20 maggio 1970 - 20 maggio 2024
Pochi eventi nella storia repubblicana italiana hanno assunto una valenza tanto emblematica e straordinaria da assurgere, nell’interpretazione degli analisti, ad autentico spartiacque fra un prima e un dopo, come il biennio operaio 1969-70. La centralità del conflitto, culminato nell’ “autunno caldo”, offrirà una testimonianza per molti versi unica, per intensità e durata, in virtù di un protagonismo delle masse come solo di rado si verifica nella storia di una nazione. Al punto da indurre vari osservatori a instaurare un parallelo fra quel biennio e pochi non meno cruciali altri, come quello del 1943-45 e finanche del 1920-21. Lo Statuto dei lavoratori ne sarà, il 20 maggio 1970, l’approdo normativo più celebre e rappresentativo.
Fin dal suo III Congresso del 1952, a Napoli, la Cgil chiedeva una “Carta dei diritti dei lavoratori”, volta a riconoscere l’esercizio dei diritti civili e politici, anche nei luoghi di lavoro. L’obiettivo, si sarebbe detto più avanti, era quello di “fare entrare la Costituzione in fabbrica”.
Il suo iter non fu semplice, e non soltanto a causa della prematura morte del ministro del Lavoro, il socialista Giacomo Brodolini, nell’estate del ’69, quando il Ddl era ancora in discussione.
Obiezioni e resistenze provenivano da un variegato fronte di organizzazioni e interessi. Sorvolando su quelle, scontate, del mondo datoriale e liberal-conservatore, ricordiamo
come il Pci si opponesse a causa dell’esclusione degli organismi politici dai luoghi di lavoro; la Cisl per via della sua programmatica ritrosia verso la legge, già manifestata
nel ’66, in tema di licenziamenti individuali; la sinistra extraparlamentare per il timore di imbrigliare e cristallizzare rapporti di forza che, allora, dovevano apparire come inesauribilmente progressivi.
Alla fine lo Statuto venne approvato (legge n. 300) e si trattò, come ha scritto Gian Primo Cella, dell’ “atto di ‘ammissione’ (se non di ‘promozione’) delle relazioni industriali più significativo messo in atto nei sistemi liberal-democratici”. Articoli come il 18 e il 28 doteranno i lavoratori e il sindacato italiano di alcune fra le misure più intensamente garantiste del
Commenta (0 Commenti)Cerimonia del fango a Faenza per ricordare l’alluvione. Nel tardo pomeriggio, sette cortei sono partiti dalle zone della città più colpite dall’alluvione e hanno raggiunto Piazza del Popolo, dove è stato celebrato un rito collettivo con l’intento di rinnovare il legame di comunità andatosi a creare nei giorni dell’emergenza: associazioni, scuole, enti, gruppi di residenti che hanno subito danni dall’alluvione hanno voluto ricordare con un gesto, un’azione teatrale, una performance quello che è successo fra il 2 e il 3 e fra il 16 e il 17 maggio 2023.
La cerimonia del fango è un progetto della compagnia teatrale Menoventi.
17 vittime, 70mila persone e 16mila imprese coinvolte, 8,5 miliardi di euro di danni. “Ristori fermi al palo”, la denuncia di Massimo Bussandri della Cgil
23 fiumi esondati, 540 chilometri quadrati di territorio allagati. E poi ancora 17 morti, 70mila persone coinvolte, gente che ha perso tutto o parte della propria quotidianità, casa, macchina, lavoro, azienda, coltivazioni, allevamenti. 16mila le imprese coinvolte. A stilare l’elenco dei danni provocati dall’alluvione in Emilia-Romagna del maggio 2023 è il documento della Commissione tecnica guidata dal professor Armando Brath e nominata dalla Giunta Bonaccini. Un organo al quale è stato chiesto, sostanzialmente, di aiutare la ricostruzione, ripensando il modello, affinché non accada mai più.
