Sulle elezioni europee pesano anche i conflitti in corso e le posizioni assunte dalle forze politiche. Il contributo di Fabrizio Coticchia, Università di Genova
In occasione delle elezioni europee del 2024 il tema bellico ha assunto un peso notevole per il voto di molti cittadini di ogni Stato membro, di coloro che decideranno come votare anche valutando le posizioni assunte dai governi, dai partiti politici e dai singoli candidati circa le guerre in corso e le politiche che l’Unione dovrebbe adottare in materia.
In Italia nei programmi elettorali le posizioni dei partiti vanno da coloro che chiedono lo stop immediato all’invio di armi agli Stati in guerra come Ucraina e Israele, a chi si pronuncia per la creazione di un esercito europeo, da chi vuole aumentare le spese militari a chi chiede norme molto più severe per l’export delle stesse.
Fabrizio Coticchia, professore ordinario di Scienze politiche e internazionali all’Università di Genova da noi interpellato sottolinea che tendenzialmente per le elezioni i temi di politica estera non sono così cruciali come i temi di politica interna ed economici, o come l’immigrazione. Allo stesso tempo, però, “quando ci sono delle crisi rilevanti, come quelle ora in essere e tra loro collegate, anche i fattori internazionali giocano un peso e un ruolo. Lo vediamo anche nella modalità con la quale i partiti stanno elaborando la loro campagna elettorale anche rispetto al tema della
Leggi tutto: La guerra nelle urne - di SIMONA CIARAMITARO
Commenta (0 Commenti)Tre missili su una scuola dell’Onu a Nuseirat, diventata rifugio di 6mila sfollati: almeno 40 palestinesi uccisi, tra loro donne e bambini. Israele rivendica il raid per colpire «20 o 30 miliziani», senza dare prove. E come nella strage a Rafah le armi sono statunitensi
NEL MUCCHIO. Raid israeliano nel campo di Nuseirat. Tel Aviv: l’obiettivo erano «20 o 30 miliziani». Statunitensi le armi della strage, come a Rafah. Altri paesi si aggiungono alla proposta di tregua che Biden attribuisce a Israele, ma che Bibi nega
Sangue rappreso nella scuola Onu di Nuseirat dopo il bombardamento israeliano - Ap/Jehad Alshrafi
Cintura di fuoco, così i palestinesi chiamano dal 7 ottobre i bombardamenti a circolo, come fossero un vortice, o un tornado. È questa l’espressione che hanno usato ieri alcuni dei sopravvissuti ai raid israeliani sulla scuola al-Sardi nel campo profughi di Nuseirat, nel centro di Gaza: una cintura di fuoco.
«Eravamo dentro la scuola e all’improvviso siamo stati bombardati, le persone sono state fatte a pezzi – racconta Anas al-Dahouk ad al Jazeera – Questo edificio ospitava famiglie e giovani, non hanno dato nessun avvertimento».
La scuola al-Sardi è gestita dalle Nazioni unite, ma non è più una scuola dal 7 ottobre. Le aule sono piene di sfollati, circa 6mila, materassi e vestiti appesi fuori ad asciugare. La struttura è la stessa di tutte le scuole dell’Unrwa in Palestina, l’agenzia per i rifugiati palestinesi: vernice bianca e blu, i colori delle Nazioni unite, tre piani e una balaustra che corre lungo tutto l’edificio. Un modo per fare ombra, qui il sole picchia forte e il balcone coperto allontana i raggi dalle porte delle aule.
A SCUOLA i bambini di Gaza non ci vanno da otto mesi e come a ogni offensiva sono migliaia le famiglie che si rifugiano nei centri dell’Onu, siano scuole, magazzini, cliniche. Le pensano più sicure: sul tetto c’è scritto «UN» a caratteri cubitali. Da anni non sono più sicure, in questo attacco ancora di meno: sono 180 i centri dell’Onu colpiti dai bombardamenti israeliani.
L’altra notte è successo alle 1.30, tanti già dormivano o ci provavano. Tre missili, dicono i sopravvissuti, hanno sventrato il secondo e il terzo piano. La giornalista Hind Khoudary è entrata dentro e l’ha mostrato in video: le pareti che danno sull’esterno sono completamente saltate, le altre ancora in piedi sono annerite.
