"La memoria conta veramente - per gli individui, le collettività, le civiltà - solo se tiene insieme l’impronta del passato e il progetto del futuro, se permette di fare senza dimenticare ciò che si voleva fare, di diventare senza smettere di essere, di essere senza smettere di diventare"
Da le Odissee nell'Odissea di Italo Calvino
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Una strana crisi di governo. Il Governo non deve avere la fiducia del Presidente della Repubblica ma solo quella del Parlamento. Avallare la tesi contraria significa spianare la strada al presidenzialismo, che è il vero progetto delle destre
Benché tutti parlino di crisi in atto del nostro governo, non c’è, né finora c’è stata, nessuna crisi di governo.
Sulla base della nostra Costituzione un governo entra in crisi, e deve dimettersi, allorquando difetta della fiducia delle Camere. Non basta che non abbia la maggioranza assoluta.
Neppure è sufficiente che su un determinato provvedimento venga messo in minoranza: «Il voto contrario di una o di entrambe le Camere su una proposta del Governo», dice l’articolo 94, comma 4 della Costituzione, «non importa obbligo di dimissioni».
Se quindi sulla relazione dei prossimi giorni del ministro della Giustizia il governo non porrà la fiducia, non ci sarà nessuna crisi di governo, qualunque dovesse essere l’esito del voto.
Senza una maggioranza stabile, o comunque con una maggioranza «raccogliticcia», d’altro canto, reclamano le destre e ripetono i giornali, non restano che le elezioni, e il Presidente della Repubblica ci manderà a votare.
Non è vero.
Una simile decisione presidenziale è impossibile. Il Presidente non può dimissionare un governo non sfiduciato dalle Camere. Del resto lo stesso scioglimento delle Camere non è un atto unicamente del Presidente della Repubblica.
Come tutti gli atti presidenziali, esso deve essere proposto e firmato da un membro del governo. «Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido – dice l’articolo 89 – se non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità». Per un atto come lo scioglimento delle Camere il ministro proponente, senza la cui controfirma tale atto non è valido, è ovviamente il Presidente del Consiglio, che di esso assume la responsabilità.
Insomma, la nostra è una democrazia parlamentare, nella quale «il Presidente della Repubblica – come dice l’articolo 90 – non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni». Il Governo non deve avere la fiducia del Presidente della Repubblica, come avviene nelle democrazie presidenziali, ma solo quella del Parlamento.
Il fatto che le destre si rivolgano al Presidente della Repubblica perché sciolga le Camere o comunque licenzi il Presidente del Consiglio a causa della debolezza della sua maggioranza, segnala perciò una concezione appunto presidenziale della nostra democrazia.
Non è solo una concezione sbagliata, né tanto meno un’idea ingenuamente errata.
È al contrario una concezione sostenuta strumentalmente proprio in funzione di una prossima campagna per la trasformazione della nostra Repubblica in una Repubblica presidenziale, cioè per un obiettivo da sempre apertamente perseguito dalle destre.
È questa l’insidia che si nasconde dietro l’attuale dibattito sulla cosiddetta crisi di governo.
Se il Presidente della Repubblica ha così rilevanti poteri, come lo scioglimento unilaterale delle Camere e il destino dei Governi – questo l’argomento forte a sostegno del prossimo tentativo di manomissione del nostro assetto costituzionale – allora è giusto che sia eletto direttamente dai cittadini anziché dal Parlamento.
L’aspetto allarmante di tutta questa vicenda è che non solo le destre, ma gran parte del sistema politico e quasi tutta la grande stampa sembrano condividere o quanto meno avallare questa errata interpretazione della figura del Presidente della Repubblica disegnata dalle norme costituzionali e la conseguente, vistosa deformazione del nostro sistema politico.
È invece questa ennesima, insidiosa aggressione alla nostra Costituzione che oggi occorre prevenire e respingere con la massima fermezza.
