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CAMPAGNA ELETTORALE. Il tour elettorale di Giuseppe Conte passa da Napoli, città che il suo M5S amministra in alleanza con il Pd, e non manca di attaccare Enrico Letta. «Con questo vertice […]

 Giuseppe Conte - Ansa

Il tour elettorale di Giuseppe Conte passa da Napoli, città che il suo M5S amministra in alleanza con il Pd, e non manca di attaccare Enrico Letta. «Con questo vertice del Pd sarà improbabile dialogare. Dopo il cinismo e l’opportunismo che hanno esibito in questo frangente, buttando a mare un’agenda progressista sulla quale avevamo lavorato proficuamente con loro».

Il leader del M5S ha proseguito negando che il «voto utile» sia quello al Pd «Se c’è voto utile è a M5S, che quando prende impegni in campagna elettorale li rispetta per i 5 anni successivi».

Sulla crisi energetica, avverte Conte, si deve essere pronti anche «a scostamento di bilancio» come accaduto durante il Covid.

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INTERVISTA. Il leader Pd: «Abbiamo sottovalutato la rabbia sociale, ora non più. Il Jobs Act è superato, solo Renzi e Calenda ancora pensano a Blair. Parlo troppo di Putin e Orban? Sono il modello di dove ci porterebbe la destra. Se vincono c’è il concreto rischio che aboliscano il diritto all’aborto come negli Usa»

Enrico Letta foto LaPresse Enrico Letta - LaPresse

Enrico Letta. Dopo il successo alle comunali di giugno molti elettori di sinistra hanno fatto fatica a seguirla. Soprattutto in occasione della crisi di governo e della costruzione delle alleanze. Davvero pensa che togliere la fiducia a Draghi, a pochi mesi dalla scadenza naturale della legislatura, fosse un gesto così grave da rendere impossibile l’alleanza con M5S?

Riavvolgiamo il filo: a giugno abbiamo vinto una tornata amministrativa difficile, bissando il successo del 5 a 0 dello scorso anno. Abbiamo conquistato roccaforti inespugnabili. Abbiamo ridimensionato Salvini che appena tre anni fa veleggiava tra il 30 e il 40%. La prova che la destra è battibile.

Il centrosinistra aveva il vento in poppa. Poi tutto è crollato. Perché? Con Bonelli e Fratoianni, sempre all’opposizione di Draghi, l’intesa l’avete trovata.

È successo che, meno di un mese dopo, il M5S – lo stesso con cui avevamo ben gestito la pandemia e la partita europea per il post Covid – ha rotto il patto per ricercare una improbabile purezza solitaria delle origini, facendo cadere il governo che aveva sostenuto con lealtà al fianco del Pd. E ciò mentre Draghi, anche grazie alla nostra pressione congiunta, stava per varare una radicale agenda sociale. Con il salario minimo, la mensilità in più a fine anno, la redistribuzione fatta tassando i maxi profitti delle grandi aziende dell’energia. Una occasione storica dissipata per calcoli di nicchia. L’interesse della nazione, degli ultimi, di chi non ce la fa più, offeso in nome di quello di parte e personale. Con che argomenti e linearità io stesso, con il Pd al mio fianco, potevo presentarmi al Paese e dire: fidatevi di noi e dei nostri alleati?

Insisto. I programmi di Pd, M5S e rossoverdi sono molto vicini su lavoro, diritti, ambiente. Gli elettori non capiscono le ragioni della separazione.

Su alcune politiche la matrice è simile. Con la differenza che loro si sono autoesclusi dalla possibilità di realizzarlo insieme. Non potranno mai vincere e attuarlo, quel programma. Noi sì, noi possiamo contendere la vittoria alla destra. Il nostro programma è fortemente progressista su ambiente, lavoro, diritti e anche su scuola e cultura. Come lo è la piattaforma della mia segreteria. E questo non perché io a Parigi sia stato contagiato da un qualche virus esotico, ma perché l’Europa, il mondo, l’Occidente vanno in quella direzione. Le crisi drammatiche dell’ultimo decennio portano a sinistra, portano alla sostenibilità sociale e ambientale. Se non si fa così, non regge l’intelaiatura, sempre più fragile, delle democrazie occidentali. E il 5stelle resta su questo il partito di Grillo. Di chi ha sempre detto che destra e sinistra sono uguali. Non lo sono e non lo saranno mai. Non esiste la sinistra a targhe alterne. E non si può fare i progressisti della domenica.