SANGUE RAPPRESO a terra, un enorme buco sul soffitto, gli oggetti personali degli sfollati – che ormai si limitano a materassi e vestiti – pieni di polvere. Un uomo raccoglie pezzi di corpi, i cadaveri non ci
Commenta (0 Commenti)La visita di Meloni con Rama ai nuovi campi in Albania è un’esibizione del modello italiano di deportazione dei migranti fuori dal territorio europeo. Condita da maniere forti e attacchi alla stampa. La «soluzione» fa proseliti nella Ue e rischia di imporsi dopo le elezioni
DEPORTO SICURO. Per la premier il denaro speso non è un costo ma un investimento. «Il protocollo sarà imitato. Farà da deterrenza alle traversate»
Rama e Meloni nel porto di Schengjin - LaPresse/Chigi
I centri in Albania apriranno il primo agosto. Lo ha promesso ieri la premier Giorgia Meloni durante la conferenza stampa con l’omologo Edi Rama, a margine del tour nelle strutture di Gjader e Shengjin. Lui altissimo, con la faccia seria, davanti alla bandiera rossa con l’aquila stampata sopra. Lei più piccola, con l’espressione concentrata, annuisce alle parole del partner politico o affila lo sguardo alle domande dei cronisti.
L’INCIPIT È UNA LUNGA tirata contro i giornalisti italiani. Per Rama hanno dipinto l’Albania come un narcostato, arrivando a Tirana con notizie già scritte. «È un sollievo vedervi qui sani e salvi, in quest’area che è il cuore della malavita albanese, dove agiscono clan legati al traffico di esseri umani, secondo quello che ha scritto un quotidiano del vostro paese», dice.
L’ironia che non riesce a dissimulare il fastidio per le inchieste sui presunti rapporti tra esponenti del suo governo e della criminalità organizzata albanese. Parla in italiano Rama «perché qui siamo in territorio italiano». E in questa lingua ripete una frase sentita altre volte: «La mafia non esiste». Lo direbbe la procura speciale secondo cui la criminalità di Tirana è organizzata su base familiare, senza la struttura gerarchica di Cosa nostra, Ndrangheta o Camorra.
Meloni rinnova la solidarietà all’amico, vittima della macchina del fango, e ripete che le critiche sono legittime, «per carità», ma i giornalisti devono stare attenti a non minare l’interesse nazionale quando in mezzo ci sono
Commenta (0 Commenti)Giorgia Meloni scopre i guasti della legge sull’immigrazione. «La sfruttano le mafie», e corre in procura (quella sbagliata). Ma non è una conversione. È campagna elettorale, sulla pelle dei migranti. La Bossi-Fini vuole cambiarla in peggio
IL CASO. Esposto della premier a Melillo (che però non può intervenire): «Infiltrazioni del crimine organizzato». Ma le indagini ci sono già. Annunciati interventi dopo il G7 di Borgo Egnazia. Miraglia (Arci): «Il governo è senza vergogna»
Migranti bengalesi protestano a Napoli nel 2015 contro le condizioni nei laboratori tessili della zona - Ansa
«Voglio parlarvi di immigrazione». Così ieri Giorgia Meloni ha cominciato la sua informativa al consiglio dei ministri in cui ha annunciato di aver consegnato al procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo «un esposto sui flussi di ingresso in Italia di lavoratori stranieri avvenuti negli ultimi anni avvalendosi del cosiddetto decreto flussi». L’incontro era avvenuto in mattinata, con la premier c’era anche l’onnipresente sottosegretario Alfredo Mantovano.
E GIÀ QUI, prima di affrontare il merito della questione, vale la pena fermarsi un attimo: la procura nazionale antimafia non ha poteri investigativi, dunque presentare lì un esposto ha molto poco senso. Esiste infatti il principio del giudice naturale precostituito per legge. Ed è bene tenere a mente che il suo contrario è il tribunale speciale, che in Italia è esistito solo durante il fascismo. Una premier (anche se viene dal partito erede dell’Msi) dovrebbe saperlo. Ma in questa storia, forse, più che la necessità di risolvere un problema, ad essere importante è la propaganda – cioè la possibilità di agitare lo spettro della questione migratoria – a pochi giorni dal voto europeo. «I flussi regolari di immigrati per ragioni di lavoro vengono utilizzati come canale ulteriore di immigrazione irregolare», ha detto Meloni ai suoi ministri con il tono di chi ha fatto una scoperta sensazionale. In realtà, chi si occupa di questioni migratorie, ha ben presente da diverso tempo quanto problematici siano i flussi e quanto questo meccanismo funzioni poco e male. Lo spiega bene Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’Arci: «L’esposto è un’altra dimostrazione della faccia tosta e della mancanza di vergogna di questo governo. Sappiamo, sulla base di quel che è avvenuto dal 2002, anno dell’approvazione della Bossi Fini, che è la principale responsabile delle truffe, che si tratta di un meccanismo impraticabile». In effetti di rapporti e inchieste che dimostrano come il decreto flussi non serva tanto a far entrare lavoratori in Italia quanto a regolarizzare la posizione di chi già si trova nel paese. Oltre, ovviamente, ai casi di palese illegalità, tra sfruttamento e caporalato, dichiarazioni fittizie e mafie interessate assai all’argomento.