“A partire dalla serata del giorno 1 maggio 2023 fino al giorno 3 maggio 2023 – è scritto nelle prime righe del Rapporto – il territorio della Regione Emilia-Romagna è stato interessato da eventi idro-meteorologici di eccezionale intensità che hanno determinato una grave situazione di criticità particolarmente nelle province di Forlì-Cesena, Ravenna, Bologna, Modena e Reggio Emilia”.
“Nei giorni 16-17 maggio si è verificato un ulteriore evento meteorologico estremamente intenso che, oltre a interessare i territori delle province romagnole sopra indicate e di quella di Bologna, ha colpito intensamente anche il territorio della provincia di Rimini”.
“Questi eventi meteorologici eccezionali hanno provocato numerosissime alluvioni e frane con conseguente isolamento di molte località, evacuazione di numerose famiglie dalle loro abitazioni, gravi danni a infrastrutture lineari, ad aziende agricole, a edifici pubblici e privati, alle opere di difesa idraulica e alla rete dei servizi essenziali” (per leggere il rapporto clicca QUI).
Leggi tutto: Emilia-Romagna: un anno dall’alluvione, promesse nel fango - di GIORGIO SBORDONI
Si scappa da Rafah per essere ammazzati a Nuseirat: l’offensiva israeliana nel centro di Gaza colpisce i palestinesi che avevano ricevuto l’ordine di Tel Aviv di lasciare il sud «per sicurezza». Nell’anniversario della Nakba del 1948, la Palestina vive una catastrofe senza fine
LA CACCIA CONTINUA. L’offensiva israeliana torna con prepotenza nel centro e a nord. Colpite case e scuole Unrwa. A sud si ammassano i carri armati. Nuove udienze alla Corte internazionale dell’Aja per fermare l’operazione nella città meridionale
La ricerca dei dispersi dopo un bombardamento israeliano su una casa di Nuseirat - Ap/Majdi Fathi
«Nel 1948 ho portato via tra le braccia mio nipote, oggi mio figlio e i miei nipoti portano via me. Nel 1948 sono scappata a piedi, oggi scappo su un autobus con addosso pochi vestiti». Fatima Hussein ha 87 anni, è undici anni più vecchia dello stato di Israele. Ad al Jazeera racconta la sua seconda Nakba nei giorni in cui si commemora la prima.
L’impressione per i palestinesi è la stessa di 76 anni fa: la totale distruzione dello spazio di vita, l’evaporazione delle reti sociali e familiari, l’esodo. Nel 1948 530 villaggi furono svuotati e distrutti, i due terzi dell’allora popolo palestinese (quasi un milione di persone) fu cacciato.
Suad Amiry: «Ue e Usa ci lasciano morire. Non hanno valori»
Da mesi quasi due milioni di palestinesi hanno perso la loro quotidianità di vita, di quartiere, i vicini di casa, i familiari. Si passa da un eccesso all’altro: Rafah che fino a pochi giorni fa pullulava di un’umanità senzatetto ora – scrive l’Unrwa – è una città fantasma. Quasi mezzo milione quelli fuggiti dal fuoco israeliano che da una settimana colpisce da est e sud e arriva al centro e a ovest.
IERI NUOVI ORDINI di evacuazione sono stati lanciati dall’esercito israeliano sul nord di Gaza, come in un loop: 100mila persone, scrive l’Onu, sono state di nuovo
Leggi tutto: Si scappa da Rafah per morire a Nuseirat: a Gaza la fuga è inutile - di Chiara Cruciati
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IN CERCA DEL BIS. Restare in silenzio una volta lasciato il potere è una scelta legittima e perfino ammirevole. Nondimeno l’ermetico silenzio di Angela Merkel, più ancora della sua assenza, la settimana scorsa, dal […]
Restare in silenzio una volta lasciato il potere è una scelta legittima e perfino ammirevole. Nondimeno l’ermetico silenzio di Angela Merkel, più ancora della sua assenza, la settimana scorsa, dal congresso berlinese di quello che fu il partito che guidava, ci dice molte cose. Ma soprattutto una: l’attuale Germania ha ben poco a che vedere con quella che abbiamo conosciuto durante il suo lungo cancellierato. E la Cdu, partito di maggioranza relativa, si sta prendendo la rivincita sulla politica di Angela Merkel e la sua popolarità, ampiamente sfruttata ma mai davvero digerita. Un ampio spazio a destra è oggi al centro della contesa: tentare di conquistarlo accentuando i propri tratti reazionari (e compromettendo così definitivamente il rapporto con i socialisti in Europa) o rassegnarsi a un’alleanza con almeno una parte dell’estrema destra? Un dilemma che insidia la campagna elettorale di Ursula von der Leyen per restare alla presidenza della Commissione.
