport Andrea Abodi e quello delle Imprese e del made in Italy Adolfo Urso, il responsabile della Protezione civile Nello Musumeci e poi Giovanni Donzelli, Lucio Malan, Edmondo Cirielli. L’ordine di scuderia era di restituire compattezza.
FRANCESCO LOLLOBRIGIDA ha aperto i lavori con un insolito ruolo di primo piano rispetto agli ultimi mesi, quando era stato messo in ombra a causa delle gaffe e delle vicende personali. Li ha chiusi Arianna Meloni, responsabile della segreteria politica e del tesseramento FdI, che di Lollobrigida era la compagna e della premier è sorella. Il rapporto tra le due è sempre stato solido, ora è diventato mistico: «Ho l’onore di essere la sorella di Giorgia Meloni, una grande donna a cui ho visto fare in questa nuova fase un salto 10 volte più alto di tutti questi durissimi anni: ha messo gli italiani prima della sua famiglia e di sé stessa».
PER QUANTIFICARNE la grandezza, descrive la «traversata nel deserto» e il «salto nel buio» compiuti e fa riferimento all’unico libro che la destra di Colle Oppio ha letto con certezza e usa come feticcio: Il signore degli Anelli di Tolkien. La premier è «il nostro Frodo e noi siamo la Compagnia dell’anello – arringa Arianna Meloni -. L’anello è pesante, dobbiamo aiutarla nella fatica di portarlo senza mai indossarlo: ognuno è chiamato a fare la propria parte».
La «parte» è quella di resistere al resto del mondo, tenere la linea, qualunque essa sia: su Elmasry, sulla magistratura «politicizzata» che indagherebbe ad orologeria la premier, sul piano Albania smontato dai giudici «di sinistra». E poi diffondere i sondaggi che li vedono in testa, negare problemi, adombrare complotti, rivendicare traguardi, avanzare compatti.
GIORGIA MELONI è tentata di andare a elezioni anticipate per dare una prova di forza e respingere definitivamente gli infingardi. Così, se all’ordine del giorno c’erano la
Leggi tutto: Il partito mistico di Arianna: «Meloni è il nostro Frodo» - di Luciana Cimino
Commenta (0 Commenti)Niente da fare: per la terza volta i giudici smontano il «modello Albania». Ordinano di riportare in Italia e liberare 43 richiedenti asilo deportati fuori dai confini. A nulla serve cambiare la competenza delle corti. È la legge, ma per la destra è un altro complotto delle toghe
Riporto sicuro Tutti liberi i 43 richiedenti asilo di Bangladesh ed Egitto reclusi a Gjader. Dopo il terzo flop, saranno trasferiti a Bari. Partenza prevista per le 12 di questa mattina. I giudici di secondo grado hanno rinviato tutto alla Corte di giustizia Ue
Migranti sbarcano da una nave della Marina Militare italiana a Shengjin in Albania – Vlasov Sulaj/Ap
Cambiando l’ordine degli addendi non cambia il risultato: tutti i 43 richiedenti asilo rinchiusi nel centro di Gjader, 35 del Bangladesh e 8 dell’Egitto, tornano liberi. Stavolta il no ai trattenimenti è arrivato dalla Corte d’appello della capitale, dopo che il governo aveva sottratto la competenza alla sezione romana specializzata in immigrazione, che il 18 ottobre e l’11 novembre dell’anno scorso aveva deciso nello stesso modo. In questo caso le toghe capitoline hanno sospeso il giudizio rinviando tutto alla Corte di giustizia Ue.
UN PROVVEDIMENTO che si inserisce nella scia di rinvii pregiudiziali a Lussemburgo partiti dai tribunali di Bologna, Palermo e Roma e della sospensione del giudizio della Cassazione in attesa dell’udienza europea del 25 febbraio e poi della sentenza che dovrebbe arrivare entro la primavera. In tutti questi procedimenti la richiesta dei giudici nazionali a quelli comunitari è di chiarire se sia legittimo, ai sensi delle direttive Ue, considerare «sicuri» paesi che non lo sono per alcune categorie di persone.
Categorie che spesso includono migliaia e migliaia di persone, come in Egitto e Bangladesh. Lo dimostrano le relative schede paese redatte sulla base delle fonti qualificate e allegate al vecchio decreto interministeriale del maggio 2024. Schede che dovrebbero essere sostituite, secondo la nuova legge, da una relazione del Consiglio dei ministri da trasmettere alle competenti Commissioni parlamentari. Il termine per scriverla era il 15 gennaio ma, a quanto risulta da un’interrogazione presentata dal deputato di +Europa Riccardo Magi, la settimana scorsa risultava ancora «in via di definizione».
NELLA SUA DECISIONE la Corte d’appello richiama lo «specifico dovere», che la sentenza europea del 4 ottobre scorso attribuisce al giudice, di «verificare d’ufficio» la legittimità della designazione di «paese sicuro» da parte delle autorità governative. Cita anche l’ordinanza interlocutoria della Cassazione che, pur non
Leggi tutto: Albania, governo bocciato anche in Appello - di Giansandro Merli
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