Vi ha diviso dal M5S anche la posizione sulla guerra. A destra se infischiamo delle loro differenze.

A destra convivono posizioni diverse in molti ambiti. Tre modelli differenti di flat tax. Soluzioni agli antipodi su immigrazione, giustizia, scostamento di bilancio. Li accomuna la smania per il potere e l’arrogante pretesa di limitare le libertà individuali. Di imporci chi amare, in cosa credere, chi essere. Su questo sono granitici. L’applauso sguaiato per l’affossamento parlamentare del ddl Zan è il loro spot sui diritti. Racconta bene chi sono.

La guerra è la causa principale della drammatica situazione energetica ed economica che stiamo vivendo. Pensa che questa situazione potrà continuare all’infinito se l’Ucraina diventasse un nuovo Afghanistan? La parola trattativa è sparita dai radar, così come pace.

No, la causa non è la guerra in astratto. La causa ha un nome e un cognome: Vladimir Putin. Che non è un vecchio compagno alla testa di un Paese umiliato. È un dittatore tra i più feroci al mondo, alla guida di un regime che ha invaso uno stato sovrano creando decine di migliaia di morti, donne stuprate, bambini deportati. Questa è la causa. E solo una fortissima reazione dell’Europa può opporsi alla bandiera nera che sventola sul Cremlino. La pace è l’afflato, l’obiettivo di tutte le donne e gli uomini liberi. E dobbiamo ricercarla ogni giorno, lavorando con la diplomazia europea e negli organismi multilaterali. Ma la resa incondizionata dell’Ucraina non è pace, è cedimento a un ricatto, alla barbarie.
Davvero crede che l’opinione pubblica italiana possa sopportare questa sofferenza per un dovere di fedeltà alla Nato?
Per un dovere di fedeltà verso se stessa e verso la Repubblica democratica nata dalla guerra al nazifascismo. Ripeto: non è la reazione dell’Italia e dell’Europa che ha creato questa sofferenza. E comunque alla sofferenza, al dramma del caro vita, siamo stati i primi a opporre un piano serio.

Ritiene che il tetto europeo al prezzo del gas arriverà in tempo o sarà necessario un tetto nazionale per evitare un massacro sociale?

Tra le due strade – tetto nazionale ed europeo – non c’è contraddizione, anzi. Noi abbiamo un piano chiarissimo. Primo, appunto, il tetto europeo. Il prossimo Consiglio Ue sarà dirimente. Noi diciamo: facciamo presto. Secondo, un tetto nazionale alle bollette applicando un regime di prezzi amministrati dallo Stato per l’energia elettrica per un anno; terzo, il credito d’imposta per gli extra-costi energetici; quarto, il nuovo contratto “bolletta luce sociale” per microimprese e famiglie con redditi medi e bassi. Quinto, un piano nazionale per il risparmio energetico e le rinnovabili. Infine, una moratoria per le aziende sulle bollette e la rateizzazione degli impegni non sostenibili.

Voi vi contendete con Renzi e Calenda l’eredità di Draghi. Ma è sicuro che quel governo fosse così popolare tra gli italiani, soprattutto quelli più deboli?

Draghi ha governato bene ed è un patrimonio della Repubblica. Trovo volgare la corsa a usarne il nome in contumacia. Citando Zingaretti, chi si presta a questo gioco fa come quelli che vendono Rolex alle bancarelle. Non ci vuole un occhio raffinato per vedere che sono falsi. Io ricordo solo che IV non ha votato la riforma Cartabia sulla giustizia. E che Azione era ondivaga sulla strategia europea di Draghi sul gas e contro l’ingresso dell’Ucraina in Ue, un cardine della sua politica estera.

