OPINIONE
Europa
Finalmente
Forse
Nel corso di questa lunga e terribile estate, ho spesso avuto il timore che l’Europa stesse dissolvendosi.
Che mantenesse una esistenza quale “espressione geografica”ma che la cultura europeista, faticosamente scritta - anche se non sempre realizzata - dei diritti umani, fosse sulla via del tramonto.
Nel qual caso, ci sarebbe ancora l’Europa?
Angela Merkel, finalmente, ha preso atto della realtà.
I fiumi umani possono essere rallentati, non fermati. “Respingere” può essere la miope scelta di un giorno – e spesso il risultato sembra positivo solo per un istante – ma non può essere “la” scelta.
La Carta di Dublino? In un altro momento storico poteva “sembrare” la strada giusta. Oggi è stata la realtà a dissolvere La Carta di Dublino.
Angela Merkel ha – forse - risvegliato l’Europa da un sonno che si protraeva da troppo tempo.
La strada che indica è l’unica possibile.
E’ la strada che porta però a un mondo che ancora non c’è.
Attorno alla strada da intraprendere c’è anche un mondo nuovo che va costruito, con strumenti che lasciano a terra gli strumenti in uso prima.
Gli individualisti, in gran numero dalle nostre parti, pensano che ognuno debba fare soltanto per il proprio “sé”, personale e nazionale. Salvo, poi, aspettarsi molto dal resto del mondo.
Gli statalisti – un tempo numerosi – pensano che è lo Stato che deve occuparsi di tutto.
I religiosi di varie religioni hanno spesso fiducia solo nelle loro chiese caritatevoli o “giuste”, quando lo sono.
Il mondo nuovo – ne sono convinta – potrà invece essere costruito da politiche che riescano a connettere dati di realtà, bisogni, energie, economie.
I tratti del mondo nuovo potrebbero essere migliori di quello declinante. Potrebbero.
La svolta in Europa – quella che sembra possa annunciarsi – viene dalla scelta di Angela Merkel. Una scelta “sentimentale” o intelligente? Intelligente, direi.
Inviti pressanti – nella stessa direzione di Merkel - di papa Francesco non hanno avuto lo stesso peso. Inevitabilmente.
L’Europa, che tante volte nella storia ha prodotto tragedie “politiche”, non di rado avvolte in bandiere religiose, può, oggi, affidarsi a politiche non tragiche, non caritatevoli, ma realistiche.
Politiche in buona alleanza con le religioni - se le religioni riusciranno a svolgere una funzione civile - e da una risvegliata cultura laica, troppo spesso lontana e indifferente rispetto alle urgenze del mondo.
C’è veramente da augurarselo, il risveglio del mondo laico.
Spazi nuovi ed inesplorati.
Anche le recenti parole di Juncker sembrano andare nella direzione nuova.
Ma alte già si levano - sempre in Europa - parole ed azioni contrarie. Da “nazioni” con storie molto diverse. Inghilterra, Ungheria, Danimarca. E l’Europa, esiste?
Alla grande breccia aperta da Merkel bisognerà lavorare molto, perché si allarghi e diventi una vera e propria porta.
Alla politica della porta aperta hanno dato una importante mano in questi giorni giovani, associazioni di volontariato, cittadinanza attiva.
Una energia civile che dovrà andare oltre la grande e positiva emozione della emergenza, e farsi cultura, organizzazione, permanenza. Nulla di scontato e di facile.
Chi esplora strade nuove non può non dotarsi di “forza, coraggio, prudenza”. Prudenza nel fare scelte, nel valutare ostacoli, nel tenere aperto il discorso anche con chi non vuole esplorare strade nuove.
L’urgenza di questo nostro tempo è che – lo vogliamo o no – il mestiere di chi esplora va imparato.
Azione non facile ma necessaria, diventare esploratori. O costruttori di un mondo che ancora non c’è.
Maria Paola Patuelli
Berlino, 10 settembre 2015
Commenta (0 Commenti)Ricordare la strage: per chi ha vissuto quegli anni già adulto è un esercizio sempre più faticoso e per alcuni aspetti straziante. Ma è anche un dovere: un obbligo morale e un dovere politico. Per le generazioni successive che oramai costituiscono la maggioranza degli italiani, per loro dobbiamo farlo, e per le vittime di quell'ignobile attentato. Cittadini qualunque, gente come noi, furono le vittime di quell'atto terroristico: vittime innocenti si suole dire; ma quando mai le vittime del terrorismo non sono innocenti? Quasi che le motivazioni personali di questa o quella organizzazione terroristica (anche quando si tratta di uno stato) possano giustificare le uccisioni o le stragi.
