La Corte di giustizia internazionale dell’Aia non ha dubbi: a Gaza situazione «disastrosa», Israele fermi subito l’attacco a Rafah e riapra i valichi per far passare gli aiuti. La risposta di Netanyahu: raid intensificati sulla città. «Nessuno può fermarci»
LA SENTENZA. Decisione netta della Corte di giustizia internazionale: situazione «disastrosa», fermare subito l’attacco a Rafah e riaprire i valichi
Gaza. Sfollati palestinesi a Deir Al Balah - Ap
I giudici internazionali hanno scritto un nuovo capitolo del procedimento di accusa di genocidio nei confronti di Israele avviato a gennaio su richiesta del Sudafrica. Ieri la Corte internazionale di giustizia (Cig) dell’Aia, accogliendo gran parte delle ulteriori richieste presentate dal Sudafrica a protezione della popolazione di Gaza, ha ordinato a Israele di fermare l’offensiva in corso contro la città palestinese di Rafah, sul confine con l’Egitto. Contro le speranze dei palestinesi però non ha ordinato un cessate il fuoco immediato e generale a Gaza, così come era accaduto a gennaio.
Leggendo la decisione, il presidente della Corte Nawaf Salam, ha affermato che la situazione umanitaria a Rafah, già «disastrosa», è peggiorata dopo la sentenza emessa a gennaio dalla Cig. «La Corte – ha aggiunto Salam – non è convinta che gli sforzi di evacuazione e le relative misure che Israele afferma di aver intrapreso per migliorare la sicurezza dei civili nella Striscia di Gaza, in particolare nei confronti delle persone sfollate di recente dal governatorato di Rafah, siano sufficienti ad alleviare l’immenso rischio a cui la popolazione è esposta a seguito dell’offensiva a Rafah».
MENTRE LA NUOVA DECISIONE della Corte dell’Aia veniva rilanciata dai media in tutto il mondo, a Rafah una tremenda esplosione ha devastato una zona di Shaboura. In un video si vede una nuvola di fumo nero che si alza verso il cielo. Israele ha poi detto di aver colpito una importante base di Hamas e di aver ucciso, in un altro punto, un comandante di alto profilo del movimento islamico. Per alcuni l’attacco è la risposta dell’esecutivo israeliano alla sentenza della Cig.
La Corte ha anche ordinato a Israele di garantire il libero accesso al valico di Rafah tra Gaza e l’Egitto in modo da permettere il trasferimento senza restrizioni degli
Leggi tutto: L’Aia dice basta, Israele risponde col fuoco - di Michele Giorgio, GERUSALEMME
Commenta (0 Commenti)MEDIO ORIENTE. Il nuovo rapporto di Altreconomia sui dati forniti dall'Agenzia delle Dogane: governo Meloni smentito, tra dicembre 2023 e gennaio 2024 l’export è quasi raddoppiato
Prosegue l’inchiesta di Altreconomia che nei mesi scorsi, dati alla mano, ha smentito il governo Meloni rispetto alle affermazioni inerenti l’export militare italiano verso Israele. Gli ultimi dati inediti provenienti dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli rivelano un fatto inquietante: tra dicembre 2023 e gennaio 2024, l’Italia ha esportato verso Israele armi e munizioni da guerra per un valore complessivo di oltre due milioni di euro.
IN APERTA contraddizione il governo Meloni aveva dichiarato uno stop totale alle esportazioni di armi verso Tel Aviv, affermando che le statistiche dell’Istat includevano anche componenti di natura «civile», come rivoltelle e baionette. Problematica l’esportazione di armi «civili» in contesti critici come i Territori palestinesi occupati in Cisgiordania, dove i coloni israeliani sono armati dal ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir in persona, di fronte a una popolazione civile palestinese prevalentemente disarmata che viene costantemente brutalizzata.
I dati delle Dogane, fonte primaria dell’Istat, chiariscono ogni dubbio: le esportazioni riguardano esclusivamente materiale a uso militare. La categoria «Bombe, granate, missili e altre munizioni» ha registrato un incremento impressionante, passando da 730.869,5 euro a dicembre 2023 a 1.352.675 euro a gennaio 2024, nel pieno dell’attacco militare israeliano contro la popolazione civile di Gaza.
GIORGIO BERETTA, analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere (Opal), conferma che le cifre, al netto delle munizioni comuni, rappresentano esclusivamente materiale militare. Questa situazione pone l’Italia a rischio di sanzioni sulla base di
Commenta (0 Commenti)IL CONVEGNO A ROMA TRE. La fine delle guerre è la condizione per il dialogo tra le grandi potenze: l’umanità deve affrontare in concordia migrazioni, clima e povertà. Convegno di Costituente Terra giovedì 23 maggio 2024
L’Europa sta negando se stessa. L’Unione europea è nata su due fondamenti, l’uguaglianza e la pace: per porre fine ai razzismi, ai campi di concentramento e, soprattutto, alle guerre. Entrambi questi fondamenti stanno oggi venendo meno. È questa la prospettiva che dovrebbe essere presente, ma che è totalmente assente, nell’attuale campagna per le elezioni europee.
