Berlino apre al «price cap». Per il nuovo decreto ci vorrà almeno una settimana: Draghi vuole avere il quadro delle entrate
«I tempi non sono maturi per un intervento immediato», le fonti di palazzo Chigi e del Mef gelano così le attese dei partiti che chiedevano e si attendevano un intervento d’urgenza, un decreto contro il caro energia, già nei prossimi giorni. Ma in mattinata il sottosegretario Garofoli, alter ego di Draghi, e i ministri dell’Economia e della Transizione ecologica Franco e Cingolani si incontrano e rallentano tutto. È stato solo un «primo confronto». Prima del 5 settembre, ma più probabilmente nella settimana tra il 12 e il 18 settembre non se ne parla.
QUESTIONE DI COPERTURE, naturalmente. La manovra che chiedono Calenda e Salvini costerebbe una trentina di miliardi e imporrebbe lo scostamento di bilancio. Il premier non ci pensa per niente e anzi il solo fatto che un passo tanto delicato, tale da far rischiare un conflitto con la Ue, venga chiesto a un governo in carica solo per l’ordinaria amministrazione lo irrita: subodora il tentativo di scaricarsi da ogni responsabilità addossandole poi al governo precedente, il suo. Ma ci vogliono almeno 10 miliardi anche per misure più contenute e quasi certamente insufficienti, come l’estensione del credito d’imposta al prossimo trimestre e il suo aumento rispetto all’attuale 25% più i decreti attuativi del dl Bollette che permetterà al Gse di comprare gas ed energia verde per poi rivendere alle aziende a prezzi calmierati. Costi che lievitano fino a 15 miliardi se si aggiungono le altre misure minime necessarie: la cig, la rateizzazione delle bollette, il taglio al prezzo della benzina.
QUEI 10 MILIARDI non ci sono. Avrebbero dovuto essere garantiti dalla tassa sull’extragettito portata al 25% dal dl Aiuti bis. Ma quasi tutte le aziende hanno invece presentato ricorso di incostituzionalità. Invece dei 10,5 miliardi che sarebbero dovuti entrare grazie all’acconto del 40% da saldarsi entro giugno, in attesa del saldo entro novembre, ne è arrivato solo uno e mezzo. Il pronunciamento del Tar è fissato per l’8 novembre. Se dovesse sospendere il provvedimento in attesa della sentenza della Consulta ci vorrebbe un altro anno e mezzo. In ogni caso quei fondi non potranno coprire il prossimo decreto aiuti. I termini per il ravvedimento operoso per l’acconto di giugno scadono il 31 agosto: dunque il governo non intende fare niente sino a che non avrà un quadro preciso delle entrate, non prima del 5 settembre.
IERI A PALAZZO CHIGI è però arrivata una buona notizia, ottima se non resterà solo un impegno teorico. In attesa del consiglio straordinario dei ministri dell’Energia convocato per il 9 settembre, il ministro dell’Economia tedesco Habeck ha aperto uno spiraglio sulla possibilità di introdurre il tetto al prezzo del gas, cioè a quella che è da mesi la principale proposta italiana. Il veto della Germania non è l’unico ostacolo nella Ue. Paesi come l’Olanda (ma fuori dalla Ue anche la Norvegia) sarebbero penalizzati e dunque si oppongono per motivi diversi da quello della Germania, la paura cioè di una rappresaglia russa con la sospensione totale dell’erogazione di gas. Ma sé che se a spostarsi fosse il Paese più influente dell’Unione la marcia del Price Cap diventerebbe ben più spedita e per l’Italia il fardello diventerebbe molto più leggero.