Dunque innocenti in ogni senso e in quella occasione anche scelti a caso. Oramai specie dopo l'esplosione dello stragismo d'ispirazione islamista, dopo l'11 settembre, ci si è fatta l'abitudine ed appare quasi normale. Ma allora, nel '69, nel '74, nel '80, nel '92 non lo era e non lo appariva affatto.
Gli italiani di allora, negli anni 70 e soprattutto dopo la strage di Bologna fecero la loro parte: non si lasciarono intimidire. E' una frase che i governanti usano oggi con facilità ed a volte con ingiustificata spocchia, ma che per le persone comuni significò allora scendere in piazza, non cedere alla paura, rischiare a volte il posto di lavoro o la carriera, spesso rischiare di prenderle, facendo argine come cittadini a quel progetto fascista denominato “strategia della tensione” che si basava proprio sulla scommessa che la gente comune si sarebbe chiusa in casa per la paura, e che lo stato, sempre depistatore, ed a volte complice, avrebbe reagito riducendo le libertà e favorendo quella svolta autoritaria che oramai è storicamente provato, molti nostri alleati (USA e Gran Bretagna innanzitutto) auspicavano e attraverso i servizi segreti tramavano per realizzare.
I cittadini fecero la loro parte, e salvarono la democrazia in Italia, ed i governi? Anche i governi, a modo loro: depistarono, coprirono, inquinarono; attraverso i servizi a volte manovrati e spesso manovratori fecero di tutto per impedire ai giudici di scoprire la verità. E' per questo, notoriamente, che per la maggior parte delle stragi fasciste non ci sono state condanne e colpevoli giudiziariamente accertati. Ma per la strage di Bologna no, lì c'è stata una sentenza definitiva dopo tre gradi di giudizio, e che dice tre cose: quale fu la matrice politica: fascista. Chi furono gli autori materiali: Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini. Chi coprì e depistò: i servizi segreti italiani, deviati o meno, che fecero di tutto per impedire l'accertamento della verità.
Certamente si è trattato di un processo indiziario e ci sono ampie zone d'ombra, soprattutto per quanto concerne i mandanti ed i rapporti fra fascisti e loggia P2 e massoneria deviata in genere, ed allora molti, ancora oggi, per ricordare quella strage non riescono a fare di meglio che continuare l'opera dei servizi deviati rispolverando la pista palestinese che l'irresponsabile Cossiga, nel tentativo di allontanare i sospetti dall'amata massoneria, a suo tempo sollevò. Lo fa ad esempio Il Resto del Carlino del 1 agosto con un'intervista al giudice Priore (in pensione) evidentemente non ancora soddisfatto per il suo operare in occasione delle indagini sulla strage di Ustica (per la quale fu l'inconcludente giudice istruttore). Forse è bene ricordarlo, anche se il Carlino si guarda bene dal farlo: quella “pista” è stata indagata a lungo dalla magistratura bolognese che nel febbraio di questo anno ha archiviato l'indagine per manifesta infondatezza. Ma non è un caso che Cossiga prima, il Tempo ed i giornali della destra periodicamente tornino alla carica; il loro scopo è chiaro: smacchiare la destra italiana dalla sua contiguità con una così tremenda strage ed allontanare lo stragismo dal ruolo della massoneria e dei servizi segreti italiani.
E' l'Associazione dei famigliari delle vittime delle stragi, con il suo presidente, Bolognesi, a chiedere invece di continuare ed approfondire le indagini, perché quello che tutti vogliamo è sapere chi furono i mandanti e quale fu la trama politica. Dice Bolognesi nell'intervista rilasciata a Loris Mezzetti sul Fatto Quotidiano del 31 luglio, che anche l'attuale governo mostra limiti e reticenze che non si aspettava: “Renzi era partito bene, quando nel 2014 fece declassificare i documenti delle stragi dal 1969 al 1984. La direttiva non doveva essere lasciata andare al caso”. Secondo Bolognesi il governo
Leggi tutto: Il 2 agosto, 35 anni fa. Vogliamo ancora la verità
Commenta (1 "Commento")Uniamo la nostra voce a quella dei lavoratori e delle loro rappresentanze sindacali, delle istituzioni e delle forze politiche per esprimere la profonda preoccupazione per il futuro della Cisa.
Il piano industriale presentato dai vertici della multinazionale Allegion comporterebbe la perdita non solo dei 238 posti di lavoro negli stabilimenti faentini, ma di altre significative opportunità per il nostro territorio. A nessuno possono sfuggire le conseguenze della preannunciata volontà di trasferire all’estero le lavorazioni meccaniche della maggiore industria manifatturiera. Una volontà peraltro giustificata dalla ricerca di più ampi margini di profitto e non da provate difficoltà produttive, di mercato e di bilancio. Essa metterebbe a repentaglio le sorti di centinaia di famiglie, pregiudicherebbe le prospettive di ripresa in un contesto già drammaticamente segnato dagli effetti di una crisi che si protrae ormai da otto anni, vanificherebbe decenni di impegno lavorativo e imprenditoriale che sono alla base di un marchio apprezzato nel mondo quale sinonimo di fiducia e di qualità. La Cisa è storia e vita di questo territorio.