Innanzitutto l’uguaglianza. La disuguaglianza è in aumento in tutta Europa e soprattutto in Italia, dove la povertà assoluta è triplicata negli ultimi quindici anni, mentre è più che raddoppiato il numero dei miliardari. Ma sono le leggi in materia di immigrazione – le odierne leggi razziste – che stanno mostrando il riemergere in Europa di un’antropologia della disuguaglianza, alimentata da perverse ossessioni nazionaliste e identitarie.
L’Europa ha un debito enorme nei confronti del resto dell’umanità. Per secoli, proprio in nome del diritto di emigrare da essa rivendicato a fondamento delle sue conquiste e colonizzazioni, gli Stati europei hanno invaso, occupato, dominato, depredato e sfruttato gran parte dei paesi del mondo.
Oggi che l’asimmetria si è ribaltata e sono i disperati della terra che fuggono da quegli stessi paesi ridotti in miseria, l’esercizio di quel diritto si è trasmutato in delitto. Militarizzazione dei confini, penalizzazione dei soccorsi in mare, sequestro dei migranti finché non ne avvenga il rimpatrio o l’accoglimento delle domande d’asilo, hanno blindato la fortezza Europa, dove è riapparsa la figura della «persona illegale», clandestina o detenuta unicamente per ragioni di nascita.
A causa dell’apartheid dei poveri del pianeta, il genere umano è spaccato in due: un’umanità che viaggia liberamente nel mondo, per turismo o per affari, e l’umanità dei sommersi e degli esclusi, costretti dalla miseria e dalla fame a terribili odissee, fino a rischiare la vita nel tentativo di arrivare in Europa dove sono destinati a detenzioni illegittime o a sfruttamenti come non-persone.
L’altro valore fondante dell’Europa, la pace, è scomparso dall’orizzonte delle politiche europee, proprio nel momento forse più
Leggi tutto: Uguaglianza e pace, così l’Europa rinnega se stessa - di Luigi Ferrajoli
Commenta (0 Commenti)Tunisia, Mauritania e Marocco utilizzano i mezzi e i soldi dell’Unione per deportare i migranti nel deserto e smaltirli come rifiuti. Un’inchiesta svela il lato oscuro dei «memorandum». Intanto in Italia i giudici che hanno assolto le Ong portano alla luce un dossieraggio contro i soccorsi in mare
SCARTI D'EUROPA. Soldi, bus e fuoristrada ai paesi del Nord Africa. Per deportare i subsahariani nel deserto
Un migrante ricacciato nel deserto tra Tunisia e Libia foto Ap
11 luglio 2023. Poco fuori Sfax, città costiera della Tunisia, viene ripreso un fuoristrada bianco mentre scorta un autobus pieno di migranti arrestati in uno dei recenti raid effettuati nella città. Ingrandendo l’immagine si vede che il fuoristrada è un Nissan Navara. Spulciando tra i bandi e le forniture della polizia di stato italiana si scopre che oltre cento di questi modelli erano stati dati dal governo italiano tra il 2022 e il 2023 al ministro dell’interno tunisino per il contrasto dell’immigrazione illegale.
Oggi i mezzi dello stesso modello vengono usati per espellere i migranti ai confini desertici della Tunisia, e non solo. Anche le forze di sicurezza di Mauritania e Marocco sono coinvolte in questo tipo di violenze.
Le Nissan sono solo una delle tracce che si intravedono tra le strade sabbiose dei paesi del Nord Africa e che oggi sono percorse da decine di mezzi stanziati dall’Unione europea e dai suoi Stati membri, tutti diretti a gettare i migranti nel nulla. Scorrendo indietro i programmi europei e gli accordi bilaterali si iniziano a vedere le prime forniture dal 2016, anno in cui la Germania ha donato alla Tunisia 25 Toyota Hilux.
L’ANNO SUCCESSIVO è sempre Berlino a fornire altre 37 Nissan Navara al ministro degli Interni tunisino. Ma la lista non finisce qui. La Spagna, finanziata per oltre 4 milioni dal fondo europeo per l’Africa, EUTF, e attraverso l’agenzia governativa per la promozione delle politiche pubbliche, la Fundación Internacional y para Iberoamérica de Administración y Políticas Públicas (FIIAPP) nel 2018 ha fornito 75 Toyota hilux e oltre cento Land Cruiser allo stato del Marocco, gli stessi modelli fotografati negli scorsi mesi durante rastrellamenti operati dalla polizia marocchina per le strade delle città alla ricerca di migranti dalla pelle scura.
Nello stesso anno infine, la FIIAPP ha donato alla Mauritania almeno 9 fuoristrada, due autobus e ha provveduto alla riparazione di due centri di detenzione a Nouakchott, la capitale del paese, e Nouadhibou, città sulla costa. Entrambi questi punti sono snodi fondamentali in cui i migranti vengono portati prima di essere espulsi verso i confini desertici del Marocco o le zone di frontiera con il Mali, dove ancora imperversano conflitti armati.