L’INTERVENTO di Ursula von der Leyen, inoltre, sembra aprire la strada all’altra riforma sulla quale Draghi martella da ancora prima che scoppiasse la guerra in Ucraina, il decoupling, il disaccoppiamento del prezzo dell’elettricità da quello massimo del gas. Stabilito negli anni ’90 nel quadro delle misure di liberalizzazione del mercato dell’energia, il meccanismo mostra la corda da anni. A dicembre Italia, Francia, Spagna, Grecia e Romania avevano chiesto di modificarlo ma altri 9 Paesi tra cui la Germania si erano dichiarati disposti a riformarlo senza però intervenire radicalmente. Ora la Germania e a ruota l’Europa sembrano essersi svegliate e l’effetto immediato è stato un calo robusto del prezzo del gas a 272 euro: «È molto plausibile che il prezzo scenda perché ci si aspetta un intervento europeo», commentano a Roma. Come col Covid, la strada dell’Italia per uscire dal labirinto passa per Bruxelles.
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Il 9 settembre a Bruxelles il vertice straordinario sull'energia. In vista del summit tra i ministri Ue diversi Paesi chiedono interventi decisi
La Repubblica ceca, che ha la presidenza semestrale del Consiglio Ue, ha convocato per il 9 settembre, a Bruxelles, un vertice straordinario sull’energia. Domani è attesa la ripresa del funzionamento – a rilento – della pipeline Nord Stream1, che era stata sospesa per manutenzione da qualche giorno (dopo il prolungato arresto di luglio), ma la Ue non si fida della Russia e teme un nuovo ricatto. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, in un intervento allo Strategic Forum di Bled (in Slovenia) ha ripetuto che è l’ora di «mettere fine alla dipendenza dalle energie fossili russe, sporche e pericolose». Ha ricordato che la Ue ha diminuito questa dipendenza (c’è l’embargo sul carbone entrato in vigore a metà agosto, entro fine anno ci sarà quello sul petrolio e per il gas l’import da nuovi fornitori è aumentato del 32% mentre la dipendenza dalla Russia, che era a più del 40%, è in calo). Dobbiamo «prepararci a un blocco totale» del gas russo, ha avvertito una volta di più von der Leyen, che ha ricordato che la il programma REPowerEu ha stanziato 300 miliardi.
Ieri, anche se i mercati all’ingrosso hanno registrato un leggero calo del Megawattora (a 270 euro), nella Ue alcune voci si sono alzate per chiedere decisioni forti al vertice del 9, come l’imposizione di un tetto al prezzo del gas e la separazione del prezzo dell’elettricità da quello del gas. In ballo anche gli acquisti congiunti, come per i vaccini. Per il ministro belga dell’Energia, Tine Van der Straeten, «i prezzi del gas devono essere bloccati» – il governo belga calcola un risparmio intorno ai «770 euro l’anno per le famiglie». Anche il Belgio vuole svincolare il prezzo dell’elettricità da quello del gas. Stessa posizione della Spagna, che ha investito nelle rinnovabili e produce elettricità a un costo inferiore. La Francia rivendica la separazione dei prezzi basandosi sulla grossa fetta di energia nucleare (70% dell’elettricità). A favore di un tetto al prezzo del gas e della fine dell’indicizzazione sul prezzo marginale anche il primo ministro austriaco, Karl Nehammer: «Dobbiamo mettere fine a questa follia, non possiamo lasciare Putin decidere ogni giorno sul prezzo dell’elettricità in Europa».
Intanto, ogni paese cerca di diminuire i consumi, seguendo bene o male la raccomandazione della Commissione per un calo del 15% da agosto a marzo 2023. In Francia, c’è un congelamento del prezzo del gas e un aumento limitato al 4% per l’elettricità fino a fine anno, ma il ministro delle Finanze, Bruno Le Maire, ha rassicurato: gli aumenti nel 2023 saranno «contenuti». La prima ministra, Elisabeth Borne, dopo Macron, raccomanda«sobrietà» a tutti. Ieri, alla riunione del Medef (la Confindustria francese) ha messo in guardia gli imprenditori: «Purtroppo dobbiamo preparaci», le imprese saranno colpite «in caso di razionamento dell’energia» (il diritto Ue protegge le famiglie e i servizi essenziali, come la Sanità). Per settembre è previsto un «piano sobrietà». Intanto, Macron è andato in Algeria non solo per un nuovo tentativo di riconciliazione ma anche per aumentare le importazioni di gas. In Germania è caccia agli sprechi, il ministro dell’Economia, Robert Habeck, ha parlato di «sforzo nazionale» per diminuire i consumi del 20% (diminuzione del riscaldamento, dell’illuminazione ecc.). Stessa corsa al risparmio in Spagna, dove il governo si rallegra di una diminuzione del 3,7% dei consumi. Il governo finlandese suggerisce di fare docce e saune più brevi. Altri paesi per ora evitano i tagli e cercano di aumentare la produzione: in Olanda sono state rimesse in funzione le centrali a carbone fino al 2024, la Danimarca frena l’export di elettricità (come la Norvegia, fuori della Ue), l’Estonia torna all’estrazione dello shale gas.