Chiediamo che quel piano industriale venga accantonato. Già dall’incontro previsto per il 24 luglio a Roma, il confronto deve svolgersi su basi diverse: innovare la gamma dei prodotti e dei cicli di lavorazione con i necessari investimenti, creare le condizioni per un consolidamento dell’impresa tale da salvaguardare l’occupazione e qualificarne ulteriormente la professionalità.
Perché ciò avvenga è necessaria una chiara assunzione di responsabilità da parte di Allegion e del management aziendale, ma anche dei governi regionale e nazionale. Bisogna riportare l’uomo - con la sua dignità e i suoi diritti inalienabili - al centro delle scelte economiche. Bisogna che chi quelle scelte ha il potere di adottarle agisca nel pieno rispetto del dettato costituzionale là dove afferma che non possono “svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.
Primi firmatari:
ANPI – Associazione Nazionale Partigiani d’Italia
Auser Faenza
Caritas diocesana
Centro diocesano per la Pastorale sociale
Circolo Arci “Prometeo”
Circolo Arci Santa Lucia
Comitato di Faenza per la valorizzazione e la difesa della Costituzione
Legambiente “Circolo Lamone” Faenza
Teatro Due Mondi
“No ai licenziamenti. Sì ad un piano industriale che rafforzi la presenza di Cisa in città e in Italia”. Faenza ha dato alla multinazionale Allegion e ai manager dell’azienda una risposta ferma e chiara.
Nel lungo corteo che ha preso avvio dallo stabilimento di via Granarolo c’erano tutte le lavoratrici e i lavoratori della Cisa, dirigenti sindacali – fra i quali il segretario generale della Uil Carmelo Barbagallo e i segretari nazionali dei metalmeccanici – rappresentanti delle istituzioni, nutrite delegazioni delle altre categorie e delegati di tante aziende del territorio.
Molti faentini hanno rivissuto il clima delle grandi manifestazioni del passato, dell’Omsa in particolare, auspicando che nel caso della Cisa la vertenza si conclusa con un esito più positivo nell’interesse di chi vi lavora e del faentino. Il sindaco Malpezzi ha espresso la solidarietà dell’Amministrazione comunale e l’impegno di sostenere la lotta fino a quando sarà necessario.
“Sappiano che abbiamo la testa dura – ha affermato fra gli applausi Maurizio Landini, segretario generale della Fiom-Cgil – e che continueremo con il sostegno delle istituzioni fino a quando non avranno cambiato idea. All’incontro del 16 luglio al ministero i vertici dell’azienda dovranno presentarsi non per parlare di licenziamenti, ma di un piano di rilancio della Cisa. Anche il governo deve fare la sua parte con politiche industriali e con investimenti che creino nuovi posti di lavoro”.
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Abbiamo tutti festeggiato con balli e canti, sventolio di bandiere bianche-azzurre ed inni a Tsipras e Varoufakis la splendida vittoria politica del popolo greco nel referendum contro l’austerity senza fine!
Bene hanno fatto gli esponenti della sinistra italiana e del M5s ad andare ad Atene ad appoggiare la campagna del NO ed a sfilare con i greci (con i greci e non solo con Syriza: 61% il No al referendum, 36% i voti per Syriza alle politiche del 2015!). Lo hanno fatto per l’Italia e per l’Europa, ancor prima che per solidarietà verso la Grecia. In fondo alla strada lastricata dai ricatti dei creditori e dalle politiche antipopolari senza fine c’è il trionfo delle destre nazionaliste e populiste e la dissoluzione dell’Europa!
Anche se è più che legittimo avere delle riserve sull’uso spregiudicato che è stato fatto in Grecia dello strumento referendario, (vedi ad es. Grecia 5 luglio: referendum o sondaggio? ) ora che i cittadini greci si sono espressi, tutti noi che abbiamo ancora a cuore quell’idea di Europa che ci ha garantito 60 anni di pace e di prosperità, qui in Italia e negli altri paesi europei dobbiamo agire e in fretta. Altrimenti la nostra solidarietà avrà lo stesso valore del tifo sportivo.
Dobbiamo tutti da oggi esercitare il massimo di pressione sui nostri governi, a partire da quello italiano perché all’interno del Consiglio Europeo, della Commissione e anche dell’Eurogruppo siano immediatamente messi in discussione i punti dirimenti di un progetto equo di aiuto alla Grecia affinché possa risollevarsi, promuovendone la ripresa economica, unica possibilità per una parziale restituzione dei prestiti che ha ricevuto e per la sostenibilità politica dell’Europa stessa.