Corpi schiacciati tra propaganda e fame di braccia
AD OGNI MODO, Meloni a Melillo ha consegnato una serie di dati
Leggi tutto: Meloni scopre i danni della Bossi-Fini e corre dall’Antimafia - di Mario Di Vito
Commenta (0 Commenti)Non ci sono soldi e non c’è personale medico. Ma per fare propaganda elettorale sulle liste d’attesa il governo annuncia un decreto, vuoto, e un disegno di legge che avrà tempi lunghi. Solo una cosa è chiara: le poche risorse vanno ai privati. Le regioni denunciano il bluff
TEMPO E DENARO. Il governo non ha i fondi così prova con una misura elettorale e rimanda a un disegno di legge
Infermiere trasportano una barella lungo il corridoio di un ospedale - Ap
«Il governo che ha messo più soldi sulla sanità» (cit. Meloni) è senza risorse sulla sanità. La «grande riforma» annunciata dalla presidente del Consiglio in campagna elettorale, per mancanza di coperture, si è tramutata in un decreto monco e in un disegno di legge che comincerà il suo iter dopo le europee. Il decreto legge che passerà oggi in Cdm prevede la creazione di una Piattaforma nazionale di monitoraggio, il via libera alle visite anche nel fine settimana, l’istituzione di un ispettorato presso il ministero per verificare il rispetto delle norme e il Cup unico regionale o infraregionale con tutte le prestazioni disponibili del pubblico e del privato convenzionato. Tutto il resto, cioè le misure economicamente onerose, sarà rinviato al disegno di legge e quindi a data da destinarsi.
UN BLUFF ELETTORALE sull’annosa questione delle liste d’attesa che evidenzia le difficoltà del governo a dare copertura alle sue proposte. Non manca l’intenzione di trasferire alle farmacie (settore caro al sottosegretario Fdi Gemmato, molto vicino alla premier) anche la diagnostica ma non ci sono i soldi. «Alcune misure saranno operative subito dopo il Cdm di domani (oggi ndr): penso all’aumento del tetto di spesa per l’assunzione di personale sanitario che passerà dal 10 al 15%. Altre, spero, con l’inizio dell’anno nuovo: dal 1 gennaio 2025 vorremmo abolire questo tetto di spesa e ciò rappresenta un fatto epocale, dopo 20 anni», ha spiegato il ministro Schillaci ospite da Vespa. «Finalmente ci sarà un’agenda unica di prenotazione che metterà insieme tutte le prestazioni disponibili nel sistema pubblico e privato, implementeremo un monitoraggio e una piattaforma in cui sapremo regione per regione quali prestazioni mancano in modo da intervenire tempestivamente», ha aggiunto Schillaci.
Il ministro ieri ha convocato in fretta e furia le regioni, in un incontro definito «imbarazzante» da Raffaele Donini, assessore alla Sanità dell’Emilia Romagna e
Leggi tutto: In Cdm va in scena il bluff del taglio alle liste d’attesa - di Luciana Cimino
Commenta (0 Commenti)Il Presidente alla cerimonia davanti al Milite ignoto apre il programma delle celebrazioni per il 2 Giugno. Poi la parata sotto la pioggia. Baglioni canta l’Inno. Salvini: “Oggi non si celebra la sovranità dell’Ue” poi la parziale precisazione: “Non chiediamo dimissioni di nessuno”. Fermati 15 attivisti di Ultima Generazione: “Volevano bloccare la sfilata”
Le cerimonie solenni davanti ai simboli del Paese, la parata in via dei Fori Imperiali, l'inno cantato da Claudio Baglioni, la facciata di Palazzo Chigi e il Torrino del Quirinale illuminati dal tricolore per diverse ore. Il 2 Giugno celebra i suoi rituali per ricordare il referendum del 1946, con il referendum a suffragio universale che segnò la nascita della Repubblica. "A difesa della Repubblica. Al servizio del Paese", è il titolo del tema scelto per le celebrazioni del 2024. Occhi puntati su Roma e sul presidente Sergio Mattarella, presente a tutti gli appuntamenti, a partire dall’alzabandiera solenne davanti all'Altare della Patria.
Nel pomeriggio l’attacco della Lega contro il Capo dello Stato che in un messaggio ai Prefetti aveva parlato di “sovranità europea”: “Oggi si consacra la sovranità dell’Italia, coerentemente dovrebbe dimettersi”. La segretaria dem Elly Schlein: “Gravissimo, Meloni chiarisca”. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani dà solidarietà al capo dello Stato. Il leader M5S Giuseppe Conte: “Attacco grave e indegno”. In serata interviene di nuovo Salvini che ma non smentisce: “Non chiediamo le dimissioni di nessuno, ma oggi è festa degli italiani”.
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