Commenta (0 Commenti)GERMANIA. Tra le proposte, che dopodomani verranno sottoposte al resto del partito e poi girate al cancelliere Scholz per il negoziato con Verdi e liberali, anche un freno statale al prezzo dell’energia e assegni ad hoc per famiglie a basso e medio reddito. Mentre il ritorno del carbone procede spedito: riacceso ieri il mega-impianto di Petershagen nel Nordreno-Vestfalia
La centrale a carbone Uniper a Petershagen, in Germania - Ap
Freno statale al prezzo dell’energia e trasporto pubblico a costo calmierato, tassa sugli extra-profitti delle compagnie energetiche e ombrello finanziario per i cittadini che nei prossimi sei mesi non saranno in grado di pagare le bollette, più un nuovo pacchetto di sussidi cash sull’esempio del bonus-gas da 300 euro. Sono i punti-chiave del piano scritto e firmato dalla leadership Spd che dopodomani verrà sottoposto al resto del partito e poi girato al cancelliere Scholz per il negoziato con Verdi e liberali.
Rappresentano la «risposta politica» promessa da settimane dal primo partito della coalizione «per alleviare le difficoltà delle famiglie colpite dalla crisi», ma anche l’attesa «soluzione tecnica» per fermare la bolla energetica divenuta ormai speculazione pura.
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L’Italia consuma tra 73 e 76 miliardi di metri cubi all’anno, stando ai dati MiSE del 2018-2021. E per questo siamo in un bel ginepraio.
Di questi, circa il 40% (29 mld di mc) era importato dalla Russia (dato 2021) come abbiamo riportato a inizio anno. Ma già nel primo semestre 2022 abbiamo potuto riscontrare un calo del 36% dell’importazione di gas russo, con una domanda nazionale in leggera discesa (-1,8%).
Sappiamo che al momento il riempimento degli stoccaggi (nove in Italia) è circa all’80%, ma non tutti sanno che la capienza massima di questi grandi serbatoi, presenti in buona parte nel centro-nord (pianura Padana, soprattutto), è di circa 18 miliardi di metri cubi. Di questi però circa 4 mld non dovrebbero essere utilizzati per questioni tecniche e strategiche.
Per questo stiamo parlando che a regime, in inverno, dovremmo disporre negli stoccagi, con costanza, almeno di circa 12-14 miliardi di metri cubi di gas.
Ma quanto consumiamo nei diversi mesi e quanto in quelli invernali?
Abbiamo fatto una media dei consumi mensili con i dati disponibili dal 2019 al 2022, ed ecco come cambia la richiesta di metano nel corso dell’anno nel nostro paese: nei mesi invernali è circa il doppio di quella degli altri mesi, soprattutto per via del riscaldamento. In media, solo per i tre mesi tra dicembre e febbraio, il consumo è tra 26 e 27 mld mc, quindi oltre l’85% di quanto disponibile nelle riserve.
Ma poiché l’import nei mesi più freddi non riesce a mantenere il ritmo della richiesta quotidiana, cosa accadrebbe se la Russia decidesse di sospendere o rallentare di molto il flusso di gas verso il nostro paese?