Avevate detto di non volere essere più il partito dell’establishment e delle ztl, e invece questa campagna sembra parlare solo agli inclusi, a chi vota su temi come l’autorevolezza internazionale, non a chi fatica ad arrivare a fine mese.

L’Italia è ricoperta da manifesti con queste proposte, il cuore del nostro programma. Lo stipendio in più a fine anno. Il supporto agli affitti. Un grande piano di edilizia popolare da 500.000 alloggi, finalmente legata alla rigenerazione urbana e alla manutenzione del patrimonio esistente. Per anni e anni la sinistra ha avuto persino paura di dire “case popolari”.

Nel vostro programma ci sono cose di sinistra come le norme antiprecariato, ma lei le cita pochissimo. Parla molto di più di Orban e di Putin, dei disastri che farebbero le destre.

Orban e Putin sono i portabandiera di quei disastri. Chi sceglie la destra sceglie esattamente quel modello. Un modello nel quale si violano i diritti civili, si comprimono quelli sociali, si negano il cambiamento climatico e il primato della scienza,. Non è una discussione sterile tra circoli diplomatici.

Insisto. Il Pd ha fatto il Jobs Act e ora, anche se nel programma ci sono proposte più avanzate, sembra timido nel rinnegarlo.

Il nostro programma supera il Jobs Act sul modello di quanto fatto in Spagna contro il precariato. La stagione del blairismo è consegnata alla storia. In tutta Europa credo che siano rimasti solo Renzi e Calenda ad agitarlo come un feticcio ideologico.

Lei ha detto di puntare al voto degli under 35. Perché un giovane precario e sottopagato, tentato dalla fuga all’estero, dovrebbe avere fiducia in voi?

Perché con le nostre misure per un lavoro stabile, la possibilità di uscire prima di casa, di essere indipendenti, vogliamo dir loro ‘questo paese punta su di voi’. Iniziamo a vedere i risultati: il Pd dopo anni è tornato il primo partito tra i giovani. A dimostrazione che questa generazione capisce benissimo chi è dalla parte delle battaglie che le stanno più a cuore. Dobbiamo insistere di più, per chiamare al voto i coetanei di chi è già con noi.

Il professor De Masi ha stimato che con Meloni premier circa 1,5 milioni di italiani perderebbe il reddito di cittadinanza. Non le pare un argomento più forte del riferimento all’Ungheria?

Sono questioni non sovrapponibili. Sul reddito di cittadinanza la mia posizione è lineare. Sono stato tra i pochi a sostenerlo nel centrosinistra quando non ricoprivo incarichi politici. E oggi con molta convinzione dico che bisogna mantenerlo rafforzandolo e correggendolo. La via è quella suggerita da Chiara Saraceno e indicata dal ministro Orlando. Di certo, niente di più lontano da noi della ‘caccia al povero’ che fa la destra, con la volenterosa complicità di Renzi.

Così anche l’aborto. C’è il rischio reale che Meloni e soci facciano passare leggi liberticide come negli Usa?

Sì, c’è questo pericolo. E non lo nascondono. Quantomeno gli italiani sanno cosa rischiano. Basta vedere le Marche: un regresso di decenni e un affronto gravissimo alla libertà di scelta della donna.

Il professor Carlo Galli sostiene che avete sottovalutato la rabbia sociale, che l’avete capita in ritardo e che in ogni caso non avete ancora dimostrato di poter essere credibili rispetto alla domanda di protezione sociale. Come risponde?

Che l’abbiamo sottovalutata. Ma che non succede da tempo. Il voto dell’hinterland delle grandi aree urbane alle ultime comunali è una piccola conferma. Abbiamo imparato la lezione.

Cosa succederà al Pd dopo il 25 settembre?