Tre punti sono sufficienti a chiarire la differenza tra la Germania della Cancelliera e quella attuale. Fu Merkel ad abolire quel servizio di leva obbligatorio che ora la Cdu e in particolare la sua patriottica federazione giovanile decidono di reintrodurre, sia pure con l’ausilio di formule graduali e rassicuranti. Certo, di mezzo c’è una guerra in corso in piena Europa, ma le risposte potevano essere molto diverse dalla coscrizione e da smisurate politiche di riarmo che non rafforzerebbero l’indipendenza e il peso del Vecchio continente comunque impossibile da conseguire, sia verso est che verso ovest, sul piano della potenza militare.
Di fronte a una delle più imponenti ondate di profughi che avessero investito la Germania, Merkel aveva pronunciato il famoso
Leggi tutto: Barra a destra e cortina di ferro: la corsa di Ursula - di Marco Bascetta
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STATO DI PALESTINA. Usa e Occidente vogliono i palestinesi non come soggetti aventi diritti, ma come ombre elemosinanti ridotte ad una subalternità che cancelli le aspirazioni umane e politiche
Una protesta pro Palestina in California - Ap
Il voto a schiacciante maggioranza dell’Assemblea dell’Onu che riconosce il pieno titolo dello Stato di Palestina ad essere ammesso alle Nazioni unite è atto formale e simbolico, decide il Consiglio di sicurezza. Ma esistono momenti nella storia non solo dei popoli, anche individuali e di classe, in cui eventi “simbolici” acquistano una valenza ben superiore al loro effettivo contenuto.
È questo il caso della risoluzione approvata venerdì sera. Che 143 paesi, con una rilevanza del Sud del mondo e con una Europa a dir poco divisa – Francia, Spagna e Germania hanno approvato – abbiano votato a favore mentre 25 si sono astenuti e 9 hanno votato contro, non è cosa da poco mentre è in discussione l’intera esistenza del popolo palestinese.
Non si capirebbe altrimenti la rabbiosa reazione del rappresentante israeliano che accusando l’Assemblea «di avere aperto la porta ai nuovi nazisti» e «di avere fatto a pezzi la Carta dell’Onu», ha platealmente strappato nella macchina trinciacarta la Carta medesima – come se i governi israeliani non l’avessero fatta a pezzi da tempo, misconoscendo tutte le Risoluzioni dell’Onu che dal 1967 impongono ad Israele di ritirarsi dall’occupazione militare dei Territori palestinesi.
Così come non è inutile scoprire che tra gli astenuti c’è l’Ucraina che combatte contro l’aggressione russa e vuole armi per i territori occupati (del Donbass) ma si volta dall’altra parte rispetto a territori occupati palestinesi; e c’è l’Italia, ai margini della storia, a chiacchiere meloniane impegnata sul Sud del mondo con il suo neocoloniale Piano Mattei, per poi scoprire che vota all’opposto del Sud del Mondo e sui diritti della Palestina tace e acconsente; ecco poi tra i contrari le “perle democratiche” di Argentina, Ungheria e della neoatlantica Repubblica ceca.
E gli Stati uniti, che solo ad aprile hanno posto il veto su questo tema al Consiglio di sicurezza, con motivazioni balbettanti che rasentano il comico se non fossero tragiche: «L’adozione di questa risoluzione non porterà cambiamenti tangibili ai palestinesi, non metterà fine ai combattimenti a Gaza né fornirà cibo, medicinali e riparo ai civili. È qui che si concentrano
Leggi tutto: Biden «re nudo» dopo il voto alle Nazioni unite - di Tommaso Di Francesco
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