Un piano di emergenza di razionamento deve essere predisposto da subito dal governo per evitare guai seri a imprese e famiglie. Non è più tempo di edulcorare la situazione.
Vanno spinte e comunicate con serietà azioni e politiche di efficienza e risparmio (oltre che di rapido sviluppo delle rinnovabili) che dovranno poi diventare sempre più strutturali nei prossimi mesi, lasciando alla chiacchiere da bar le soluzioni futuristiche a 15, 20 o 30 anni.
Qui alcuni semplici consigli rivolti alle famiglie per tagliare subito i consumi di gas e di energia elettrica almeno di circa il 10%: Come risparmiare energia a casa in 6 semplici passi.
Il segretario Cgil: "Serve subito un intervento per famiglie e aziende, prima del voto: Draghi ci convochi subito. Redistribuiamo gli utili record di energia, banche e farmaceutici". E sulla campagna elettorale: "Il sindacato non è neutrale, ma autonomo. Sono i partiti che copiano pezzetti delle nostre idee, come la Lega con Quota 41"
ROMA - "Siamo dentro una pandemia energetica e salariale, sono molto preoccupato che a un certo punto la situazione scappi di mano, con il gas razionato, i lavoratori in Cig a metà stipendio e le bollette raddoppiate", dice Maurizio Landini, leader della Cgil. "Sarebbe la tempesta perfetta, il rischio sociale elevatissimo. Ecco perché serve subito un nuovo intervento per famiglie e imprese da finanziare ridistribuendo tutti gli extraprofitti, non solo quelli delle aziende energetiche, ma ad esempio anche quelli di banche e farmaceutici, mai così alti da 10-12 anni".
Segretario, cosa si può chiedere a un governo dimissionario e con le elezioni tra meno di un mese?
"Non ci possiamo permettere di aspettare il nuovo esecutivo o le decisioni dell'Europa sul tetto al gas o su come sconnettere il prezzo dell'elettricità dal gas. Ora è il momento di agire già nei prossimi giorni, abbiamo bisogno di risposte e decisioni ai primi di settembre. Il premier Draghi convochi le parti sociali, imprese e sindacati, come durante il Covid quando il protocollo sulla sicurezza ha consentito al Paese di continuare a lavorare senza chiudere".
Cosa si aspetta dal premier?
"Il decreto Aiuti bis di luglio da 14 miliardi è in Parlamento, ma non basta e va adeguato. Bisogna definire interventi di emergenza e un piano strategico per l'autonomia energetica fondato sulle fonti rinnovabili che è anche un modo di guardare al futuro e a una nuova politica industriale. Capisco che siamo in campagna elettorale, ma servono risposte straordinarie a un momento straordinario. E la responsabilità di tutti, anche delle forze politiche".
Sospendere la campagna elettorale aiuterebbe?
"Non si sospende la democrazia. Anzi spero che in tanti vadano a votare perché lo scollamento tra le persone e la rappresentanza politica è impressionante visto che il 50% non vota più. Oramai non si parla più di lavoro da tanto tempo e non solo in questa campagna elettorale. Ma metà del Paese non arriva alla fine del mese, dilaga la precarietà, si continua a morire sul lavoro. In una strage permanente".
Ha segnali di deterioramento dell'economia italiana?
"Nei mesi di giugno e luglio molte aziende hanno cominciato a registrare un calo di ordini e molte di loro hanno allungato le chiusure estive. Tutti insieme dobbiamo evitare il rischio di avere nei prossimi mesi imprese che cessano, chiudono e licenziano".
Tassare gli extraprofitti delle aziende energetiche si sta rivelando più complicato del previsto. Molte non hanno versato l'acconto di giugno. E alcune utility vogliono impugnare la norma per incostituzionalità. Come si risolve?