Commenta (0 Commenti)Sottotitolo: prova anche tu a far cadere il governo della tua parte. Ci sono vari schemi da adottare e esempi da superare
Un nuovo gioco di ruolo telematico viene oggi offerto ai ragazzi: il Renzino, detto anche il gioco dello Scorpione.
Il più classico inizia con un atto di coraggio: il segretario del partito al governo costringe alle dimissioni il presidente del consiglio espresso dal suo stesso partito e prende il suo posto (qui nasce la favola moderna del suo incommensurabile talento).
Il secondo passaggio è la redazione di una riforma costituzionale per ridurre il Senato a camera, a mezzo servizio, dei consiglieri regionali. Il nuovo presidente del consiglio si presenta in aula con la mano in tasca e annuncia che quella è l'ultima volta che un presidente si rivolge al Senato e che se la riforma non passerà lui stesso abbandonerà la politica.
Il terzo passaggio consiste nell'imprevista sconfitta della riforma al referendum. Qui si vede il vero carattere del giocatore. Se abbandona davvero la politica il gioco è subito finito e non c'è più sugo. Se invece il giocatore ha il coraggio di smentirsi il gioco continua.
Il quarto passaggio è la sconfitta del suo partito alle elezioni. Dove però il presidente sconfitto deve avere il coraggio di presentarsi al voto proprio per quel Senato che aveva voluto ridurre. Con un coraggio altruistico supplementare: riempire le liste con i suoi sostenitori, che nonostante la sconfitta risulteranno numerosi e quasi tutti fedelissimi.
Il quinto passaggio è il più delicato. Dopo aver portato alla sconfitta elettorale il suo partito il neo senatore opera una chirurgica scissione che sottrae al suo ormai ex partito una pattuglia di senatori decisiva per gli equilibri della nuova maggioranza che lui stesso ha contribuito a far nascere.
Il sesto passaggio consiste nel togliere la fiducia al governo espresso dalla maggioranza e sghignazzare sulle sue sventure. Ma qui ci vuole uno speciale coraggio per rendere il gioco pieno di suspense. Bisogna esercitare un doppio talento: restare a mezza strada tra la maggioranza amputata e l'opposizione, far capire che ci si considera parte della maggioranza e allo stesso tempo comportarsi da capo dell'opposizione (per il vero giocatore sentirsi capo di qualcosa è fondamentale).
Ma, settimo e ultimo passaggio, il successo del giocatore non è solo far cadere il governo di quella che era la sua parte ma anche e soprattutto evitare il ricorso alle elezioni, perche queste sarebbero letali per il suo gruppo, dato che col 2% dei suffragi previsto sarebbe condannato alla totale scomparsa. Se ci riesce ricchi premi e cotillons, a patto che riesca a barcamenarsi tra le due parti perché nessuna delle due lo vorrà tra le proprie file.
Il Renzino (ovvero il coraggio e il talento dello scorpione) è il nuovo gioco d'azzardo del nostro tempo. Necessario per ridare fascino all'attività più estenuante dell'uomo: la politica.
Per giocarlo si deve avere precisa cognizione dei propri limiti. Se si ammette di non essere autenticamente stronzi meglio non giocare.
Commenta (0 Commenti)Lanciato dall'Anpi. L'associazione nazionale partigiani ottiene il consenso di sindacati, associazioni e partiti in nome della Costituzione
«Uniamoci per salvare l’Italia. Per sconfiggere la pandemia, ricostruire il paese, promuovere una democrazia più ampia e più forte, urge l’impegno delle forze migliori della società. Occorre una nuova visione per il nostro paese».
A sottoscrivere l’appello, oltre all’Anpi, Cgil, Cisl e Uil, le Acli, Aned, Anppia, Arci, Articolo 1, Articolo 21, Ars,Comitati Dossetti, Cdc, Legambiente, Libera, Libertà e Giustizia, alcuni partiti (M5s, Pd, Sinistra italiana, Prc), Rete della conoscenza, 6000 sardine e Udu.