Che l’ltalia democratica e progressista, e la lista plurale che la rappresenta, darà una bella prova di sé. Una cosa è certa: il Pd c’è e ci sarà sempre. E questo a dispetto dei tanti che volevano e vogliono distruggerlo, come è accaduto ai socialisti francesi. Lo ha ricordato ieri Romano Prodi: sono surreali questi attacchi al Pd da parte di M5S e Calenda. Ma forse sono anche l’ammissione di una debolezza, la prova del fatto che sanno di aver già perso e vogliono far perdere anche il Pd.

 

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Meloni choc. E a Cagliari viene contestata da un ragazzo con la bandiera arcobaleno

«Per la sinistra clandestino batte donna violentata» 

Ieri sera a Cagliari è andata bene. Quando durante il comizio un ragazzo con la bandiera arcobaleno sale sul palco chiedendole di garantire i diritti delle persone Lgbt+, Giorgia Meloni dice di apprezzare «il coraggio delle persone che rivendicano quello in cui credono».

Peccato che la leader di Fratelli d’Italia non sia sempre così disposta al dialogo, come dimostrano le parole dette a giugno in Spagna nel comizio per Vox quando parlò di «lobby Lgbtq». Quando infatti smette i panni della leader moderata utili per rassicurare mercati e partner europei, è nei comizi di piazza che Giorgia Meloni torna a essere se stessa: voce roca, toni alti e frasi forti, di quelle che dovrebbero scaldare gli animi. Come quella che si è vista due sere fa durante un comizio a Perugia.

Nel mirino, ovviamente, la sinistra che Meloni accusa questa volta di non essere sempre solidale con le donne vittime di violenza: «Ci sono problemi di sicurezza però a loro non glielo puoi dire – arringa dal palco – perché loro sono solidali con le violenze sulle donne purché ad operare quella violenza non sia un clandestino, perché nella loro morra cinese un clandestino batte donna violentata e quindi la solidarietà non esiste più». Parole non nuove, che la stessa Meloni aveva già pronunciato un anno fa quando però alla lista di quanti, a suo dire, per la sinistra avrebbero più valore di una donna che subisce violenza aveva aggiunto, guarda caso, anche «i gender, gli omosessuali e gli islamici che battono tutto».

Parole che ovviamente provocano la reazione di Enrico Letta. «E’ orribile la frase che Meloni ha usato quando ha parlato di morra cinese mettendo insieme il rifugiato violentatore e la donna violentata – dice il segretario dem -. Non è soltanto il linguaggio ma dentro c’è un disprezzo per le persone in difficoltà che è insopportabile. Noi siamo completamente dall’altra parte».

Il problema è che la Leader di FdI non sembra proprop farcela. Anche se i suoi consiglieri per la comunicazione glielo spiegano in tutti modi che deve mostrasi più moderata, assumere un comportamento da (probabile) futuro capo di governo, lei non si trattiene. E così ogni tanto viene fuori la Meloni vista a giugno in Spagna al comizio di Vox, oppure quella che per la sua campagna elettorale posta il video dello stupro compiuto a Piacenza da un immigrato, senza curarsi delle conseguenza per la vittima di quella violenza. «E senza chiedere scusa», come ricorda la senatarice dem Valeria Valente.

Due personalità che si alternano a seconda delle occasioni. Domani Meloni sarà a Cernobbio e difficilmente alla platea del Forum Ambrosetti parlerà con la voce strozzata di presunte invasioni di «clandestini». Argomenti buoni per le piazze come la proposta, fatta da un senatore del suo partito, di creare cimiteri per feti dove seppellire i feti abortiti, proposta sulla quale la leader che si dice attenta ai diritti delle donne finora non ha speso una parola per prenderne le distanze.

Del resto nel centrodestra le «idee» forti non mancano. Un altro che non si risparmia è Matteo Salvini che in rincorsa sulla rivale ha rispolverato la vecchia idea di castrare gli stupratori: «Per quanto mi riguarda – ha detto – se uno violenta, al di là della rieducazione, varrebbe un intervento farmacologico per impedirgli di stuprare per il resto della vita».