I punti cruciali dovranno essere:
1) taglio di una parte del debito, come minimo il 30% cosa che tutti ormai riconoscono necessaria e che può essere finanziato con il lancio di eurobond (la cd ristrutturazione del debito).
2) concessione immediata da parte della BCE della liquidità necessaria alle banche greche: ricordo a tutti che la situazione di pericolo non è dovuta ad un’improvvisa crisi di liquidità ma al fatto che per ricattare gli elettori greci in modo del tutto irresponsabile l’Eurogruppo non ha voluto autorizzare la BCE alla concessione di liquidità per 5 giorni in attesa del referendum!!!
3) Concessione di una moratoria nel pagamento degli interessi ai creditori per un numero di anni sufficienti ad innescare in Grecia una salda ripresa e una forte crescita economica. Senza questa condizione ogni altra misura volta al taglio della spesa (austerity) o agli investimenti per favorire la crescita risulterebbe vana, anzi peggio, com’è avvenuto in questi cinque durissimi anni, spreco di risorse.
Non può più continuare il gioco penoso del nostro capo del governo: abbaiare al vento contro le politiche di austerità e la mancanza di vere misure per la crescita, e poi scodinzolare, come un animaletto da compagnia della sig.ra Merkel, nelle sedi istituzionali, e con la faccia feroce verso la debolissima Grecia (“tweet maramaldesco: «Il punto è: il referendum greco non sarà un derby tra la Commissione europea e Tsipras, ma un derby dell'euro contro la dracma. Questa è la scelta.»).
Credo che tutto il mondo politico italiano se ne renda ora drammaticamente conto. La marginalità dell’Italia in questa partita è un pericolo anche per la nostra economia!
Raccogliamo e diamo un senso politico alle parole che ha pronunciato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella: "I cittadini greci hanno preso oggi, con il referendum, una decisione della quale occorre, in primo luogo, prendere atto con rispetto. Una decisione, tuttavia, che proietta, oltre ad Atene, la stessa Unione europea verso scenari inediti, che richiederanno a tutti, sin d'ora, senso di responsabilità, lungimiranza e visione strategica".
In tutte le sedi politiche ed istituzionali, consigli regionali e comunali, vengano promossi dei forti pronunciamenti, ispirati ai principi sopra esposti, rivolti al governo italiano e direttamente al Parlamento europeo, al Consiglio europeo ed alla Commissione affinché dalle istituzioni europee venga formulata una proposta di accordo sul debito greco, di sostegno alla liquidità del sistema, e un progetto di risanamento e sviluppo della sua economia che tenga conto anche della richiesta di solidarietà e di equità sociale espressa con il referendum dal popolo greco.
La redazione di Qualcosadisinistra.info
6 luglio 2015
Qui di seguito una piccola scelta di articoli di economisti e giornalisti sulla natura della crisi greca e sugli errori commessi dal FMI e dall’UE in questi anni.
Da "Repubblica" del 1/07/2015 Mariana Mazzucato: Quando l’errore è nella diagnosi
da “Il Manifesto”del 6/07/2015 intervista di Marta Fana sempre a Mariana Mazzucato: Il no ha sconfitto l'arrogante Europa
da “Il Sole24ore”del 6/07/2015 Luisa Palmerini: Scenari inediti: ora l'Europa solidale.
da “Il Sole24ore”del 6/07/2015 Adriana Cerretelli: No al Grexit. L’Europa eviti il suicidio collettivo.
da “Il Sole24ore”del 6/07/2015 Isabella Bufacchi: Subito un prestito ponte
da “Il Sole24ore”del 5/07/2015 Paul Krugman: Perché il “no“ potrebbe non essere irreparabile
da "Repubblica" del5/07/2015 Paul Krugman: Ma l’Europa è un disastro la moneta unica è diventata una camicia di forza
da "Repubblica" del 30.6.15 intervista di Eugenio Occorsio a Jean-Paul Fitoussi: La Germania potrebbe ricordarsi che dopo la seconda guerra mondiale le fu condonato un immane debito
da “Il Sole24ore”del 5/07/2015 Roberto Napoletano: L'Europa che serve a loro e a noi
da "Repubblica" del 29 giugno 2015 intervista di Roberto Brunelli a Thomas Piketty: Europa in agonia sono i conservatori ad averla devastata. Serve una conferenza per ristrutturare i debiti più insostenibili
Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza.
Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.
Qui ad Atene noi facciamo così.
La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo.
Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.
Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.
E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benché in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.
Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.
Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore.
Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versatilità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la
nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.
Qui ad Atene noi facciamo così
Tratto da Tucidide, Storie, II, 34-36
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