A CONFERMARE IL TUTTO ci pensa un
Leggi tutto: Caccia ai migranti con i mezzi forniti da Roma e Bruxelles - di Fabio Papetti*
Commenta (0 Commenti)IRAN. Con la morte del presidente Ebrahim Raisi (e del suo ministro degli Esteri Amirabdolahian) si apre in Iran una doppia successione. La prima, a breve, è quella per la presidenza […]
Memoriale davanti all'ambasciata iraniana a Bucarest dopo la morte del presidente iraniano Ebrahim Raisi e del ministro degli Esteri Hossein Amir-Abdollahian - Ap
Con la morte del presidente Ebrahim Raisi (e del suo ministro degli Esteri Amirabdolahian) si apre in Iran una doppia successione.
La prima, a breve, è quella per la presidenza dove il suo vice Mohammed Mokhber dovrà guidare il Paese a nuove elezioni entro cinquanta giorni.
La seconda riguarda quella alla Guida Suprema Ali Khamenei, anziano e di salute malferma, di cui Raisi veniva indicato come un probabile successore (insieme allo stesso figlio di Khamenei Mojtaba).
Il tutto avviene in un Paese dove si manifesta un sempre maggiore scollamento tra il regime e la popolazione e in un contesto regionale e internazionale incendiario in cui, con la guerra di Gaza, l’Iran e Israele il mese scorso si sono confrontati per la prima volta nella storia sul piano militare.
La scomparsa di Raisi ha già delle conseguenze immediate interne insieme ad altre che potrebbero incidere sulla repubblica islamica sciita e su tutta la regione. In primo luogo la transizione alla presidenza – che in Iran è di fatto la direzione governo mentre la massima istanza è la Guida Suprema Alì Khamenei – viene assunta dal vice di Raisi, Mohammed Mokhber, personaggio non di primissimo piano ma gerarca di alto livello in quanto capo della Setad, la fondazione della Guida Suprema che costituisce il più grande conglomerato economico del Paese.
Ma Raisi non era soltanto il presidente con una lunga carriera come capo della magistratura: era il leader ultraconservatore che avevano voluto Khamenei e i Pasdaran, le guardie della Rivoluzione, per conquistare la presidenza nel 2021 e succedere al più moderato Hassan Rohani che aveva firmato gli accordi sul nucleare con l’amministrazione Obama nel 2015, contestati per altro dall’ala più radicale del regime.
La sua ascesa è stata dovuta al più rilevante cambiamento del regime iraniano degli ultimi decenni: la sempre maggiore influenza dell’ala militare dei Pasdaran che ha condizionato anche l’establishment religioso.
Le Guardie della Rivoluzione – fondamentali durante rivoluzione e nella guerra contro il dittatore iracheno Saddam Hussein negli anni Ottanta – avevano già conquistato la presidenza con Ahmadinejad ma dopo la fase di Rohani volevano riaffermare la loro preminenza nel Paese sia sul fronte della sicurezza che su quello economico. Le linee di politica estera e interna un tempo venivano elaborate nel dibattito, a volte assai aspro, all’interno delle sfere religiose di Qom, una sorta di Vaticano dello sciismo, oggi l’ala militare, già in primo piano con il generale Qassem Soleimani – eliminato dagli americani il 3 gennaio del 2020 a Baghdad – è diventata sempre più decisiva. E per un motivo evidente: dopo l’11 settembre 2001, la guerra afghana e l’invasione americana dell’Iraq nel 2003, i militari sono andati sempre più in prima linea su un fronte mediorientale diventato ribollente con l’ascesa in Mesopotamia di Al Qaeda e dell’Isis, due formazioni sunnite terroristiche ostili ai musulmani sciiti e all’Iran. Con le primavere arabe, la rivolta contro il siriano Assad nel 2011 e lo scontro tra Hezbollah libanesi e Israele, i Pasdaran hanno di fatto guidato non solo le truppe ma anche determinato la politica estera e le alleanze Teheran.
Raisi, pur con il turbante nero dei Seyed, segno distintivo dei discendenti di Maometto, era il risultato di questa evoluzione. Non è un caso che ieri ci sia stato il cordoglio di Hamas e degli Hezbollah, oltre a quello russo e cinese, perché Raisi come presidente e possibile successore di Khamenei rappresentava
Leggi tutto: I nodi di Teheran, doppia successione (con incognita) - di Alberto Negri
Commenta (0 Commenti)Nella foto: Una squadra di salvataggio sul luogo dell’incidente aereo nel quale ha perso la vita il presidente iraniano Ebrahim Raisi @Ap
Oggi un Lunedì Rosso dedicato ai ponti.
Quello che collega le elezioni comunali alle europee. Due sfide diverse che in tremila comuni italiani avranno luogo in parallelo l’8 e 9 giugno.
Ma anche il ponte ancora immaginario che dovrebbe unire Calabria e Sicilia sullo Stretto di Messina. Una nuova valutazione sull’impatto ambientale evidenzia gli aspetti più dannosi dell’opera.
Un collegamento molto contestato è invece quello tra università e guerra. Dedicare la ricerca (pubblica) al settore bellico è una scelta che non può avvenire nell’indifferenza della cittadinanza.
Il ponte è anche ciò che crea dialogo tra diversità, un compito che ci spetta ogni giorno.
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