Ma sono soprattutto i concetti espressi da Meloni a irritare il Partito democratico: «Non è solo volgarità verbale – scrive su Twitter la capogruppo alla Camera Debora Serracchiani -, c’ è lo specchio di chi recita moderazione e pratica intolleranza. La violenza contro e donne non ha scelta, attenuanti, ragioni».

 

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IL LIMITE IGNOTO. Caro-gas, Mattarella: «Urgente una risposta europea». Salvini: «È ora di rivedere le sanzioni». L’arma letale su cui contano Washington e alleati è il tetto al prezzo del greggio russo, con punizioni per chi non si adegua. Cioè un centinaio di paesi e oltre tre miliardi di persone. A Praga 70mila persone in piazza per chiedere, tra l’altro, la neutralità: è la prima volta in Europa

Bollette in vetrina contro il rincaro a Roma foto LaPresse Bollette in vetrina a Roma contro il rincaro dell'energia - LaPresse

Il decreto contro il caro energia arriverà la settimana prossima. Lo ha annunciato ieri il ministro Cingolani che ha anche affermato con molta forza che il Pnrr può essere “rivisto strada facendo ma riscriverlo non è pensabile”.

I contenuti del dl sono ancora in gestazione. Di certo dovrebbe esserci la cig agevolata per le industrie penalizzate dai rincari dell’energia e delle materie prime e il prolungamento, forse aumentato rispetto all’attuale 25%, del credito d’imposta.

Prima di lunedì, comunque, non sarà possibile quantificare le entrate di luglio e agosto e verificare quanti avranno scelto di pagare l’acconto della tassa extraprofitti entro il 31 agosto.

Senza quei conti per il governo è impossibile sapere con certezza quali sono le coperture a disposizione.

DUE SOLE STRADE non saranno certamente battute: lo scostamento di bilancio, invocato di nuovo a gran voce da Conte ieri e bocciato per bocca del commissario Gentiloni da Bruxelles, e l’introduzione di un tetto solo italiano sul prezzo del gas, reclamata sia da Letta che dal presidente di Confindustria Bonomi.

Draghi e Franco ritengono che si tratterebbe di una mossa suicida: la Russia avrebbe gioco facilissimo nel sospendere subito le forniture di gas per l’Italia.

Sul tema peraltro è intervenuto, nel messaggio d’apertura al Forum di Cernobbio, lo stesso capo dello Stato, indirettamente ma in maniera inequivocabile: “E’ necessaria e urgente una risposta europea all’altezza dei problemi. I singoli Paesi non possono rispondere con efficacia alla crisi”. Un modo palese per sferzare la lentezza dell’Europa ma anche per bocciare tentazioni azzardate.

IL DECRETO che il governo varerà non sarà comunque di proporzioni tali da fronteggiare la crisi di oggi e a maggior ragione quella di domani. Il gasdotto North Stream è chiuso. La fornitura di gas per l’Europa è sospesa. I venti di guerra, ancora finanziaria, si sono fatti impetuosi.

L’eventualità che nei prossimi mesi la crisi peggiori e di parecchio è realistica.

Salvini se ne rende conto e prova ad attaccare sul solo fronte davvero nevralgico che ci sia oggi: quello delle sanzioni: “Molti imprenditori mi stanno chiedendo di rivederle perché è l’unico caso in cui danneggiati sono i sanzionatori. Ci stanno rimettendo gli italiani e guadagnando i russi”.

Nella stragrande maggioranza dei casi le divisioni interne alla destra sono questioni di sfumature amplificate da una campagna elettorale le cui regole implicano anche per i partiti alleati la necessità di provare a rubarsi vicendevolmente i voti. Sulle sanzioni, però, la divaricazione è reale. Si tratta della sola mina che potrebbe far esplodere una destra vincente il 25 settembre. A maggior ragione se la situazione si aggraverà e la crisi morderà ancora più a fondo.