"Non so se è chiaro, ma la situazione è drammatica. Chi fa extraprofitti - e li fa perché chi lavora ha pagato bollette esorbitanti per la speculazione oppure perché ha guadagnato moltissimo con la pandemia - ha una responsabilità sociale. Non stiamo parlando di un intervento strutturale, ma di redistribuire l'extra - non gli utili ordinari, ma l'extra - a lavoratori, pensionati e imprese che rischiano di saltare. Singolare poi che soggetti, alcuni dei quali a controllo pubblico, possano dire che la tassa è incostituzionale. È costituzionale impedire alle persone di arrivare alla fine del mese?".
Quanto pensa si possa ricavare dalla tassa?
"Se il governo dice che gli extraprofitti delle sole aziende energetiche valgono 42 miliardi e con il 25% - circa 10,5 miliardi - ci ha coperto i 200 euro per i redditi fino a 35 mila euro lordi, con il 100% potrebbe distribuire altri 600 euro per mangiare e vivere nei prossimi mesi quando la situazione precipiterà. La dignità viene prima dei profitti e degli extraprofitti. Non si capisce per quale motivo non si possano toccare".
Esiste un piano B? Proponete anche di fare nuovo deficit?
"Gli extraprofitti non sono deficit e bisogna prendere le risorse dove ci sono. Si pone comunque un tema in Europa: dopo il Pnrr è il momento di uscire da logiche di austerity. E poi vorrei dire anche che se ci troviamo in questa situazione è per una guerra nel cuore dell'Europa di cui non si parla più. Quando il cessate il fuoco dovrebbe essere l'obiettivo da raggiungere nei prossimi mesi".
Non si è pentito a luglio di aver preferito il taglio del cuneo temporaneo e la rivalutazione delle pensioni a un più corposo bonus?
"Il corposo bonus il governo non l'hai mai proposto. E in ogni caso rivendico la nostra scelta. Le due cose poi non si escludono. E anzi il 14 settembre, con migliaia di delegate e delegati della Cgil, lanceremo le nostre proposte prima del voto".
Il sindacato entra in campagna elettorale?
"Il sindacato non ha governi amici o nemici. Fa la sua parte chiedendo la riforma del fisco, del lavoro e delle pensioni e della loro rivalutazione. Per cancellare le leggi sbagliate degli anni passati".
Una neutralità di convenienza? Su Quota 41 siete con la Lega. Sulla patrimoniale con il Pd.
"Non siamo neutrali, ma autonomi e pronti a rispondere ai bisogni delle persone: esattamente l'opposto della neutralità. Ci siamo battuti in cinque anni con tre governi diversi, ma non abbiamo cambiato le nostre idee su salario minimo, legalità, precarietà, lavori gravosi. Sono i partiti che prendono pezzettini delle nostre proposte, non il contrario. Ma Quota 100 non ha risolto molto e nessuno ha toccato la Fornero, per cui ora a gennaio c'è uno scalone. La Flat tax è iniqua e non progressiva: lo diciamo da sempre".
Con la crisi energetica in atto, la transizione verde rischia?
"Già da maggio i sindacati avevano chiesto al governo di aprire un tavolo straordinario sulle politiche energetiche. Siamo di fronte a un passaggio epocale che riguarda il futuro della nostra manifattura. Abbiamo bisogno di uscire dalle fonti fossili, eppure ci sono decine e decine di imprese pronte a investire sulle rinnovabili con le pratiche bloccate. Non si può dire che tutto sta cambiando e poi non cambia nulla. Anzi con il rischio di tornare indietro".
EMERGENZA ENERGIA. Perché il governo possa intervenire serve un’intesa, difficile, tra i partiti in campagna elettorale. Nelle aule è a rischio anche il numero legale. Per la Cgia di Mestre nel 2022 le imprese energetiche hanno aumentato i ricavi del 60%
Il presidente del Consiglio Mario Draghi
I conti li ha rifatti ieri la Cgia di Mestre. Se le grandi imprese dell’energia continueranno a eludere la tassa sugli extra profitti introdotta a maggio con il primo decreto “Aiuti”, a fine anno l’erario perderebbe 9 dei 10,5 miliardi di gettito previsto. Una cifra non lontana da quella che cerca il governo per prolungare di tre mesi, e dunque fino al 31 dicembre, il credito di imposta del 25% delle spese per l’energia alle imprese, nonché per evitare che dal 20 settembre il prezzo dei carburanti torni a impennarsi per la fine degli sconti su accise e Iva.