Crisi di governo. Ad oggi, di fatto, contro il premier oltre a Renzi ci sono Confindustria, Salvini, Meloni e Berlusconi. Se è questo il quadro, diventa difficile per il Pd, i 5Stelle e la Sinistra non fare quadrato intorno a Conte, visto che ne hanno condiviso decisioni e comportamenti
Mentre l’onda dei contagi sale e centinaia sono i morti ogni giorno in Italia, nel buio fitto della crisi politica finalmente arrivano parole illuminanti: «Mi auguro un governo disponibile ad ascoltare chi ha dimostrato la capacità di far crescere il paese». Così parlò il capo di Confindustria Bonomi in un’intervista al Corriere della Sera del 14 gennaio, un intervento utile a diradare un po’ il nebbione sulle dinamiche reali e di sostanza che muovono le mosse degli attori di questa crisi.
Bonomi fa l’eco di Renzi. O viceversa, il risultato non cambia.
Evidentemente non è Conte, non è questo governo il riferimento degli industriali e del mondo dell’impresa. Del resto non lo è stato mai fin dalla sua nascita, non lo è stato quando milioni di donne e uomini, nel momento esplosivo della pandemia, furono costretti a lavorare per far girare l’economia. Determinando il disastro del contagio e dei morti nei distretti della Lombardia e non solo.
Bonomi fa operazione di verità, a cui replica il segretario della Cgil Landini richiamando, invece, alla responsabilità.
L’attacco a Conte «è un attacco al governo perché se ne vuole un altro», come chiariva il capodelegazione del Pd Franceschini, subito dopo lo strappo di Renzi.
Quale? Quale altro governo in questa situazione? E il Pd, che ha tentato ogni strada per evitare la rottura, non ha nulla da rimproverarsi vedendo i cocci rotti a reti unificate e sotto gli occhi di tutti? Nemmeno di aver lasciato la briglia sciolta sul collo del capo di Italia viva per fargli fare il lavoro sporco di attacco al governo su tutto?
Certo c’è da riflettere molto sul fatto che una piccola forza politica sia in grado di aprire una voragine nel governo e nella maggioranza. Come si dovrebbe riflettere a fondo sulla storia italiana – soprattutto della sinistra – ovvero sul distacco crescente tra governanti e governati.
Ma adesso bisogna fare i conti con i fatti, con quel che è accaduto, con la crisi aperta da Renzi, il patriota di Rignano che i giornali stranieri, tornati testimoni del pittoresco paese, bollano come politico “sleale e disperato”.
L’accusa renziana di inadeguatezza rivolta al presidente del consiglio è tanto sballata quando strumentale. Non perché sia difficile compilare la lista di critiche alle politiche, alle scelte, alle decisioni di Giuseppe Conte, ma perché queste stesse critiche dovrebbero essere rivolte a tutte le componenti del governo, Pd, 5Stelle e Leu.
Ad oggi, di fatto, contro il premier oltre a Renzi ci sono appunto Confindustria, Salvini, Meloni e Berlusconi.
Se è questo il quadro, diventa difficile per il Pd, i 5Stelle e la Sinistra non fare quadrato intorno a Conte, visto che ne hanno condiviso decisioni e comportamenti. A meno che non si pensi che il premier abbia agito senza tener conto delle posizioni dei partiti. Analisi che appare molto improbabile.
Se questo è il micidiale testa-coda in cui ci troviamo, appare evidente quanto sia complicata la situazione per la maggioranza. Perché cambiare premier, come vorrebbero Renzi e Confindustria, diventa difficile. Ancora di più formare la stessa maggioranza imbarcando Italia viva, rimescolando le carte.
Stretta è anche la via parlamentare perché trovare un gruppo di “costruttori” o “responsabili” è operazione ad alto rischio.
Resta, se salta tutto completamente, la via delle elezioni che porterebbero in pompa magna le destre al governo del Paese, e a un Presidente della Repubblica a loro immagine e somiglianza.
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