MOLTO DIPENDERÀ dalle scelte che verranno prese nei prossimi giorni. La Ue ha tutte le intenzioni di uscire dal vertice dei ministri dell’Energia del 9 settembre, dopo due riunioni preparatorie nei giorni precedenti, con una proposta di Price Cap sul gas.

Ma, mentre sul disaccoppiamento dei prezzi di elettricità e gas l’accordo c’è ed è solo questione dei tempi necessari per ripensare l’intero sistema, sul tetto per il gas si fronteggiano ipotesi ancora molto distanti: un intervento sul prezzo all’ingrosso sui mercati europei; il tetto solo al prezzo del gas russo sponsorizzato da Draghi e dalla presidente von der Leyen; la copertura da parte degli Stati della differenza tra pezzi all’ingrosso e al dettaglio sostenuta dalla Germania.

Insomma, la partita potrebbe rivelarsi ancora lunga e sulla tenuta della popolazione nessuno scommette a colpo sicuro. Ieri una eterogenea manifestazione di 70mila persone ha protestato a Praga contro il governo di centrodestra chiedendo di riprendere le forniture di gas russo e l’equidistanza tra la Russia e la Nato.

La vera arma letale sulla quale contano gli strateghi di Washington, salutata anche con entusiasmo da Gentiloni, è però il tetto al prezzo del petrolio sino a 30-40 euro al barile.

Per la Russia, che dal petrolio trae il 36% del suo bilancio, il colpo potrebbe essere fatale ma solo se tutti gli acquirenti si adeguassero al ribasso invece che limitarsi a trarre vantaggi della crisi acquistando a prezzo più basso, come già fanno Cina e India.

LO STRUMENTO studiato dal G7 è il divieto di copertura assicurativa per le navi che trasportano petrolio russo comprato a prezzi diversi da quelli fissati.

Non è affatto detto però che basti e la mossa che ha in mente la sottosegretaria al Tesoro Yellen è più drastica: sanzioni secondarie ma durissime sulle aziende che, sotto qualsiasi bandiera, non rispettano il tetto. Una sorta di “politica delle cannoniere” 2.0 che solo a nominarla dovrebbe mettere i brividi, trattandosi di un’affermazione secca di imperiosità assoluta.

 

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A una settimana dal vertice Ue sull’energia von der Leyen parla di price cap anche sul gas. E la pipeline russa ha un nuovo «guasto»

Il G7: tetto al petrolio russo. Mosca ferma Nord Stream 1 Dmitry Peskov - Lapresse

Ore di fuoco e di confusione nella Ue, a una settimana dal vertice straordinario sull’energia del 9 settembre, dove dovranno essere gettate le basi per delle decisioni concrete che presumibilmente verranno prese a ottobre dai capi di stato e di governo. Le opinioni pubbliche sono sempre più inquiete, come rivela un sondaggio Yougov fatto in tre paesi Ue (Francia, Germania, Polonia) e in Gran Bretagna: una forte maggioranza prevede rivolte (addirittura 75% in Polonia, 4 su 10 in Francia auspicano il ritorno dei gilet gialli).

IERI IL G7 FINANZA ha spinto per una «ampia coalizione» internazionale per imporre un tetto al prezzo del petrolio russo, un prezzo basato «su dati tecnici», che sia inferiore a quello attuale ma superiore ai costi, per spingere Mosca a non rinunciare a vendere. Reazione immediata dalla Russia: il portavoce del Cremlino Peskov parla di proposta «completamente assurda» che porterebbe a

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EX CAMPO LARGO. Il leader M5S punta a recuperare dall’astensione i consensi M5S. E sul welfare contende ai dem le posizioni progressiste
Conte sfida Letta «Il bipolarismo è un inganno» Giuseppe Conte - Ansa

«Non guardavamo i sondaggi quando ci davano al 5%, non li guardiamo neppure adesso» dice Giuseppe Conte ai suoi mentre attraversa la sua Puglia. Eppure i sondaggi sono lì: raccontano di un Movimento 5 Stelle in ripresa: ha scavalcato la Lega e continua a insidiare da sinistra l’elettorato del Partito democratico. «I cittadini riconoscono le nostre battaglie politiche, la nostra coerenza, la nostra forza – spiega Conte nel mezzo del tour elettorale – Adesso non ci sono più e bugie e quel clamore mediatico che ha distorto completamente la nostra immagine politica e ha frainteso in buonafede o alterato in malafede le nostre battaglie politiche. Ora è il momento della verità».