Su come recuperare all’erario almeno parte degli extra profitti che derivano dall’impennata del costo del gas la discussione, nel governo, è ancora aperta. Le frenate dipendono dal minacciato ricorso delle imprese energetiche che pure, secondo la stessa Cgia, nei primi cinque mesi del 2022 hanno registrato un aumento dei ricavi del 60%. Ma considerano la tassa supplementare illegittima (e infatti non l’hanno pagata come previsto). Come alternativa a questo extra gettito, per passare dal castello di dichiarazioni, impegni, promesse e annunci da campagna elettorale ai fatti di un provvedimento di legge, c’è solo quella di autorizzare un altro scostamento di bilancio. Che però Draghi non vuole: lo considera fuori dal perimetro degli «affari correnti».
Quel che è peggio è che la proroga dei bonus e degli sconti, introdotti a maggio e confermati a inizio agosto nel decreto “Aiuti bis” non sarebbe che una goccia nell’oceano. Perché nel frattempo il prezzo del gas è quasi raddoppiato (in un mese). Le cifre di cui parlano i partiti nei dibatti elettorali per fare fronte alla nuova emergenza e calmierare sia le bollette delle imprese che quelle delle famiglie, volano verso altre e più vertiginose altezze: venti, trenta miliardi.
Enrico Letta rimprovera a Berlusconi, Salvini e Conte di aver fatto cadere Draghi: «Con quale credibilità pretendono ora delle misure da lui?». Conte si arrabbia: «Noi incalzavamo Draghi sul caro bollette quando tu eri distratto dalla furia bellicista». Berlusconi (e sempre più spesso anche Meloni) raccontano che loro non c’entrano niente con la caduta di Draghi. Calenda ne approfitta per la sua tempesta quotidiana di tweet contro Letta, accusato adesso di non volere il gas perché in uno dei suoi manifesti invita a scegliere le energie rinnovabili contro i combustibili fossili.
In realtà non è in discussione il fatto che il governo interverrà, il dubbio destinato a sciogliersi solo questa settimana è per quale cifra e con quale strumento legislativo. Il presidente del Consiglio in carica per il disbrigo degli affari correnti non ha incertezze sul fatto che anche un esecutivo dimissionario possa e debba fare fronte a un’emergenza del genere – che peraltro lo stesso esecutivo quando era nella pienezza dei poteri non aveva previsto di questa entità. Non c’è tanto un problema di legittimità quanto un problema di efficacia.
Non si può infatti fare troppo affidamento sui partiti a pochi giorni dal voto. Qualsiasi provvedimento, sia esso nella versione light di un maxi emendamento al decreto “Aiuti bis” (che anche se scade a inizio ottobre va convertito prima del voto) sia esso un decreto tutto nuovo, rischia di andare a sbattere contro un parlamento ormai in dismissione. In questa fase per un decreto legge, come ha ricordato ieri l’ex presidente della camera Violante, serve un’intesa preventiva di fronte alla quale anche il capo dello stato che lo firma per l’emanazione non avrebbe problemi.
Serve soprattutto un impegno a non trasformare il passaggio nelle commissioni e in aula in un assalto alla diligenza, altrimenti più che probabile in piena campagna elettorale. D’altra parte il governo dimissionario non può ricorrere alla fiducia, dunque nulla può escludere che anche una minoranza di parlamentari contrari possa alzare un muro di emendamenti. Infine c’è un’ulteriore problema che è quello della presenza nei palazzi di deputati e senatori impegnati in una campagna elettorale già strettissima. Nessuno vuole correre il rischio di lasciare campo libero nelle piazze agli avversari. Il rischio che dopo tanto allarme nelle aule manchi il numero legale è concreto.
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