TUTTAVIA nessuno può escludere che una parte dell’elettorato dem o genericamente di centrosinistra per punire Enrico Letta per la rottura del «fronte progressista» con i 5 Stelle possa alla fine dare un segnale scegliendo proprio Conte. L’avvocato sa bene che ha vincolato la sua leadership nel M5S proprio alla missione strategica di un’alleanza col Pd e alla collocazione del nuovo corso dentro la cornice del centrosinistra. Questa collocazione rischiava di diventare una trappola, di triturare la sua credibilità presso i suoi, man mano che l’intesa coi dem andava sfarinandosi. E allora ha ricalibrato i toni, sostenendo che qualsiasi ipotesi di fronte progressista andasse misurata sui temi più che sulle dichiarazioni di principio. Su questa base, Conte può giustificare la permanenza dei 5 Stelle in maggioranza coi dem in Regione Lazio oppure al Comune di Napoli. Ieri ha rassicurato anche sulla solidità dell’accordo con Michele Emiliano in Puglia. «Continueremo a mantenere l’impegno per realizzare l’interesse e il miglior benessere dei pugliesi» dice Conte. Ma la tensione con il Pd non può che crescere, anche in vista del voto siciliano: tra due settimane il tour elettorale del leader M5S arriverà sull’isola dove l’accordo è saltato dopo le primarie. E dove il M5S deve ancora una volta far passare il messaggio sta divulgando da giorni: bisogna disarticolare lo schema bipolare che sta anche alla base della campagna di Letta («O noi o Meloni»). «Letta vuole costruire un inganno per i cittadini – sostiene Conte – volendo bipolarizzare questa partita politica e facendo credere che l’unico da votare in alternativa alle ricette insostenibili e inadeguate della destra della Meloni sia lui con il Pd».

«NON SIAMO di sinistra, ma abbiamo dei temi che portiamo avanti con coerenza», avvertono dal M5S per mantenere la collocazione trasversale che condusse al boom elettorale delle scorse legislature. Per dimostrarlo Conte dice di non volere una patrimoniale e annuncia di voler creare uno «Statuto delle imprese» (in singolare parallelismo con quello dei lavoratori). Ma è un fatto che nel corso degli ultimi cinque anni il M5S abbia cambiato ragione sociale. Prima, in nome dell’anti-Casta, puntava a far saltare il nesso della rappresentanza. Archiviate, per impraticabilità di fatto più che per convinzione ideologica, le teorie sulla democrazia digitale e il superamento del Parlamento, il M5S punta tutto sul rafforzamento del welfare, rivendicando l’introduzione del reddito di cittadinanza e promettendo battersi per il salario minimo. È sulla base di queste proposte che Conte si è piazzato alla sinistra del Pd, soprattutto nei settori sociali del Mezzogiorno che si sentono abbandonati nel mezzo della crisi.

AD UN CERTO punto di questa campagna elettorale spunterà anche Beppe Grillo. Sarà il momento della difesa delle origini. Ieri i canali ufficiali del M5S hanno scongelato persino l’ex ministro (non candidato dopo due mandati) Danilo Toninelli. Dallo staff di Conte dicono che l’obiettivo è strappare consensi all’astensionismo: è li, sostengono citando i sondaggi, che rischia di finire il grosso del voto ai 5 Stelle del 2018. Ed è a quel bacino che vogliono attingere per continuare la risalita. Proprio questo doppio passo, sospeso tra il recupero identitario e la valorizzazione dell’anima sociale, sarà l’acrobazia elettorale dei prossimi giorni.

 
 
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